Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 aprile 2018, n. 2417

Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 aprile 2018, n. 2417

MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 aprile 2018, n. 2417
In plurime occasioni il Consiglio di Stato ha affermato che:
a) il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici;
b) il vincolo ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale;
c) il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, esso si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti.

NORME CORRELATE

Art. 338 RD 25/7/1934, n. 1265

Pubblicato il 23/04/2018
N. 02417/2018REG.PROV.COLL.
N. 08782/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8782 del 2009, proposto da Angelo P., rappresentato e difeso dagli avvocati Mariangela Salernoe Massimo Felice Ingravalle, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mariangela Salerno in Roma, via Acherusio 30;
contro Comune di Bisceglie, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Belsito, con domicilio eletto presso lo studio Gaetano Veneto in Roma, piazza Prati degli Strozzi, 22;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 01834/2008, resa tra le parti, concernente vincolo cimiteriale, diniego rilascio permesso in sanatoria, ordinanza di demolizione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bisceglie;
Viste le memorie depositate dalle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il Cons. Giuseppa Carluccio.
FATTO e DIRITTO
1.La presente controversia ha per oggetto uno degli immobili costruiti abusivamente nel Comune di Bisceglie, in zona di inedificabilità assoluta per vincolo cimiteriale, per il quale il sig. Angelo P. presentò istanza per ottenere condono edilizio.
1.1. Il preavviso di diniego del 2005 fu motivato con l’esclusione della sanatoria ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47 del 1985, rispetto ad opere edilizie senza titolo abilitativo costruite in zona già sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta di rispetto cimiteriale, ai sensi dell’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934.
1.2. Tutti i procedimenti avviati con l’avviso di diniego nei confronti dei numerosi proprietari di immobili costruiti nella zona di rispetto cimiteriale, che avevano presentato istanza sulla base dei tre condoni succedutisi nel tempo, furono sospesi, su impulso del Sindaco (nota 9 giugno 2005 al dirigente del settore tecnico del Comune e all’assessore competente), in esito agli interventi nei rispettivi procedimenti da parte dei privati. Questi avevano sostenuto la possibilità di una variante al P.R.G., per il recupero dell’intera zona abusiva, sulla base dell’art. 29 della l. n. 47 del 1985 e della modifica, apportata nel 2002, all’art. 338 cit.
1.3. La Giunta Comunale approvò la delibera n. 7 del 5 gennaio 2006, che concesse ai privati un termine (10 luglio del 2006) per la presentazione della proposta del piano di recupero (d’ora in poi PdR) ai sensi delle suddette norme; il dirigente tecnico provvide ad informarli.
1.4. Nell’imminenza della scadenza del termine, un Comitato denominato “il Recupero” con 46 aderenti, riferì di aver incaricato uno studio tecnico per redazione del PdR, chiese proroga del termine previsto; in alternativa, chiese la predisposizione dello stesso da parte del Comune, con disponibilità ad accollarsi l’onere di redazione. Seguirono vari incontri tra i privati e l’amministrazione.
1.5. Nei mesi successivi del 2006, il dirigente tecnico emanò il diniego di permesso in sanatoria per essere le opere abusive ricadenti in zona di inedificabilità assoluta ai sensi dell’art. 338 cit. e del vigente PRG. Con tale provvedimento, riepilogato l’intero iter del procedimento, si mise in evidenza che al Comune non era pervenuta alcuna proposta di PdR nei termini, ma solo la richiesta di proroga o, in alternativa, la richiesta di accollo della redazione da parte del Comune; richieste cui il Comune non intendeva accedere.
1.6. Nel luglio 2007 fu emanata l’ordinanza di demolizione, per opere abusive eseguite senza titolo abilitativo in zona di inedificabilità assoluta secondo PRG e il cit. art. 338.
2. Il ricorso al T.a.r. è stato proposto avverso il provvedimento di diniego e, con motivi aggiunti, avverso l’ordinanza di demolizione.
