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Tar Campania, Sez. VII, 14 maggio 2014, n. 2664
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1771 del 2014, proposto da: Giuseppe De Lucia, rappresentato e difeso dall’avv. Maddalena Scialdone, con domicilio eletto presso Vincenzo Grimaldi in Napoli, via Bracco 15/A;
contro
Comune di Pignataro Maggiore in persona del sindaco p.t.,
rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso Stefano Caserta in Napoli, via del Parco Margherita n. 34;
per l’annullamento
della determina di revoca dell’assegnazione del lotto cimiteriale n.18 ubicato nell’area di ampliamento sud del cimitero comunale di Pignataro Maggiore n. 565 del 24.12.13 notificata al ricorrente in data 7.01.14;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Pignataro Maggiore in persona del sindaco p.t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2014 il dott. Alessandro Pagano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
–Letto il ricorso con il quale si contesta il provvedimento di decadenza dalla assegnazione del lotto cimiteriale (identificato con il numero 18) nel Comune di Pignataro Maggiore;
–Esaminati i tre motivi con i quali si lamenta la violazione di legge (L. nr. 241/1990) e l’eccesso di potere, sotto molteplici profili, concludendo per l’accoglimento;
–Viste le difese della amministrazione che conclude per la reiezione;
–Trattenuta la causa in decisione all’udienza camerale indicata, sussistendo i presupposti per la decisione in forma abbreviata;
1.- Il Tribunale giudica il ricorso infondato.
In data 30.3.1980 il Comune di Pignataro Maggiore ha assegnato alla parte ricorrente un lotto cimiteriale: seguiva il versamento della somma richiesta dall’Ente per la stipula del contratto.
Dopo aver avviato il 3 luglio 2013 la richiesta di costruire una cappella gentilizia, nella successiva data del 24.7.2013 il ricorrente riceveva dal Comune di Pignataro la comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca della concessione del predetto lotto n. 18. Tale determinazione di revoca è motivata con il richiamo alla circostanza che in quell’intervallo temporale il ricorrente “non ha mai chiesto ed ottenuto la concessione edilizia per la costruzione della cappella gentilizia, né mai ha espresso, nonostante il decorso di un lungo lasso di tempo, l’intenzione di regolarizzare il rapporto con il Comune, lasciando scadere i termini assegnati dalla vigente normativa in materia”.
Il provvedimento, ad avviso di questo Tribunale, è legittimo e resiste alle censure articolate: decisivo il richiamo, nel provvedimento gravato, all’art. 72 del regolamento di Polizia mortuaria che sanziona con la decadenza (“pena la decadenza”) la inerzia del concessionario se non presenta “sollecitamente” un progetto ed esegue l’opera “entro 24 mesi dalla data di emissione della concessione (normativa non specificamente impugnata): alla avvenuta concessione con delibera consiliare del 30 marzo 1980 nr. 123 fa ancora riferimento la nota del 21 luglio 1980 (n. 1958) con cui si sollecita il versamento di quanto dovuto e la stipula del relativo contratto.
Deve quindi osservarsi che l’amministrazione ha solo formalizzato un atto dovuto e strettamente vincolato: poiché la situazione in fatto è stata sempre corrispondente alla decadenza in diritto, non ha alcun rilievo la datazione del provvedimento qui gravato (id est il momento storico in cui il Comune ha inteso effettuare la declaratoria).
(Sulla natura della revoca, cfr., la giurisprudenza di questo stesso Tribunale: La decadenza della concessione cimiteriale è un provvedimento di carattere sanzionatorio che costituisce atto dovuto a condizioni date, trattandosi di un atto di natura vincolata in quanto ogni valutazione degli interessi pubblici coinvolti è stata già compiuta ad un livello più alto e generale (normazione primaria e secondaria) di esercizio della discrezionalità; pertanto, compito del funzionario è soltanto quello di accertare la ricorrenza o meno, in concreto, delle condizioni che legittimano e giustificano l’adozione del provvedimento, né sussistono obblighi motivazionalioltre all’indicazione dei presupposti per l’esercizio della revoca e per la declaratoria della decadenza:Tar Campania/Napoli, sez. VII, n. 4570 – 30 settembre 2011).
