Consiglio di Stato, Sez. V, 21 gennaio 2021, n. 654

Consiglio di Stato, Sez. V, 21 gennaio 2021, n. 654
[ sostanzialmente analoga: Consiglio di Stato, Sez. V, 27 gennaio 2021, n. 817, nonché: Consiglio di Stato, Sez. V, 1° febbraio 2021, n. 935 ]

Pubblicato il 21/01/2021
N. 00654/2021REG.PROV.COLL.
N. 03453/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3453 del 2014, proposto dal signor Ciro E., rappresentato e difeso dall’avvocato Fiorella Titolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
contro
il Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Bruno Crimaldi, Fabio Maria Ferrari e Andrea Camarda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maurizio Cucciolla in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza del TAR Campania, sede di Napoli, sez. VII, 14 ottobre 2013 n. 4589, che ha respinto il ricorso n. 5580/2012 R.G., proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di Napoli:
a) disposizione dirigenziale 2 ottobre 2012 n. 7, conosciuta in data imprecisata, con la quale la Direzione generale costituita come da ordine di servizio del Direttore generale n. 5 del 10 maggio 2012 ha disposto nei confronti di Ciro E. la revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale di cui alla delibera di Giunta municipale 18 novembre 1974 n. 16 e l’acquisizione del relativo manufatto funerario sito nel cimitero di Napoli Poggioreale, con avviso di liberarlo entro 90 giorni dalla ricezione del provvedimento;
b) della deliberazione 21 febbraio 2006 n. 11, con la quale il Consiglio comunale ha approvato il Regolamento di polizia mortuaria;
di tutti gli atti presupposti, preparatori, conseguenti e connessi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 22 dicembre 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e dato atto che nessuno compare per le parti, nonché del deposito delle note di udienza ai sensi e agli effetti dell’art. 4, comma 1, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, come richiamato dall’art. 25, comma 1, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, da parte degli avvocati Titolo e Crimaldi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente appellante, con atto 24 dicembre 2008 rep. n. 92439 racc. n. 13207 Notaro Improta di Napoli, ivi registrato il giorno 8 gennaio 2009 al n. 182 atti pubblici, ha acquistato dai fratelli Ferdinando e Giuseppe G., estranei a questo processo, il secondo anche quale rappresentante del primo, come da procura speciale allegata, la “proprietà superficiaria” di una cappella funeraria che si trova nel cimitero di Napoli Poggioreale zona ampliamento viale delle tumulazioni 6 b e, come risulta dall’atto stesso, è stata realizzata sul suolo concesso alla madre dei danti causa con scrittura privata 29 luglio 1975 rep. n. 24283 registrata a Napoli il 6 agosto 1975 al n. 22963 atti privati, in esecuzione della delibera di Giunta municipale 18 novembre 1974 n. 16. Lo stesso atto notarile al § 7 dà atto che la “subconcessione” è soggetta, dopo un periodo, al pagamento di un “diritto” al Comune (doc. s.n. ricorrenti appellanti, atto citato).
2. Successivamente il Comune, dopo avere inviato l’avviso di inizio del procedimento 5 luglio 2012 prot. n. 548538 (doc. 2 in primo grado Comune), ha emesso il provvedimento 2 ottobre 2012 n. 7 di cui in epigrafe, con il quale ha disposto la “revoca decadenziale” della concessione di suolo cimiteriale di cui si è detto, motivando così come segue (doc. 1 in primo grado Comune).
2.1 In primo luogo, il Comune ricorda le norme applicabili alla fattispecie, ovvero anzitutto gli artt. 823 e 824 c.c. per cui il cimitero è bene demaniale e la concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale, con diritto di uso non alienabile; inoltre gli artt. 44 e 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria, approvato con deliberazione consiliare 21 febbraio 2006 n. 11, articoli secondo i quali vi è divieto di cessione fra privati delle aree in concessione e dei manufatti funebri ivi realizzati e comunque non è ammissibile la concessione a favore di chi agisca a fini di lucro.
2.2 Ciò posto, il Comune qualifica l’atto notarile di acquisto di cui si è detto come nullo ovvero inefficace nei suoi confronti, dà atto che la cessione relativa costituisce inadempimento della concessione nei suoi confronti e dà atto di avere interesse a riacquistare il bene per riassegnarlo ad evidenza pubblica.
