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Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 793
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1977 del 2005, proposto da:
Comune di Busto Arsizio, rappresentato e difeso dagli avv. Daniele Lucchetti, Luigi Manzi, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
contro
Scrosati Carlo Luigi, rappresentato e difeso dall’avv. Annarosa Corselli, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
sul ricorso numero di registro generale 2430 del 2005, proposto da:
Scrosati Carlo Luigi, rappresentato e difeso dall’avv. Annarosa Corselli, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
contro
Comune di Busto Arsizio, rappresentato e difeso dagli avv. Daniele Lucchetti, Luigi Manzi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
Regione Lombardia;
per la riforma:
quanto al ricorso n. 1977 del 2005:
della sentenza del T.AR Lombardia – Milano: Sezione I, n. 01434/2004, resa tra le parti, concernente riadozione variante p.r.g. per ampliamento cimitero;
quanto al ricorso n. 2430 del 2005:
della sentenza del T.AR. Lombardia – Milano: Sezione I n. 01434/2004, resa tra le parti, concernente p.r.g. comunale-ris.danno
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Daniele Lucchetti, Luigi Manzi e Gabriele Pafundi (su delega di Annarosa Corselli);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, il Comune di Busto Arsizio impugna la sentenza 6 aprile 2004 n. 1434, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. II, ha accolto il ricorso proposto dal sig. Carlo Scrosati, disponendo l’annullamento degli atti impugnati (in particolare, il Piano regolatore del Comune), “nella parte in cui prevedono la reiterazione del vincolo senza indennizzo e nella parte in cui prevedono l’ampliamento del cimitero, facendo obbligo al Comune di Busto Arsizio di corrispondere al ricorrente l’indennizzo per il vincolo apposto”.
La sentenza ha, invece, rigettato la domanda di risarcimento del danno.
La sentenza – respinta una eccezione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse – afferma, in particolare:
– la relazione tecnica di accompagnamento al PRG “costituisce il documento contenente l’intero lavoro preparatorio svolto per la formazione del piano, le cui ipotesi di scelte e soluzioni devono trovare giustificazioni nelle sottostanti valutazioni e considerazioni argomentative ivi espresse”, di modo che “essa non ha natura normativa od innovativa, ma meramente esplicativa ed illustrativa delle norme e delle prescrizioni contenute nello strumento urbanistico”. Ne consegue che una sua successiva integrazione “potrebbe inficiare l’iter procedimentale soltanto nel caso in cui essa possa contenere l’esposizione di elementi in contraddizione con le scelte già effettuate”;
– la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti per effetto del decorso del termine quinquennale stabilito dall’art. 2 l. 19 novembre 1968 n. 1187 – ove disposta con apposita variante generale al PRG – è legittima se corredata da una congrua motivazione in ordine alla persistente attualità degli interessi pubblici che a suo tempo determinarono l’apposizione del vincolo in ordine alla concreta fattibilità dell’intervento e quindi in ordine alle ragioni della mancata realizzazione dell’intervento”. Nel caso di specie, pur a fronte di una qualche carenza di motivazione, non vi è illegittimità della reiterazione, poiché “le ragioni che hanno impedito la realizzabilità dell’opera in passato sono oggettive ed evidenti, in quanto conseguenti al lungo contenzioso intercorso tra le stesse parti nel corso degli anni precedenti”;
– tuttavia, le norme di attuazione della variante, destinando la sottozona F2C a “verde pubblico attrezzato” e non conferendo al privato alcuna facoltà di iniziativa edificatoria, determinano un’ipotesi di vincolo espropriativo, in ordine al quale illegittimamente non vi è previsione “neanche in via generica (di) alcun ristoro economico”;
