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Tar Campania, Sez. I, 19 febbraio 2014, n. 1055
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2810 del 2012, proposto da:
D.N. Costruzioni S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Abbamonte e Ezio Maria Zuppardi, con domicilio eletto presso gli stessi in Napoli, viale Gramsci, n. 16;
contro
– Ministero dell’Interno e U.T.G. Prefettura di Napoli, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la stessa domiciliati per legge in Napoli, via Diaz, n. 11;
– Comune di Caivano, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Russo, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Cesario Console, n. 3;
per la condanna
al risarcimento danni conseguenti alla informativa antimafia emanata dalla Prefettura di Napoli con nota prot. n. 4009 del 22/10/2009, alle determinazioni del Comune di Caivano n. 932 del 3/11/2009 (recte: 23/11/2009) e n. 1106 del 1/10/2010, concernenti la revoca dell’aggiudicazione per l’affidamento dell’appalto dei lavori di realizzazione di nuovi loculi cimiteriali e l’aggiudicazione ad altra ditta, annullate con sentenza del TAR Campania, sez. I, n. 797/2011 confermata con decisione del Consiglio di Stato, sez. III, n. 507/2012;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno, di U.T.G. Prefettura di Napoli e di Comune di Caivano;
Viste le produzioni delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2014 il dott. Fabio Donadono e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO
Con ricorso notificato il 31/5/2012, la società DN Costruzioni riferisce che:
– a seguito di interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Napoli con nota prot. n. 4009 del 22/10/2009, il Comune di Caivano, con determina n. 932 del 23/11/2009, revocava l’aggiudicazione della gara relativa ai lavori di realizzazione di nuovi loculi cimiteriali e, con determina n. 1106 del 1/10/2010, disponeva l’affidamento dell’appalto in favore della società Tecnocostruzioni;
– il TAR Campania, sez. I, con sentenza in forma semplificata n. 797 del 10/2/2011, annullava i suddetti atti, disattendendo la domanda di declaratoria di inefficacia del nuovo contratto, la cui stipula risultava ancora “in itinere”;
– a seguito degli appelli proposti dal Comune e dalla controinteressata, il Consiglio di Stato, sez. III, dopo lo sospensione cautelare della sentenza giusta ordinanze n. 3055 e n. 3058 del 15/7/2011, confermava la pronuncia di primo grado, con decisione n. 507 del 2/12/2011, dichiarando tuttavia l’efficacia del contratto con la società Tecnocostruzioni, fatta salva la pretesa risarcitoria della ditta ricorrente.
In relazione a quanto precede, essendo venuta meno la possibilità di reintegrazione in forma specifica, la ricorrente propone pertanto le domande in epigrafe.
Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, resistendo alle pretese avverse.
Nel corso del giudizio, a seguito della determinazione comunale n. 450 del 15/3/2013, recante la risoluzione del contratto rep n. 6618 del 4/11/2010 stipulato con Tecnocostruzioni, veniva disposto con determinazione n. 1572 del 25/9/2013 l’affidamento alla società ricorrente del completamento dei lavori ancora da eseguire, con stipula del relativo contratto rep. n. 6689 del 3/12/2013.
DIRITTO
1. Nel merito la società ricorrente invoca il risarcimento dei seguenti danni:
– mancato conseguimento dell’utile d’impresa conseguente alla mancata esecuzione dell’appalto, in ragione di euro 179.229,60, pari al 10% dell’ammontare dei lavori al netto del ribasso offerto del 32,925% e degli oneri di sicurezza non soggetti a ribasso di euro 80 mila, rispetto al prezzo a base d’asta di euro 2.752.077,60; all’uopo la società ricorrente rappresenta che a seguito dell’informativa interdittiva la propria capacità produttiva è rimasta inattiva;
– perdita di “chance” per mancato incremento del volume di affari e mancato incremento delle categorie relative alla certificazione SOA, attesa la mancata partecipazione a gare pubbliche nel periodo di interdizione con conseguente regressione dell’attività aziendale e perdite d’esercizio negli anni 2009-2010-2011, da valutare equitativamente in ragione di euro 121.379,50 pari al 10% del volume di affari dell’azienda nell’anno 2008;
– pregiudizio all’immagine ed al decoro dell’azienda, per il discredito nei confronti di clienti e fornitori derivante dalla ingiusta accusa di collusione con la criminalità organizzata, nonché danno biologico e patrimoniale esistenziale, in relazione alla menomazione all’integrità psico-fisica subita dagli esponenti aziendali, che avrebbe anche provocato un infarto, da valutare equitativamente nella misura proposta di euro 150 mila.
1.1. Per quanto riguarda gli effetti lesivi derivanti dell’atto prefettizio, è da osservare che, al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto comunitario, il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo discrezionale, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, anche della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione.
Si deve quindi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’Amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negarla quando emerga un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr. Cons. St., sez. IV, 7/1/2013, n. 23).
