Cassazione civile, Sez. II, 19 maggio 1995, n. 5547

Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Riferimenti: Dir. famiglia 1997; 494, Giust. civ. 1995; I; 2378

Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 19 maggio 1995, n. 5547

La costituzione di un sepolcro familiare, ove non risulti una diversa volontà del fondatore, conferisce il diritto alla sepoltura (“ius inferendi mortuum in sepulchrum”) al fondatore medesimo ed a tutti i suoi discendenti, facenti parte della famiglia, per cui (salva l’eventuale contraria volontà del fondatore) anche i discendenti di sesso femminile, benché coniugati e con diverso cognome, acquistano (“iure proprio”) il diritto alla sepoltura in quanto facenti parte della famiglia, nella cui cerchia, avuto riguardo al significato semantico del termine generalmente usato ed accetto, debbono farsi rientrare tutte le persone del medesimo sangue o legate tra loro da vincoli di matrimonio, ancorché non aventi il medesimo cognome.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 19 maggio 1995, n. 5547
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Francesco FAVARA Presidente
” Vittorio VOLPE Consigliere
” Gaetano GAROFALO Rel. ”
” Francesco CRISTARELLA ORESTANO ”
” Antonio VELLA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
NOBILE GIUSEPPA, BRUGALETTA GIUSEPPE e figli BRUGALETTA CARMELO,
BRUGALETTA SALVATORE, BRUGALETTA LUCIANO e BRUGALETTA EMANUELE, tutti
quali eredi del rispettivo marito e padre sig. Brugaletta Giovanni
(successivamente deceduto) domicilio eletto in Roma Via Alessandro
Severo 73 difeso dall’avvocato Salerni Mario e Borrometi Pietro c-o
Salerni M.;
Ricorrenti
contro
NOBILE RAFFAELA, LICITRA GIOVANNA, LICITRA SALVATORE, LICITRA MARIA e
LICITRA MARIO, domicilio eletto in Roma Via Galileo Galilei n. 45 c-o
avvocato Giovanni Magnano di S. Lio difeso dall’avvocato Blundo
Giorgio;
Controricorrenti
BRUGALETTA EMANUELE, BRUGALETTA ANGELA,
Intimati
avverso sentenza della Corte d’Appello di Catania depositata il
16.1.1992 num. sent. 000034-1992;
udito il Consigliere Relatore Dott. Garofalo Gaetano nella pubblica
udienza del 31.1.1995;
è comparso l’Avvocato Costanza Acciai per delega avv. Mario Salerni,
depositata in udienza, difensore del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
sentito il P.M., in persona del sost. proc. gen. dott. Domenico
Nardi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
1. Il Tribunale di Ragusa, con sentenza del 19 aprile 1990, rigettò la domanda proposta da Giuseppe, Emanuele, Giovanni ed Angela Brugaletta nei confronti di Raffaela Nobile e di Maria, Giovanna, Salvatore e Mario Licitra, volta a sentir dichiarare che, nella tomba eretta nel cimitero di Ragusa (con autorizzazione del 7 dicembre 1919 della giunta municipale di quella città) dai genitori degli attori – fratelli Brugaletta fu Luciano – avevano diritto di sepoltura solo i familiari dei fondatori, nonché i loro diretti discendenti, i figli dei figli maschi, le loro mogli e le figlie nubili – e non anche i discendenti delle figlie coniugate -; e conseguentemente ordinare la rimozione della salma di Gianbattista Licitra, in detta tomba depositata senza che i familiari del defunto, secondo gli attori, ne avessero diritto.
Con la citata sentenza il tribunale accolte la domanda riconvenzionale e, per l’effetto, dichiarò che il diritto di sepoltura spettava anche ai discendenti delle figlie femmine coniugate dei fondatori.
2. La corte d’appello di Catania, con sentenza del 13 novembre 1991, confermò la pronuncia di primo grado, osservando, tra l’altro, che, pur avendo il sepolcro natura familiare, nondimeno non poteva essere ritenuto che il diritto di sepoltura competesse soltanto ai discendenti aventi sia lo stesso sangue che lo stesso cognome dei fondatori; che, al fine dell’individuazione delle persone aventi diritto alla sepoltura nel citato sepolcro, doveva farsi riferimento alla volontà, espressa od anche presunta, dei fondatori, idonea a restringere oppure ad ampliare la sfera dei beneficiari del diritto; e che nel caso in esame non constava – sulla base delle risultanze probatorie e degli elementi di giudizio desumibili anche dal comportamento dei fondatori successivo alla creazione del sepolcro, secondo il criterio interpretativo desunto dagli artt. 1324 e 1362 c.c. – che i fondatori stessi avessero inteso restringere il diritto ai soli discendenti aventi sia lo stesso loro sangue che lo stesso loro cognome; e che, in particolare, la tumulazione della salma di Salvatore Licitra, figlio della figlia sposata del fondatore Giovanni Brugaletta, nota agli aventi diritto, che non se ne erano doluti, era elemento presuntivo idoneo a far ritenere che i fondatori avessero voluto che nella tomba de qua fossero sepolte le persone ad essi più strettamente legate da vincoli di sangue, al pari dei loro discendenti, senza distinzione tra discendenti di figli maschi e discendenti di figlie femmine, in tal modo privilegiando il legame di sangue rispetto a quello derivante dall’identità del cognome.
3. Hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, Giuseppe Brugaletta e Giuseppa Nobile e Carmelo, Salvatore, Luciano ed Emanuele Brugaletta, quali eredi di Giovanni Brugaletta, deceduto nelle more, i quali hanno successivamente depositato memoria illustrativa.