2.3 In conclusione, quindi, pronuncia la decadenza della concessione e ingiunge il rilascio del bene.
3. Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto dagli interessati contro questa pronuncia di decadenza. In motivazione, ha ritenuto quanto segue.
3.1 In termini generali, il TAR qualifica il diritto al sepolcro, inteso come diritto sul manufatto adibito a questo uso, come concessione di bene demaniale e per conseguenza qualifica la cessione di questo diritto come nuova concessione attribuita dal Comune titolare del bene ad altro soggetto; in altre parole esclude la configurabilità di una cessione fra privati del diritto in questione, anche per quanto riguarda, come avvenuto nella specie, un manufatto costruito sul suolo cimiteriale dato in concessione. Ciò posto, il TAR osserva che, nel caso di specie, una regolare cessione del diritto, intesa appunto come nuova concessione ai subentranti, non è stata realizzata.
3.2 Il TAR inoltre nega che nella fattispecie il Comune abbia applicato in via retroattiva e quindi in modo non consentito – così come invece sostiene l’interessato – l’art. 53 del regolamento di polizia mortuaria. L’atto impugnato rappresenterebbe, infatti, una normale applicazione della normativa sopravvenuta ai rapporti già in corso, che essa interviene a conformare in modo diverso.
3.3 Infine il TAR nega che il Comune abbia proceduto alla revoca in violazione dell’art. 48 dello stesso regolamento, che, a dire dell’interessato, la consentirebbe solo in casi estranei a quello in esame. Secondo il TAR, infatti, il Comune avrebbe adottato un provvedimento di decadenza per inadempimento del concessionario agli obblighi impostigli, che sarebbe atto dovuto e non richiederebbe specifiche valutazioni di interesse pubblico per essere emesso.
3.4 Tanto premesso, il TAR respinge la domanda di annullamento.
4. L’interessato ha proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene un’unica complessa censura, da cui secondo logica si desumono i seguenti due motivi:
– con il primo di essi, corrispondente ai §§ 1 – 3 dell’atto, premesso che a suo avviso la sentenza impugnata non sarebbe correlata ai motivi dedotti in primo grado, deduce in sintesi violazione dell’art. 53 del regolamento citato, nel senso che a loro avviso il Comune ne avrebbe fatto una applicazione retroattiva come tale non consentita, perché avrebbe considerato vietata una cessione di proprietà superficiaria consentita al momento in cui il diritto è sorto;
– con il secondo motivo, corrispondente ai §§ 4 e 5 dell’atto, deduce poi la violazione degli artt. 44, comma 9, e 48 del regolamento di polizia mortuaria citato, nel senso che a suo avviso l’atto stipulato, che come si è detto è cessione di proprietà superficiaria del manufatto e non del suolo cimiteriale, non legittimerebbe la revoca che sarebbe stata a suo dire disposta, possibile solo in presenza di ragioni di interesse pubblico qui non esistenti. Sostiene poi che il TAR avrebbe errato considerando il provvedimento quale pronuncia di decadenza, perché ne avrebbe così inammissibilmente integrato la motivazione.
Nell’ultima parte dell’atto, infine, il ricorrente ritrascrive inalterati i motivi del ricorso di primo grado.
5. Il Comune ha resistito, con atti 30 aprile 2014 e 25 agosto 2020 e memoria 23 novembre 2020, in cui chiede che l’appello sia respinto. In particolare, il Comune ne eccepisce in via preliminare l’inammissibilità, dato che i ricorrenti appellanti non avrebbero alcun rapporto di concessione in essere con il Comune; nel merito, fa presente che il caso in esame è uno di un gruppo di casi identici, emersi a seguito di un’indagine dell’Autorità giudiziaria penale, di illegittima cessione fra privati di beni del demanio cimiteriale; fa presente che in ognuno di questi casi è stato adottato un provvedimento di decadenza similare a quello qui impugnato, e che trentaquattro dei ricorsi presentati dai privati contro tali provvedimenti sono stati tutti respinti, anche con sentenze di questo Giudice, che puntualmente cita. Fa anche presente che, a suo avviso, l’interessato sarebbe stato consapevole del divieto di cessione, in quanto si è fatto rilasciare dai cedenti, con atto stipulato immediatamente prima della cessione, il 24 dicembre 2008, con numero di repertorio precedente, ovvero 92438, una procura irrevocabile per effettuare nei confronti del Comune tutte le inerenti operazioni di polizia mortuaria (si vedano in proposito i doc. ti 6 e 7 in primo grado Comune intimato appellato, note di polizia giudiziaria, ove si dà atto dell’esistenza di questa procura). Il Comune ricorda infine l’art. 57 del regolamento citato, che lo dichiara applicabile anche alle concessioni e ai rapporti già in essere.