Per quanto riguarda la giurisprudenza comunitaria che riconosce una responsabilità di tipo oggettivo in materia di appalti pubblici, non subordinata alla sussistenza di una colpa, comprovata o presunta, né al difetto di alcuna causa di esonero di responsabilità (cfr. Corte Giust. CE, sez. III, 30/9/2010, C314/2009; Cons. St., sez. V, 16/1/2013, n. 240), giova osservare che la disciplina antimafia, concernente la prevenzione della delinquenza di stampo mafioso e le relative comunicazioni e informazioni, si colloca al di fuori ed a monte della normativa in materia di appalti pubblici, come è reso evidente dall’art. 247 del d. lgs. n. 163 del 2006.
Infatti, l’esigenza di creare strumenti adeguati per difendere l’ordinamento, le istituzioni e la collettività dall’invasività dell’influenza mafiosa nella società civile, nella vita economica e nelle attività delle pubbliche amministrazioni, ha comportato l’introduzione, accanto alla repressione penale, di articolate misure di tutela preventiva.
Nella valutazione della legislazione “antimafia” la Corte costituzionale ha, in più occasioni, sottolineato la necessità di salvaguardare beni di primaria e fondamentale importanza per lo Stato, quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la libera determinazione degli organi elettivi, nonché il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, contro i pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalità organizzata.
Tant’è che anche i principi di rilevanza comunitaria, relativi alla tutela della concorrenza e del libero mercato, presuppongono a monte un sostrato imprenditoriale e finanziario immune da ingerenze malavitose. Infatti concorrenza e libero mercato non potrebbero sopravvivere e verrebbero alla lunga soffocati a valle di un ambiente inquinato dalla delinquenza organizzata di tipo mafioso, che per sua natura tende ad infiltrarsi nel tessuto produttivo con modalità apparentemente rispettose della legalità, tendendo tuttavia a piegarlo ed adattarlo, in ogni modo, ai propri interessi illeciti.
Tutto ciò premesso, va riconosciuto che, relativamente all’emanazione dell’interditta antimafia in esame, è da escludere un giudizio di colpevolezza dell’autorità prefettizia, in quanto vanno considerate la difficoltà e la complessità delle questioni da affrontare nell’esercizio della funzione amministrativa di merito, che nella specie implica accertamenti e verifiche delicate e complesse di una realtà sfuggente.
1.2. Per quanto riguarda le determinazioni adottate dal Comune di Caivano, giova osservare che nella specie, nonostante il valore formalmente interdittivo dell’informativa prefettizia, ai sensi dell’art. 10, co. 7, del d.P.R. n. 252 del 1998:
– la stazione appaltante non solo ha provveduto alla revoca dell’aggiudicazione, ma ha anche proceduto all’affidamento dell’appalto ad altra ditta ed alla stipula del relativo contratto;
– nonostante la sentenza di primo grado di annullamento sull’interdittiva, sulla revoca della prima aggiudicazione, nonché sulla seconda aggiudicazione, il Comune ha consentito l’esecuzione dei lavori da parte della ditta che è subentrata alla ricorrente;
– successivamente, il Comune ha appellato la sentenza del TAR, nonostante l’acquiescenza della Prefettura, ed ha provocato da parte del giudice di appello una pronuncia cautelare di sospensione della sentenza basata appunto sullo stato di avanzamento dei lavori in corso;
– la realizzazione dei lavori ha giustificato inoltre la declaratoria di efficacia del contratto emessa dal giudice di appello, nonostante l’accertata illegittimità della seconda aggiudicazione.
Con tale comportamento, la stazione appaltante, pur esercitando un proprio diritto di difesa in giudizio, ha nondimeno consapevolmente accettato l’alea di essere esposta ad un’azione risarcitoria, conseguente all’impossibilità di offrire all’interessata una piena reintegrazione in forma specifica, come del resto evidenziato nella decisione di appello confermativa della sentenza di primo grado, laddove si dà atto espressamente che l’interesse sostanziale della società ricorrente potrà essere soddisfatto mediante il risarcimento dei danni per equivalente.
Gli atti adottati in merito alla gestione dell’appalto in questione costituiscono quindi espressione di autonome determinazioni della stazione appaltante, per cui risulta sostanzialmente spezzato il nesso di stretta consequenzialità con l’originaria informativa prefettizia.
Del resto, i principi ricavabili dall’art. 30, co. 3, e dall’art. 124, co. 2, c.p.a. dimostrano che il comportamento complessivo delle parti, ivi compresa anche la condotta processuale, assumono particolare e specifica rilevanza nel processo amministrativo ai fini della decisione in ordine alle pretese risarcitorie.
Ne consegue che la responsabilità del Comune di Caivano non si sottrae al quadro normativo che disciplina gli appalti pubblici ed all’applicazione dei principi comunitari con riferimento alla tutela risarcitoria delle imprese.
1.3. Sennonché va in primo luogo rilevato che il Comune non può essere chiamato a rispondere per la sorte di altre vicende contrattuali con diverse stazioni appaltanti, né risulta responsabile per gli andamenti aziendali della ricorrente successivi all’interdittiva.