2.- Tanto premesso, è infondato il primo motivo con il quale si lamenta la illegittimità del provvedimento gravato in quanto non sarebbero stati rispettati i termini di cui all’art. 2 L. 241/1990.
In argomento, si osserva che l’amministrazione ha prima precisato il termine finale e poi ha comunicato la necessità della sua proroga “per motivi d’ufficio” (i quali ben possono, peraltro, collegarsi alla complessità delle questioni in fatto ed in diritto connessa alla gestione del cimitero). Va comunque escluso che il prolungarsi del termine abbia inciso sulla legittimità del provvedimento impugnato, come si desume dalla disciplina articolata nella L. 241/1990 che collega al ritardo il rimedio del risarcimento e non la patologia provvedimentale della illegittimità.
Così si esprime la giurisprudenza: I termini di conclusione del procedimento amministrativo hanno, salvo diversa previsione legislativa, natura ordinatoria e non perentoria; la loro violazione non determina, quindi, di per sé l’illegittimità del provvedimento tardivamente adottato, potendo tale ritardo, al più, venire in rilievo ai fini del risarcimento del danno, come oggi espressamente previsto dall’art. 2 bis l. 241/1990: T. sup. acque, 28 gennaio 2013, n. 12. Il mancato rispetto del termine di trenta giorni, previsto dall’art. 2, 3º comma, l. 7 agosto 1990 n. 241 per la conclusione dei procedimenti amministrativi, non è idoneo ex se a determinare l’illegittimità del provvedimento, trattandosi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento: C. Stato, sez. IV, 8 maggio 2013, n. 2486. Il mancato rispetto del termine di trenta giorni, previsto dall’art. 2, 3º comma, l. 7 agosto 1990 n. 241 per la conclusione dei procedimenti amministrativi, non è idoneo ex se a determinare l’illegittimità del provvedimento, trattandosi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento: C. Stato, sez. IV, 8 maggio 2013, n. 2486.
Con il secondo motivo si assume che, non sussistendo una convenzione regolante il rapporto fra le parti, la amministrazione non avrebbe potuto disporre la revoca impugnata, atteso che, in assenza di formalizzazioni, non sussisteva neanche il potere del Comune di sanzionare eventuali inadempienze.
L’argomento è suggestivo ma inaccoglibile. Ciò che regola la presente vicenda, giova ribadirlo, è la circostanza incontestabile che il Comune con la delibera nr. 123/1980 assegnò il lotto in concessione: è poi trascorso oltre un trentennio in cui la parte privata non ha manifestato alcun interesse in favore di quel “bene della vita” assegnato, lasciando quindi che la sua posizione decadesse per mancato rispetto della disciplina ex art. 72 citato. Ne consegue che la assenza della stipula convenzionale nulla abbia tolto al comportamento del tutto inadempiente del titolare della concessione, ben sanzionato dunque con la revoca.
Proprio il richiamo che il motivo svolge all’art. 92 dal DPR 285/1990 lascia, peraltro e per contro, intendere la necessità imprescindibile della temporalità, cui tutta la normativa si inspira (ed anche, nello specifico, l’art. 72 cit.).
Emerge da quanto esposto altresì l’inequivoca assenza di un legale affidamento tutelabile in capo al ricorrente.
Pari sorte spetta all’ultimo mezzo con il quale si lamenta la disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe. Prescindendo dalla circostanza che tale ineguaglianza non è suffragata da elementi di prova certi, è evidente che l’azione amministrativa nei confronti del ricorrente è legittima: altre scelte amministrative operate dal Comune nei confronti di terzi potrebbero giustificarsi (in tesi) in base a circostanze che qui non sono in discussione (vi accenna la difesa del Comune) ovvero, al limite, essere state illegittimamente disposte: in ogni caso, non possono ridondare a favore dell’attuale istante.
3.- Il ricorso è dunque rigettato e le spese di causa poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo RIGETTA:
CONDANNA la parte ricorrente la pagamento dell’ spese processuali che liquida in complessivi euro 1500,00= oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pagano, Presidente, Estensore
Fabio Donadono, Consigliere
Diana Caminiti, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)