6. Con repliche 26 novembre 2020 per il ricorrente appellante e 1 dicembre 2020 per il Comune, le parti hanno ribadito le loro difese; il ricorrente appellante, in particolare, ribadisce il proprio interesse al ricorso e fa presente di avere inteso impugnare la suddetta previsione del regolamento, che ne sancirebbe a suo dire una non consentita retroattività.
7. All’udienza del 22 dicembre 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.
8. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.
9. Va premesso, per chiarezza, che il Collegio condivide la qualificazione giuridica dei fatti di causa così come delineata dal Giudice di primo grado, sulla scorta dei propri precedenti pronunciati sulla serie di casi analoghi a questo di cui si è detto, ognuno parte della medesima vicenda complessiva: sul punto, per tutte, C.d.S. sez. V 11 dicembre 2014 n. 6113.
9.1 Il diritto al sepolcro intorno al quale è causa costituisce come è noto un istituto complesso, scomponibile in più fattispecie. Si distingue anzitutto un diritto primario al sepolcro, inteso come diritto ad essere seppellito ovvero a seppellire altri in un determinato sepolcro, diritto distinto a sua volta in sepolcro ereditario e sepolcro familiare o gentilizio. Si distingue ancora un diritto sul sepolcro, inteso in senso stretto, ovvero come diritto sul manufatto che accoglie le salme. Si distingue infine, come accessorio dei due precedenti, un diritto secondario al sepolcro inteso come diritto di accedervi fisicamente e di opporsi ad ogni atto che vi rechi oltraggio o pregiudizio. In particolare, per la distinzione fra diritto primario al sepolcro e diritto sul manufatto, si vedano per tutte la motivazione di Cass. civ. sez. III 15 settembre 1997 n. 9190, nonché, più di recente, per implicito C.d.S. sez. V 11 dicembre 2014 n. 6108.
9.2 Ciò posto, nel caso presente si controverte della possibilità di alienare per atto fra privati, la convenzione 24 dicembre 2008, il diritto sul manufatto, al quale evidentemente allude la convenzione stessa parlando della “proprietà superficiaria” della cappella funeraria in questione (doc. citato ricorrente appellante). Questa possibilità è sostenuta dal ricorrente appellante, acquirente nell’atto, ma va negata in base alle norme in materia.
9.3 Come è noto, in base all’art. 824, comma secondo, del codice civile, dal 21 aprile 1942, data della sua entrata in vigore, i cimiteri comunali sono soggetti al regime giuridico del demanio pubblico, e quindi sono in primo luogo inalienabili ai sensi dell’art. 823, comma primo, c.c. In tal modo il codice ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali, e quindi dei relativi diritti, come sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto invece di concessioni amministrative da parte dell’ente titolare, ovvero del Comune.
9.4 Pertanto, la cessione di un diritto al sepolcro, inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, che qui rileva, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente, ovvero del Comune: in tali termini sia la giurisprudenza civile, per tutte esplicitamente Cass. civ. sez. II 25 maggio 1983 n. 3607, sia la giurisprudenza della Sezione, per tutte la sentenza 7 ottobre 2002 n. 5294.
9.5 In tal senso, quindi, un divieto di cessione diretta fra privati del manufatto funerario, quale quello previsto dall’art. 53 del regolamento di polizia mortuaria di cui si è detto, è semplicemente riproduttivo di una norma che è già nella legge, e quindi non assume alcuna efficacia retroattiva, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente appellante.
9.6 La cessione diretta non autorizzata dal concedente costituisce invece inadempienza agli obblighi che gravano sul concessionario, e comporta che l’amministrazione concedente adotti nei suoi confronti un provvedimento di decadenza, che è adottabile in qualunque momento perché di natura dichiarativa: così espressamente C.d.S. sez. V 6 novembre 2015 n. 5072.