Come pure non possono essere addebitati all’ente la compromissione della reputazione personale o imprenditoriale, né tanto meno i danni all’integrità psico-fisica degli esponenti aziendali. Per tali eventi dannosi manca infatti il nesso di causalità con le determinazioni riferibili all’amministrazione comunale.
Residuano invece come effetti lesivi riconducibili all’operato degli organi comunali esclusivamente quelli strettamente attinenti alla perdita dell’appalto in questione.
1.4. Tanto premesso, il danno derivante dalla mancata esecuzione del contratto va quantificato innanzitutto nella misura del lucro cessante, consistente negli utili non percepiti dalla società ricorrente a causa degli atti illegittimi adottati dal Comune.
Al riguardo la società ricorrente ha fornito elementi che giustificano la compatibilità del ribasso offerto con una stima dell’utile d’impresa pari del 10%, corrispondente all’entità complessiva del lucro cessante normalmente applicata in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c..
Risultano altresì plausibili, se non altro per effetto dell’emanazione dell’interdittiva prefettizia, gli elementi allegati in ordine ad una contrazione del fatturato aziendale, a dimostrazione che la società ricorrente non ha potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi in altre attività imprenditoriali, in modo da attenuare o evitare in tutto o in parte il pregiudizio per la perdita dell’affare in questione.
A fronte di tutto ciò, il Comune resistente non ha fornito concrete e specifiche obiezioni sull’argomento, per cui è da riconoscere la pretesa della società ricorrente ad una quantificazione di questa componente del danno nella misura di euro 163.584,05 (centosessantatremilacinquecentottantaquattro,05), pari al 10% dell’ammontare del corrispettivo per l’esecuzione dei lavori non eseguiti dalla società ricorrente (euro 1.635.840,45), tenuto conto del ribasso offerto dalla medesima sul prezzo a base d’asta e, ovviamente, della quota di lavori affidati con il contratto stipulato dalle parti in data 3/12/2013.
1.5. Altro elemento che concorre a determinare il mancato guadagno è il cosiddetto “danno curriculare”, ovvero il pregiudizio derivante a causa della mancata inclusione dell’appalto ad arricchimento del proprio curriculum professionale e quindi nella perdita del livello di qualificazione posseduto o nel mancato accrescimento della capacità di competere sul mercato degli appalti pubblici. Tale componente del danno è principalmente un aspetto della perdita di chance ad aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti, ma può manifestarsi anche nella forma di un nocumento all’immagine dell’impresa ed al suo radicamento nel mercato, anche come possibile concausa di crisi economica o imprenditoriale, che nella specie trovano sostegno nelle allegazioni fornite in giudizio dalla società ricorrente.
In linea di principio, è stato riconosciuto che tale componente del danno, derivante dalla perdita di un’occasione di lavoro, è quantificabile in misura variabile tra l’1% ed il 5% dell’importo globale del servizio da aggiudicare (cfr. Cons. St., sez. VI, 9/6/2008, n. 2751).
Nella specie, in una valutazione necessariamente equitativa del pregiudizio sofferto dalla società ricorrente, va considerato che la crisi aziendale determinata dalla vicenda spinge la stima verso il valore percentuale massimo, per cui, tenendo anche conto del complessivo ruolo assunto dalla stazione appaltante a partire dalla revoca dell’aggiudicazione fino all’affidamento della parte residua dei lavori, il danno curriculare va quantificato nella misura di euro 49.075,21 (quarantanovemilasettantacinque,21), pari al 3% dell’importo dei lavori non eseguiti.
1.6. L’obbligazione risarcitoria, che mira alla reintegrazione del danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto, ha carattere di debito di valore.
Spetta pertanto alla società ricorrente la rivalutazione monetaria in base all’indice FOI elaborato dall’Istat, con decorrenza dalla domanda giudiziale, proposta il 31/5/2012, sino alla pubblicazione della presente sentenza.
A decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta, per cui vanno riconosciuti gli interessi nella misura legale dalla data della pubblicazione della sentenza fino all’effettivo soddisfo (cfr. Cons. St., sez. VI, 21/5/2009, n. 3144).
2. Nei limiti sopra esposti le domande proposte dalla società ricorrente sono pertanto suscettibili di parziale accoglimento.
Le spese di causa vanno poste a carico del Comune di Caivano, in prevalenza soccombente, mentre si ravvisano giusti motivi di compensazione con l’amministrazione erariale resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), in accoglimento per quanto di ragione del ricorso in epigrafe, condanna il Comune di Caivano al risarcimento dei danni subiti dalla società DN Costruzioni nella misura indicata in motivazione.
Condanna il Comune di Caivano al pagamento, in favore della DN Costruzioni, delle spese di causa, liquidate in euro 3.000,00 (tremila), oltre IVA e CPA, con rimborso altresì del contributo unificato; spese compensate nei confronti del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Napoli.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Cesare Mastrocola, Presidente
Fabio Donadono, Consigliere, Estensore
Michele Buonauro, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)