Il contributo della cremazione nella programmazione e riqualificazione urbana

Dal 5 all’8 novembre a Rimini si è tenuto anche quest’anno “Ecomondo”, evento leader nei settori della green and circular economy, e all’interno della sessione denominata “Rigenerazione della città, circolarità e salute: politiche nazionali ed europee per migliorare la qualità di vita urbana” si è parlato per la prima volta di cremazione come servizio essenziale nel rispetto della salute e dell’ambiente.
Partendo dal dato di fatto, già rilevato nel rapporto dell’OECD del 2015 intitolato “Il secolo metropolitano”, che l’urbanizzazione sta progredendo con una velocità mai vista prima nella storia, il dibattito si è incentrato sugli aspetti di programmazione e di rigenerazione di una città posto che i responsabili politici di ogni Paese hanno il compito di massimizzare i benefici dell’urbanizzazione e di minimizzarne gli svantaggi, di fornire servizi efficienti ai residenti e di programmare attentamente il modo in cui le città vengono costruite oggi perché questo determinerà il loro aspetto, funzionamento e impatto sull’ambiente per molto tempo a venire.
In questa cornice ha trovato spazio una prima riflessione sulla cremazione, in quanto fenomeno in continua crescita che ha riflessi sul territorio in termini di localizzazione degli impianti e di impatto sull’ambiente e sui cittadini in termini di fruibilità di un servizio essenziale alla persona e di salute.
Per capire l’importanza del fenomeno basti pensare che in Italia nel 1995 la percentuale di cremazioni sul totale dei decessi era inferiore al 3% ed erano presenti 31 crematori mentre nel 2023 se ne registrano 91 e l’incidenza della cremazione è stata del 38,16%.
Si deve poi considerare che le città in cui viene effettuato il maggior numero assoluto di cremazioni sono generalmente le città metropolitane e che i crematori, per legge localizzati obbligatoriamente dentro i cimiteri, in alcuni casi si trovano all’interno di aree urbane.
Quanto detto conferma quindi l’opportunità di affrontare il fenomeno della cremazione all’interno della tematica relativa alle politiche nazionali per migliorare la qualità della vita urbana laddove si parla di programmazione e riqualificazione urbana.
Da qui la riflessione su quelle politiche nazionali che Utilitalia-SEFIT, l’associazione che rappresenta i gestori dei servizi funerari, ha ritenuto utile evidenziare anche nel corso dell’evento di Ecomondo.
Principalmente si sono individuate quattro azioni:
1. Dare al settore della cremazione gli strumenti normativi per operare al meglio:
a) Norme tecniche per il funzionamento dei crematori – nonostante una così importante crescita del settore, non esiste ancora una normativa tecnica nazionale specifica sugli impianti crematori. Infatti, non è stato emanato il decreto interministeriale che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge 30 marzo 2001, n. 130 recante “Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri”, avrebbe dovuto definire “le norme tecniche per la realizzazione dei crematori, relativamente ai limiti di emissione, agli impianti e agli ambienti tecnologici, nonché ai materiali per la costruzione delle bare per la cremazione” (art. 8).
In mancanza di una normativa specifica per i crematori, ad oggi ogni Regione stabilisce dei limiti specifici in relazione alla localizzazione dell’impianto ed alla tecnologia adottata, ogni impianto deve osservare la propria autorizzazione al funzionamento rilasciata dalla Autorità competente per territorio la quale spesso ha preso a riferimento i limiti e i sistemi di controllo previsti per le emissioni degli inceneritori, quando gli aspetti del funzionamento dell’impianto, della tipologia e dell’omogeneità dell’oggetto di combustione sono completamente diversi da quelli degli inceneritori.
b) Pianificazione territoriale dei crematori – l’art. 6 della L. 130/2001 prevede che le regioni adottino un piano per la localizzazione degli impianti secondo alcuni criteri. Ad oggi pochissime regioni vi hanno provveduto e non sempre le decisioni prese si sono rivelate adeguate.
Il punto, dopo più di venti anni dall’adozione della legge sulla cremazione, è che bisognerebbe domandarsi se quei criteri siano ancora oggi adeguati. Nel frattempo, infatti il numero di cremazioni si è decuplicato e anche la mortalità media è di molto cresciuta.
Inoltre, l’attuale sistema di pianificazione non considera gli sconfinamenti di cremazione tra regioni diverse.
Tutti elementi che fanno deporre verso l’opportunità di prevedere una pianificazione nazionale della rete dei crematori con un aggiornamento dei criteri tra i quali valutare di prendere in considerazione l’individuazione di bacini ottimali di servizio per garantire la sostenibilità economica degli impianti, la loro accessibilità economica e fisica da parte dei cittadini e la loro sostenibilità ambientale.
Si tratterebbe di un cambiamento sostanziale ma che seguirebbe ad una trasformazione evidente del settore, già in atto da diversi anni e sempre più crescente.
2. Fornire informazioni chiare sul funzionamento degli impianti e sui controlli effettuati:
a) Prevenire l’effetto NIMBY – le lacune normative, in termini di regolamentazione tecnica e di programmazione territoriale, la mancanza di conoscenza di un settore, che solo recentemente si è sviluppato, incidono anche sui cittadini e sulle scelte politiche condizionate da timori non giustificati sull’inquinamento di tali impianti.
Diventa fondamentale allora fornire informazioni chiare. Innanzitutto, bisogna partire dagli ultimi dati disponibili elaborati dall’ISPRA (riportati nel paragrafo 6c del documento “La cremazione in Italia. La regolamentazione tecnica degli impianti e i risultati di uno studio sulle emissioni in atmosfera” reperibile su www.sefit.org) dai quali risulta che l’impatto della cremazione sulle emissioni in atmosfera totali italiane è assolutamente irrilevante e, ciò nonostante, la cremazione sia una pratica funeraria scelta da circa il 36% degli italiani ed abbia una diffusione sempre più capillare sul territorio nazionale (in figura una rappresentazione grafica).
In secondo luogo, si deve considerare che la maggior parte degli impianti italiani sono di recente installazione, dato che lo sviluppo crescente della cremazione nel nostro Paese è avvenuto solo negli ultimi anni.
Questo comporta che essi siano dotati della miglior tecnologia disponibile, con risultati che li caratterizzano come meno inquinanti rispetto alla media europea.
Infine, va rilevato che le emissioni dei crematori potrebbero essere ridotte se si intervenisse a monte sulla normativa nazionale, prevedendo apposite disposizioni tecniche che vietino l’utilizzo di certi materiali inquinanti nel confezionamento del feretro (es. vernici, colle, materiali non adatti alla combustione per l’imbottitura interna del feretro, ecc).
b) Approfondire gli studi sulle emissioni dei crematori divulgandone i risultati – in Italia ISPRA, in collaborazione con SEFIT, ha avviato nel 2015 e nel 2019 due indagini [1] per poter utilizzare fattori di emissione nazionali nella stima delle emissioni dalla cremazione al posto dei valori di default suggeriti dal Guidebook EMEP/EEA nell’ambito della redazione dell’inventario delle emissioni UNECE sull’inquinamento transfrontaliero, visto che i fattori di emissione riportati nel Guidebook fanno riferimento a studi internazionali non recenti e a tipologie impiantistiche molto diverse.
Una terza indagine è in fase di avvio, in quanto si ritiene fondamentale svolgerle ripetutamente negli anni. Dall’ultimo studio emerge che l’inquinamento atmosferico prodotto dai crematori italiani è generalmente contenuto e che un’obiettiva valutazione degli inquinanti emessi può essere effettuata solo se si tiene conto delle masse e delle portate in gioco.
3. Studiare la sostenibilità ambientale degli impianti – i crematori sono infrastrutture di servizio che hanno una vita utile di 25-30 anni e devono intercettare lo sviluppo tecnologico e il processo di decarbonizzazione del prossimo futuro, facendo scelte tecniche con effetti di medio-lungo periodo. Anche la cremazione è infatti interessata dal processo della c.d. transizione energetica: si pensi all’orientamento europeo di riduzione entro il 2035 delle emissioni di CO2, alle azioni di contrasto al cambiamento climatico, alle impostazioni nazionali per raggiungere un’autonoma struttura energetica. Pertanto, nel settore si è già avviata una riflessione [2] sul possibile sviluppo tecnologico degli impianti che considerino l’impiego delle energie rinnovabili e il minor uso di combustibili fossili. Sarebbe utile ed opportuno che ci fossero dei tavoli di confronto anche con le istituzioni e gli stakeholders per seguirne gli sviluppi e valutare le azioni da mettere in campo al fine di creare le idonee condizioni per poter concretamente applicare i risultati raggiunti.
4. Sfruttare lo sviluppo della cremazione per realizzare azioni di rigenerazione urbana – il cambiamento nel tempo della preferenza delle forme di sepoltura a vantaggio della cremazione, con conseguente incidenza negativa sulla tumulazione e sull’inumazione, ha determinato una variazione considerevole delle disponibilità di spazi interni ai perimetri cimiteriali e una diversa necessità di zone di rispetto.
Ne deriva la possibilità, all’interno di un contesto di rigenerazione urbana, di destinare alcune zone interne al perimetro cimiteriale a verde in connessione con zone di rispetto cimiteriale anch’esse da destinare a verde pubblico. In questo modo si possono individuare veri e propri sistemi di forestazione localizzata, utili appunto per la rigenerazione urbana.

