TAR Lombardia, Sez. II, 6 dicembre 2002, n. 5093

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Art 19 Legge n. 109/1994

Testo completo:
TAR Lombardia, Sez. II, 6 dicembre 2002, n. 5093
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Seconda Sezione, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1853/02, e connessi motivi aggiunti, proposto da Legambiente Lombardia, in persona del legale rappresentante p.t., da Polis Onlus, in persona del legale rappresentante p.t., da Nuova Milano Libri S.r.l., in persona del consigliere delegato, da Basilio Rizzo e da Luciano Damiani, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Stefano Nespor e Ada Lucia De Cesaris, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Milano, via Fogazzaro, n. 8
CONTRO
– il comune di Milano, in persona del sindaco p.t., costituito in giudizio, rapresentato e difeso dagli avv.ti Augusto Colucci, Maria Rita Surano e Maria Rosa Sala, elettivamente domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura comunale in Milano, via della Guastalla, n. 8
– il Teatro Alla Scala, in persona del legale rappresentante p. l, costituito in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vittorio D. Gesmundo, Paolo Golini e Claudio Santandrea, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Milano, c. so Plebisciti, n. 15
– il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro p.t., costituito in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliato presso gli uffici della stessa in Milano, via Freguglia, n. 1
– il Consorzio Cooperative di Costruzioni, in persona del legale rappresentante p.t., costituito in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe; Giuffrè e Luigi Colombo, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Milano, via Cornaggia, n. 10
PER L’ANNULLAMENTO
previa sospensione:
– della delibera di Giunta comunale P.G. 784. 070/2001, n. 695/2001 del 16 marzo 2001, avente ad oggetto “Grande Scala 2001 – Approvazione del progetto definitivo e della relativa spesa di £. 108.000.000.000″ (c.d. progetto Parmeggiani”) e della deliberazione (se esistente) della Giunta comunale con la quale è stato approvato il progetto Botta; del parere del Comitato di settore del Ministero per i beni ambientali ed architettonici formulato il 19 febbraio 2002; del parere della Sovrintendenza regionale n. 4953-5 del 12 marzo 2002; degli atti presupposti, connessi e consequenziali (ricorso principale);
– dell’atto della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Milano n. 8715 del 20 maggio 2002; dei pareri del Comitato di settore presso il Ministero per i beni e le attività culturali in data 19 giugno 2001 e 6 agosto 2001; del parere del medesimo Comitato di settore in data 21 marzo 2002 (motivi aggiunti notificati il12 luglio 2002);
– dell’atto della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Milano n. 8715 del 20 maggio 2002; dei pareri del Comitato di settore del Ministero per i beni e le attività culturali in data 31 luglio 2001 e 21 marzo 2002; della nota del 2 maggio 2002 con la quale la Direzione per i beni architettonici e il paesaggio del ministero per i beni e le attività culturali ha trasmesso il parere del Comitato di settore 21 marzo 2002; della nota 7 marzo 2002 del responsabile del procedimento del comune di Milano -Direzione centrale tecnica, settore edilizia per la cultura, al Consorzio Cooperative Costruzioni, di approvazione della proposta progettuale presentata (motivi aggiunti notificati il 29 luglio 2002).
Visto il ricorso n. 1853/02 ed i connessi motivi aggiunti;
visti gli atti di costituzione in giudizio degli intimati;
vista le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie argomentazioni;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, nel corso della pubblica udienza del 23 ottobre 2002, relatore la dr.ssa Anna Bottiglieri, gli avv.ti Nespor e De Cesaris per i ricorrenti, gli avv.ti Surano e Sala per il Comune, l’avv. Golini per la Scala, l’avv. Provenzali per il Ministero e l’avv. Massucci, in delega, per il Consorzio Cooperative di Costruzioni;
ritenuto in fatto e considerato in diritto.
FATTO
Nell’atto introduttivo del giudizio in esame, notificato al Comune di Milano, al Teatro alla Scala ed al Ministero per i beni e le attività culturali in data 7 giugno 2002 (depositato il 14 giugno 2002) ed al Consorzio Cooperative Costruzioni il successivo 24 giugno (depositato il 28 giugno 2002), i ricorrenti contestavano la legittimità della realizzazione dei lavori di ristrutturazione previsti nel progetto definito “Grande Scala 2001” -il quale concerne anche lavori di restauro, nei confronti dei quali non vengono sollevate censure -approvato dalla Giunta comunale di Milano con delibera n; 695 del 16 marzo 2001, il cui affidamento è stato oggetto di procedura concorsuale ex art. 21 L. n. 109 del 1994, con lo strumento dell’appalto integrato, comprendente sia la progettazione esecutiva sia l’esecuzione dei lavori, ai sensi dell’art. 19 della medesima legge, conclusasi con l’aggiudicazione al Consorzio Cooperative Costruzioni.
I ricorrenti esponevano in proposito che i lavori di ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano di cui al progetto approvato (progetto Parmeggiani), consistenti in interventi volti alla ottimizzazione e razionalizzazione degli spazi del palcoscenico e dei relativi servizi, mediante la demolizione dei corpi retrostanti il sipario, ovvero dei volumi palcoscenico, retropalco, piccola scala e corpo prospiciente il cortile interno, e la realizzazione di strutture in elevazione per la realizzazione della nuova torre scenica, risultavano, all’atto dell’affidamento, privi dell’autorizzazione della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Milano, necessaria in quanto il Teatro alla Scala è gravato da vincolo ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1089 del 1939.
Quest’ultima, cui il progetto era stato inviato nel febbraio 2001 dall’amministrazione comunale, aveva approvato, con atto in data 17 aprile 2001, n. 2894, gli interventi di restauro, mentre, per quelli di ristrutturazione, aveva richiesto, il 24 aprile successivo, un parere al Ministero per i beni e le attività culturali, esponendo considerazioni critiche sul progetto, incentrate sul rilevante cambiamento dell’immagine architettonica esterna dell’edificio, tali da far ipotizzare la necessità di modifiche significative del progetto di ristrutturazione, su cui il Ministero successivamente concordava.
Il Comitato di settore per i beni ambientali ed architettonici, organo consultivo dello stesso, cui era stata commessa l’espressione del richiesto parere, riteneva, infatti, in data 19 giugno 2001, che il riordino dei volumi ed il loro eventuale aumento dovesse formare oggetto di nuova progettazione.
Detta progettazione, realizzata dall’architetto dell’impresa affidataria (progetto Botta) formava quindi oggetto di parere favorevole del Comitato di settore, espresso in data 21 marzo 2002 e successivamente trasmesso alla Soprintendenza ed al comune di Milano.
Rilevando la mancanza dell’assenso dell’organo preposto alla tutela dei beni vincolati sul progetto approvato dal Comune, e la dubbia natura del parere emesso dal Comitato di settore, i ricorrenti formulavano numerose censure.