– il programmato ampliamento del cimitero fino alla distanza di m. 50 dalla proprietà del ricorrente, si pone in contrasto con l’art. 57 DPR n. 285/1990, vigente all’epoca di approvazione della variante, che prevede, per i Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti (come Busto Arsizio), una ampiezza della fascia di rispetto non inferiore a 100 m.. Non rileva che il successivo d. lgs. n. 166/2002, nel modificare l’art. 338 TULS, consente l’edificazione anche a distanze inferiori, non potendo la legge disporre che per l’avvenire.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
error in iudicando; eccesso di potere per contraddittorietà, irricevibilità ed inammissibilità per carenza di interesse per intervento di atto successivo, per proposizione di ricorso avanti il Presidente della Repubblica, per tardività; irretroattività delle pronunce; violazione del principio della domanda; poiché:
a) la sentenza opera “un accoglimento ex officio dei principi enunciati dalla Corte Cost. n. 179/1999 in tema di previsione di indennizzo per vincoli di natura espropriativa”, mentre tale domanda non era stata introdotta nemmeno con il ricorso per motivi aggiunti (peraltro dichiarato inammissibile);
b) la sentenza “non riconoscendo alcun risarcimento, comporta il venir meno di qualsiasi interesse del ricorrente all’annullamento degli atti impugnati precedenti a quelli emanati in applicazione della legge n. 166/1999 in tema di diminuzione della fascia di rispetto cimiteriale, comportando la cessazione della materia del contendere e carenza di un interesse attuale”;
c) “la decisione di disattendere ben due principi in diritto (irretroattività delle sentenze e prevalenza del principio della domanda) comporta l’ingiustizia della sentenza nella parte in cui considera illegittimi gli atti con cui viene approvata la variante nella parte in cui non prevedono la corresponsione di un indennizzo al ricorrente a causa della reiterazione del vincolo”;
d) quanto al cimitero, l’attuale ampliamento consiste “semplicemente nel reperimento di area temporanea di cantiere”, mentre il vero ampliamento, approvato con delibera CC 21 novembre 2003 n. 805, rispetta il limite di 50 m. di distanza dal centro abitato in ottemperanza all’art. 328, co. 1, l. n. 166/2002. In definitiva, “l’originario progetto, che è stato poi ridimensionato a cagione della presenza della casa di abitazione del ricorrente, è in sostanza superato dal nuovo ampliamento che viene giustificato con la nuova legge che permette tale ampliamento sino a 50 m. lineari”.
Si è costituito in giudizio il sig. Scrosati, che – eccepita l’inammissibilità dell’appello del Comune per difetto di “esposizione sommaria dei fatti di cui al ricorso” (pag. 1) e per mancata notifica alla Regione Lombardia (pag. 6), per “contrasto con giudicato” (pag. 10) – conclude per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Inoltre, il sig. Scrosati propone anche appello incidentale, affidato ai seguenti motivi di impugnazione:
e) violazione di legge (l. n. 1150/1942; l. n. 1187/1968; l. n. 1034/1971); omessa pronuncia su un punto decisivo del ricorso; ciò in quanto “mentre su altri fronti dell’originario cimitero non vi erano abitazioni (il cimitero confina con l’aperta campagna), l’amministrazione era andata a prevedere un ampliamento del cimitero su un fronte ove preesisteva un uso residenziale”, né “il raggio di rispetto avrebbe mai potuto essere inferiore a 100 m.”. In particolare – con riferimento a precedenti determinazioni del comune, poi ritirate a seguito di ricorso giurisdizionale” – si osserva che nel caso di specie “si tratta di un giardino di una casa di abitazione, giardino che viene nuovamente zonizzato a F2/c e quindi a verde quartierale urbano e quindi a vincolo espropriativo, dopo che il Comune aveva assicurato . . . che non trattavasi di vincolo espropriativo ma di semplice vincolo di rispetto cimiteriale”. Infine, la variante al PRG “ha inciso su una aspettativa assistita da una speciale tutela, da uno speciale affidamento della parte privata . . . sicché doveva ritenersi necessaria una motivazione specifica sulla nuova destinazione conferita alle aree interessate”;
f) violazione di legge (l. n. 1150/1942; l. n. 1187/1968); difetto di motivazione; ciò poiché non risulta, nemmeno dalla relazione tecnica, “una spiegazione, seppure generale, in ordine ai criteri che hanno condotto alla zonizzazione F2C”;
