Norme correlate: Art. 13 D.Lgs. 18/8/2000, n. 267
Massima
Come già considerato dal Consiglio di Stato, Sez, V. 16 agosto 2010, n. 5714, “in assenza dell’espressa disciplina regionale per la gestione delle sale del commiato la cui emanazione era prevista dall’art. 10, n. 1, lett. b) della l.r. < omissis >, trovi applicazione il principio di sussidiarietà, che, nella specie, attribuisce al Comune la facoltà di regolamentare lo svolgimento dei pubblici servizi anche per ciò che attiene agli orari di apertura contenuta nell’art. 50 del D.Lgs. n. 205/2000” (…). Inoltre, l’art. 3 comma 5 del d.lgs. 267 del 2000 dispone: “I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali” e l’art. 13 comma 1 del d.lgs. 267 del 2000 dispone: “Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Da tali disposizioni si ricava, che le funzioni comunali si distinguono in funzioni proprie, che identificano il Comune quale ente esponenziale della comunità (amministrazione ed uso del territorio, servizi sociali, politica economica), conferite con leggi statali e regionali e, ancor prima, delle funzioni fondamentali, inserite dall’art. 117 Cost., comma 2, lett. p, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane). L’ultima parte dell'art. 117, 6° comma della Costituzione, stabilisce che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”, disposizione che valorizza l’autonomia normativa degli enti locali con un riconoscimento a livello costituzionale della potestà regolamentare locale, basato sulla equazione per cui all’esercizio di funzioni amministrative (attribuite, proprie, conferite) da parte degli enti territoriali corrisponde il potere di regolare tali funzioni (non la materia), sotto il profilo organizzativo e sotto quello dello svolgimento
Testo
Pubblicato il 19/03/2025
N. 02273/2025REG.PROV.COLL.
N. 08791/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8791 del 2022, proposto da < omissis > S.r.l. Società Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pietro Pesciaroli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Montefiascone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Bromuri, Daniele Marongiu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Michele Bromuri in Perugia, via del Sole n. 8;
nei confronti
< omissis > S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Donato Mondelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 10884/2022, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Montefiascone e di < omisiss > S.r.l.;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 settembre 2024 il Cons. Gianluca Rovelli e uditi per le parti gli avvocati Pesciaroli, Bromuri e Mondelli;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’appellante esercita l’attività di onoranze funebri e servizi cimiteriali in genere a decorrere dall’anno 2009, con unità locali dislocate nel territorio della Provincia di Viterbo e, in particolare, nei paesi di Montefiascone, Bassano in Teverina, Bomarzo, Grotte S. Stefano, Viterbo, Orte, Vallerano, Vasanello, Vignanello e Vitorchiano.
2. Riferisce di avere “notato che a Montefiascone, in Via Contadini snc, presso la sede della < omissis > Srl, che espleta la stessa attività commerciale della esponente, era esistente un immobile destinato ed utilizzato a “sala del commiato” da parte dello stesso Ente societario concorrente”.
3. Con nota del 7 ottobre 2019 inviata al Comune di Montefiascone, dopo aver esposto la volontà di realizzare una propria “sala del commiato” nel territorio del Comune di Montefiascone, chiedeva l’autorizzazione ad accedere a tutti gli atti e provvedimenti amministrativi e ai documenti agli stessi allegati relativi al procedimento conclusosi con l’autorizzazione alla realizzazione, al godimento e alla destinazione d’uso a “sala del commiato” dell’immobile destinato a Montefiascone in Via dei Contadini s.n.c., da parte della s.r.l. < omissis > s.r.l.
4. Il Comune non ha riscontrato l’istanza. Il silenzio rigetto è stato impugnato dinanzi al TAR Lazio che ha rigettato il ricorso con sentenza n. 9903/2020 poi riformata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1415/2022.
5. Ottenuto l’accesso ed esaminati gli atti, l’odierna appellante proponeva ricorso dinanzi al TAR Lazio al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento implicito impugnato, della delibera del consiglio Comunale di Montefiascone n. 26 del 15 aprile 2016 e del Regolamento delle sale del commiato con la stessa approvato.