2.1. Con motivi, che in via di illegittimità derivata sono riferiti anche all’ordinanza di demolizione, il ricorrente ha dedotto:
a) in riferimento all’art. 2, co 2 l. n. 241 del 1990, l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione nell’avvio con ritardo del procedimento di diniego, a distanza di anni dalla istanza di condono, con conseguente affidamento nel buon esito dello stesso ingenerato negli istanti;
b) l’eccesso di potere, sotto il profilo della contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione, la quale nel dare seguito alle proposte degli istanti in sede di intervento nel procedimento di diniego, ha: – da un lato, ingenerando affidamento nei privati, espresso la volontà di recuperare la zona abusiva costruita nella fascia di rispetto del cimitero, mediante un PdR in variante, ai sensi dell’art. 29 della l. n. 47 del 1985, in collegamento con le modifiche apportate nel 2002, all’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934, oltre che adottato iniziative in zone vicine (parcheggio, albergo, isola ecologica); – dall’altro, indicando un termine per la presentazione della proposta del PdR e ritenendo lo stesso, senza motivazione in violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1999, a carattere perentorio, si è così determinata alla emanazione del provvedimento di diniego;
c) violando, peraltro, il principio del contrarius actus, posto che, mentre la volontà di addivenire ad un PdR era stata espressa dalla GC, l’ordine di demolizione, che esprime la volontà dell’amministrazione di considerare il termine perentorio e di non accedere alle richieste di proroga fatte dai privati o, in alternativa, di redigere essa stessa un PdR, è stato emanato dal dirigente della ripartizione tecnica.
3. Il T.a.r. ha rigettato il ricorso sulla base delle argomentazioni essenziali che seguono:
a) secondo la giurisprudenza consolidata il vincolo di non edificabilità della fascia di rispetto, posto dall’art. 338 cit. è un vincolo legale assoluto ed inderogabile, a presidio di numerosi interessi pubblici, anche diversi da quelli propriamente urbanistici; vincolo indipendente dagli strumenti urbanistici vigenti e cogente anche in caso di contrasto con i medesimi;
b) pure costante è la giurisprudenza nel precludere il rilascio della concessione in sanatoria per i manufatti realizzati abusivamente in zona assolutamente inedificabile, senza la necessità di ulteriori accertamenti in ordine alla concreta compatibilità dell’immobile con i valori tutelati dal vincolo;
c) la tesi del ricorrente, secondo la quale la modifica all’art. 338 cit., quale introdotta dall’art. 28, co. 1. l. b) della l. n. 166 del 2002, legittimerebbe, in collegamento con l’art. 29 della l. n. 47 del 1985, la predisposizione di un PdR della zona abusiva nella fascia di rispetto, stante la previsione del vigente comma 5 del suddetto articolo, che attribuisce al Consiglio comunale, per l’attuazione di un intervento urbanistico e previo parere favorevole della ASL, il potere di ridurre la fascia di rispetto mediante l’autorizzazione all’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici, non è fondata perché:
I) la riduzione della zona di rispetto è un potere discrezionale del Comune;
II) oggetto della controversia sono i provvedimenti di diniego del condono e l’ordinanza di demolizione, e non il PdR, che non riesce a decollare;
III) la realizzazione dell’opera abusiva nell’area sottoposta a vincolo assoluto di inedificabilità è presupposto sufficiente ad imporre la conclusione sfavorevole del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47 del 1985.
d) qualora, come nella specie, venga in rilievo un vincolo assoluto e insanabile previsto dall’art. 33 cit., è esclusa la formazione del silenzio/assenso, il ché porta ad escludere qualunque rilievo all’affidamento;
e) tanto vale anche nei confronti del PdR, abbandonato dall’amministrazione per il decorso del termine previsto senza ulteriore motivazione, perché oggetto della controversia non è il PdR ma il diniego di sanatoria, anche a prescindere dalla mancanza di particolare conferenza del PdR rispetto ad opere abusive in zona di inedificabilità assoluta;
f) per escludere la violazione del principio del contrarius actus vale la considerazione che oggetto del giudizio sono i provvedimenti di diniego e di demolizione; soprattutto, è dirimente la circostanza che per la legittimità degli stessi è sufficiente che le opere abusive ricadono in zona di inedificabilità assoluta; ragione posta a fondamento dal dirigente comunale che li ha emanati.
