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Tar Campania, Sez. VII, 14 maggio 2014, n. 2663
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1769 del 2014, proposto da: Graziano Diana,
rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Diana, Arcangelo Diana, con domicilio eletto presso Roberto Matarazzo in Napoli, via Toledo, n. 106;
contro
Comune di Pignataro Maggiore in persona del sindaco p.t.,
rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso Stefano Caserta in Napoli, via del Parco Margherita n. 34;
per l’annullamento
della determinazione n. 567/2013 del Comune di Pignataro Maggiore con la quale veniva dichiarata la decadenza dell’assegnazione del lotto cimiteriale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Pignataro Maggiore in persona del sindaco p.t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2014 il dott. Alessandro Pagano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
–Letto il ricorso con il quale si contesta il provvedimento di decadenza dalla assegnazione del lotto cimiteriale (identificato con il numero 2) nel Comune di Pignataro Maggiore;
–Esaminati i quattro motivi con i quali si lamenta la violazione di legge (L. nr. 241/1990) e l’eccesso di potere, sotto molteplici profili, concludendo per l’accoglimento;
–Viste le difese della amministrazione che conclude per la reiezione;
–Trattenuta la causa in decisione all’udienza camerale indicata, sussistendo i presupposti per la decisione in forma abbreviata;
1.- Il Tribunale giudica il ricorso infondato.
In data 30.3.1980 il Comune di Pignataro Maggiore ha concesso alla parte ricorrente un lotto cimiterial: seguiva il versamento della somma richiesta dall’Ente per la stipula della convenzione.
Nella successiva data del 17.7.2013 il Comune di Pignataro ha comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento di revoca della concessione del predetto lotto n. 2. Tale determinazione di revoca è motivata con il richiamo alla circostanza che in quell’intervallo temporale il ricorrente “non ha mai chiesto ed ottenuto la concessione edilizia per la costruzione della cappella gentilizia, né mai ha espresso, nonostante il decorso di un lungo lasso di tempo, l’intenzione di regolarizzare il rapporto con il Comune, lasciando scadere i termini assegnati dalla vigente normativa in materia”.
Il provvedimento, ad avviso di questo Tribunale, è legittimo e resiste alle censure articolate: decisivo il richiamo, nel provvedimento gravato, all’art. 72 del regolamento di Polizia mortuaria che sanziona con la decadenza (“pena la decadenza”) la inerzia del concessionario se non presenta “sollecitamente” un progetto ed esegue l’opera “entro 24 mesi” dalla data di emissione della concessione (normativa regolamentare non specificamente impugnata): alla avvenuta concessione con delibera consiliare del 30 marzo 1980 nr. 123 fa ancora riferimento la nota del 21 luglio 1980 con cui si sollecita il versamento di quanto dovuto e la stipula del relativo contratto.
Deve quindi osservarsi che l’amministrazione ha solo formalizzato un atto dovuto e strettamente vincolato: poiché la situazione in fatto è stata sempre corrispondente alla decadenza in diritto, non ha alcun rilievo la datazione del provvedimento qui gravato (id est il momento storico in cui il Comune ha inteso effettuare la declaratoria).
Sulla natura della revoca -anche per dequotare i profili di “avversione personale” che genericamente si lamentano nel ricorso quali ispiratori della determinazione gravata- si richiama la giurisprudenza di questo stesso Tribunale ove afferma: La decadenza della concessione cimiteriale è un provvedimento di carattere sanzionatorio che costituisce atto dovuto a condizioni date, trattandosi di un atto di natura vincolata in quanto ogni valutazione degli interessi pubblici coinvolti è stata già compiuta ad un livello più alto e generale (normazione primaria e secondaria) di esercizio della discrezionalità; pertanto, compito del funzionario è soltanto quello di accertare la ricorrenza o meno, in concreto, delle condizioni che legittimano e giustificano l’adozione del provvedimento, né sussistono obblighi motivazionali oltre all’indicazione dei presupposti per l’esercizio della revoca e per la declaratoria della decadenza (Tar Campania/Napoli, sez. VII, n. 4570 – 30 settembre 2011).