In particolare, nell’ipotesi in cui al parere del Comitato possa essere riconosciuta natura autorizzatoria:
1) nullità/inesistenza del parere per inesistenza dell’organo, in quanto il D.P.R. 6 luglio 2001, n. 307 avrebbe sostituito i comitati di settore con altri organi consultivi;
2) incompetenza del Comitato -violazione dell’art. 10, comma 5 del D.P.R. n. 307 del 2001, poiché l’autorizzazione avrebbe dovuto essere rilasciata dal Consiglio per i beni culturali ed ambientali;
3) eccesso di potere per usurpazione di competenze e sviamento, in quanto, in ogni caso, il provvedimento abilitativo sarebbe di esclusiva competenza della Soprintendenza (o dell’amministrazione centrale), che aveva valutato e proposto una riduzione della dimensione dell’originario intervento, che non si riscontrerebbe nel progetto favorevolmente valutato, nel quale, anzi, la volumetria sarebbe ulteriormente aumentata;
4) eccesso di potere e straripamento dai limiti del potere consultivo, poiché risulterebbero sconvolti i principi in materia di rapporto tra progetto approvato e progetto esecutivo, il quale ultimo, sia in via generale, sia alla luce del contratto d’appalto stipulato, non potrebbe apportare variazioni al primo;
5) eccesso di potere per sviamento -illogicità manifesta, in quanto il parere favorevole avrebbe riguardato un nuovo progetto (quello Botta), non approvato, né sottoposto ai necessari pareri ed alla procedura concorsuale, atti tutti che hanno riguardato il diverso progetto Parmeggiani, del quale non costituirebbe progettazione esecutiva;
6) violazione del vincolo, in quanto gli atti e i pareri intervenuti non darebbero contezza della compatibilità dell’intervento favorevolmente valutato con il vincolo gravante sul complesso architettonico-monumentale;
7) illegittimità del progetto per violazione dell’art. 31 della legge n. 457 del 1978, poiché non si tratterebbe di ristrutturazione, considerata la insussistenza dell’elemento della fedeltà dell’intervento all’edificio preesistente;
8) eccesso di potere per sviamento, illogicità e travisamento dei fatti, in quanto oggetto dell’approvazione di Giunta sarebbe stata esclusivamente la relazione, scevra degli allegati progettuali.
Nell’ipotesi, invece, in cui al parere del Comitato sia riconosciuta natura consultiva, si esponeva:
9) che nessuno dei due progetti sarebbe fornito di autorizzazione, con l’effetto di attuale inefficacia dell’approvazione da parte della Giunta comunale.
Con ordinanza istruttoria n. 332 del 24 giugno 2002, su istanza dei ricorrenti, la Sezione ordinava alla Soprintendenza di Milano la produzione in giudizio dell’atto 12. gennaio 1967, con il quale è stato imposto il vincolo al Teatro alla Scala, ed il progetto Botta, incombenti soddisfatti in data 4 e 9 luglio 2002.
Con motivi aggiunti, notificati il 12 luglio ai precedenti intimati, ritualmente depositati, i ricorrenti, acquisita conoscenza di ulteriore documentazione, sia all’esito della produzione documentale di controparte, sia all’esito dell’istruttoria giudiziale, presentavano ulteriori censure.
Con ulteriore atto, notificato a tutti i precedenti intimati il 29 luglio 2002, ritualmente depositato, in seguito ad eccezione formulata in relazione ai precedenti motivi aggiunti dalla difesa comunale (inammissibilità per difetto di idoneo mandato) non che alle produzioni documentali delle controparti effettuate nel frattempo, i ricorrenti presentavano nuovi motivi aggiunti, di seguito descritti, in sostituzione dichiarata dei precedenti.
1) Violazione ed errata interpretazione dell’art. 17 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 – eccesso di potere per sviamento, illegittima avocazione e travisamento.
Data la natura esclusivamente consultiva, e non vincolante, dei pareri emessi dal Comitato, essi non potrebbero mai sostituire le valutazioni di competenza dell’amministrazione attiva; esaurita la attività consultiva, la Soprintendenza avrebbe pertanto dovuto svolgere le proprie funzioni in materia, non avocabili ne delegabili nei confronti del Ministero.
2) Violazione dell’art. 9 Cost., dell’art. 21 T.V. n. 490 del 1999 e del decreto di vincolo – eccesso di potere per sviamento.
Né l’atto della Soprintendenza né la nota di trasmissione del parere favorevole del Comitato da parte del Ministero costituirebbero un provvedimento autorizzatorio, il quale non potrebbe, comunque, neanche essere ipotizzato esistente, seppur munito di motivazione per relationem, considerata l’assenza, nella fattispecie, di qualsivoglia espressione da parte dell’organo amministrativo di scelta discrezionale, poiché la Soprintendenza si sarebbe ritenuta erroneamente vincolata al parere, e concernendo quest’ultimo non la compatibilità dell’intervento rispetto al vincolo, ma solo la qualità del progetto Botta e la sua adeguatezza alle esigenze di funzionalità del Teatro. Comportando la realizzazione del progetto la demolizione di parti dell’immobile oggetto di vincolo, l’autorizzazione avrebbe inoltre dovuto sopprimerlo, ridurlo o delimitarlo.
3) Violazione dell’art. 9 Cost. e del decreto di vincolo – omesso esercizio del potere autorizzatorio -eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione.
In ogni caso, l’eventuale autorizzazione rilasciata mediante gli atti impugnati sarebbe intervenuta in manifesta violazione della vigente disciplina di tutela del bene, come interpretata dalla stessa Soprintendenza, considerato che le medesime considerazioni critiche espresse in riferimento al progetto Parmeggiani varrebbero per il progetto Botta, il quale, inoltre, non potrebbe in ogni caso essere autorizzato, considerato che esso è stato qualificato progetto esecutivo di un progetto non autorizzato.
4) Violazione dell’art. 4, comma 16 del d.L. 5 ottobre 1993, n. 398 convertito dalla legge 4 dicembre 1993, n. 49.
Il progetto Botta sarebbe in realtà un progetto di massima, privo di connessione con il progetto Parmeggiani, e che non ha mai formato oggetto di approvazione.
La realizzazione delle relative opere sarebbe pertanto priva di titolo abilitativo.
5) Incompetenza, eccesso di potere per straripamento, contraddittorietà per travisamento dei fatti.
Il provvedimento del Comune del 7 marzo 2002, Direzione centrale tecnica, settore edilizia per la cultura, servizio edilizia teatri e biblioteche, con il quale si comunica al Consorzio l’approvazione del progetto esecutivo e l’approvazione del progetto Botta, definito “proposta progettuale”, oltre a confermare la tesi dei ricorrenti sulla qualificazione di quest’ultimo, sarebbe illegittimo per incompetenza ed per violazione dell’approvazione della Giunta, che ha riguardato un progetto diverso, rispetto al quale esso comporterebbe anche un aumento di spesa.
si costituivano in giudizio il comune di Milano, il Teatro alla Scala, il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed il Consorzio Cooperative Costruzioni, contestando nel merito la fondatezza del ricorso e sollevando alcune. questioni pregiudiziali.
In particolare, venivano eccepite la inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva di tutti ricorrenti e la tardività (da parte dell’amministrazione comunale), il difetto di legittimazione, la carenza di interesse di tutti i ricorrenti, la improcedibilità della domanda cautelare per mancata notifica dell’atto introduttivo al controinteressato Consorzio e la tardività del ricorso (da parte del Teatro alla Scala), il difetto di legittimazione attiva di tutti i ricorrenti (da parte del Ministero), la tardività ed il difetto di legittimazione attiva di tutti i ricorrenti (da parte dell’impresa affidataria).
Veniva altresì eccepita da parte comunale e dal Teatro alla Scala la inammissibilità dei motivi aggiunti notificati il 12 luglio 2002, proposti in difetto di specifico mandato al difensore, con l’eccezione della delega del Damiani, riferita anche alla eventuale proposizione di motivi aggiunti.
Il resistente Teatro formula altresì nei confronti dei motivi aggiunti le ulteriori censure di. omessa notificazione all’autorità emanante e ai controinteressati, essendo essa stata effettuata solo presso i difensori, e di tardività.
La causa veniva discussa all’udienza del 23 ottobre 2002 e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso in esame verte sulla legittimità dei lavori, attualmente in corso sulla base del progetto Botta, di ristrutturazione del complesso immobiliare costituito dal Teatro alla Scala, vincolato ai sensi dell’art. 1 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, abrogata dall’art. 166, comma 1 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352”, in riferimento ai quali si dubita sia intervenuta l’approvazione ad opera della Giunta comunale di Milano e l’autorizzazione della Soprintendenza.