4. L’appello ripropone le censure di primo grado, anche prospettando profili nuovi come tali inammissibili ai sensi dell’art. 104 c.p.a.
4.1. Critica la decisione per aver desunto l’irrilevanza dell’affidamento dalla non applicabilità del silenzio/assenso quando venga in rilievo un vincolo assoluto e insanabile previsto dall’art. 33 cit., mentre non era stata dedotta la formazione del silenzio/assenso; sostiene l’appellante, con nuova argomentazione, che dopo tanti anni dall’istanza, il diniego e la demolizione non possono fondarsi sul mero ripristino della legalità violata, perché sarebbe necessaria una nuova valutazione degli interessi pubblici in contemperamento con il sacrificio del privato, accompagnata da adeguata motivazione sull’esistenza del rinnovato interesse dell’amministrazione in concreto.
4.2. Deduce, per la prima volta in appello, la violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, per non essere idoneo l’unico preavviso inviato dopo che nel procedimento ne era stato inserito uno nuovo relativo al PdR.
4.3. Quanto alla contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione, insiste sul carattere non perentorio del termine concesso per la presentazione della proposta di PdR e sulla necessità che la scelta della stessa amministrazione di abbandonarlo avrebbe dovuto essere motivata, essendosi ingenerato affidamento, in ordine al venir meno dell’interesse pubblico.
4.4. In riferimento al contrarius actus, sostiene che la prospettiva assunta dal primo giudice nel ritenere che i provvedimenti gravati sono il diniego e la demolizione e non la decisione di non dar luogo al PdR, finisce con il trascurare che quelli gravati sono la conseguenza della decisione di non realizzare l’intervento di recupero che avrebbe dovuto essere presa dalla stessa Giunta, avendo creato se non diritti, aspettative e affidamento, tanto più che, con del. n. 142 del novembre 2007, il Consiglio Comunale ha di nuovo espresso un indirizzo per il PdR.
5. Preliminarmente deve essere affrontato un profilo dedotto dall’appellante con memoria difensiva.
5.1. L’appellante fa istanza <<per la declaratoria di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse e/o cessata materia del contendere>> e chiede al Consiglio di <<dare atto della cessata materia del contendere e/o del sopravvenuto difetto di interesse>>.
Alla base della richiesta pone tre documenti successivi all’ordinanza di demolizione, il primo già prodotto in primo grado, gli altri due successivi alla sentenza. In particolare, rileva che il Comune:
a) con la delibera del CC n. 142 del 22 novembre 2007, ha espresso l’indirizzo: – di conservare il patrimonio edilizio abusivo esistente impegnandosi a redigere un PdR, con oneri per la redazione e attuazione a carico degli interessati che abbiano presentato domanda per uno dei condoni; – di sospendere i procedimenti sanzionatori; – di adottare i provvedimenti sanzionatori nel caso di non adesione nei termini e nei modi da fissarsi dagli organi preposti;
b) con la delibera della GM n. 389 del 30 novembre 2009, ha approvato lo schema dell’atto d’obbligo;
c) nel febbraio 2009, ha avviato la procedura espropriativa per la costruzione di un nuovo cimitero comunale.
Sostiene l’appellante, che data la volontà espressa con i suddetti atti di conservare il patrimonio edilizio abusivo, e il contrasto di questi atti con i provvedimenti (diniego di condono e ordine di demolizione) gravati, questi ultimi sono espressione di eccesso di potere per contraddittorietà con la sopravvenuta decisione di recuperare gli insediamenti abusivi e di sospendere le demolizioni.
5.2. Il Comune, depositando successiva memoria, si è difeso nel merito, prescindendo completamente dalla richiesta avanzata dall’appellante.