g) violazione di legge (l. 1150/1942; l. n. 1187/1968) e difetto di motivazione; contraddittorietà della motivazione, poiché non vi è motivazione in ordine ai “bisogni collegati alla imposizione del vincolo F2/c”;
h) violazione di legge (l. n. 1150/1942; l. n. 1187/1968; difetto di motivazione ovvero contraddittorietà e irrazionalità della motivazione; poiché “la variante non appariva corredata dalle indicazioni minime indispensabili alla strumentazione”. Ed inoltre “la mancanza della relazione tecnica illustrativa al momento della adozione della variante non poteva essere sanata con indagini e considerazioni fatte a posteriori, ma avrebbe dovuto preesistere all’adozione stessa”;
i) violazione di legge (l. n. 1150/1942; l. n. 1187/1968); difetto e contraddittorietà della motivazione; ciò in quanto, intervenuta la relazione tecnica solo in un momento successivo, si è limitata la presentazione di osservazioni di privati esclusivamente alle parti integrate e modificate;
j) violazione di legge (l. n. 1150/1942; l. n. 1187/1968); difetto e contraddittorietà della motivazione; poiché “non si comprende come il Comune, stralciando l’art. 36 NTA e le relative aree a standards, abbia ritenuto di poter effettuare ugualmente per tutto il territorio comunale il calcolo degli standards senza che in alcuna tabella sia evidenziato quella poi oggetto della variante ad hoc relativa alle aree perimetrali”;
k) violazione di legge (l. n. 1150/1942; l. n. 1187/1968); contraddittorietà della motivazione; poiché nella variante mancano “sia la stima dei beni da espropriare sia l’indicazione dei mezzi finanziari”;
l) violazione di legge (l. n. 1150/1942; l. n. 1187/1968); contraddittorietà della motivazione, poiché il Comune “deve innanzi tutto reperire le aree ad uso pubblico per il verde quartierale tra quelle di sua proprietà e concretamente realizzare lo scopo pubblico per il quale l’area è stata acquisita”;
m) violazione artt. 2043 e 2967 cod. civ.; poiché la previsione di ampliamento del cimitero che ha interessato l’area a partire dal 1984 “ha provocato alla proprietà un danno ingiusto”, di modo che, “se è vero che il protrarsi del vincolo espropriativo svuota di contenuto la proprietà . . . non si comprende perché questo pregiudizio non deve essere risarcito”;
n) violazione di legge (art. 21 l. n. 1034/1971); difetto e contraddittorietà della motivazione; ciò in quanto i motivi aggiunti erano ammissibili, e devono dunque essere esaminati dal giudice (v. pagg. 40 – 53 app. inc.).
Dopo il deposito di memorie e repliche, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
2. Con ricorso autonomo in appello, il sig. Scrosati ha impugnato la sentenza 6 aprile 2004 n. 1434, proponendo i medesimi motivi di impugnazione proposti con l’appello incidentale introdotto nell’ambito del giudizio di appello instaurato con ricorso r.g. n. 1977/2005 del Comune di Busto Arsizio.
Si è costituito in giudizio il Comune di Busto Arsizio, che ha comunque concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Dopo il deposito di memorie e repliche, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
3. Il Collegio deve preliminarmente procedere alla riunione degli appelli, ex art. 96, co. 1, Cpa, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
4. La sentenza impugnata contiene, in sostanza, tre distinte pronunce, il contenuto delle quali dà luogo, rispettivamente, sia all’appello del Comune di Busto Arsizio, sia all’appello (incidentale ed in via principale) del sig. Scrosati, pur vincitore in I grado. Ed infatti:
– per un verso, la sentenza rigetta i motivi di ricorso proposti avverso l’adozione di una variante generale al PRG di Busto Arsizio (e, per tale parte, essa risulta impugnata dal sig. Scrosati);
– per altro verso, essa – dando atto che “la omessa previsione di un indennizzo viene prospettata dal ricorrente con la comparsa conclusionale”, a seguito della sentenza n. 175/1999 della Corte Costituzionale – dichiara illegittimi gli atti con i quali è stata approvata la variante, “nelle parti in cui non prevedono la corresponsione di un indennizzo al ricorrente a causa della reiterazione del vincolo”;
– per altro verso ancora, in accoglimento del ricorso, dichiara illegittima la previsione di ampliamento del cimitero “fino ad una distanza di m. 50 dal confine con la proprietà del ricorrente”.
