Quesito pubblicato su ISF2002/1-b

È pervenuta a questo ufficio la richiesta, da parte della titolare dello jus sepulchri quale unica figlia del concessionario deceduto, di estumulazione delle salme degli zii paterni dalla tomba predetta, per inumarle nel locale cimitero. La cugina della richiedente, figlia unica dei defunti, si oppone alla traslazione rivendicando il diritto di sepoltura. Si chiede se l’istanza può essere accolta con il conseguente rilascio del provvedimento di autorizzazione ovvero se l’istanza dovrà invece essere oggetto di un provvedimento di rigetto. In quest’ultimo caso, con quale motivazione, considerato che il regolamento comunale di polizia mortuaria nulla prevede? Inoltre, come può tutelarsi la richiedente dalle continue interferenze della cugina che, sebbene, abbia preso visione della concessione e successiva modifica, continua a rivendicare il diritto d’uso della tomba? Si trasmette: atto di concessione di area ai fratelli P. ed E. in data 17/4/1935; atto di modifica di concessione cimiteriale con cui P. cedeva al fratello E. i diritti d’uso della tomba in data 27/6/1977 (non risultano atti successivi). Il signor P. e la moglie, salme di cui si chiede l’estumulazione, sono deceduti entrambi in data 28/9/1977 e tumulati nel sepolcro suddetto.