2. Tutti i resistenti hanno sollevato eccezione in merito alla legittimazione ad agire nei confronti di tutti i ricorrenti.
poiché nel caso in cui un ricorso giurisdizionale sia proposto da più persone, e solo alcune di queste comprovino la loro legittimazione a ricorrere, il giudice amministrativo non può limitarsi ad indicare il criterio sulla base del quale vanno individuati i soggetti da considerare legittimati all’impugnativa, ma deve indicare nominativamente i soggetti che considera legittimati, indicando distintamente coloro la cui impugnazione va dichiarata inammissibile (C.d.S., V, 4 novembre 1994, n. 1257), la posizione dei ricorrenti va partitamente considerata.
3. Premesso che, per tradizionale insegnamento, i presupposti legittimanti l’azione giurisdizionale amministrativa sono sinteticamente individuabili nella posizione differenziata del ricorrente rispetto agli altri consociati (ovvero nella sussistenza di un suo specifico e diretto interesse di carattere sostanziale), nel pregiudizio concretamente subito ad opera degli atti di cui si domanda in via giudiziale l’annullamento (ossia la concreta lesione dell’interesse) e nel vantaggio sperato dall’accoglimento del ricorso, il Collegio ritiene fondata l’eccezione con riferimento ai ricorrenti persone fisiche Basilio Rizzo e Luciano Damiani.
3.1. Quanto al primo di essi, non è stato fornito alcun elemento inerente la titolarità di un interesse personale differenziato in relazione agli impugnati provvedimenti, rispetto a quello della generalità dei consociati, ovvero l’esistenza di una lesione alla sfera patrimoniale, o anche semplicemente morale, ad opera degli atti impugnati.
Né può ritenersi a tal fine utile la enunciazione della qualità di consigliere comunale del comune di Milano, attivo nella difesa di valori artistici, culturali ed architettonici, poiché dalla posizione rivestita non emerge il concreto pregiudizio personale arrecato dagli atti in contestazione all’ufficio esercitato dal medesimo, con conseguente vantaggio giuridicamente rilevante alla loro rimozione.
Dagli atti di causa e da quanto riferito dalla resistente amministrazione risulta infatti che il Consiglio Comunale di Milano ha esercitato nella materia sottoposta a giudizio le attribuzioni di cui all’art. 42, comma 1, lett. b) del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e dell’art. 36 del vigente statuto comunale, approvando, con deliberazione n. 24 del 6 marzo 2001, il programma triennale delle opere pubbliche di cui all’art. 14 della legge Il febbraio 1994, n. 109, comprendente il progetto Grande Scala 2001, e l’elenco annuale dei lavori pubblici per una spesa pari a 108 miliardi di lire, nell’ambito del quale risulta intervenuta la determinazione della Giunta comunale di approvazione del progetto in questione, competente ai sensi dell’art. 48 del citato decreto n. 267 del 2000 e dell’art. 43 dello statuto.
Considerata la natura di atto fondamentale del programma triennale, risulta inconferente, pertanto, il richiamo del ricorrente all’art. 42, comma 1, lett. l), che attribuisce al Consiglio comunale la competenza in materia di appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del Consiglio (C.d.S., IV, 24 febbraio 2000, n. 1018 e 4 febbraio 1999, n. 110).
Non si ravvisa, pertanto, in capo al Rizzo, una lesione specifica del ius ad officium di consigliere comunale.
E nemmeno può sostenersi che l’avere titolo ad intervenire nel procedimento di formazione di un atto costituisca un parametro di differenziazione sufficiente per essere legittimati ad impugnarlo; non interferiscono, infatti, tra loro la, disciplina del contraddittorio procedimentale e di quello processuale (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 17 febbraio 1999, n. 95).
Il ricorrente in questione non risulta conseguentemente occupare una posizione dissimile da quella di ogni cittadino del Comune che reputi non conformi a legge o, comunque illegittimi gli atti medesimi, ma senza che per questo si possa trarre, dall’eventuale accoglimento del ricorso, alcuna utilità diversa da quella del ripristino della legalità asseritamente violata (T.A.R. Sicilia, 30 marzo 1998, n. 541), finalità che non è tutelata dal potere di proposizione del giudizio amministrativo, il quale, come è ben noto, non è nel nostro ordinamento un rimedio di carattere generale per il perseguimento dell’interesse oggettivo alla legittimità dell’azione amministrativa.
3.2. Considerazioni analoghe valgono per il sig. Damiani, nei confronti del quale il ricorso non dà contezza di alcuna concreta e diretta lesione apportata dagli atti in esame alla sfera giuridicamente tutelata del medesimo, ne in qualità di soggetto dell’ordinamento; ne in qualità di scenografo.
E la tutela giurisdizionale amministrativa deve essere rivolta non alla difesa dell’interesse oggettivo alla legittimità degli atti amministrativi, bensì alla tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti che dall’azione amministrativa illegittima abbiano subito una lesione diretta, immediata ed attuale; pertanto, il ricorrente è tenuto a dimostrare la titolarità dell’interesse legittimo leso, individuando così una posizione differenziata rispetto al bene giuridico oggetto dell’invocata tutela giurisdizionale, restando escluse dalla tutela medesima tutte quelle situazioni in cui viene a mancare la dimostrazione della lesione di un interesse individuale, ovvero della pertinenza esclusiva di tale interesse alla sfera giuridica del soggetto istante (T.A.R. Piemonte, II, 15 gennaio 1996, n. 26).
3.3. Resta, per completezza, da escludere che i due predetti ricorrenti uti singuli possano essere riconosciuti titolari dell’azione giudiziale quali portatori di un interesse protetto alla corretta gestione pubblica degli interventi interessanti il patrimonio storico ed artistico nazionale, considerato che per verificarsi tale ipotesi, che si colloca al di fuori delle azioni popolari tassativamente previste dalla legge, occorre comunque, come è stato chiarito con riferimento agli interessi ambientali, che esso non si atteggi come un interesse astratto, o di mero fatto, ma che si qualifichi in ogni caso come differenziato da quello della collettività, in relazione all’oggetto della tutela ovvero al rapporto del singolo con il bene (C.d.S., A.P., 19 ottobre 1979, n. 24).
Del che non vi è elemento nelle posizioni in esame.
Il ricorso presentato dai predetti soggetti va pertanto dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione ad agire.
4. Ad opposta conclusione il Collegio perviene, invece, nei confronti di Legambiente Lombardia, organo decentrato della associazione Legambiente.
Militano in tale direzione le seguenti considerazioni.
L’associazione Legambiente risulta inserita nel decreto del Ministro dell’ambiente 20 febbraio 1987, che individua le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale, legittimate, ai sensi dell’art. 18, comma 5 della legge 8 luglio 1986, n. 349, a ricorrere in sede amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.
È noto al Collegio che il favore legislativo desumibile dalla disposizione citata per la legittimazione ad agire in giudizio delle associazioni costituite per la tutela dell’ambiente non può essere considerato in termini assoluti, come chiarito dalla successiva giurisprudenza intervenuta in materia.
Due sono particolarmente le questioni che si pongono a riguardo, e che sono state prontamente sollevate dalle difese delle parti resistenti, ed in special modo da quella del Comune, che il Collegio deve affrontare.