Quanto alle due ultime pronunce, la sentenza, in via conclusiva, afferma che “gli impugnati provvedimenti vanno annullati nella parte in cui prevedono la reiterazione del vincolo senza indennizzo e nella parte in cui prevedono l’ampliamento del cimitero, facendo obbligo al Comune di Busto Arsizio di corrispondere al ricorrente l’indennizzo per il vincolo apposto”.
In ordine a tali due ultime pronunce, appella il Comune di Busto Arsizio.
Tanto precisato, occorre esaminare, in ordine logico, prioritariamente l’appello del sig. Scrosati, nella parte in cui con il medesimo si formulano doglianze nei confronti della sentenza di I grado, per il mancato accoglimento di motivi comportanti censure “generali” allo strumento urbanistico.
Ed infatti, l’eventuale accoglimento di ulteriori motivi di doglianza tali da comportare l’annullamento della variante generale al PRG, appare continente sia rispetto ai motivi di impugnazione proposti dal Comune di Busto Arsizio, afferenti ad aspetti specifici della disposta attività pianificatoria, sia rispetto ad ulteriori motivi proposti dallo stesso Scrosati (ed in ordine ai quali, l’appello incidentale si presenta come “proprio”).
5. Gli identici appelli (in via incidentale ed in via principale) proposti dal sig. Scrosati sono infondati e devono essere, pertanto, respinti, non assumendo quindi rilievo esaminare aspetti di inammissibilità o improcedibilità dei medesimi, in particolare quanto alla duplicazione dei mezzi di impugnazione.
Il Collegio deve innanzi tutto ribadire, nella presente sede, principi già espressi dalla giurisprudenza, in relazione all’esercizio del potere di pianificazione urbanistica ed alla natura della motivazione delle scelte in tal modo effettuate
Il potere di pianificazione urbanistica, a maggior ragione in considerazione della sua ampia portata in relazione agli interessi pubblici e privati coinvolti, così come ogni potere discrezionale, non è sottratto al sindacato giurisdizionale, dovendo la pubblica amministrazione dare conto, sia pure con motivazione di carattere generale, degli obiettivi che essa, attraverso lo strumento di pianificazione, intende perseguire e, quindi, della coerenza delle scelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed interessi pubblici agli stessi immanenti (Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710).
Tanto affermato sul piano generale, occorre ricordare che l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui le scelte effettuate incidano su zone territorialmente circoscritte, ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata” (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008 n. 5478), così come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione (Cons. Stato, n. 2710/2012 cit.).
Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2011 n. 3497), con considerazioni che devono intendersi riconfermate nella presente sede:
“le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del PRG., per le quali quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorché la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale.
In questa ipotesi, infatti, non è in discussione la destinazione di una singola area, ma il complessivo disegno di governo del territorio da parte dell’ente locale, di modo che la motivazione non può riguardare ogni singola previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall’ente con il nuovo strumento urbanistico.
Né, d’altra parte, una destinazione di zona precedentemente impressa determina l’acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo PRG, conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute”.
Tanto riaffermato sul piano generale, già alla luce delle medesime risultano le ragioni di infondatezza delle doglianze proposte dallo Scrosati nel caso di specie, con i motivi sub e) (nella parte in cui si lamenta il difetto di motivazione della variante), f), g), h), j), l) dell’esposizione in fatto.
Ed infatti, occorre ancora osservare che la motivazione delle scelte urbanistiche è, anche nel caso di specie, sufficientemente espressa in via generale ed è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall’amministrazione comunale.
