Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4403

Norme correlate:
Art 338 Regio Decreto n. 1265/1934
Art 51 Legge n. 142/1990
Capo 10 Decreto Presidente Repubblica n. 285/19 90

Riferimenti: Cons. Stato, sez. IV, 16/3/2011 n. 1645; Cons. Stato, sez. IV, 27/10/2009 n. 6547; Cons. Stato, sez. V, 14 settembre 2010 n. 6671

Massima:
Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4403
Occorre ricordare che l art. 338 R.D. n. 1265/1934, prevede che i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge (comma 1). Orbene, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, con considerazioni che in questa sede si intendono ribadite, ha già avuto modo di affermare che la fascia di rispetto cimiteriale prevista dall’art. 338 t.u. leggi sanitarie (e che deve essere misurata a partire dal muro di cinta del cimitero), costituisce un vincolo assoluto di in edificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di PRG, che non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all’inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. Stato, sez. IV, 16.03.2011 n. 1645 e 27.10.2009 n. 6547; sez. V, 14.09.2010 n. 6671). Stante la natura del vincolo e le sue finalità, come sopra evidenziate, non vi è alcuna ragione (peraltro non ricavabile né dalla lettera né dal contesto logico-sistematico della norma), per ritenere tale vincolo applicabile solo ai centri abitati e non ai fabbricati sparsi, così come, ai fini dell applicazione del vincolo, appare ininfluente che, a distanza inferiore ai 200 metri, vi sia una strada, escludendosi che quest ultima (così come invece risultante dalla prospettazione dell appellante) interrompa la continuità del vincolo.

