In Germania due Länder, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt, hanno autorizzato la trasformazione delle ceneri dei defunti in diamanti.
Una pratica diffusa in Svizzera da oltre vent’anni, ma che in Germania risultava vietata.
Come vietata lo è in Italia, dove è considerata un crimine, per violazione dell’articolo 411 del Codice penale (reclusione da 6 mesi a 2 anni).
Il processo di diamantizzazione, interamente laboratoriale, parte dall’estrazione del carbonio contenuto nelle ceneri.
Poi lo si sottopone a temperature e pressioni elevate, replicando ciò che avviene in natura.
Il risultato è un piccolo diamante, costoso simbolo personale di memoria.
Non mancano però le polemiche nei due Lander tedeschi innovatori.
L’opposizione politica tedesca, in particolare la Cdu, critica la riforma, temendo un progressivo abbandono dei cimiteri tradizionali.
Forti riserve arrivano anche dalle principali chiese cristiane, cattolica ed evangelica.
Il vescovo di Mainz mette in guardia dal rischio che tali “gioielli del ricordo” possano andare persi o banalizzati nel tempo, privando i resti mortali di dignità e custodia.
Di segno opposto le valutazioni delle imprese funebri tedesche.
La Federazione nazionale (Bdb), che rappresenta circa 5.000 operatori, saluta con favore la novità, spiegando che la domanda da parte delle famiglie è crescente.
Inoltre, si tratta di un servizio a cui possono dar seguito a pagamento.
Per molti – secondo la Bdb – il lutto non si lega più a un luogo fisico come il cimitero, ma ad una presenza simbolica che si può portare con sé.
In Germania circa il 75% delle persone sceglie la cremazione, con un progressivo ridimensionamento dei cimiteri.
Secondo i sociologi, il cambiamento rispecchia una società sempre più mobile, dove le tombe vengono visitate sempre meno e il lutto assume forme più individuali.
Un tema che apre interrogativi anche in Italia sul futuro dei cimiteri: quale equilibrio tra innovazione, libertà di scelta e rispetto della tradizione?
Tratto dalla lettura dell’articolo di Matilde Nardi, pubblicato su www.repubblica.it, riportato anche su www.dagospia.com.
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