Il quadro delineato è sicuramente complesso e vuole stimolare tutti gli attori che in esso intervengono a guardare la cremazione con occhi nuovi per programmare il cambiamento necessario. I crematori entrano nel tessuto urbano come impianto per fornire un servizio essenziale che deve poter essere fisicamente ed economicamente accessibile e con un’attività sostenibile a livello ambientale e nel rispetto della salute.
Non va infatti dimenticato che la cremazione è un processo molto delicato che comprende non solo l’adempimento meramente tecnico di una serie di atti formali e di aspetti operativi, ma anche il rispetto di regole etiche e comportamentali per quello che rappresenta l’ultimo saluto alla persona cara defunta.
E funzione tecnica e funzione sociale non possono essere disgiunte, se si vuole rappresentare il crematorio come un luogo di erogazione di un servizio etico e sociale dove si possono svolgere riti funebri che, grazie alla loro dimensione comunitaria, funzionano come catalizzatori dell’elaborazione del lutto.
Ecco perché è importante investire in politiche di regolamentazione del settore che tengano conto della migliore tecnologia e della opportuna localizzazione degli impianti per rendere accessibile il servizio ai cittadini nel rispetto della salute e della sostenibilità ambientale.


[1] I risultati dei due studi sono riportati all’interno del documento “La cremazione in Italia. La regolamentazione tecnica degli impianti e i risultati di uno studio sulle emissioni in atmosfera” reperibile su www.sefit.org
[2] A. Barazzutti, F. Giust, B. Marchi, G. Nardin, Environmental and energetic performance of crematorium plants, vol. 99 pubblicato online il 30 maggio 2023 www.cetjournal.it
F. Giust, «Il crematorio del futuro: tendenze in atto e misure tecniche per l’efficientamento e l’indipendenza energetica», presentato al convegno «La cremazione in Italia. La regolamentazione tecnica degli impianti e i risultati di uno studio sulle emissioni in atmosfera» del 17 maggio 2024, Roma e pubblicato su www.sefit.org

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Valeria leotta

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