Non è fuori di luogo, inoltre, evidenziare che l’atto impugnato è conforme al principio generale della temporalizzazione dell’azione amministrativa sicchè il trascorrere di un pluridecennale periodo non può che comportare la vanificazione della posizione concessa e non coltivata: inerzia che esclude in re ipsa la configurabilità di qualsivoglia affidamento tutelabile.
2.- Su tale base, è infondato il primo motivo con il quale si lamenta la illegittimità del provvedimento gravato in quanto non sarebbero stati rispettati i termini di cui all’art. 2 L. 241/1990. Sul punto va rilevato che l’amministrazione ha prima precisato il termine finale e poi ha comunicato la necessità della sua proroga “per motivi d’ufficio” (i quali ben possono, peraltro, collegarsi alla complessità delle questioni in fatto ed in diritto connessa alla gestione del cimitero). Va comunque escluso che il prolungarsi del termine abbia inciso sulla legittimità del provvedimento impugnato, come si desume dalla disciplina articolata nella L. 241/1990 che assegna al ritardo il rimedio del risarcimento e non della illegittimità attizia.
Così si esprime la giurisprudenza: I termini di conclusione del procedimento amministrativo hanno, salvo diversa previsione legislativa, natura ordinatoria e non perentoria; la loro violazione non determina, quindi, di per sé l’illegittimità del provvedimento tardivamente adottato, potendo tale ritardo, al più, venire in rilievo ai fini del risarcimento del danno, come oggi espressamente previsto dall’art. 2 bis l. 241/1990: T. sup. acque, 28 gennaio 2013, n. 12. Il mancato rispetto del termine di trenta giorni, previsto dall’art. 2, 3º comma, l. 7 agosto 1990 n. 241 per la conclusione dei procedimenti amministrativi, non è idoneo ex se a determinare l’illegittimità del provvedimento, trattandosi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento: C. Stato, sez. IV, 8 maggio 2013, n. 2486. Il mancato rispetto del termine di trenta giorni, previsto dall’art. 2, 3º comma, l. 7 agosto 1990 n. 241 per la conclusione dei procedimenti amministrativi, non è idoneo ex se a determinare l’illegittimità del provvedimento, trattandosi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento: C. Stato, sez. IV, 8 maggio 2013, n. 2486.
Con il secondo motivo si assume la contraddittorietà della revoca con la determinazione del Comune di prevedere, nel bando ampliativo del 2011, che coloro i quali fossero già assegnatari di lotti per cappelle gentilizie, non potessero rendersi assegnatari di ulteriori: con la conseguenza -secondo il ricorrente- che tale divieto “implicitamente consolidava le pregresse posizioni di soggetti quali l’attuale ricorrente”.
Il motivo non merita accoglimento. Già sul piano della logica è evidente che la clausola di salvaguardia da un doppio acquisto era tesa, in via principale, a creare condizioni di non discriminazione, escludendo la possibilità che soggetti già beneficiati venissero nuovamente resi assegnatari: ne consegue che trattasi di ragionevole applicazione di un criterio generale che non “consolida” alcuna posizione pregressa.
Con il terzo mezzo si assume la lesione del legittimo affidamento che si sarebbe istaurata fra amministrazione e assegnatario.
La censura non può essere accolta. E’ intuitivo, come sopra già accennato, che l’abnorme tempo trascorso ha escluso qualsiasi correlazione fra iniziale e risalente concessione e successivi provvedimenti di doverosa decadenza e riassegnazione.
Pari sorte spetta all’ultimo mezzo con il quale si lamenta la disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe. Prescindendo dalla circostanza che tale ineguaglianza non è suffragata da elementi di prova certi, è evidente che l’azione amministrativa nei confronti del ricorrente è legittima: altre scelte amministrative operate dal Comune rispetto a soggetti diversi potrebbero giustificarsi (in tesi) in base a circostanze che qui non sono in discussione ovvero, al limite, essere state illegittimamente disposte: in ogni caso, non possono ridondare a favore dell’attuale istante.
3.- Il ricorso è dunque rigettato e le spese di causa poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo RIGETTA.
CONDANNA la parte ricorrente, in favore della amministrazione resistente, al pagamento delle spese di causa che liquida in euro 1500,00= oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pagano, Presidente, Estensore
Fabio Donadono, Consigliere
Diana Caminiti, Primo Referendario
IL PRESIDENTE,
ESTENSORE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)