Hanno resistito con controricorso, poi illustrato con memoria, Raffaele Nobile e Giovanna, Salvatore, Maria e Mario Licitra, Emanuele ed Angela Brugaletta non hanno espletato attività difensiva in questa sede.
DIRITTO
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1324, 1362 e segg., 1101 e segg., 2729 c.c., nonché vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per avere il giudice del merito, nel ricercare la volontà effettiva dei fondatori del sepolcro, dato rilievo al comportamento di uno solo di essi (Giovanni Brugaletta) e trascurato quello degli altri; e per non avere lo stesso giudice considerato che la sepoltura nel sepolcro de quo delle sorelle e dei cognati dei fondatori non era avvenuta in esecuzione di un obbligo giuridico ma per spirito di liberalità.
Con il secondo motivo, da esaminare congiuntamente al primo, al quale di rivela strettamente connesso, i ricorrenti denunciando difetto e contraddittorietà di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per non avere la corte d’appello considerato che, tradizionalmente, della famiglia fanno parte i discendenti maschi in linea retta con le relative mogli e le discendenti nubili, mentre ne sono escluse le figlie femmine le quali, essendo passate a matrimonio, sono entrate a far parte della famiglia del marito, cessando per ciò solo di far parte di quella di origine.
Le censure non sono fondate.
È noto che, quantunque i sepolcreti siano beni in commercio, sono fatti salvi sia il rispetto della destinazione loro originariamente impressa, sia i diritti dei fondatori e loro discendenti, ove i sepolcri siano stati destinati “sibi suisque”; ai fondatori ed ai loro discendenti, facenti parte della famiglia, compete, oltre al diritto di esservi seppelliti, quello di veder rispettato il pari diritto degli altri contitolari e dei loro discendenti (“jus inferendi mortuum in sepulchrum”) mentre nel sepolcro non possono essere introdotte salme di persone estranee alla famiglia, appartenendo il diritto di sepoltura, pro indiviso, solo a tutti i membri della famiglia stessa; all’uopo la giurisprudenza comunemente afferma – anche nel rispetto del significato semantico generalmente usato ed accetto – che la famiglia, del fondatore o dei fondatori, è costituita da un nucleo sociale formato da persone del medesimo sangue o legato tra loro da vincoli di matrimonio, ancorché non aventi lo stesso cognome, salva l’eventuale contraria volontà dei fondatori stessi, ai quali è riconosciuta la facoltà di ampliare o restringere la sfera di beneficiari del diritto: così che, ove nessuna diversa volontà sia stata manifestata, in forma espressa o tacita, dai fondatori, deve necessariamente ritenersi che tutti i componenti della famiglia, aventi vincoli di sangue con i fondatori – anche se con diverso cognome – abbiano diritto di essere ospitati nel sepolcro familiare: della famiglia fanno parte, quindi, anche le figlie femmine coniugate, in quanto aventi lo stesso sangue del fondatore.
Nel caso in esame la corte d’appello ha motivatamente ritenuto che in atti fosse carente la prova che i fondatori avessero inteso limitare il diritto al sepolcro ai soli discendenti maschi ed escludere quelli delle figlie femmine coniugate e tanto bastava – vigendo il principio della titolarità del sepolcro in caso a tutti i discendenti aventi vincoli di sangue con i fondatori, sebbene non anche lo stesso cognome – per la reiezione della domanda sì come proposta dai Brugaletta; peraltro, pur constatando la mancanza di un atto di fondazione, dal quale eventualmente desumere l’asserto restringimento del diritto spettante ai discendenti, la corte del merito si è fatto carico di ricostruire la volontà dei fondatori anche facendo ricorso ad indizi e presunzione univoci; ed, in tale ottica, con motivazione appagante ed esaustiva ed, in quanto tale, insuscettibile di riesame in sede di legittimità, non ha mancato di dare rilievo all’incontroversa tumulazione nel sepolcro di famiglia della salma di tale Salvatore Licitra, discendente ex figlia di uno dei fondatori, così pervenendo alla motivata conclusione che i fondatori avevano inteso assicurare il diritto di sepoltura a tutti i discendenti legati da vincoli di sangue senza escludere quelli delle figlie femmine coniugate e portanti un cognome diverso da quello dei fondatori medesimi; né, in contrario, l’asserto spirito di liberalità, non provato e non suffragato da circostanze obiettive, si palesava idoneo a snaturare il diritto al sepolcro spettante, come premesso, a tutti i discendenti per ragioni di sangue e non di cognome.
2. Consegue che il ricorso deve essere respinto.
I ricorrenti, rimasti soccombenti, vanno condannati in solido alle spese del procedimento di cassazione, all’uopo liquidate in complessive lire 141.600 in esse comprese lire 3.000.000 per onorari di avvocato.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alle spese del giudizio, liquidate in complessive lire 3.441.600 in esse comprese lire 3.000.000 per onorari di avvocato.
Così deciso in Roma il 31 gennaio 1995.

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