9.7 Tali conclusioni non mutano neanche assumendo, come fa la difesa del ricorrente appellante, che oggetto della cessione sarebbe stato un bene in sé commerciabile, ovvero la proprietà superficiaria del manufatto costituito dalla cappella: in realtà, il diritto così configurato non esiste, perché all’evidenza, in base al principio generalissimo dell’accessione, il manufatto realizzato sul terreno demaniale del cimitero ne segue il regime giuridico. Quanto spetta al privato è quindi un diritto d’uso del manufatto, il cui titolo è comunque la concessione.
10. Sulla base dei principi appena delineati, tutti i motivi di ricorso vanno respinti perché manifestamente infondati, e ciò rende non necessario esaminare l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione del ricorrente appellante proposta dal Comune.
11. Va poi chiarito che la deduzione dell’appellante, secondo il quale la sentenza di primo grado non sarebbe correlata ai motivi dedotti in quella sede, è sostanzialmente irrilevante, perché se anche così fosse, questo Giudice dovrebbe comunque decidere nel merito i motivi ritualmente propostigli. È noto infatti che l’omessa pronuncia su uno o più dei motivi dedotti in primo grado non configura un errore procedurale tale da comportare l’annullamento della decisione con rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio della sentenza impugnata che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa: per tutte, da ultimo, C.d.S. sez. V 12 novembre 2020 n.6973.
12. Tanto premesso, il primo motivo, centrato sulla presunta retroattività dell’art. 53 del regolamento di polizia mortuaria, è infondato per quanto si è detto sopra, ovvero perché la norma è semplicemente riproduttiva del divieto che discende dalle norme del codice civile, all’evidenza anteriori alla convenzione di cui si tratta.
Inoltre, come statuito da questa Sezione con la sentenza 7 maggio 2019 n. 2934, “La previsione dell’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria non può ritenersi avere portata retroattiva, poiché deve osservarsi che la retroattività postula l’applicabilità di una disposizione di legge ad un fatto avvenuto nel passato, prima della sua emanazione.
Tale fattispecie non si riscontra nel caso di specie in cui, per la natura di “provvedimento di durata” riferibile alla concessione, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella in vigore al momento della emanazione del provvedimento concessorio: infatti la normativa entrata in vigore dopo il rilascio della concessione si applica a tutti i fatti, gli atti e le situazioni verificatesi dopo la medesima entrata in vigore e non riguarda per nulla le cessioni verificatesi nel passato, il che solo concretizzerebbe un’illegittima retroattività, andando ad incidere su effetti ormai definitivamente consolidati;
”. Nello stesso senso è anche la già citata sentenza di questa Sezione 11 dicembre 2014 n. 6113.
13. Quanto si è detto circa l’effettiva natura del diritto oggetto della convenzione 24 dicembre 2008, che è diritto d’uso del manufatto funerario, e non proprietà superficiaria liberamente disponibile, comporta poi la reiezione anche del secondo motivo. La sua cessione diretta non autorizzata comporta infatti, come pure si è detto, la pronuncia di decadenza dalla concessione, che è di tipo sanzionatorio, e quindi prescinde da un interesse pubblico sopravvenuto. In questo senso, il Giudice di primo grado non ha affatto integrato la motivazione del provvedimento impugnato, che è chiara nel dire che esso consegue alla cessione illegittima, ma si è limitato a qualificarlo giuridicamente, come rientra pacificamente nei poteri del Giudice.
14. Da ultimo, per costante giurisprudenza, la riproposizione in grado di appello dei motivi di ricorso di primo grado, semplicemente ritrascritti così come avvenuto in questo caso, comporta la loro inammissibilità per violazione dell’onere di specificità delle censure alla sentenza impugnata: in tal senso la costante giurisprudenza, e per tutte C.d.S. sez. V 11 giugno 2020 n. 3733 e 28 aprile 2014 n. 2195.
15. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 3453/2014), lo respinge.
Condanna il ricorrente appellante a rifondere al Comune di Napoli appellato le spese di questo grado del giudizio, spese che liquida in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
L’ESTENSORE (Francesco Gambato Spisani)
IL PRESIDENTE (Carmine Volpe)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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