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4403
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1501 del 2004, proposto da: Badiali Fernanda, rappresentato e difeso dagli avv. Pietro Romano Orlando, Ettore G. Beccari, Fabio Massimo Orlando, con domicilio eletto presso Fabio Massimo Orlando in Roma, via Carlo Poma, 2;
contro
Comune di Massa;
per la riforma della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE: SEZIONE III n. 03398/2002, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE OPERE EDILIZIE ABUSIVE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Pietro RomanoOrlando;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame, la signora Badiali Fernanda impugna la sentenza 18 dicembre 2002 n. 3398, con la quale il TAR Toscana, sez. III, ha rigettato il suo ricorso avverso l’ordinanza del dirigente del Comune di Massa 14 marzo 2000 n. 128, di demolizione di immobile abusivo eretto in area soggetta a vincolo di inedificabilità per rispetto cimiteriale.
La sentenza appellata ha affermato:
– l’art. 31 l. reg. Toscana n. 52/1999, nella parte in cui attribuisce al Sindaco la competenza ad emettere l’ingiunzione di demolizione dell’opera abusive, deve essere correttamente intesa come riferita al dirigente, e, pertanto, non sussiste il denunciato vizio di incompetenza;
– non sussiste obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, in presenza di attività vincolata della pubblica amministrazione, quale è quella di repressione degli abusi edilizi;
-il provvedimento con cui si ordina la demolizione di manufatto abusivo è atto dovuto, che non abbisogna di particolare motivazione; né l’amministrazione è tenuta a procedere a comparazione tra interesse del privato ed interesse pubblico alla demolizione;
– il vincolo di in edificabilità per rispetto cimiteriale “nella parte in cui è posto a tutela di ragioni igienico-sanitarie, riguarda tanto centri abitati, quanto fabbricati sparsi”;
– la sanzione della demolizione, avendo natura reale, ben può colpire anche il proprietario non responsabile dell’abuso edilizio.
Avverso tale decisione, vengono sostanzialmente riproposti i motivi già presentati con il ricorso introduttivo del giudizio di I grado (v. pagg. 2 – 16 appello), sulla cui interpretazione vi sarebbe stato error in iudicando della sentenza appellata.
Il Comune di Massa non si è costituito in giudizio e, all’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Questo Collegio deve innanzi tutto confermare le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di I grado, in relazione alla competenza ad emettere i provvedimenti sanzionatori.
Occorre, a completamento dell’analisi della normativa condotta in sentenza, aggiungere che il d.lgs. n. 80/1998 ha introdotto, nell’ambito dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni (compresi gli enti locali, per espresso richiamo normativo: attualmente, art. 1, co. 2 d.lgs. n. 165/2001) il principio di distinzione tra organi di indirizzo politico-amministrativo ed attività di gestione, nella quale ultima i titolari dei primi organi non devono ingerirsi.
Tale principio è stato ritenuto cogente anche per la legislazione regionale dalla Corte Costituzionale, in quanto di diretta e coerente attuazione dell’art. 97 Cost. (Corte Cost., 13 gennaio 2004 n. 2).
A completamento del principio generale espresso, l’art. 45, comma 1, d.lgs. n. 80/1998 ha affermato che: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti.”
Tale disposizione è stata poi abrogata dall’art. 72, lett. bb), d.lgs.30 marzo 2001 n. 165, che ha riconfermato la competenza dirigenziale nell’emanazione dei provvedimenti amministrativi.
Alla luce di quanto esposto, appare evidente come, per un verso, la disciplina dettata dalla legge regionale sia tenuta al rispetto dei principi generali desumibili (anche) dalla legislazione statale, in quanto attuativi di norme della Costituzione, cui anche la potestà legislativa regionale è tenuta a conformarsi (art. 117, primo comma Cost.), con la conseguente necessità, nel caso di specie, di dare una lettura costituzionalmente orientata della legge regionale n. 52/1999.
Per altro verso, appare del tutto evidente come la legislazione statale (dapprima il d.lgs. n. 80/1998, poi il d.lgs. n. 165/2001) si imponga, quanto alla esclusione di attività di gestione a titolari di organi di indirizzo politico-amministrativo e ad attribuzioni dei dirigenti, alla difforme legislazione regionale, di modo che il giudice, nell’eventuale contrasto di norme, non può che accordare prevalenza alla norma statale, sia perché coerente con principi costituzionali, sia perché, nel caso di specie, espressiva di un principio introdotto prima rispetto alla l. reg. n. 52/1999, vigente al momento dell’entrata in vigore di quest’ultima, e successivamente riconfermato (il che giustifica la “prevalenza” anche sotto il profilo dei rapporti tra leggi succedutesi nel tempo).
Tanto premesso in punto di competenza, il Collegio deve ribadire, in adesione a costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il provvedimento di repressione degli abusi edilizi (ingiunzione a demolire e/o ordine di demolizione, ed ogni altro provvedimento sanzionatorio), costituisce atto dovuto della pubblica amministrazione., riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge.
Ciò comporta che il provvedimento sanzionatorio non abbisogna di una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata, né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso (che è in re ipsa) con l’interesse del privato proprietario del manufatto; e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, laddove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo.
In tale contesto, appare evidente come – stante il carattere vincolato del potere da esercitarsi – non occorre il previo invio della comunicazione di avvio del procedimento, peraltro ora esclusa (invero, in momento successivo all’emanazione del provvedimento impugnato) anche dall’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. n. 241/1990, che ha recepito, sul punto le indicazioni della giurisprudenza.
Né, d’altra parte, a fronte degli accertamenti e contestazioni effettuati dalla pubblica amministrazione, esiste prova (o almeno principio di prova) della preesistenza dell’immobile alla l. n. 765/1967, e, soprattutto, della sua preesistenza a detta legge in identica struttura, sagoma e volumetria.
Infine, è appena il caso di osservare che la sanzione della demolizione colpisce l’immobile abusivo in quanto tale, indipendentemente dalla appartenenza del medesimo all’autore materiale dell’abuso. D’altra parte, qualora l’appellante non fosse proprietaria dell’immobile abusivo, tale circostanza, lungi dal determinare l’annullamento del provvedimento amministrativo, fonderebbe una carenza di legittimazione del ricorrente.
Quanto sinora esposto, consente di ritenere infondati i motivi sub 1), 2), 3) e 4), 7) e 8) del ricorso in appello (precisandosi che, nella numerazione progressiva dei motivi il n. 5) è saltato).
Anche il motivo sub 6) dell’appello è infondato.
Occorre ricordare che l’art. 338 R.D. n. 1265/1934, prevede che “i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge” (comma 1).
Orbene, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, con considerazioni che in questa sede si intendono ribadite, ha già avuto modo di affermare che la fascia di rispetto cimiteriale prevista dall’art. 338 t.u. leggi sanitarie (e che deve essere misurata a partire dal muro di cinta del cimitero), costituisce un vincolo assoluto di in edificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di PRG, che non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all’inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2011 n. 1645 e 27 ottobre 2009 n. 6547; sez. V, 14 settembre 2010 n. 6671).
Stante la natura del vincolo e le sue finalità, come sopra evidenziate, non vi è alcuna ragione (peraltro non ricavabile né dalla lettera né dal contesto logico-sistematico della norma), per ritenere tale vincolo applicabile solo ai centri abitati e non ai fabbricati sparsi, così come, ai fini dell’applicazione del vincolo, appare ininfluente che, a distanza inferiore ai 200 metri, vi sia una strada, escludendosi che quest’ultima (così come invece risultante dalla prospettazione dell’appellante) “interrompa” la continuità del vincolo.
Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza appellata. L’omessa costituzione nel giudizio di appello del Comune di Massa dispensa il Collegio dal pronunciare in ordine alle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Badiali Fernanda (n. 1501/2004 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Guido Romano, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 20/07/2011 (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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