5.3. L’istanza è priva di pregio.
5.3.1. Va in primo luogo rilevata l’ambiguità della richiesta di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse dell’appellante/ricorrente, destinatario di provvedimenti sfavorevoli, poiché non si comprende se la declaratoria di rito sia domandata rispetto all’appello o al ricorso dinanzi al T.a.r.
A parte tale profilo, la richiesta di improcedibilità è argomentata sulla base della pretesa contraddittorietà tra i provvedimenti gravati e le scelte di segno diverso del Comune adottate mediante atti successivi agli stessi: ma tali scelte risultano preesistenti rispetto alla proposizione dell’appello ed è proprio con riferimento ad esse che l’appellante deduce la lesione dell’affidamento.
Ne consegue che l’appellante non può riferirsi al medesimo comportamento del Comune prima per contestare la legittimità dei provvedimenti gravati e poi per predicare la propria sopravvenuta mancanza di interesse.
5.3.2. Quanto alla richiesta di dare atto della cessazione della materia del contendere, va rilevato che, allo stato, il PdR è restato una mera possibilità. Infatti, dopo l’indirizzo in tal senso espresso dal Consiglio Comunale, all’approvazione dello schema dell’atto d’obbligo, nel lontano 2009, non ha fatto seguito alcuna adesione da parte dei richiedenti il condono; adesione che non è neanche dedotta come avvenuta dall’appellante; mentre, proprio la sottoscrizione dell’atto d’obbligo è il presupposto assunto dal Comune affinché si avvii la redazione del PdR.
Di conseguenza la pretesa sostanziale del ricorrente non risulta assolutamente soddisfatta e quindi non sussiste il presupposto (cfr. art. 34 comma 5 c.p.a.) per dichiarare cessata la materia del contendere
5.3.3. Del tutto non influente è, poi, l’avvio della procedura espropriativa per costruire un nuovo cimitero, posto che l’area di rispetto cimiteriale di quello esistente è vincolata dalla legge anche per ragioni igienico sanitarie e di rispetto della sacralità.
6. Passando al merito, l’impugnazione, in parte inammissibile, è infondata.
6.1. E’ inammissibile laddove si deduce, per la prima volta in appello, la violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, per non essere idoneo l’unico preavviso inviato dopo che nel procedimento ne era stato inserito uno nuovo relativo al PdR .
6.2. Per il resto è infondata, preferendosi, sulla base della ragione più liquida, rigettare nel merito anche laddove sono inserite argomentazioni nuove (cfr. § 4.1.)
7. Ancora preliminarmente, va precisato che: – a) non è controverso il carattere abusivo degli interventi edilizi e la loro realizzazione nella zona di rispetto cimiteriale in epoca successiva al vincolo legale; – b) è irrilevante la diversa epoca di presentazione delle domande di condono rispetto ai singoli richiedenti, i quali hanno proposto istanza sulla base dei tre condoni che si sono succeduti nel tempo; infatti l’art. 33 della l. n. 47 del 1985 è richiamato dall’art. 39, co. 1, della l. n. 724 del 1994 ed è fatto salvo dall’art. 32, co. 27 del d.l. n. 269 del 2003, conv. nella l. n. 326 del 2003.
8. La prima questione all’attenzione del Collegio concerne la natura del vincolo di inedificabilità previsto dall’art. 338 cit. e posto alla base dei provvedimenti impugnati.
8.1. Copiosa giurisprudenza (da ultimo riassunta in Cons. Stato sez. VI, n. 1164 del 2018; sez. IV, n. 5873 del 2017) ha affermato che:
a) il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici;
b) il vincolo ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale;
c) il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, esso si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti.
8.2. Pure numerose sono le pronunce intervenute a individuare portata e limiti delle modifiche apportate all’art. 338 cit. dalla novella del 2002, rispetto a richieste di privati (Cons. Stato sez. IV n. 4656 del 2017; sez. VI, n. 3667 del 2015; nn. 3410 e 1317 del 2014).
