Consiglio di Stato, Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5371

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5371
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 305 del 2014, proposto dalla signora Di Gennaro Giuseppina, rappresentata e difesa dall’avvocato Corrado Diaco, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carmelo Giurdanella in Roma, via dei Barbieri, n. 6;
contro
il Comune di Napoli, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Crimaldi, Fabio Ferrari e Anna Pulcini, con domicilio eletto presso lo studio avvocati associati Grez s.r.l., in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA, Napoli – Sezione VII n. 4156/2013, resa tra le parti, concernente la revoca di una concessione del suolo cimiteriale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Consigliere Doris Durante;
Uditi per le parti l’avvocato Orefice, per delega dell’avvocato Diaco, e l’avvocato Crimaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I.1- Il Comune di Napoli con delibera di Giunta Municipale n. 5179 del 15 novembre 1995 concedeva al sig. Castaldo Vincenzo un appezzamento di suolo nel Cimitero di Poggioreale, muro di cinta, fronte isola 19/bis (di 4,08 mq., oltre 2,82 mq. di gavetta) per la costruzione di una cappella funeraria, stabilendo, tra l’altro, che il diritto d’uso della stessa era regolato ai sensi dell’art. 68 del vigente Regolamento di Polizia Mortuaria e degli artt. 91 e 93 del d.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803.
Il signor Castaldo Vincenzo, realizzato il manufatto funerario, con rogito per notaio Filippo Improta del 18 giugno 2009, lo trasferiva alla signora Giuseppina Di Gennaro, senza che tale cessione fosse stata comunicata all’amministrazione concedente o tanto meno da questa previamente autorizzata.
La signora Di Gennaro procedeva alla sepoltura del marito signor Perrella Francesco, deceduto il 6 maggio 2001 e della figlia signora Annamaria Perrella deceduta il 14 maggio 2007.
I.2. Con provvedimento dirigenziale n. 80 del 29 ottobre 2012, previa rituale comunicazione in data 26 giugno 2012 di avvio del procedimento all’interessata, signora Giuseppina Di Gennaro (cui in particolare sono stati comunicati, ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, i motivi ostativi all’accoglimento della sua istanza di sub – concessione del predetto suolo cimiteriale), è stata disposta la “…revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale di cui alla delibera di G.M. n. 5179 del 15 novembre 1995”, con acquisizione del realizzato manufatto funerario ivi realizzato.
I.3. A fondamento della predetta revoca decadenziale è stato rilevato che:
a) l’art. 53, comma 1, del Regolamento comunale di Polizia Mortuaria e dei Servizi funebri e cimiteriali, approvato con delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, prevedeva il divieto di cessione fra privati dei manufatti funebri;
b) con atto notarile repertorio 43643 del 18 giugno 2009,il signor Castaldo Vincenzo aveva alienato il manufatto funerario alla signora Giuseppina Di Gennaro in violazione del predetto art. 53 del nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria;
c) ai sensi degli artt. 823 e 824 c.c. il cimitero è un bene demaniale e la concessione di sepoltura privata costituisce una concessione amministrativa di bene demaniale con diritto d’uso non alienabile;
d) l’art. 44 del Regolamento di Polizia Mortuaria stabilisce che non può essere fatta concessione di aree per sepoltura privata a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione;
e) l’art. 53, comma 1, del predetto regolamento, che vieta la cessione diretta tra privati, è posto a tutela dell’ordine pubblico e del buon governo ed è preordinato alla salvaguardia delle esigenze pubblicistiche che impongono all’amministrazione di sovrintendere, vigilare e controllare tutte le attività relative all’area sepolcrale;
f) l’atto di compravendita in data 18 giugno 2009 era pertanto nullo ed inefficace nei confronti dell’amministrazione concedente, che aveva un interesse concreto ed attuale a rientrare nella disponibilità del manufatto funebre per procedere alla sua rassegnazione nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica.