4.1 La prima, di carattere oggettivo, concerne il limite intrinseco di tale favorevole disposizione, destinata ad operare nell’ambito circoscritto al concetto giuridico -e non etimologico -di ambiente, il quale, è stato ritenuto, ripudiando una lettura pan-ambientalistica a favore di un solido ancoramento al dato positivo, non abbraccia ogni bene che possa essere individuato come “ambiente” sotto il profilo sociale o sia comunque connesso a qualsiasi delimitazione di spazio destinato alla permanenza degli uomini (C.d.S., IV, 29 settembre 1999, n. 223; TAR Marche, 29 settembre 1999, n. 917) ma è riferibile esclusivamente alla tutela di interessi tipicamente naturalistici, connessi, cioè, alla salvaguardia della salute umana e delle condizioni di salubrità del contesto materiale, valori di rango più che primario, oggetto del dettato costituzionale dell’art. 32, primo comma.
Individuato, in senso restrittivo il concetto di ambiente, la legittimazione delle associazioni di cui al combinato disposto degli artt. 3 e 18 della legge n. 349 del 1986 a ricorrere in sede giurisdizionale amministrativa è stata riconosciuta sussistente limitatamente a detto ambito, con pronunce sia di primo grado (ex plurimis, TAR Lombardia, I, 21 marzo 1989, n. 124 e 17 gennaio 1990, n. 15; TAR Lombardia, sez. Brescia, 15 gennaio 1993, n. 10) sia del Giudice d’appello (C.d.S., IV, 13 marzo 1991, n. 181 e 28 febbraio 1992, n. 223; C.d.S., V, 10 marzo 1998, n. 278).
In particolare, la citata giurisprudenza ha ritenuto che il riconoscimento legale della legittimazione non abiliti le associazioni ambientalistiche a ricorrere avverso gli atti destinati ad esplicare efficacia in ambiti adiacenti ma funzionalmente estranei all’ambiente come sopra delimitato.
È stata pertanto esclusa la legittimazione a ricorrere avverso atti aventi valenza esclusivamente urbanistica (C.d.S., IV, 28 febbraio 1992, n. 223) anche se destinati ad avere effetti in zona archeologica (TAR Lombardia, I, 17 gennaio 1990, n. 15), avverso provvedimenti in materia di vincoli artistici, storici ed archeologici (TAR Lombardia, I, 21 marzo 1989, n. 124), anche se è stato ritenuto, sotto altro profilo, che le medesime associazioni possano proporre censure non solo attinenti alla violazione delle norme date a protezione dell’ambiente, ma anche perseguenti interessi pubblici diversi, strumentalmente atte a comportare l’annullamento del provvedimento impugnato (C.d.S., IV, 13 marzo 1991, n. 181) e che sia ammissibile il ricorso anche in difetto di allegazione di un danno ambientale specifico (C.d.S., VI, 16 luglio 1990, n. 728).
L’efficacia dirimente del consolidato indirizzo appena citato, invocata dalle resistenti, considerato che il ricorso in esame non attiene a problematiche strettamente ambientali, non può peraltro essere riconosciuta operante nella fattispecie in esame.
La citata giurisprudenza, ad avviso del Collegio, non può infatti non essere coordinata con altre pronunce che hanno riguardato il medesimo argomento.
Si fa riferimento, in particolare, a quelle sentenze che, superando. la prima interpretazione rigorosamente formalistica della disposizione abilitativa intervenuta all’indomani della legge -inclusione delle associazioni nell’atto di individuazione del Ministero dell’ambiente quale condicio iuris della legittimazione, con esclusione di potere concorrente del giudice amministrativo (C.d.S., VI, 16 luglio 1990, n. 728) – sono pervenute alla conclusione che nel nostro ordinamento sussiste un duplice sistema di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni in questione, nel senso che il potere di individuazione ministeriale conferito dall’art. 13 della legge n. 349 del 1986 non esclude il potere del giudice di applicare direttamente la norma dell’art. 18, accertando, caso per caso, la sussistenza della legittimazione in capo ad una determinata associazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi ambientali (TAR Veneto, 4 giugno 1998, n. 858 e 12 agosto 1998, n. 1414; C.d.S., VI, 7 febbraio 1996, n. 182).
Pur riconoscendo che l’apertura del sistema realizzata mediante il riconoscimento della diretta operatività dell’art. 18 non ha influito sulla definizione dell’oggetto della tutela, restando l’interesse ambientale circoscritto nei termini sopradescritti, il Collegio ritiene che essa abbia comunque messo in luce il dovere di effettuare un esame caso per caso della fattispecie concretamente sottoposta a giudizio anche con riferimento ad esso.
Infatti, se si pervenisse sic et simpliciter alla conclusione che il carattere ambientalistico di un associazione, riconosciuta in via giudiziale o amministrativa ai sensi e per gli effetti del citato art. 13, escluda, di per se, la sussistenza in capo allo stessa della legittimazione ad agire avverso provvedimenti incidenti su interessi di natura diversa da quelli ambientali strettamente considerati, risulterebbe automaticamente recessiva ogni valutazione giudiziale attinente l’esistenza di un eventuale concreto collegamento delle suddette formazioni sociali con i restanti beni della vita oggetto dell’azione amministrativa, con l’effetto di svilire la funzione strutturale generale del concetto di localizzazione dell’interesse specifico dei componenti di una data collettività, che pure, ancor prima della legge n. 349 del 1986, era stato ritenuto, dalla citata sentenza C.d.S., A.P., 19 ottobre 1979, n. 24, elemento cardine nella verifica della sussistenza in capo alle associazioni della funzione esponenziale di interessi concreti e diretti della collettività stessa, ovvero, in altri termini, di presupposto fattuale e giuridico della legittimazione al ricorso di una formazione sociale.
Il Collegio ritiene, pertanto, che debba ritenersi esclusa l’operatività di ogni automatismo e che l’indagine sull’esistenza delle condizioni dell’azione debba e possa essere sempre effettuata caso per caso, non solo con riferimento all’accertamento della includibilità delle associazioni ricorrenti nel novero dell’art. 13 della legge n. 349 dell986, ma anche in relazione alla individuazione dell’ambito in cui riconoscere la tutela giudiziale, seppur con la prudenza richiesta dalla necessità di non creare spazi alla giustiziabilità di interessi non motivati con solidi e concreti riferimenti alla realtà sostanziale sottostante.
Non appare superfluo rilevare, sul punto, che C.d.S., VI, 3 giugno 2002, n. 3080, ha riconosciuto alla Lega per l’abolizione della caccia la natura di associazione ambientalistica, ai sensi e per gli effetti del più volte citato art. 13, non ritenendo ostativa la considerazione che la sua precipua finalità, cui peraltro si affiancano altre ambientalisticamente significative, è scarsamente rilevante nella tutela dell’ambiente.
4.1.1 Tutto ciò premesso, la verifica in concreto della funzione esponenziale dell’associazione ricorrente in relazione ai beni di valenza storica e culturale ha esito positivo.
Lo statuto nazionale di Legambiente, approvato nel dicembre 1999, di cui la ricorrente costituisce un organo decentrato, è un’associazione che annovera tra gli scopi sociali la tutela del patrimonio storico, artistico e culturale (art. 1), operando sui temi della conoscenza anche per promuovere la diffusione della cultura (art. 2), nel cui ambito si propone la divulgazione di materiale culturale, la gestione di attività culturali negli enti locali, la organizzazione di campi di lavoro per il risanamento di strutture urbane e la gestione di aree, si ti e zone di importanza storico culturale e delle relative strutture (art. 3).
Legambiente Lombardia, il cui statuto è informato espressamente ai principi dello statuto dell’associazione nazionale, ha prodotto in giudizio idonea documentazione a dimostrazione della concreta attività svolta sul territorio nazionale ed in Milano in relazione al patrimonio artistico, mediante campagne divulgative denominate “Salvalarte”, in relazione alle quali è intervenuto un giudizio istituzionale di meritevolezza, essendo state riconosciute dalla regione Lombardia pubbliche contribuzioni, in data 7 agosto 2000 e in data 10 settembre 2001, ai sensi della legge regionale n. 50 del 1986.