Inoltre, come accade nei casi in cui la decisione finale è rimessa dal legislatore ad un organo collegiale (a maggior ragione quando il collegio si presenta come “virtuale” e “imperfetto”), la motivazione di questa difficilmente può essere desunta da un unico “documento” sul quale si definisce e manifesta l’esercizio della potestà discrezionale dell’amministrazione (sia pure nelle forme previste per l’espressione di tale “volontà”), redatto dal medesimo organo collegiale. Al contrario, è del tutto ragionevole che tale volontà, oltre che desumersi dal dibattito in seno all’organo e da eventuali documenti (ordini del giorno, mozioni e simili, puntualmente messi in votazione ed approvati), si estrinsechi anche (e soprattutto) per il tramite di documenti tecnici redatti da organi ed uffici diversi, tuttavia sottoposti all’esame ed alla adozione del decidente, decisione a sua volta variamente integrata dall’avviso della Regione in sede di definitiva approvazione dello strumento urbanistico.
E ciò a maggior ragione laddove un organo come il Consiglio comunale non si limiti a definire un generale indirizzo politico–amministrativo dell’ente cui è legato da rapporto di immedesimazione, ma debba effettuare concrete scelte di pianificazione urbanistica, che, se esprimono in generale una “visione” dello sviluppo della comunità e del suo territorio, si sostanziano “a valle” in puntuali definizioni (zonizzazioni) del territorio e delle sue potenzialità, che abbisognano di una rappresentazione tecnico-giuridica e grafica, certamente travalicante le competenze dell’organo decidente.
Tanto precisato, appare evidente dalla sequenza degli atti urbanistici adottati dal Comune di Busto Arsizio, la persistente volontà dell’Ente di imprimere la (pur contestata) destinazione di zona all’area del ricorrente Scrosati.
Né appare rilevante (con specifico riguardo al motivo sub h) la circostanza della integrazione successiva della relazione tecnica, posto che ciò – aderendo a quanto affermato dal giudice di I grado – “potrebbe inficiare l’iter procedimentale soltanto nel caso in cui essa possa contenere l’esposizione di elementi in contraddizione con le scelte già effettuate”, come invece non si riscontra nel caso di specie.
Quanto al motivo sub l), occorre ancora osservare che non vi è alcun obbligo per il Comune, in sede di pianificazione, di individuare le aree sulle quali imporre vincoli tra quelle di sua proprietà, non essendo certo che dette aree siano idonee al fine perseguito.
Sono altrettanto infondati i motivi:
– sub i) dell’esposizione in fatto, sia in quanto appare del tutto ragionevole la previsione di limitare le ulteriori osservazioni di privati alle sole parti integrate o modificate, sia in quanto non è dedotta, nella sostanza, alcuna sostanziale incisione sulla sfera giuridica del ricorrente, derivante in sé dalla disposta limitazione procedimentale;
– sub k), poiché la eventuale mancanza nell’atto di pianificazione urbanistica della stima dei beni da espropriare e dell’indicazione dei mezzi finanziari non comporta illegittimità della previsione di zonizzazione.
Il Collegio ritiene inoltre infondato il motivo di appello (sub n) dell’esposizione in fatto), con il quale si censura la declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti (riproposti alle pagg. 40 – 53 dell’appello incidentale).
Tali motivi (come precisa lo stesso Scrosati) “avevano per oggetto . . . il comportamento illegittimo del Comune di Busto Arsizio in ordine: a) all’ampliamento di fatto posto in essere nei primi giorni dell’agosto 2002 . . . con contestuale richiesta di risarcimento dei danni e b) alla illegittima reiterazione di vincoli espropriativi con contestuale richiesta di indennizzo e di risarcimento dei danni”.
Ne consegue che trova condivisione quanto osservato dalla sentenza impugnata, che afferma come tali motivi attengano “a fatti o comportamenti riferiti all’amministrazione, collegabili ai provvedimenti impugnati con il presente giudizio soltanto latamente”; ed infatti i motivi dichiarati inammissibili hanno formato oggetto anche di autonomo ricorso.
6. L’appello proposto dal Comune di Busto Arsizio è fondato e deve essere, pertanto, accolto, previa reiezione delle eccezioni di inammissibilità avanzate dall’appellante incidentale.
Quanto a tali eccezioni, il Collegio rileva sia la piena comprensibilità della esposizione dei fatti, sia la non necessità della notifica alla Regione Lombardia (che non assume veste di parte necessaria del presente giudizio), sia l’inesistenza di contrasto con giudicati, attese le limitazioni delle pronunce indicate dalla parte ai casi dalle stesse considerati.