6. Con sentenza n. 10884/2022 il TAR respingeva il ricorso.
7. Di tale sentenza, < omissis > S.r.l. Società Unipersonale ha chiesto la riforma con rituale e tempestivo atto di appello.
8. Hanno resistito al gravame il Comune di Montefiascone e < omissis > S.r.l. chiedendone il rigetto.
9. Alla udienza pubblica del 19 settembre 2024 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
10. Viene all’esame del Collegio il ricorso in appello proposto da < omissis > S.r.l. Società Unipersonale avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 10884/2022 con la quale il medesimo TAR ha respinto il ricorso proposto avverso:
a) il provvedimento autorizzativo implicito formatosi a seguito del silenzio assenso ex artt. 19 e ss. L. n. 241/1990, in ordine alla domanda inoltrata da parte della < omissis > S.r.l. a mezzo della Scia in data 14 gennaio 2019 e integrata in data 5 aprile 2019, tesa ad ottenere il consenso, da parte del Comune di Montefiascone, all’apertura di una sala del commiato in ottemperanza al relativo regolamento approvato con deliberazione del Consiglio Comunale dello stesso Ente n. 26 del 15 aprile 2016;
b) la delibera del Consiglio del Comune di Montefiascone n. 26 del 15 aprile 2016 e il Regolamento delle sale del commiato con la stessa approvato.
11. La decisione del primo Giudice si articola, in sintesi, nei seguenti punti:
a) sotto un primo profilo di rito, non sussiste la legittimazione della ricorrente a contestare l’apertura dell’attività della controinteressata; la prima fa valere, infatti, una posizione di interesse collegata all’affermata lesione della concorrenza che non trova basi fattuali, posto che nessuna attività analoga a quella della controinteressata risulta essere stata avviata (la ricorrente si limita ad affermare di avere un mero intento di avviare l’iniziativa); la ricorrente non dimostra il possesso dei requisiti astrattamente necessari per l’attività medesima; le doglianze dedotte sono rivolte a contestare la sussistenza della capacità regolamentare dell’Ente in materia, con la conseguenza che essa stessa non potrebbe conseguire il titolo all’attività che aspira di avviare e che ritiene sia lesa dalla concorrenza illegittima della controinteressata; per tutte queste ragioni, l’azione è inammissibile per difetto di legittimazione della ricorrente;
b) l’azione è anche tardiva; nella fattispecie in esame, va escluso che la SCIA della controinteressata possa ricondursi a un atto amministrativo autorizzativo tacitamente formatosi ed assentito, posto che l’esercizio dell’attività dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge, dal regolamento (comunale) o da atti amministrativi a contenuto generale; non viene in rilievo né un contingentamento dell’attività, né la sussistenza di vincoli di alcun genere tra quelli previsti dal primo comma dell’art. 19 della l. 241/90; non trova quindi spazio applicativo la previsione di cui all’art. 20 (che fa salvo quanto previsto dall’art. 19 cit.);
b.1.) la potenziale lesività del Regolamento si è concretizzata con l’avvio dell’attività da parte della controinteressata; l’interesse ad agire avverso il Regolamento è sorto perciò nel momento in cui la ricorrente ha avuto contezza del fatto che era stata aperta una sala del commiato secondo le modalità stabilite dal Regolamento medesimo e non nel successivo momento in cui ha avuto accesso agli atti depositati dal segnalante;
c) il ricorso è comunque infondato; in considerazione dell’art. 13 del TUEL (che attribuisce al Comune “tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”) e in forza del principio di sussidiarietà, fino a quando la Regione non esercita – nelle materie ad essa attribuite – le proprie funzioni legislative, il Comune può disciplinare con propri regolamenti la materia, fermo restando il loro adeguamento alla legislazione una volta emanata (per una fattispecie similare, si veda Consiglio di Stato , sez. V , 16 agosto 2010 , n. 5714);
c.1.) tenuto conto dell’inclusione della materia nell’ambito della legislazione regionale e dei poteri di regolamento del Comune che, secondo il principio di sussidiarietà, consentono all’Ente Locale di intervenire nell’assenza dell’esercizio della funzione legislativa della Regione e fino ad esso, la mancata previsione di strutture come la “sala del commiato” nel d.P.R. n. 285/1990 non osta a che – di fronte ad un insorgere di prassi e pratiche commerciali di servizi funebri che le includano nelle offerte al pubblico – il Comune ne regolamenti l’apertura avvalendosi della disciplina generale di cui al d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.