Quanto all’archiviazione della domanda di sub – concessione del fondo cimiteriale, respingendosi le avverse deduzioni fondate sull’inammissibile applicazione retroattiva del nuovo regolamento di polizia mortuaria in violazione dell’art. 11 delle preleggi, sulla asserita violazione del diritto soggettivo perfetto di natura reale sul suolo cimiteriale e sulla sussistenza della concessione perpetua di suolo, è stato osservato che: g) l’atto di compravendita era intervenuto successivamente all’entrata in vigore del nuovo regolamento; h) il diritto sul sepolcro e l’irrevocabilità della concessione di suolo non sono opponibili all’ente concedente quando le esigenze di tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongono di esercitare il potere di revoca decadenziale della concessione, a fronte dell’atto di compravendita espressamente vietata dal regolamento.
II.2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione VII, con la sentenza n. 4156 del 4 settembre 2013, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, ha respinto il ricorso proposto dalla signora Di Gennaro Giuseppina avverso il ricordato provvedimento di revoca decadenziale, ritenendo infondati tutti i tredici motivi di censura (imperniati sulla violazione di legge ed illegittimità della revoca per illegittimità ovvero falsa applicazione dell’art. 53 del regolamento e per violazione degli artt. 4 e 11 delle preleggi, nonché degli artt. 953 e 1379 del codice civile; sulla violazione di legge e carenza di potere, eccesso di potere per sviamento, illogicità manifesta, difetto di motivazione, contraddittorietà manifesta, illegittimità o nullità della revoca ovvero inesistenza del potere di revoca per violazione degli artt. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, degli artt. 2 e 19, 42 e 97 Cost., dell’art. 1 del Primo Protocollo della CEDU, eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e violazione del precetto di logica, contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà, violazione dei principi di affidamento o proporzionalità, mancata osservanza dei limiti auto – imposti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti).
II.3. La signora Di Gennaro Giuseppina ha chiesto la riforma della sentenza n. 4156 del 2013, lamentando l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di sei motivi di gravame, cosi rubricati: “Errata ricostruzione del fatto storico”; “Violazione dell’art. 19 Cost. Diritto di sepolcro, suo rilievo costituzionale e carattere “in affievolibile”; “Violazione art. 11 Preleggi e 1 prot. add. CEDU. Irretroattività del Regolamento. Ipotesi di espropriazione senza indennizzo”, “Violazione art. 23 Cost. e artt. 44 e 53 del regolamento del Comune di Napoli. Inesistenza di una ipotesi di revoca – sanzione. Violazione del principio di proporzionalità”; “Violazione art. 44 Regolamento comunale. Diritto sul manufatto costruito e diritto sul suolo o sul manufatto comunale. Differenze. Ambito applicativo del divieto di cessione” e “Violazione dell’art. 20 L. 241/90. Eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti manifestazioni di volontà e travisamento dei fatti”.
L’appellante ha altresì proposto domanda risarcitoria.
Il Comune di Napoli si è costituito in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.
II.4. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive, insistendo per il loro accoglimento.
All’udienza pubblica dell’8 luglio 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
III. L’appello è infondato, potendo pertanto prescindersi dall’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva dll’appellante sollevata dalla difesa dell’appellata amministrazione comunale.
III.1. Occorre premettere che, come del resto puntualmente rilevato dai primi giudici, nella materia de qua questa Sezione (8 marzo 2010, n. 1330) ha avuto modo di rilevare che “…in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario…lo “ius sepulchri”, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito” in senso stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000 , n. 3313)”.
E’ stato sottolineato che “…come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “…di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che “…a fronte di successive determinazioni del concedente” sussistono posizioni di interesse legittimo.
È stato precisato che il rapporto concessorio deve rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, osservando che, in particolare, lo “ius sepulchri” attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
E’ stata anche ritenuta non persuasiva la tesi “…secondo cui, una volta costituito il rapporto concessorio, questo non potrebbe essere più assoggettato alla normativa intervenuta successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene”, non essendo “…pertinente…il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).
E’ stato altresì evidenziato che il rapporto concessorio in questione è “…pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del d. P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore sin dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompressa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
In definitiva nel nostro ordinamento il diritto sul sepolcro già costituito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o morti causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta la sussistenza di posizioni di interesse legittimo nei confronti degli atti della pubblica amministrazione nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongono o consigliano alla pubblica amministrazione il potere di esercitare la revoca della concessione (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294).