Si è condivisibilmente affermato che:
a) la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell’art. 338, quinto comma, essendo norma eccezionale e di stretta interpretazione non posta a presidio di interessi privati; con la conseguenza che la procedura di riduzione della fascia inedificabile resta attivabile nel solo interesse pubblico, come valutato dal legislatore nell’elencazione delle opere ammissibili;
b) il procedimento attivabile dai singoli proprietari all’interno della zona di rispetto è soltanto quello finalizzato agli interventi di cui al settimo comma dell’art. 338, (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti).
9. La seconda questione all’attenzione del Collegio concerne l’esclusione di ogni condono in presenza di vincolo che comporti l’inedificabilità delle aree, ai sensi dell’art. 33, co. 1, lett. d) della l. n. 47 del 1985.
La giurisprudenza è univoca in tal senso per i vincoli riconducibili alla suddetta disposizione (tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, n. 3860 del 2017, n. 4564 del 2015), tra i quali, in particolare, il vincolo cimiteriale, (Cons. Stato, sez. VI, n. 3410 del 2014; sez. IV, n. 6547 del 2009; sez. IV, n. 1185 del 2007).
Infatti, secondo i principi enucleati dalla suddetta giurisprudenza, l’esistenza del vincolo cimiteriale nell’area nella quale è stato realizzato un manufatto abusivo, comportando l’inedificabilità assoluta, impedisce il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 33, l. n. 47 del 1985, senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati dal vincolo.
10. La terza questione attiene al rilievo dell’affidamento ingenerato nei privati:
a) per via del ritardo nell’avvio del procedimento e nella decisione di diniego di condono;
b) per via delle scelte di segno diverso del Comune con l’apertura alla valutazione di una variante al PRG mediante l’approvazione di un PdR ai sensi dell’art. 29 della l. n. 47 del 1985, in considerazione della novella dell’art. 338 cit.
10.1. Il problema della rilevanza dell’affidamento presuppone una posizione favorevole all’intervento riconosciuta da un atto in tesi illegittimo, poi successivamente oggetto di autotutela.
Nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione e ciò giustifica una scelta normativa (quale quella trasfusa nell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990) volta a rafforzare l’onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione. Salvo a stabilire sino a che punto e in che termini l’ordinamento si debba far carico di tutelare un siffatto stato di legittimo affidamento.
Al contrario, quando l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un provvedimento legittimante e l’amministrazione si sia tardivamente attivata ed abbia tardivamente provveduto all’adozione di un provvedimento di rigetto e/o di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Non si può, infatti, applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Ragionare altrimenti, significherebbe connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem.
10.2. Di recente, la demarcazione dell’ambito di rilievo dell’autotutela è stata ben posta in luce da due contemporanee decisioni della Adunanza Plenaria (nn. 8 e 9 del 2017) le quali, risolvendo orientamenti divergenti emersi in sede giurisprudenziale: a) da un lato, hanno operato una complessiva rilettura dello statuto del potere di autotutela in materia edilizia in relazione al tempo, alla luce delle norme sancite dall’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2015, richiedendo la motivazione – ma graduandone limiti e confini – in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti (A.P. n. 8 cit.); b) dall’altro, in riferimento al provvedimento di demolizione (con argomentazioni generali valevoli anche per il provvedimento di rigetto del condono) hanno escluso qualunque rilievo all’affidamento, con conseguente esclusione della motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione di un immobile abusivo mai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto; escludendo, poi, deroghe anche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (A.P. n. 9 cit.).
10.3. Le considerazioni che precedono valgono ad escludere la fondatezza di ogni profilo di affidamento dedotto dall’appellante, posto che rispetto ad opere realizzate abusivamente in zona soggetta a vincolo assoluto di inedificabilità, il diniego di condono e la demolizione costituiscono comportamenti doverosi per l’amministrazione, non venendo in rilievo, neppure ai fini motivazionali, le categorie tipiche dell’autotutela decisoria, quanto – piuttosto – il diverso tema del tardivo esercizio di un’attività repressiva che è e resta doverosa indipendentemente dal decorso del tempo e dalla valutazione dei diversi interessi in gioco. Non potendo la situazione di chi abbia fatto affidamento su un titolo abilitativo, benché illegittimo, essere ritenuta equivalente a quella di chi abbia meramente usufruito, avendone consapevolezza, di una carenza di controllo del territorio da parte della medesima Amministrazione.