12. L’appellante, in sintesi, contesta la ricostruzione del TAR sulla base dei seguenti argomenti:
a) la società ricorrente è abilitata a esercitare l’attività di onoranze funebri nell’ambito del territorio nazionale e ha 12 sedi secondarie nella provincia di Viterbo e quindi anche nel territorio del Comune di Montefiascone;
a.1.) a nulla rileverebbe che in detto centro la < omissis > sia autorizzata a godere, soltanto di una sala di esposizione di articoli funerari e cimiteriali;
a.2.) l’interesse facente capo alla stessa “risiede e consiste nella facoltà di proporre eventuale impugnazione avverso il provvedimento autorizzativo rilasciato da parte del Comune dinanzi all’A.G. competente al fine di ottenerne l’annullamento per l’esistenza di vizi di legittimità che ne inficiano la validità. Ciò in considerazione dell’attività concorrenziale diretta d’impresa esercitata da parte di ambedue le Aziende. Tale interesse deve ritenersi giuridicamente rilevante/protetto, avente carattere diretto, concreto ed attuale ex art.22/1 co lett.b) L.n.241/1990, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e che legittima l’impugnazione dell’atto autorizzativo avente carattere implicito, di cui trattasi, al fine di consentire l’esercizio della stessa attività commerciale a parità di condizioni senza violazione alcuna del principio della leale concorrenza fra imprese in un libero mercato costituzionalmente sancito”;
a.3.) l’appellante esercita l’attività con codice 96.03 di sevizi di pompe funebri a Montefiascone, Via Indipendenza n.12/A, con conseguente legittimo interesse diretto, concreto ed attuale sotteso alla richiesta di accesso agli atti e/o ai provvedimenti oggetto del relativo procedimento e quindi portatrice di un interesse ad agire concretantesi nella proposizione della relativa domanda giudiziale;
b) l’appellante quando ha preso coscienza che la controinteressata aveva provveduto ad aprire ed usufruire di una sala del commiato ha tempestivamente inoltrato all’Ente appellato l’istanza di accesso agli atti al fine di verificare ed accertare il titolo che abilitava la stessa società ad esercitare tale attività e la normativa da cui era legittimata;
b.1.) l’appellante è entrata in possesso degli atti soltanto in data 28 marzo 2022;
b.2.) con il ricorso non è stata impugnata direttamente la SCIA, ma il provvedimento autorizzatorio formatosi per silentium a seguito della conclusione del procedimento instaurato con il deposito/presentazione della segnalazione in parola;
b.3.) l’impugnazione di tale provvedimento è sottratta alla disciplina speciale prevista dall’art. 19 comma 6 ter della L. n. 241/1990 a cui, al contrario è applicabile, il regime ordinario dell’azione di annullamento e di condanna previsto dal combinato disposto ex artt. 29 e 30 del codice del processo amministrativo;
b.4.) in adesione al principio che impone la preventiva ricerca di una interpretazione costituzionalmente orientata, l’art. 19, comma 6 ter, l. 7 agosto 1990, n. 241 deve intendersi nel senso che l’onere del privato di sollecitare l’esercizio delle verifiche di cui al combinato disposto dell’art. 19, comma 4 e dell’art. 21 nonies, intanto si configura in quanto il termine di cui al primo periodo del primo comma del medesimo art. 21 nonies non risulti spirato; pertanto, decorso detto termine, in specie laddove l’esercizio delle “verifiche” medesime non abbia potuto essere tempestivamente sollecitato a cagione dell’illegittimo diniego opposto dall’Amministrazione alla domanda di accesso documentale avente ad oggetto la SCIA in contestazione, al controinteressato è dato esperire l’azione generale di annullamento;
b.5.) diversamente, si configurerebbe rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento tra il privato che risulti in grado di sollecitare utilmente l’esercizio del potere di verifica e quello che, a cagione dell’illegittimo diniego opposto da parte della P.A. alla sua precedente istanza di accesso, consegua piena conoscenza della SCIA soltanto posteriormente alla scadenza del termine di cui al primo periodo del primo comma dell’art. 21 nonies;
c) la Regione Lazio nulla ha disposto in tema di case funerarie e di sale del commiato;
c.1.) la deliberazione comunale e il relativo regolamento per le sale del commiato sarebbero illegittimi perché approvati in carenza assoluta di potere;
c.2.) il d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 all’art. 14, comma 1 nulla dispone in ordine a diverse tipologie di “strutture” o locali per uso funebre.