III.2. Deve poi aggiungersi che il Regolamento di Polizia Mortuaria e dei Servizi Funebri e Cimiteriali, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, per quanto qui interessa, all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1); che “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5) e che “La concessione può essere soggetta: a. a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b. a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c. a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).
L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone al comma 4 che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.
L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) afferma che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.
III.3. Ciò posto, con riferimento ai singoli motivi di gravame, si osserva quanto segue.
III.3.1. Deve innanzitutto respingersi il primo motivo di doglianza, con cui l’appellante ha lamentato “errata ricostruzione del fatto”, sostenendo che i primi giudici avrebbero malamente interpretato (pronunciando in tal senso una sentenza punitiva, con condanna alle spese) come una machinatio ai danni del Comune l’atto di compravendita del 18 giugno 2009 stipulato tra il sub – concessionario e la signora Giuseppina Di Gennaro (accompagnato da una procura in favore dell’acquirente per la gestione ordinaria e straordinaria del manufatto), giacché esso costituiva invece una semplice vendita del manufatto, del tutto lecita e consentita, senza alcun intento di lucro o speculativo (peraltro solo asserito, ma non provato).
In realtà, al di là della pur suggestiva prospettazione, dalla lettura delle motivazioni della sentenza impugnata non emerge alcun carattere punitivo della stessa, tanto più che la condanna alle spese (la cui liquidazione nel caso di specie, fissata in €. 3.000,00, misura non contestata, non è neppure manifestamente irragionevole od eccessiva) costituisce la normale conseguenza della soccombenza giudiziale, potendo la compensazione delle spese essere disposta solo in caso di soccombenza reciproca ovvero in caso di eccezionali ragioni, da indicarsi esplicitamente.
La legittimità dell’impugnato provvedimento di revoca è stata infatti riconosciuta in ragione della violazione del ricordato articolo 53, comma 1, che vieta la cessione diretta tra privati, violazione obiettivamente conseguita all’atto notarile di compravendita del 18 giugno 2009.
I primi giudici hanno al riguardo convincentemente e motivatamente osservato che quel divieto deve essere interpretato “…per la sua portata testuale che è quella di vietare che i privati, senza la partecipazione della amministrazione pubblica, possano liberamente disporre della concessione”, costituendo detto divieto ad un tempo “…specificazione ed estrinsecazione del divieto di subentro inautorizzato” e “…formula pienamente esemplificativa di quel venir meno ai propri obblighi di concessione che l’art. 44 sanziona per l’appunto con la decadenza”, obblighi cui il provvedimento impugnato ha fatto puntuale riferimento rilevando espressamente che “la vendita realizzata in violazione della normativa regolamentare citata si pone in contrasto con le procedure ad evidenza pubblica di assegnazione dei beni in concessione e deve, pertanto, considerarsi grave inadempimento da parte dell’alienante degli obblighi di conservazione e custodia del bene in concessione posti a suo carico”.
III.3.2. Ugualmente infondato è il secondo motivo di gravame, con cui gli appellanti hanno denunciato “Violazione art. 19 Cost.; Diritto di sepolcro, suo rilievo costituzionale e carattere “inaffievolibile”.
Va rinviato a quanto esposto sub. III.1., in quanto, se è vero che il diritto sul sepolcro è un diritto soggetto perfetto di natura reale assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso e di trasmissione sia inter vivos e mortis causa nei confronti degli altri soggetti privati, è altrettanto vero che esso non ha la stessa consistenza e natura di diritto soggettivo nei confronti del comune, proprietario del suolo demaniale cimiteriale, dato in concessione, titolare di potere di revoca e decadenza della concessione (in presenza dei quali quella posizione soggettiva ha natura di interesse legittimo).
D’altra parte non può sottacersi che titolare del diritto reale o della posizione di interesse legittimo è esclusivamente il legittimo concessionario, cui non possono neppure essere assimilati il richiedente la sub – concessione, in mancanza del formale provvedimento dell’amministrativo, e l’acquirente del bene demaniale dal richiedente la sub – concessione, qual è la posizione giuridica dell’appellante.
III.3.3. Le considerazioni svolte escludono anche la fondatezza del terzo motivo di gravame, rubricato “Violazione dell’art. 11 Preleggi e 1 prot. add. CEDU. Irretroattività del Regolamento. Ipotesi di espropriazione senza indennizzo”.