11. Né la sospensione del procedimento di diniego del condono e la possibilità, avvalorata dall’amministrazione, di poter precedere alla sanatoria di tutto l’insediamento abusivo mediante un PdR, ritenuto possibile ai sensi dell’art. 29 l. n. 47 del 1095 e del novellato art. 338, può essere ritenuta equivalente all’affidamento ingenerato da un titolo abilitativo.
11.1. In tale direzione rileva, innanzitutto, la circostanza che la procedura per la sanatoria generalizzata non è mai arrivata a conclusione; così come non si è mai conclusa quella analoga avviata dopo l’emissione dell’ordinanza di demolizione di cui si è detto (§ 5.4.2.). Né la stessa, come rilevato dallo stesso giudice di primo grado, è stata oggetto di impugnazione; tanto anche in riferimento al carattere del termine ivi previsto, in collegamento con l’incidenza sulla ripresa della procedura di diniego.
11.2. Peraltro, potrebbe seriamente dubitarsi, come prospettato anche dal primo giudice, della legittimità di un PdR ai sensi dell’art. 29 cit. in riferimento ad una zona di rispetto cimiteriale, per come ora regolata dall’art. 338 cit.
Infatti, l’art. 338, co. 4, 5, come modificato nel 2002, prevede deroghe ad iniziativa del Consiglio Comunale, e consente la riduzione, a determinate condizioni, della zona di rispetto per scelta dell’amministrazione:
a) per la costruzione di nuovi cimiteri o per l’ampliamento di cimiteri esistenti (co. 4);
b) per la costruzione di opere pubbliche o per un intervento urbanistico, ai fini di ampliamento di edifici preesistenti (ragionevolmente fuori dalla fascia o dentro la fascia ma non abusivi, per esempio per essere stati costruiti prima del vincolo) o per la costruzione di nuovi edifici (co. 5).
Inoltre, dice consentiti, all’interno della zona di rispetto, interventi per edifici esistenti, dentro la fascia (ma ragionevolmente non abusivi, per esempio per essere stati costruiti prima del vincolo) per ampliamento, cambio di destinazione d’uso ecc. (co. 7).
Tutte ipotesi incompatibili con una sanatoria, mediante variante al PRG, di un intero insediamento abusivo dentro la fascia.
D’altra parte, una diversa interpretazione sembrerebbe incompatibile con l’assolutezza del vincolo e con la non derogabilità dello stesso e appare confermata dalla legge della Regione Puglia (art. 3, co. 5, l. r n. 26 del 1985), secondo la quale nella variante di recupero ex art. 29 della l. n. 47 del 1985, possono essere previsti solo gli edifici ammissibili alla sanatoria.
12. Pure infondata è la censura che concerne il contrarius actus.
Come correttamente rilevato dal primo giudice, per escludere la violazione del principio vale la considerazione assorbente che i provvedimenti impugnati sono stati fondati sul carattere abusivo delle opere ricadenti in zona di inedificabilità assoluta e sono stati emessi dal dirigente tecnico comunale competente. Deve aggiungersi che le stesse delibere che prevedevano l’avvio di un PdR facevano salve le sanzioni in caso di non adesione e, quindi, di non completamento della procedura; così facendo rivivere il procedimento originario.
13. In conclusione l’appello va integralmente rigettato.
13.1. In ragione del comportamento dell’amministrazione, sono ravvisabili giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa integralmente le spese processuali del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Giuseppa Carluccio)
IL PRESIDENTE (Antonino Anastasi)
IL SEGRETARIO
(nello stesso senso le pronunce della stessa Sezione in pari data nnr. 2407, 2408, 2409, 2410, 2411, 2412, 2413, 2415, e 2416, non riportate, mutando solo le parti private)

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Sereno Scolaro

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