Risposta:
Come prima cosa è opportuno precisare i termini, in quanto concessionario è, di norma, il c.d. fondatore del sepolcro, ma tale posizione può essere assunta dai discendenti del fondatore del sepolcro, quando il concessionario originario venga a decesso, subentro che dovrebbe essere regolato, sia in positivo che in negativo, dal regolamento comunale di polizia mortuaria. In difetto di previsione regolamentare locale, è da ritenere che al decesso del concessionario originario (fondatore del sepolcro) subentrino i suoi discendenti in linea diretta, non gli eredi, in quanto il sepolcro familiare può divenire ereditario ove esaurita la discendenza. La condizione di titolare dello jus sepulchri è quella della persona che ha diritto, passivo, a venire sepolto nel sepolcro privato nel cimitero e riguarda il concessionario, ma anche altre persone, cioè i familiari del concessionario (art. 93, comma 1 dPR 10 settembre 1990, n. 285). Da ciò il fatto che i familiari del concessionario sono, in genere, titolari dello jus sepulchri, ma non titolari della concessione, almeno sin tanto che non si verifichi la condizione del subentro. Nel caso di specie, la posizione di concessionari e fondatori del sepolcro risulta essere stata, nel 1935, riferita ad entrambi i fratelli, mentre la modifica del 1977 più che una cessione sembra atteggiarsi come una rinuncia di uno dei due concessionari che ha determinato la piena ed unica titolarità dell’altro fratello. Al di là del fatto se si tratti di una cessione o di una rinuncia, divenendo tale questione puramente nominalistica, in entrambi i casi si è determinato l’effetto per il quale l’iniziale co-concessionario P. è venuto a perdere ogni titolarità sulla concessione, effetto che ha prodotto anche la perdita di qualsiasi diritto o titolarità in capo ai discendenti del “cedente” (o “rinunciante”), con la conseguenza che tali discendenti non hanno relazione di sorta con la concessione. Tra l’altro, il diritto di sepoltura è un diritto personale e non un diritto patrimoniale, tanto che si hanno, abbastanza frequentemente, situazioni per le quali si abbiano persone che si vengano a trovare nella posizione di titolarità patrimoniale del manufatto sepolcrale, con connessi obblighi di conservazione e manutenzione, senza che si determini anche il sorgere di un qualsiasi diritto di utilizzo del sepolcro in termini di diritto a venirvi sepolti. Accanto a questi aspetti, per altro vanno anche considerati i diritti personali rispetto alla destinazione dei resti mortali, che sono diritti personali di pietas dei defunti la cui definizione è rimessa sostanzialmente all’elaborazione giurisprudenziale, che per altro trova sintesi concreta nella graduazione dei soggetti individuati come titolari di una potestà autonoma di destinare la salma a quella particolare pratica funebre che è la cremazione: in altre parole, il criterio di poziorità individuato dall’art. 79, comma 2 dPR 10 settembre 1990, n. 285 altro non è se non la sintesi dell’elaborazione giurisprudenziale in materia di titolarità a disporre della salma e dei resti mortali. Nella situazione rappresentata, si dovrebbe presumere che l’avvenuta sepoltura dei due defunti (P. e coniuge) abbia avuto luogo in quanto “familiari” dell’unico concessionario allora avente tale titolo (E.) sulla base di una definizione dell’ambito dei familiari individuata dal regolamento comunale (anche se, a volte, i regolamenti comunali del passato non sempre presentavano indicazioni abbastanza analitiche su questo punto). E’ necessaria una verifica sul testo del regolamento comunale in vigore al momento della sepoltura (settembre 1977), dal momento che non è da escludere che i defunti, od uno di essi (ad esempio, la moglie di P. in quanto affine di E.), fossero persone non qualificabili come membri della famiglia del concessionario. Se così fosse, in tutto o parzialmente, potrebbe essere eccepita l’indebita sepoltura, mentre se tali persone (o una di esse) avessero avuto, al momento del decesso, la qualità di membri della famiglia di E., la questione verrebbe a porsi unicamente sotto il profilo della titolarità del potere di disporre delle salme e loro resti. Al di là di questo aspetto, che riguarda le parti interessate, ed in difetto di una disposizione regolamentare che preveda che chi richiede operazioni ed interventi cimiteriali agisca all’interno di una presunzione di agire con l’accordo di tutti i soggetti a vario titolo interessati, il comune può accogliere un’eventuale richiesta di estumulazione se essa sia corredata, od integrata (anche in momenti differenti), da un assenso di chi abbia titolo a disporre delle singole salme o dei loro resti mortali. Infatti, una volta avvenuta la tumulazione, l’estumulazione è ammessa solo allo scadere della concessione, se a tempo determinato, mentre non è ammessa l’estumulazione se si tratta di concessione perpetua, ma la salma tumulata deve permanere nella sepoltura a tempo indeterminato (art. 86, comma 1 dPR 10 settembre 1990, n. 285), salvo che non ricorra il caso di cui al successivo art. 88, cioè quando venga richiesto il trasferimento in altro sepolcro. Quest’ultima previsione normativa, fa sì che vi sia la richiesta, o quanto meno l’assenso, di chi abbia titolo a disporre della salma o resti mortali. Conseguentemente, se l’attuale concessionaria, divenuta tale per subentro nella posizione paterna a seguito del decesso di E., presenti richiesta di estumulazione, tale richiesta va accolta se coloro che hanno diritto a disporre delle salme o resti vi aderiscano o vi acconsentano; in difetto, il comune si limiterà a formulare, per iscritto, l’esigenza che la parte richiedente produca tale adesione o consenso, ricordando che unicamente chi abbia relazioni parentali di grado adeguato può disporre della salma o dei resti, disponibilità che non è surrogabile da terzi, cosicché il figlio (1° grado) prevale, ed esclude, il nipote (3° grado). Si rappresenta che, considerato il fatto che da quanto esposto, si ricava abbastanza chiaramente che i rapporti tra le parti non sono idilliaci o, comunque, hanno valutazioni tra loro contrastanti, il comune non assolve alcun ruolo arbitrale, ma deve limitarsi al rilascio di quelle autorizzazioni che rispettano entrambe le posizioni. Laddove la richiedente, attuale concessionaria, intenda far valere un’eventuale indebita sepoltura, non potrà che rivolgersi al giudice per far valere i propri ritenuti diritti e far ripristinare la corretta utilizzabilità del sepolcro privato, così come l’altra parte potrebbe altrettanto far valere eventuali vizi della cessione del 1977, magari sull’assunto che essa è avvenuta dopo il 10 febbraio 1976 (data di entrata in vigore del dPR 21 ottobre 1975, n. 803). In ogni caso, il comune risulta estraneo alle differenti posizioni delle parti interessate, dovendo unicamente limitarsi al mantenimento dello stato di fatto, fino a che le parti non raggiungano tra di loro un accordo o ottengano un provvedimento giurisdizionale (definitivo) che tenga luogo all’accordo, definendo la questione in un senso od in altro. Per quanto riguarda la richiedente e la sua tutela dalle c.d. “interferenze” dell’altra parte, si ritiene di dover ribadire che il comune è del tutto estraneo dalle relazioni interpersonali delle parti interessate e che, ove lo voglia, la parte può avvalersi dei rimedi posti dal codice civile o dall’art. 949, comma 2 (azione negatoria) o dall’art. 1170 C.C. (azione di manutenzione), in ogni caso restando il comune estraneo alla controversia. (a cura di Sereno Scolaro)

Norme correlate:
Art capo16 di Decreto Presidente Repubblica n. 285 del 90
Art capo17 di

Riferimenti:

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