Il principio di irretroattività postula invero l’inapplicabilità di una disposizione di legge ad un fatto avvenuto nel passato, prima della sua emanazione, fattispecie che tuttavia non si riscontra nel caso di specie in cui, stante la natura di durata del provvedimento concessorio, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella esistente al momento del provvedimento concessorio, riguardante vicende e situazioni non ancora verificatesi o i cui effetti non si siano ancora definitivamente consolidati (salva la tutela del legittimo affidamento, che tuttavia non viene in rilievo nel caso in esame).
Quanto poi alla prospettata violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con cui l’appellante ha dedotto che il provvedimento impugnato darebbe luogo ad un’ipotesi paradigmatica di espropriazione della proprietà senza indennizzo, va rilevato che, come già evidenziato in precedenza, la predetta appellante, signora Giuseppina Di Gennaro quale mera eventuale richiedente il subentro nella originaria concessione non vanta nei confronti del Comune di Napoli alcuna posizione legittimante, spettando tale legittimazione solo all’originario concessionario, nei confronti del quale tuttavia risulta correttamente esercitato il potere di decadenza dalla concessione stessa.
III.3.4. Prive di fondamento giuridico sono le censure mosse con il quarto (Violazione art. 23 e artt. 44 e 53 del regolamento del Comune di Napoli. Inesistenza di una ipotesi di revoca – sanzione. Violazione del principio di proporzionalità” ed il quinto motivo di gravame (“Violazione art. 44 Regolamento comunale. Diritto sul manufatto costruito dal privato e diritto sul suolo o sul manufatto comunale. Differenze. Ambito applicativo del divieto di cessione”, che possono essere esaminate congiuntamente.
Non possono infatti condividersi le tesi dell’appellante, secondo cui, per un verso, la legittimità della revoca – sanzione in esame presupponeva un’apposita previsione normativa di rango legislativa in tal senso, in omaggio al principio di legalità e dei corollari di chiarezza e prevedibilità, e, per altro verso, la decadenza prevista dall’art. 44, comma 9, lett. b), avrebbe riguardato esclusivamente l’inadempimento concernente la fase di costruzione del manufatto (insussistente nel caso di specie): fermo restando infatti il rilievo che tali censure potevano essere prospettate soltanto dal legittimo concessionario e non dall’appellante che, ancora una volta si ribadisce, non ha alcun titolo al riguardo, va osservato non solo che la revoca in questione è espressamente prevista dal regolamento comunale di polizia mortuaria approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, che non è stato oggetto di apposita impugnazione, per quanto essa non ha neppure natura sanzionatoria in senso stretto, conseguendo piuttosto all’inadempimento degli obblighi discendenti dall’esatta osservanza della concessione, non limitati, secondo il richiamato comma 9, lett. b), dell’art. 44 del regolamento alla sola inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e loro mantenimento, proprio a quest’ultimo profilo avendo fatto riferimento l’amministrazione comunale, come già rilevato in precedenza.
Deve poi escludersi che la ricordata norma dell’art. 44 del regolamento abbia un contenuto equivoco e non chiaro o irragionevole ovvero che sia formulato in modo tale da non essere facilmente comprensibile, così come è da escludersi la violazione del principio di proporzionalità, atteso che alla violazione degli obblighi derivanti dal rapporto concessorio poteva derivare soltanto la revoca – decadenza.
Una volta dichiarata la decadenza dalla concessione del suolo cimiteriale del tutto coerentemente e correttamente, ed in ogni caso in puntuale applicazione del comma 1 dell’art. 44 del regolamento comunale, sono state acquisite alla proprietà dell’amministrazione comunale le opere realizzate sul suolo demaniale ai sensi dell’art. 953 c.c., anche a tal riguardo dovendo richiamarsi il difetto di legittimazione dell’appellante a dolersene.
III.3.5. Le osservazioni svolte rendono infine priva di giuridico fondamento la domanda risarcitoria che va ugualmente respinta.
IV. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello n. 305 del 2014, proposto dalla signora Giuseppina Di Gennaro avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 4156 del 4 settembre 2013, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune di Napoli delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre I.V.A., C.P.A. ed altri accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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