c.3.) la materia esulerebbe dalle attribuzioni del Comune, come definite dal d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, e, per questo, dalla sua stessa potestà regolamentare, ai sensi dell’art. 117, comma 6, secondo periodo Cost.;
c.4.) l’art. 1, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 sarebbe inidoneo a conferire al Comune una potestà regolamentare in materia;
c.4.) nell’ipotesi in cui si ritenga legittima la deliberazione, l’appellante ritiene che sia stato comunque violato l’art. 10 del regolamento, perché non sarebbe stato acquisito agli atti del procedimento il parere di compatibilità edilizia urbanistica, il parere igienico-sanitario dell’ASL, quello del servizio cimiteri e quello dell’ufficiale di anagrafe;
c.5.) la documentazione allegata alla SCIA sarebbe incompleta dato che mancherebbero il certificato di prevenzione incendi o la relativa istanza da inoltrare al comando dei VV.FF., la documentazione di previsione di impatto acustico, la dichiarazione asseverata di agibilità dei locali ove è esercitata la sala del Commiato;
d) il provvedimento autorizzatorio di natura implicita impugnato deve ritenersi illegittimo, anche perché la controinteressata ha ottenuto il consenso per l’apertura e l’esercizio di una sala del commiato, destinazione d’uso diversa rispetto a quella di casa funeraria realmente impressa.
13. Le censure, così sintetizzate, sostanzialmente ribadite nella memoria depositata il 5 settembre 2024, possono a questo punto essere esaminate.
14. L’articolato atto di appello verte sulle seguenti questioni di fondo:
a) la legittimazione e l’interesse a ricorrere;
b) la tutela del terzo in relazione alla SCIA;
c) il perimetro della potestà regolamentare del Comune.
15. In ordine alla prima questione, rispetto a quanto correttamente statuito dal primo Giudice è necessario aggiungere quanto segue.
15.1. Laddove la controversia investa un titolo edilizio o un altro titolo abilitativo funzionale all’avvio di una nuova attività economica, la giurisprudenza ha affermato che, il criterio dello stabile collegamento territoriale, che deve legare il ricorrente all’area di operatività del controinteressato per poterne qualificare la posizione processuale e conseguentemente il diritto di azione, deve essere riguardato in un’ottica più ampia rispetto a quella usuale: il concetto di vicinitas nella contestazione di una struttura imprenditoriale si identifica nella nozione di stesso bacino d’utenza della concorrente, tale da poter oggettivamente determinare un apprezzabile calo del volume d’affari (tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 giugno 2018 n. 3316, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 marzo 2022 n. 2268).
15.2. La nozione di vicinitas, è intesa come bacino di utenza – consumo. Esso postula la necessità per il ricorrente di dimostrare il pregiudizio derivante dalla realizzazione dell’intervento assentito e cioè in quale misura il provvedimento impugnato incida sulla posizione sostanziale dedotta in giudizio, determinandone una lesione effettiva, immediata e attuale.