Ad avviso del Collegio, i suesposti elementi indicano l’esistenza di uno stabile, concreto e diretto collegamento tra la ricorrente ed il patrimonio storico e culturale della regione, che qualifica e differenzia l’interesse sostanziale della medesima alla verifica innanzi al giudice amministrativo della legittimità dei provvedimenti incidenti su uno di essi, di riconosciuta valenza rappresentativa della comunità locale, ed alla rimozione di quelli eventualmente riconosciuti lesivi, all’esito del giudizio, dell’integrità del patrimonio in questione.
4.2 L’eccezione delle parti resistenti è anche incentrata, sotto il profilo soggettivo, sulla circostanza che l’associazione nazionale sarebbe l’unica legittimata ad agire in giudizio.
Il Collegio, non aderendo a tale argomentazione, osserva in primo luogo che la legittimazione attiva, nella fattispecie in esame, per i motivi suesposti, va riconosciuta sussistente direttamente in capo a Legambiente Lombardia.
In ogni caso, lo statuto dell’associazione nazionale sopracitato, approvato nel dicembre 1999, attribuisce la rappresentanza legale dell’associazione al presidente nazionale ed ai presidenti regionali (art. 24). Sulla medesima previsione, in relazione ad altra associazione, C.d.S., VI, 17 marzo 2000, n. 1414.
Tutte le eccezioni relative alla carenza di legittimazione ad agire ed alla carenza di interesse ad agire di Legambiente Lombardia vanno conseguentemente rigettate.
5. Quanto a Polis Onlus, il Collegio non rileva alcun elemento idoneo ad individuare in capo a tale associazione un interesse concreto e diretto a denunziare l’illegittimità degli impugnati provvedimenti, non reputando sufficiente, al fine di dimostrare un qualificato collegamento con gli interessi incisi dai provvedimenti in questione, la documentazione versata in atti, di natura fiscale, da cui possono essere tratti elementi inerenti esclusivamente l’esistenza di siffatta associazione ed il generico oggetto del settore di attività (tutela e valorizzazione dell’ambiente; promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico).
Anche in. accoglimento delle eccezioni resistenti, va pertanto negata la legittimazione ad agire della Polis Onlus.
6. Quanto, invece, alla Nuova Milano Libri S.r.l., proprietaria di una libreria prospiciente il Teatro alla Scala, l’eccezione di inammissibilità del ricorso si fonda, incontestato il requisito della vicinitas, sulla carenza della prospettazione nell’atto introduttivo del giudizio di un concreto pregiudizio derivante dall’esecuzione dei lavori e sul tenore delle censure, le quali non attengono alla difformità delle opere rispetto alla disciplina urbanistica della zona.
Con memoria successivamente depositata, la società allega il danno arrecato all’attività commerciale dalle attività connesse con la ristrutturazione e dall’ampliamento dell’edificio su via Verdi.
Il Collegio, rilevato che, nel caso in cui un provvedimento amministrativo comporti la realizzazione di un’opera pubblica ovvero la sua modifica strutturale, hanno interesse a proporre ricorso contro di esso quei soggetti che possono subire una negativa incidenza nella loro sfera giuridica a seguito della realizzazione dei lavori ovvero della gestione dell’opera (C.d.S., V, 4 novembre 1994, n. 1257); che non appare inverosimile l’esistenza, all’atto della proposizione del ricorso, del pregiudizio arrecato all’attività commerciale, che si caratterizza anche per la contiguità all’immobile vincolato, con la previsione della demolizione di parti dello stesso o comunque della sua trasformazione in senso reputato peggiorativo; che anche la violazione di norme diverse da quelle dettanti la disciplina urbanistica della zona è giudizialmente censurabile, se strumentale al soddisfacimento dell’interesse sostanziale, respinge l’eccezione.
7. Il Collegio ritiene infondata sia l’eccezione di tardività sia quella di mancata notifica al controinteressato Consorzio, e conseguentemente le respinge.
L’impianto argomentativo del ricorso è imperniato sull’atto della Soprintendenza n. 8715 S del 20 maggio 2002, al quale i ricorrenti non riconoscono valenza autorizzatoria dei lavori di ristrutturazione in corso sotto il profilo del vincolo, ovvero ne contestano in subordine la legittimità, con effetto di inefficacia o di invalidazione degli atti precedenti, e di invalidità dei successivi.
Rispetto a tale atto, il ricorso, notificato in data 7 giugno 2002 al Comune, al Teatro ed al Ministero (e depositato il 14 successivo) ed in data 24 giugno 2002 al Consorzio (e depositato il 28 giugno successivo), non risulta tardivo.
8. Esaurite le questioni pregiudiziali connesse al ricorso principale, preso atto che i ricorrenti hanno notificato in data 19 luglio 2002 e ritualmente depositato nuovi motivi aggiunti corredati di idoneo mandato (contro la necessità di mandato autonomo C.d.S., V, 6 luglio 2002, n. 3717), in sostituzione dei precedenti; rilevato altresì che i motivi aggiunti possono ritualmente e legittimamente essere notificati, in qualità di atti del giudizio, presso il domicilio eletto della parte intimata (C.d.S., V, 6 luglio 2002, n. 3717); confermato, per quanto concerne la tardività, l’avviso espresso al precedente punto 7, il Collegio respinge le eccezioni preliminari relative alla proposizione dei motivi aggiunti e passa all’esame del merito.
9. Il Teatro alla Scala di Milano, di proprietà comunale, è vincolato ai sensi dell’art. 1 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, quale primo teatro neoclassico costruito in Europa (1776-78) dall’arch. Piermarini.
Esso risultava conseguentemente sottoposto alle disposizioni di cui alla medesima legge, abrogata dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art 1 legge 8 ottobre 1997, n. 352.
Vengono quivi in rilievo, in particolare, gli artt. 11 e 18 della legge abrogata.
L’art. 11 disponeva, tra l’altro, che gli immobili di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico non potessero essere demoliti, rimossi, modificati o restaurati senza autorizzazione ministeriale.
L’art. 18 prescriveva, tra l’altro, in relazione ai medesimi immobili, che i proprietari avessero l’obbligo di sottoporre alla soprintendenza competente i progetti delle opere di qualunque genere da eseguire, al fine di ottenerne la preventiva approvazione.
Vigenti tali disposizioni, era stato ritenuto che dal necessario collegamento sistematico tra gli art. 11 e 12 e l’art. 18 L. 1° giugno 1939 n. 1089, discende che, pur dovendo tutti i progetti per opere ricadenti in zone oggetto di tutela ai sensi della citata legge n. 1089 essere presentati alle soprintendenze, queste ultime sono competenti a pronunciarsi soltanto su quelli che implicano una semplice gestione del bene secondo la sua destinazione naturale, risultando, invece, riservate alla autorità centrale le determinazioni che, implicando una (parziale) demolizione o modificazione della cosa, sono idonee ad operare direttamente, pregiudicandole, sulle componenti storico-artistiche del bene (C.d.S., VI, 10 agosto 1988, n. 978).
Con riferimento ai medesimi beni, il testo unico vigente all’art. 21, comma 1 dispone che i beni culturali non possono essere demoliti o modificati senza l’autorizzazione ministeriale ed all’art. 23 prescrive che i proprietari hanno l’obbligo di sottoporre alla soprintendenza i progetti delle opere di qualunque genere che intendono eseguire, al fine di ottenerne la preventiva approvazione.