L’appello deve essere accolto:
– sia in relazione alla doglianza [sub c) dell’esposizione in fatto], con la quale si lamenta la intervenuta declaratoria di illegittimità degli atti per mancata previsione dell’indennizzo (dovuto per reiterazione dei vincoli espropriativi);
– sia in relazione alla doglianza [sub d) dell’esposizione in fatto], relativa ad una intervenuta “cessazione della materia del contendere”, per effetto della delibera CC 21 novembre 2003 n. 805, con la quale, nel rispetto del limite di 50 m. di distanza dal centro abitato, in ottemperanza all’art. 328, co. 1, l. n. 166/2002, “l’originario progetto, che è stato poi ridimensionato a cagione della presenza della casa di abitazione del ricorrente, è in sostanza superato dal nuovo ampliamento che viene giustificato con la nuova legge che permette tale ampliamento sino a 50 m. lineari”.
Quanto al primo aspetto, occorre osservare che – contrariamente a quanto prospettato dal Comune appellante (anche con i motivi di appello sub a) e b) dell’esposizione in fatto) – la sentenza impugnata ha correttamente fatto applicazione di quanto disposto dalla sentenza n. 179/1999 della Corte Costituzionale, “sopravvenuta” in corso di giudizio.
La Corte Costituzionale (sent. 20 maggio 1999 n. 179, indirizzo successivamente riconfermato con sent. 18 dicembre 2001 n. 411) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 l. n. 1150/1942 e 2, primo comma, della legge n. 1187/1968, “nella parte in cui consente alla “amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo”.
Secondo la Corte, “la reiterazione in via amministrativa dei vincoli decaduti (preordinati all’espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo) . . . non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale”, ma tale fenomeno assume aspetti patologici allorché vi sia una indefinita reiterazione dei vincoli o una loro proroga sine die, o quando il limite temporale sia indeterminato.
In presenza delle suddette situazioni patologiche, sorge obbligo di indennizzo, che “opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia)”. In altre parole, la permanenza del vincolo oltre i termini previsti, e senza alcun inizio serio dell’espropriazione, “non può essere dissociato . . . dalla previsione di un indennizzo”.
In definitiva, perché possa procedersi ad espropriazione per pubblica utilità di un suolo da destinare alla realizzazione di un’opera pubblica, occorre che lo stesso sia assoggettato ad un vincolo preordinato all’esproprio, che il vincolo stesso sia efficace (sussistendo l’obbligo del Comune di reintegrare la disciplina urbanistica, dopo la decadenza del vincolo: Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010 n. 7493; 12 ottobre 2010 n. 7442; 14 febbraio 2005 n. 432), e che – una volta che si intenda procedere alla sua reiterazione – venga esplicitata la persistenza dell’interesse pubblico e l’obbligo di indennizzo.
Alla luce di tali principi, la sentenza impugnata ha, per un verso, ritenuto la “non irrazionalità delle previsioni con le quali sono stati reiterati vincoli preordinati all’espropriazione” (pag. 22); per altro verso, ha ritenuto illegittima la variante, in quanto “prevede la reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione decaduti . . . senza la previsione di indennizzo” (pag. 26).
Orbene, il Collegio ritiene che la posizione del privato in ordine all’indennizzo conseguente a reiterazione dei vincoli espropriativi è di diritto soggettivo, ai sensi dell’art. 42 Cost., considerata appunto la natura di tali vincoli e l’effetto dagli stessi prodotto sul diritto di proprietà.
Ciò comporta – anche in considerazione dell’”accavallamento temporale” verificatosi tra adozione degli atti amministrativi, loro impugnazione e sentenza di annullamento della Corte Costituzionale – che:
– da un lato, trattandosi di diritto soggettivo, ben può il giudice ritenere tempestive le eventuali precisazioni della domanda fino al passaggio in decisione della causa (ed a maggior ragione quando tali precisazioni siano conseguenza di una sentenza di annullamento della Corte Costituzionale implicante l’affermazione del diritto in questione);
– dall’altro lato, non possono essere ritenuti illegittimi atti amministrativi di reiterazione del vincolo espropriativo (peraltro adottati prima della pronuncia di annullamento della Corte Costituzionale), per la sola omissione della previsione di indennizzo, una volta che – come nel caso di specie – si sia constatata la ragionevolezza della reiterazione, in ordine alla persistenza dell’interesse pubblico.
