Cassazione civile, Sez. II, 5 ottobre 1993, n. 9838 [1]

Norme correlate:  

Massima

Testo

Norme correlate:
Art 1140 Regio Decreto n. 262/1942

Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 5 ottobre 1993, n. 9838
Con riguardo al giudizio instaurato per la declaratoria dell’acquisto per usucapione di un bene (nella specie, sepolcro), la deduzione in appello di un ulteriore modo di acquisto (nella specie, diritto di sepolcro) non configura una domanda nuova inammissibile ex art. 345 c.p.c..

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 5 ottobre 1993, n. 9838
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. G. Battista D’AVINO Presidente
” Domenico GIAVEDONI Consigliere
” Aldo MARCONI Rel. ”
” Vincenzo CARNEVALE ”
” Giovanni PAOLINI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
BERNARDI PIA ved. Cocuzza, COLANTUONO MARIA, COLANTUONO INES, COCUZZA
ETRURIA, MARISA, ENZO, ROMOLO, ELDA, ANNA e BENVENUTO, DE ANGELIS
VITTORIA e CONTE CARLA; elett. dom. in Roma via di Val Gardena, 3
presso l’avv. Lucio De Angelis che li rappr. e difende per delega a
margine del ricorso.
Ricorrenti
contro
COCUZZA EMILIA e GIUSEPPE, elett. dom. in Roma via Francesco
Giangiacomo, 30 presso l’avv. Giuseppe Polini che li rappr. e dif.
per delega in calce al controricorso.
Controricorrente
contro
COCUZZA FRANCESCO e COCUZZA ARNALDO.
Intimati
per la cassazione della sentenza n. 527-88 del Tribunale di Velletri
in data 30.8.88 – 4.6.88.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
29.1.93 dal Cons. Marconi.
È comparso l’avv. De Angelis difensore del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
È comparso l’avv. Polini difensore del resistente che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Amirante che ha
concluso per l’accoglimento del I motivo di ricorso assorbito il II
motivo.
FATTO
Le dodici persone indicate come ricorrenti nell’intestazione della presente sentenza proposero al Pretore di Anzio ricorso ex art. 703 c.p.c.: premesso di essere discendenti del fu Lorenzo Cocuzza al pari degli eredi di Romolo Cocuzza, che era uno dei figli di Lorenzo, gli attori esposero che Romolo per “mandato e con denaro” del padre aveva conseguito, risultandone l’intestatario, la concessione dell’area cimiteriale sulla quale sorgeva la tomba destinata a sepolcro della “stirpe”, tanto che vi erano stati sepolti nell’arco di vari decenni sia il capostipite che ogni suo discendente; ciò fino al dicembre 1982 quando gli eredi Romolo, assumendo di essere gli unici titolari del sepolcro, avevano intimato agli altri la rimozione delle salme dei rispettivi congiunti dando altresì inizio a lavori di trasformazione dello stato dei luoghi; da qui la domanda di “manutenzione e reintegrazione in possesso del bene de quo, con riserva di dimostrare comunque l’avvenuta usucapione”.
Il Pretore, nel definire la causa con sentenza del 2-4 dicembre 1985, rigettò la domanda come sostituita senza opposizione nel corso del giudizio e così riprodotta nell’epigrafe della resa decisione:
“dichiarare l’avvenuta usucapione della tomba de qua oppure della servitù di mantenervi i defunti e di esplicare pratiche di culto, fermo restando il ripristino della lapide originaria che portava la scritta “Cocuzza Lorenzo e famiglia”.
Tutti i soccombenti proposero appello, come risulta dal relativo atto e si riconosce in definitiva nella stessa sentenza (al di là dunque di qualche manchevole indicazione), formulando la testuale conclusione: “dichiarare che gli appellanti sono contitolari dello ius sepulcri de quo iure sanguinis e iure haereditatis o, in subordine, che lo hanno usucapito”.
Il Tribunale di Velletri rigettò l’appello con sentenza del 30 marzo – 4 giugno 1988, impugnata per cassazione dai dodici soccombenti sulla base di due motivi sorretti anche da memoria a norma dell’art. 378 c.p.c. Hanno depositato controricorso Emilia e Giuseppe Cocuzza, mentre non si sono costituiti Francesco e Arnaldo Cocuzza, ritualmente intimati.
DIRITTO
Si è ritenuto conclusivamente nell’impugnata sentenza che la ribadita infondatezza della “domanda di usucapione”, così “trasformata” nella fase pretorile “l’iniziale domanda di manutenzione e reintegra nel possesso della tomba di famiglia”, comportava il rigetto dell’appello essendo al Tribunale “precluso prendere in considerazione una diversa causa petendi”.