Il comma 2, peraltro, precisa che il provvedimento di approvazione sostituisce l’autorizzazione prevista all’art. 21.
10. Ad avviso del Collegio, il testo unico n. 490 del 1999 non contiene disposizioni idonee a far ritenere mutata la precedente suddivisione di competenze tra le due amministrazioni astrattamente deputate alla valutazione degli interessi pubblici sottostanti l’apposizione del vincolo, individuata sulla base della legge del 1939 nel senso risultante dalla citata giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Nonostante, infatti, sia stato autorevolmente ritenuto, sotto il profilo della natura, che il testo unico in questione rientri tra i testi unici normativi, e cioè tra quelli che si caratterizzano per la circostanza che, nell’unificare e coordinare precedenti disposizioni normative, essi sono equiordinati rispetto alle fonti da coordinare e svolgono il compito di innovare il panorama pregresso, ponendosi quale fonte di autonoma attività di produzione giuridica, mediante il ricorso al meccanismo della delega legislativa, va considerato che la delega concretamente conferita, in materia (art. 1, legge n. 352 del 1997) reca tra i principi e criteri direttivi (comma 2, lett. b)) dettati al Governo quello di apportare alle disposizioni preesistenti esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti.
In tale ambito deve pertanto essere interpretato l’art. 23, comma 2 del testo unico, escludendo, in particolare, che mediante tale disposizione, che si affianca ad altra (art. 21, comma 1) nella quale l’amministrazione centrale conserva la attribuzione alla valutazione degli interventi che esorbitano da una sfera ordinaria di incidenza e impattano sulla stessa esistenza e sulla consistenza del bene sottoposto a vincolo, sia stata posta nel nulla la diversa graduazione del sistema amministrativo di tutela.
Qualunque altra interpretazione risulterebbe in contrasto con il complesso delle norme recate dalla legge delega e dall’atto delegato.
In particolare, se si propendesse per la esclusiva competenza in materia della Soprintendenza, l’art. 23, comma 2 dovrebbe inserirsi tra le disposizioni genericamente attuative del principio di sussidiarietà, di cui la delega non reca invece menzione, limitandosi a prescrivere il riordino e la semplificazione di procedimenti, e, se è astrattamente possibile far rientrare nell’ottica della semplificazione l’eventuale espunzione dal sistema di un procedimento, non vi rientra invece la soppressione di una precedente attribuzione di potere amministrativo, che infatti la legge delegata espressamente conferma con il disposto dell’art. 21, comma 1.
Ad avviso del Collegio, invece, l’art. 23, comma 2, alla luce delle norme della legge delegata, innova non le potestà amministrative, bensì i rapporti tra dette potestà (e gli atti che ne sono espressione) ed i soggetti sottoposti alla funzione amministrativa, esonerandoli in primo luogo dalla individuazione dell’autorità competente alla valutazione degli interventi -aspetto che non appare superfluo soprattutto in riferimento al concetto, relativo per sua natura, di modificazione del bene – conferendo inoltre all’esterno unitarietà al procedimento amministrativo, e, conclusivamente, imprimendo in ogni caso i caratteri di efficacia e definitività all’atto della Soprintendenza.
Ai sensi delle innovazioni apportate dal testo unico, pertanto, deve ritenersi che non ha rilievo esterno la sotto stante ripartizione di competenze relativa all’oggetto dell’intervento, che prima caratterizzava, anche nominalmente, i due procedimenti (approvazione e autorizzazione), poiché dall’atto conclusivo del procedimento, adottato dall’organo presso il quale il soggetto vi ha dato inizio mediante la sottoposizione del progetto, discende comunque l’effetto di rimuovere quelle limitazioni alle facoltà proprietarie che caratterizzano il vincolo.
11. Così delineato il quadro di competenze in materia, il Collegio passa all’esame delle censure con le quali i ricorrenti contestano che sia intervenuta l’autorizzazione dell’intervento sotto il profilo della compatibilità con il vincolo, negando, in particolare, che tale valenza possa essere riconosciuta ai pareri del Comitato o alla nota n. 20 maggio 2002 della Soprintendenza.
A tal fine, non appare superfluo provvedere in via preliminare ad una sintetica ricostruzione dei principali atti che hanno preceduto la sua adozione.
12. La Giunta comunale di Milano, approvato il progetto definitivo dei lavori di restauro e ristrutturazione del Teatro alla Scala nella seduta del 16 marzo 2001, con delibera n. 695, dichiarata immediatamente eseguibile, inviava il progetto alla Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Milano, per la valutazione della sua compatibilità con il vincolo gravante sull’immobile.
La Soprintendenza, con provvedimento 17 aprile 2001, n. 2894 S, approvava, dettando alcune prescrizioni, i lavori di restauro della parte monumentale.
Con riferimento, invece, all’intervento di ristrutturazione, con nota in pari data, n. 2234 S, richiedeva al Comune specifica integrazione documentale e fotografica, e con nota 24 aprile 2001, n. 7568 inviava al Ministero per i beni e le attività culturali una richiesta di parere, evidenziando i profili dell’intervento ritenuti problematici, ovvero: la demolizione e ricostruzione di alcuni corpi di fabbrica del complesso non attinenti alla parte monumentale (palcoscenico e retropalco, Piccola Scala, edificio uffici in via Filodrammatici), con sopraelevazione rispetto alle quote degli edifici preesistenti e maggior visibilità; l’aumento dell’altezza libera sopra il palcoscenico; la duplicazione della graticcia, ove sono collocate le apparecchiature della meccanica di scena, con aumento dell’altezza di colmo del palcoscenico; la modifica ampliativa della sagoma della copertura, con aumento della sua visibilità dalla piazza antistante e dalle vie laterali; la creazione di due palcoscenici di servizio con sacrificio dello spazio della Piccola Scala e dei pilastri del palcoscenico settecentesco; il rifacimento della meccanica del palcoscenico con sostituzione del macchinario e del sistema di azionamento; la sopraelevazione degli edifici della Piccola Scala e di via Filodrammatici.
La Soprintendenza concludeva nel senso di ritenere accettabili alcuni degli interventi in questione (ricostruzione palcoscenico, sostituzione del macchinario con musealizzazione di quello esistente), nonostante essi comportassero il sacrificio di alcune consistenze materiali del bene, perché a vantaggio del valore immateriale dello stesso, ovvero della qualità della produzione teatrale e musicale, mentre, con riferimento alla sopraelevazione del corpo del palcoscenico, da cui sarebbe conseguita una modifica rilevante della immagine architettonica esterna, esprimeva di ritenere la nuova volumetria, sebbene non ingente in termini assoluti, incisiva sulla nuova immagine del complesso, poiché fortemente estranea al contesto e priva di risoluzione in termini architettonici.
Per consentire il superamento dei problemi evidenziati, la Soprintendenza individuava le seguenti, ipotetiche soluzioni: un rinnovato studio della forma architettonica, la riduzione della volumetria ottenibile con la rinunzia alla duplicazione e all’ampliamento della graticcia, la diminuzione di un piano del nuovo edificio sostitutivo della Piccola Scala.
Nell’ambito dell’amministrazione centrale, l’espressione della richiesta valutazione veniva commessa dalla competente direzione generale al Comitato di settore per i beni ambientali e architettonici, il quale, in data 19 giugno 2001, verbale n. 89, riteneva indispensabile una integrazione documentale ed esprimeva comunque l’avviso che il riordino e l’eventuale aumento di volume dovesse essere oggetto di progetto di alta qualità architettonica.