Ne consegue che deve essere accolto l’appello del Comune di Busto Arsizio, nella parte in cui si censura la pronuncia di annullamento dei provvedimenti impugnati, laddove gli stessi “prevedono la reiterazione del vincolo senza indennizzo”, dovendosi, quindi, intendere persistente la previsione del vincolo, fermo il diritto del proprietario all’indennizzo conseguente alla sua reiterazione.
Quanto al secondo aspetto sopra evidenziato, il Collegio rileva che, con delibera GM 21 novembre 2003 n. 805, nel rispetto del limite di 50 m. di distanza dal centro abitato, in ottemperanza all’art. 328, co. 1, l. n. 166/2002, l’originario progetto di ampliamento del cimitero, “che è stato poi ridimensionato a cagione della presenza della casa di abitazione del ricorrente, è in sostanza superato dal nuovo ampliamento che viene giustificato con la nuova legge che permette tale ampliamento sino a 50 m. lineari”.
Per effetto dell’adozione di tale delibera, risulta, quindi, superata ogni doglianza del ricorrente in I grado in ordine alla legittima previsione di ampliamento del cimitero, doglianza fondata sulla violazione del limite di 100 metri dagli edifici preesistenti (vigente all’epoca dell’adozione dell’atto), e successivamente ridotto dal citato art. 328, co. 1, l. n. 166/2002.
Nel caso di specie, dunque, non si pone un problema di applicazione retroattiva della legge (in specie, la l. n. 166/2002, nella parte in cui, modificando l’artt. 338 TULS, consente anche distanze inferiori a m. 100 della casa dal confine dei cimiteri), bensì il diverso problema di un nuovo atto che ha disposto l’ampliamento del cimitero, facendo applicazione della nuova previsione legislativa.
Peraltro, la delibera del Comune di Busto Arsizio che ciò ha disposto, risulta impugnata dal sig. Scrosati con nuovo ricorso giurisdizionale innanzi al TAR per la Lombardia (ric. r.g. n. 1/2004), e da tale Tribunale deciso con sentenza 9 giugno 2006 n. 1353, depositata negli atti di causa dallo stesso Scrosati.
Per le ragioni esposte, deve essere accolto l’appello del Comune di Busto Arsizio, nella parte in cui (motivo sub d), censura la sentenza impugnata per non avere dichiarato l’improcedibilità del ricorso in I grado per sopravvenuto difetto di interesse, nella parte in cui con lo stesso si deduce l’illegittimità dell’approvazione del progetto di ampliamento del cimitero a distanza inferiore a 100 m. dalle case.
7. Per le medesime ragioni, deve essere dichiarato improcedibile il motivo (sub e) dell’esposizione in fatto) dell’appello incidentale del sig. Scrosati, relativamente ai profili di doglianza afferenti alla predetta approvazione del progetto di ampliamento cimiteriale.
Inoltre, deve essere rigettato il motivo di appello sub m) dell’esposizione in fatto, poiché, per un verso, vi è stato riconoscimento del diritto all’indennizzo per reiterazione di vincolo espropriativo; per altro verso, non è stato provato alcun ulteriore profilo di danno risarcibile.
Infine, in ragione della complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli proposti dal Comune di Busto Arsizio (n. 1977/2005 r.g.) e da Scrosati Carlo Luigi (n. 2430/2005 r.g.):
a) riunisce gli appelli;
b) accoglie l’appello del Comune di Busto Arsizio, nei sensi di cui in motivazione;
c) rigetta l’appello principale e l’appello incidentale proposti da Scrosati Carlo Luigi;
d) per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, in parte accoglie nei limiti di cui in motivazione, in parte dichiara improcedibile il ricorso instaurativo del giudizio di I grado;
e) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)