A loro volta i ricorrenti, nel primo motivo, richiamano la conclusione svolta “in linea principale” nell’atto di appello e riprodotta anche nell’epigrafe della resa sentenza (oltre che nella narrativa che precede) per denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c.
La censura postula un errore in procedendo da verificare con piena indagine, e la sua rilevanza è indiscutibile alla luce delle precisazioni che seguono in forza del principio jura novit curia.
È vero che davanti al Pretore venne dedotta soltanto l’usucapione e non anche (come in appello) la pari titolarità (con le controparti) del diritto di sepolcro alla stregua della sua destinazione. Talché si potrebbe obiettare che il Tribunale, escludendo la possibilità di occuparsi di una causa petendi diversa dalla disattesa usucapione, ha considerato l’aggiunta del titolo alla stregua di una domanda nuova e quindi improponibile in secondo grado per il divieto (rilevabile anche d’ufficio) sancito dall’art. 345 c.p.c.
Ed allora, chiarito che solo un tal (implicito) ragionamento giustificherebbe il mancato esame dell’allegata pari titolarità del diritto di sepolcro, è agevole osservare che così si confonde la causa petendi o titolo della domanda (come appunto il codice di rito chiama la prima negli art. 13, 33, 35, 36, 103, 105) con la causa o il modo di acquisto del diritto de quo a struttura reale (che non è qui in discussione) secondo gli ormai consolidati principi in materia. Basta, per convincersene, la riflessione che la causa o il modo di acquisto (come appunto l’usucapione e il titolo) serve a dimostrare la fondatezza della domanda, non a individuarla; tanto che il diritto di cui si è chiesto l’accertamento diventa incontestabile in senso negativo o positivo una volta che la domanda sia stata (definitivamente) respinta o accolta. In altri termini la pari titolarità addotta in appello dagli attuali ricorrenti, in aggiunta all’usucapione fatta valere in primo grado, non è un’ulteriore domanda ma, come semplice mezzo per rafforzare il già chiesto accertamento del diritto di sepolcro, è un aspetto dell’unica domanda, ritualmente proposta in primo grado, e quindi esula dalla previsione dell’art. 345 c.p.c. Diversamente si giungerebbe all’assurda conseguenza che essi potrebbero chiedere il medesimo accertamento in un successivo giudizio per la causa d’acquisto non messa in luce nella fase pretorile. Resta da precisare, in vista del giudizio di rinvio, che la superata questione relativa alla pari titolarità del diritto di sepolcro (nella supposizione che concretasse domanda nuova) dev’essere completamente esaminata essendo irrilevanti, rispetto ad un’omessa pronuncia, le affermazioni eventualmente favorevoli o sfavorevoli dell’impugnata sentenza al riguardo.
Il secondo motivo di ricorso investe l’impugnata sentenza nella parte in cui, confermando il rigetto della domanda sotto il considerato profilo dell’usucapione, ha escluso che l’allegato possesso del sepolcro (evidentemente altrui) potesse condurre all’usucapione, stante (recita la motivazione) “il carattere strettamente personale di questo diritto reale”.
La questione relativa all’acquisto per usucapione ovviamente dipende dall’esito dell’accertamento (ancora sub judice) in ordine alla pari titolarità del diritto di sepolcro e quindi è rimasta impregiudicata perché la pronuncia del Tribunale al riguardo è stata travolta dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Tuttavia nella specie non ne deriva l’assorbimento del secondo motivo, al cui esame i ricorrenti hanno interesse, per far rimuovere (in vista del giudizio di rinvio) il pregiudiziale e indiscutibile errore commesso in appello: invero il diritto di sepolcro inteso come diritto alla tumulazione, ha certamente natura reale e patrimoniale; e pertanto devesi convenire che l’esercizio di un potere di fatto corrispondente al contenuto di quel diritto (da accertare) dà luogo a possesso in senso tecnico e perciò utile ai fini dell’usucapione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa l’impugnata sentenza con rinvio della causa al Tribunale di Roma, che provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.
Roma, 29 gennaio 1993.