Nella successiva seduta del 31 1uglio 2001, verbale n. 91, il medesimo Comitato prendeva atto, per motivi di funzionalità del teatro, delle necessità dell’ammodernamento del palcoscenico e di tutte le attrezzature ad esso connesse, e della disponibilità di un’altezza di almeno trenta metri sul palcoscenico, aumentata di quelle dei piani superiori per i tecnici e per lo stoccaggio delle attrezzature.
La Soprintendenza trasmetteva successivamente al Ministero il progetto specifico richiesto, redatto dall’impresa appaltatrice, unitamente ad una relazione di accompagnamento, di cui alla nota in data 12 marzo 2002, n. 4953 S.
In detta relazione la Soprintendenza descriveva sinteticamente la riorganizzazione dell’assetto distributivo delle aree in questione, dando conto delle due possibili soluzioni alternative ivi prospettate per il muro con torricini costruito in una precedente radicale ristrutturazione eseguita nel 1920-21, prospettando la soluzione ritenuta preferibile, ed esprimeva conclusivamente l’avviso che il progetto, razionalmente impostato nell’impianto distributivo, e forte per l’impatto volumetrico accentuato dal contatto diretto con i volumi originali, rispondesse alle richieste del Comitato, poiché traducente in qualità architettonica le funzioni aggiuntive e quelle trasformate dal mutare delle concezioni teatrali.
In data 21 marzo 2002 il Comitato esprimeva parere favorevole sulla medesima progettazione, subordinandola all’approfondimento in fase esecutiva del tipo e del disegno del rivestimento lapideo, e delle soluzioni per assicurare la manutenzione delle nuove architetture.
Con nota 2 maggio 2002, n. 16083, il Ministero trasmetteva il suddetto parere alla Soprintendenza, specificando che essa avrebbe dovuto attenervisi.
Con nota 20 maggio 2002, n. 8715 S, la Soprintendenza comunicava al Comune di Milano la favorevole valutazione del progetto ad opera del Comitato, specificando che la Soprintendenza stessa e l’amministrazione comunale avrebbero dovuto ad essa attenersi.
13. Tutto ciò premesso, ritiene il Collegio, per le motivazioni di seguito esposte, che le censure rivolte all’autorizzazione dell’intervento sotto il profilo del vincolo siano infondate.
13.1. Con la prima e la seconda censura di cui al ricorso principale si contesta l’esistenza dei comitati di settore operanti nell’ambito dell’amministrazione centrale.
I ricorrenti espongono che detti comitati, istituiti presso il Ministero per, i beni e le attività culturali dall’art. 7 del D.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805, sarebbero scomparsi, per effetto della istituzione del Consiglio per i beni culturali e ambientali e dei comitati tecnico-scientifici operata dal d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, art. 4.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti, come meglio precisata a seguito delle argomentazioni difensive del Comune, sarebbe ininfluente la disposizione di cui al medesimo art. 4, comma 5 (“Sino alla costituzione del Consiglio e dei comitati tecnico-scientifici continuano ad operare il Consiglio per i beni culturali ed ambientali e i comitati di settore, di cui agli artt. 3 e 7 del D.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805”), in quanto i comitati tecnico-scientifici e il Consiglio per i beni culturali ed ambientali sarebbero stati istituiti con il D.P.R. 6 luglio 2001, n. 307 e l’eventuale omesso effettivo insediamento non determinerebbe la sopravvivenza degli organi scomparsi, ma solo l’indisponibilità per l’amministrazione attiva di pareri facoltativi.
La ricostruzione appare priva di pregio.
Premesso, infatti, che la ratio della disposizione precitata di cui al comma 5 dell’art. 4 appare indiscutibilmente proprio quella di scongiurare il verificarsi della in disponibilità di pareri particolarmente qualificati a vantaggio e nell’interesse della efficienza dell’azione amministrativa, il Collegio rileva: che la prorogatio dei comitati di settore è stata prevista dalla legge sino alla “costituzione” dei nuovi organi; che con l’utilizzazione di quest’ultimo termine, ordinariamente, nel linguaggio normativo, ci si riferisce al momento in cui interviene l’adozione dell’atto idoneo a permettere l’insediamento degli organi collegi ali in via quanto meno potenziale, ovvero alla nomina dei relativi componenti; che il nuovo regolamento recante l’organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro per i beni e le attività culturali, e cioè il D.P.R. 6 luglio 2001, n. 307, contiene ulteriori norme di dettaglio sulla composizione e sul funzionamento dei nuovi organi consultivi, e quindi ulteriori norme attinenti all’istituzione. Esso non può pertanto essere individuato quale atto costitutivo degli organi di cui si tratta.
Non essendo stati costituiti i nuovi organi consultivi, i comitati di settore di cui all’art. 7 del D.P.R. n. 805 dell975, all’atto di espressione del parere di cui si discute, erano ancora esistenti in virtù dell’espressa proroga legale di cui al precitato art. 4, comma 5, e competenti all’espressione dei pareri loro commessi dagli organi di amministrazione attiva, ai sensi dell’art. 11, comma 5 del nuovo regolamento, ai fini dell’emanazione di provvedimenti di tutela di speciale rilevanza.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso risultano pertanto infondati.
13.2. Anche il terzo motivo di ricorso risulta infondato.
Non risulta. in particolare, dagli atti di causa il supposto esercizio da parte del comitato di settore di competenze di amministrazione attiva. in quanto quelle concretamente esercitate nel procedimento in esame risultano riconducibili alla Soprintendenza ed all’amministrazione centrale.
La Soprintendenza, in particolare, dopo aver espresso le proprie valutazioni di merito sia sul progetto di ristrutturazione Parmeggiani (nota n. 7568 del 24 aprile 2001), sia sul progetto Botta (nota n. 12 marzo 2002, n. 4953). ha adottato l’atto finale nei confronti del comune di Milano (20 maggio 2002, n. 8715).
L’amministrazione centrale, comunicando alla Soprintendenza le richieste istruttorie, prima, e soprattutto la favorevole valutazione del progetto Botta operata in seno all’organo consultivo, poi (nota n. 16083, del 2 maggio 2002), risulta aver fatto proprio l’esito dell’esame dell’intervento effettuato dall’organo consultivo.
Essendo pertanto indubitabile, alla luce degli atti intervenuti, che sia stata effettuata la comparazione e la ponderazione degli interessi coinvolti nel procedimento, appare poco significativo, nella fattispecie, che la trama motivazionale del favorevole- provvedimento sia contenuta non, come ordinariamente avviene in procedimenti consimili e come sembrano ritenere indispensabile i ricorrenti, nell’atto finale, e cioè nella nota 20 maggio 2002, n. 8715 indirizzata al Comune proponente, bensì in quelli endoprocedimentali, e ciò anche in considerazione del contenuto favorevole della determinazione, a seguito del volontario recepimento delle prescrizioni in itinere, che giustificava una sintetica esposizione del solo esito.
Quanto all’elemento cui i ricorrenti riconnettono valenza particolarmente indicativa della sussistenza della censura, ovvero la circostanza che la Soprintendenza aveva valutato, e proposto al Comitato, una riduzione dell’intervento, e ciò nonostante quest’ultimo abbia positivamente considerato un progetto nuovo, che non solo non riduce le volumetrie, ma in alcune parti le aumenta, il Collegio osserva quanto segue.
La Soprintendenza risulta aver effettuato una prima valutazione dell’intervento, nella nota 24 aprile 2001, n. 7568, nella quale concludeva in favore della riduzione della volumetria mediante la rinunzia alla duplicazione e all’ampliamento laterale della graticcia e della diminuzione di un piano dell’altezza dell’edificio.
