[Fun.News 3545] Rifiuti con codice a specchio: come classificarli correttamente?

La Corte di Cassazione (Sez. penale III), con sentenza n. 47288 del 21/11/2019, conseguente alla pronuncia della Corte di Giustizia della UE del 28/3/2019, si è espressa in materia diclassificazione di rifiuti con codice a specchio.
In sostanza, quando non si ha la conoscenza totale e immediata della composizione di un rifiuto con codice a specchio, il detentore ha l’obbligo di assumere informazioni specifiche che gli consentano l’attribuzione di un codice appropriato.

La Corte ha poi indicato che per le informazioni specifiche si fa riferimento alla metodologia prevista dalla sentenza della Corte di Giustizia del 28/3/2019 in materia. La Corte di Giustizia Ue, considera affidabili i “metodi di prova” di cui all’allegato III della direttiva 2008/98/Ce (cioè i metodi previsti dal regolamento “Reach” o da altre pertinenti note del Comitato europeo di normazione, nonché altri metodi purché riconosciuti a livello internazionale).
La Corte di giustizia UE aveva inoltre chiarito (con la citata sentenza del marzo 2019) che è utile far riferimento alle informazioni sul processo chimico o sul processo di fabbricazione che ha generato il rifiuto.
O anche ad informazioni specificate dal produttore originario del prodotto/sostanza prima che questi diventasse rifiuto.
E, infine, alle banche dati sulle analisi di rifiuti disponibili a livello di Stati membri nonché al campionamento e all’analisi chimica dei rifiuti

Per chi volesse approfondire il delicato tema si riporta la parte conclusiva della sentenza della Corte di Cassazione:
“Contrastano con le affermazioni del Tribunale anche le ulteriori precisazioni della Corte europea, laddove si esclude ogni margine di discrezionalità in capo al detentore del rifiuto circa la natura dell’accertamento, in quanto, sebbene non obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa egli deve comunque ricercare quelle che possano ragionevolmente trovarvisi.
Va peraltro osservato che la sentenza della Corte di giustizia, tanto nella risposta ai primi tre quesiti, quanto nella motivazione, porta ad escludere radicalmente la possibilità di arbitrarie scelte da parte del detentore del rifiuto circa le modalità di qualificazione del rifiuto ed accertamento della pericolosità.
In altre parole, ritiene il Collegio che il necessario riferimento della Corte europea, in precedenza richiamato, all’impossibilità di imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di vista tecnico che economico, non può assolutamente, a fronte di quanto più diffusamente stabilito dai medesimi giudici, essere utilizzato come pretesto per aggirare le precise indicazioni circa le modalità di qualificazione del rifiuto, essendo chiaro che se la composizione del rifiuto non è immediatamente nota (circostanza che rende, evidentemente, non necessaria l’analisi) il detentore deve raccogliere informazioni, tali da consentirgli una “sufficiente” conoscenza di tale composizione e l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato.
La raccolta delle informazioni, inoltre, va necessariamente effettuata secondo la precisa metodologia specificata, che non prevede esclusivamente il campionamento e l’analisi chimica, le quali, come espressamente indicato (punto 44), devono peraltro offrire garanzie di efficacia e rappresentatività.
Ciò porta anche a ritenere non condivisibile, ad avviso del Collegio, l’affermazione del Tribunale secondo cui “l’analisi del rifiuti ‘a specchio’, al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo” in quanto riduttiva rispetto alla metodologia individuata nella pronuncia della Corte di giustizia.
Quanto al principio di precauzione, la Corte di giustizia ne ha delimitato l’ambito di applicazione nei termini in precedenza ricordati. “

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