15.3. Si tratta della dimostrazione effettiva del pregiudizio non certo basata su affermazioni generiche (Consiglio di Stato, Sez. V, 12 settembre 2023, n. 8290). Occorre tenere presente che la nozione di “bacino d’utenza” si utilizza in vari ambiti. Per esempio l’ambito della fruizione dei servizi in generale, quello della la mobilità degli utenti nell’ambito sanitario, quello della clientela potenziale in ambito commerciale, e così avanti. Nell’ampia letteratura sul marketing si discorre ormai in modo univoco di un’area di attrazione raggiungibile partendo da un punto prefissato rispetto all’area di competenza (il calcolo usuale è quello degli assi stradali).
15.4. Affinché un imprenditore sia legittimato a impugnare l’autorizzazione commerciale, ovvero un titolo abilitativo ampiamente inteso, rilasciato ad altro imprenditore in concorrenza, occorre che:
a) sussista la vicinitas commerciale, basata sul fatto che entrambi gli insediamenti attingono al medesimo bacino di utenza, la cui individuazione implica l’utilizzo di criteri specialistici e metodi di calcolo non surrogabili attraverso la comune esperienza o la scienza privata del giudice;
b) sia invocata la lesione di interessi concernenti la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali;
c) sia fornita in modo rigoroso la prova di un pregiudizio significativo derivante dal contestato insediamento della nuova impresa.
15.5. Applicando i criteri sin qui delineati al caso di specie, l’ammissibilità del ricorso introduttivo va esclusa e la statuizione del primo Giudice va confermata. Va peraltro osservato che a pagina 23 della memoria della controinteressata è puntualmente eccepito il fatto che “l’esistenza della sala del commiato non abbia avuto alcuna incidenza sul mercato”. Altrettanto puntualmente, il Comune, alle pagine 4 e 5 della memoria depositata il 17 luglio 2024 ha eccepito che “è dirimente la circostanza che i provvedimenti impugnati non assegnano o riconoscono a quest’ultima alcun diritto esclusivo o riserva di esercizio dell’attività di sala di commiato, cosicché, qualora avesse voluto, < omissis > S.r.l. avrebbe potuto presentare anch’essa una SCIA ed offrire i propri servizi”.
L’esame di tale questione, con il rigetto del primo motivo dell’appello sostiene autonomamente la statuizione di rigetto della domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado e consentirebbe l’assorbimento, per ragioni di economia processuale, degli ulteriori motivi di gravame, che vengono comunque esaminati data la loro manifesta infondatezza (manifesta infondatezza che investe anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’appellante).
16. In ordine alla seconda questione (la tutela del terzo in relazione alla SCIA) va osservato quanto segue.
16.1. L’art. 19 comma 6 ter della L. 241/90 recita: “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
16.2. L’art. 19, comma 6 ter, legge n. 241/1990, obbliga il privato, che intenda contrastare l’attività oggetto di S.C.I.A., a sollecitare in via amministrativa l’intervento repressivo dell’Ente pubblico e, in caso di mancata risposta di quest’ultimo, a ricorrere in sede giurisdizionale avverso il silenzio dallo stesso serbato. Ne deriva che, nell’attuale quadro normativo, lo strumento di reazione processuale spettante al terzo è l’azione avverso il silenzio (Consiglio di Stato sez. VI, 29 agosto 2018, n. 5072).
16.3. La Corte Costituzionale, con sentenza 13 marzo 2019, n. 45, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 sollevate dal Tar Toscana con ordinanza 11 maggio 2017 n. 667, ha affermato che:
a) le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-nonies);
b) decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.