Le considerazioni in questione venivano peraltro formulate nell’ambito della architettura complessiva del teatro, così come risultante dal progetto Parmeggiani. Osservava, infatti, la Soprintendenza che la nuova volumetria non risultava ingente in termini assoluti, ma sensibilmente incidente sull’immagine del complesso, anche per le caratteristiche di mera aggiunta funzionale, fortemente estranea al contesto e priva di risoluzione in termini architettonici.
In altre parole, il giudizio negativo appare collegato non all’aumento di volumetria in se considerato, ma a quello specifico aumento di volumetria risultante dalla sistemazione dei nuovi spazi operata nel progetto.
L’assunto è confortato dalla circostanza che la Soprintendenza non si limitava a ritenere opportuna la riduzione delle nuove volumetrie e dell’altezza dell’edificio, ma ipotizzava un nuovo studio complessivo della forma architettonica.
Con la successiva valutazione del 12 marzo 2002, n. 4953, adottata prima che il Comitato di settore esponesse le proprie valutazioni del progetto Botta – che anzi proprio con detta nota gli veniva trasmesso – la Soprintendenza rilevava invece che la nuova soluzione “anziché fondere in un indifferenziato continuum i volumi aggiunti, strada percorsa nel primo progetto offre chiarezza di impianto e di lettura dei volumi accentuate dalla sparizione dei sopralzi e delle superfetazioni proliferate nel corso degli ultimi decenni (e anche, seppur in misura minore, riproposti dal primo progetto), ma anche dei piani aggiunti alle cortine edilizie…”.
La Soprintendenza, quindi, torna ad occuparsi del problema “volumi” in relazione ad una diversa sistemazione progettuale, e perviene ad un giudizio favorevole, tanto da concludere che essa traduce in “… qualità architettonica le funzioni aggiuntive e quelle trasformate dal mutare delle concezioni teatrali”.
Come emerge dalla lettura dei due diversi atti, il giudizio sulle nuove volumetrie non risulta in nessuno dei due momenti reso sotto un profilo assoluto, a, se stante, ma, come appare ovvio in una procedimento valutativo che riguarda un volume non autonomo, ma aggiunto ad un altro ben maggiore già esistente, viene sempre riferito all’intera consistenza del complesso.
Appare pertanto anche sotto tale profilo non condivisibile l’interpretazione di parte ricorrente, che omette completamente di considerare la intrinseca relatività del primo giudizio reso dalla Soprintendenza.
13.3. Con la quarta censura si ipotizza la illegittimità dell’attività del Comitato, in quanto esso ha richiesto di apportare sostanziali modifiche al progetto definitivo approvato, e si introduce la problematica, successivamente sviluppata in altro motivo di ricorso, del rapporto tra progetto approvato e progetto esecutivo.
Limitando per il momento l’esame della censura alla sua attinenza con il procedimento di valutazione del progetto da parte delle autorità preposte alla tutela dei beni vincolati, poiché il rapporto tra progettazione definitiva ed esecutiva è oggetto di trattazione nell’ambito di altro motivo, il Collegio rileva che in realtà la ichiesta si rinviene la prima volta non negli atti del Comitato, bensì in quello della Soprintendenza del 24 aprile 2001, come una delle condizioni cui subordinare la eventuale valutazione favorevole del progetto (… un’approvazione dell’intervento … potrebbe essere vincolata da un lato alla condizione che la forma architettonica sia da ristudiare interamente).
Sotto tale aspetto, deve ritenersi che in sede consultiva ministeriale sia stata confermata e meglio precisata una determinazione, avente natura prescrittiva, che la Soprintendenza aveva già formulato con carattere di assoluta chiarezza, poiché la segnalata necessità di trovare una nuova soluzione della forma architettonica, quale unica possibilità di contemperare le esigenze di funzionalità del teatro con i limiti nascenti dal vincolo, non poteva che tradursi in una nuova soluzione di carattere progettuale.
E se non par dubbio, considerato che l’argomento non forma neanche oggetto di discussione nel presente ricorso, che le autorità pubbliche preposte dal testo unico n. 490 del 1999 alla adozione dei provvedimenti abilitativi ivi previsti possano dettare in tal sede specifiche prescrizioni in merito all’intervento, a tutela del bene vincolato, deve ritenersi altrettanto legittimo che, qualora le prescrizioni stesse, per loro natura e per le caratteristiche dell’intervento, non possano essere autonomamente e specificamente individuate nell’atto amministrativo, nel corso del procedimento preordinato all’adozione di tale atto possa essere preventivamente adottata una prescrizione di natura strumentale e generale, munita dei necessari riferimenti di merito, con il ricorso anticipato, ma non per questo illegittimo, a poteri propri dell’attività di tutela.
È utile ancora rilevare in proposito che il Comitato non ha formulato direttamente nei confronti del Comune le richieste istruttorie, in quanto, sia per le nuove volumetrie sia per il progetto di musealizzazione del macchinario di palcoscenico rimosso, esse risultano trasmesse dal Ministero alla Soprintendenza, e da quest’ultima all’amministrazione comunale (note 28 settembre 2001, n. 16787 S e 25 febbraio 2002, n. 2644 S).
Le determinazioni assunte dal Comitato in qualità di organo consultivo dell’amministrazione centrale hanno avuto, pertanto, effetto nella vicenda in esame nella misura in cui sono state recepite da entrambe le amministrazioni attive coinvolte nel procedimento, ovvero dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalla Soprintendenza.
Il quarto motivo di ricorso si appalesa conseguentemente infondato.
13.4. Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti contestano che l’autorizzazione abbia riguardato in realtà un progetto diverso da quello approvato, derivandone un vizio del procedimento di autorizzazione.
Il Collegio non ritiene di aderire a tale argomentazione.
L’autorizzazione risulta infatti intervenuta a seguito del recepimento delle prescrizioni formulate nella sede propria deputata alla valutazione della compatibilità della realizzazione del previsto intervento con la valenza storica e culturale dell’immobile che ne è oggetto, prescrizioni, peraltro, che hanno riguardato solo parte del progetto complessivo, seppur dotata di particolare significatività perché rilevante all’esterno.
La immodificabilità del progetto approvato da parte del progetto esecutivo non attiene alla sfera degli interessi protetti nel procedimento di autorizzazione, nel quale obiettivo primario è la tutela del bene vincolato in occasione della prevista effettuazione di interventi edilizi, con l’esatta individuazione di ciò che su di esso può ritenersi consentito ai sensi del vincolo, e non l’individuazione dell’elaborato progettuale o che consentirà in concreto la legittima effettuazione dei lavori, ambito che riceve protezione da altre norme di settore dell’ordinamento e con 1’individuazione di differenti potestà.
Deve conseguentemente ritenersi che al fine dell’esercizio della funzione di cui agli artt. 21, comma 1 e 23 del testo unico n. 490 del 1999, è condizione necessaria e sufficiente che l’elaborato progettuale trasmesso alle autorità preposte alla tutela del vincolo sia idoneo al raggiungimento dell’obiettivo che il procedimento avviato è finalizzato a perseguire, ovvero che dal medesimo risulti chiaramente individuabile l’intervento futuro.
La censura è conseguentemente infondata.
13.5. Con la sesta censura si sostiene che la verifica di idoneità dell’intervento sia stata effettuata in relazione al solo parametro della funzionalità del teatro, e non al vincolo.
Il motivo di ricorso non trova rispondenza negli atti di causa, con particolare riferimento alle più volte citate note della Soprintendenza n. 7568 del 24 aprile 2001 e 12 marzo 2002, n. 4953, illustrate al precedente punto 13.2, che hanno concorso alla formazione della favorevole determinazione amministrativa in via endoprocedimentale e che hanno riguardato proprio quegli aspetti di cui si lamenta in ricorso la mancata valutazione.
Esso va quindi respinto.