16.4. Nel caso qui esaminato, la statuizione del primo giudice è corretta tenuto conto che:
a) la vicenda è stata lucidamente inquadrata dal TAR come azione di annullamento del regolamento comunale sulla base della quale la SCIA è stata presentata e di quest’ultima; “ma il regolamento, laddove in tesi consenta l’attivazione di una impresa che parte ricorrente assume non consentita, avrebbe dovuto essere impugnato tempestivamente, quando l’attività è stata avviata”;
b) con riferimento alla decorrenza del termine per impugnare un provvedimento amministrativo in generale, la giurisprudenza ha avuto modo di individuare il relativo dies a quo dalla “piena conoscenza” del provvedimento. Quest’ultima non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” dello stesso, essendo sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere riconoscibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 marzo 2018 n. 1532);
c) alla luce di questa lettura della “piena conoscenza” del provvedimento, quale consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che essa determina la sussistenza di una condizione dell’azione, l’interesse al ricorso, mentre la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi (Cons. Stato, Sez. IV, 7 dicembre 2017 n. 5754).
17. In ordine alla terza questione (il perimetro della potestà regolamentare del Comune) va osservato quanto segue.
17.1. Intanto, va osservato che il primo Giudice ha richiamato, in modo pertinente, il precedente di questa Sezione, 16 agosto 2010, n. 5714 secondo cui (…) “in assenza dell’espressa disciplina regionale per la gestione delle sale del commiato la cui emanazione era prevista dall’art. 10, n. 1, lett. b) della l.r. n. 22/2003, trovi applicazione il principio di sussidiarietà, che, nella specie, attribuisce al Comune la facoltà di regolamentare lo svolgimento dei pubblici servizi anche per ciò che attiene agli orari di apertura contenuta nell’art. 50 del D.Lgs. n. 205/2000” (…).
17.2. Va poi ricordato che:
a) l’art. 3 comma 5 del d.lgs. 267 del 2000 così dispone: “ I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”;
b) l’art. 13 comma 1 del d.lgs. 267 del 2000 così dispone: “Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
17.3. Dagli artt. 3, comma 5, e 13 comma 1 d.lgs. 267 del 2000, si ricava, che le funzioni comunali si distinguono in funzioni proprie, che identificano il Comune quale ente esponenziale della comunità (amministrazione ed uso del territorio, servizi sociali, politica economica), conferite con leggi statali e regionali e, ancor prima, delle funzioni fondamentali, inserite dall’art. 117 Cost., comma 2, lett. p, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane).
17.4. L’ultima parte dell’art. 117, 6° comma della Costituzione, stabilisce che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.
17.5. La disposizione valorizza l’autonomia normativa degli enti locali con un riconoscimento a livello costituzionale della potestà regolamentare locale, basato sulla equazione per cui all’esercizio di funzioni amministrative (attribuite, proprie, conferite) da parte degli enti territoriali corrisponde il potere di regolare tali funzioni (non la materia), sotto il profilo organizzativo e sotto quello dello svolgimento.
17.6. Il Comune di Montefiascone si è limitato, nel quadro delle proprie competenze e del vigente Regolamento di Polizia Mortuaria (d.P.R. n 285 del 1990), a disciplinare l’istituzione e la gestione delle sale del commiato, peraltro prevedendo, all’art. 2 del regolamento comunale rubricato “sale del commiato private” (documento depositato in primo grado dalla ricorrente) le regole per la gestione in base alla disciplina prevista dal vigente d.P.R. 14 gennaio 1997 pubblicato nella Gazz. Uff. 20 febbraio 1997, n. 42, S.O.
18. L’infondatezza alla stregua delle osservazioni svolte cui consegue la conferma della sentenza impugnata esclude la fondatezza della domanda risarcitoria proposta. L’appello va quindi respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 10884/2022.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in € 4.000/00 (quattromila) oltre accessori e spese di legge in favore del Comune di Montefiascone e € 4.000/00 (quattromila) oltre accessori e spese di legge in favore di < omissis > S.r.l.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
Gianluca Rovelli, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Gianluca Rovelli)
IL PRESIDENTE (Francesco Caringella)
IL SEGRETARIO