Cassazione civile, Sez. I, 16 febbraio 1988, n. 1672

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Massima

Testo

Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Riferimenti: Dir.eccl.1988; II; 187

Massima:
Cassazione civile, Sez. I, 16 febbraio 1988, n. 1672
Lo “ius sepulchri”, cioè il diritto alla tumulazione (autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono), deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e quindi considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati “iure sanguinis” al fondatore medesimo, mentre resta in proposito irrilevante la eventuale cedibilità prevista nel regolamento o nell’atto di concessione comunale.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. I, 16 febbraio 1988, n. 1672
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati
Dott. Italo BOLOGNA Presidente
” Bruno JOFRIDA Consigliere
” Renato BORRUSO ”
” Pellegrino SENOFONTE Rel. ”
” Angelo GRIECO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
SASSI Ida, SASSI Giselda e DAL PERO BERTINI Conte Mario, tutti elett.
dom. in Roma, Via della Scrofa, N. 117, c-o Ugo Ruffolo, rapp. e
difesi dagli avv.ti Riccardo Mollame e Franco Mastragostino, giusta
delega in atti.
– ricorrente –
contro
DAL PERO BERTINI Gianvalerio e Goffredo, entrambi elett. dom. in
Roma, Via dei Gracchi n. 303, c-o l’avv. Giorgio Marucchi, rapp. e
difesi dall’avv. Aldo Arcangeli, giusta delega in atti.
CONTRORICORRENTE
Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna in data
18-10-1983;
Udita la relazione svolta dal Cons. dott. Pellegrino Senofonte;
Udito il P.M. dott. Manfredo Grossi, che ha concluso per il rigetto.
FATTO
Con citazione notificata il 28 luglio 1978, Goffredo e Gianvalerio Dal Pero Bertini convennero dinanzi al Tribunale di Bologna Mario Dal Pero Bertini, nonché Ida e Giselda Sassi, esponendo: che il Conte Luigi Dal Pero, non potendo più seppellire i propri morti nella tomba gentilizia ubicata nella chiesa di S. Cassiano in Imola, aveva acquistato, nell’anno 1869, una “tomba nel cimitero di Piratello di Imola, costituente la prima intera arcata del loggiato di detto cimitero”; che, quali discendenti maschi (mediati) del fondatore, essi erano divenuti contitolari del sepolcro, unitamente al convenuto; che questi, con atto del 21 febbraio 1976, aveva ceduto il proprio diritto alle sorelle Sassi; che la vendita era nulla, perchè avente per oggetto un diritto per sua natura invendibile e perchè avvenuta, comunque, senza il rispetto del diritto di prelazione spettante ai contitolari.
Chiesero, quindi, che fosse dichiarata la nullità del contratto.
I convenuti contestarono la fondatezza della domanda, eccependo che il diritto all’uso della tomba era cedibile (ai sensi dell’art. 30 del regolamento dei servizi funerari adottato dal comune concedente) e che rispetto ad esso non era configurabile il diritto di prelazione.
Con sentenza dell’8 aprile 1981, il Tribunale, previa qualificazione della tomba di cui trattasi come sepolcro (non ereditario, ma) familiare, dichiarò nulla la vendita, ritenendo indivisibile e non trasferibile a terzi estranei alla famiglia del concessionario il diritto dei contitolari.
Con la sentenza del 18 ottobre 1983, ora impugnata, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado, facendone proprie le argomentazioni.
I convenuti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati con memoria e resistiti con controricorso (tardivo) dagli intimati.
DIRITTO
Il primo motivo di ricorso si articola in due censure.
Con la prima, i ricorrenti muovendo dalla premessa che Mario Dal Pero aveva acquistato il diritto all’uso di metà dell’arcata sepolcrale quale erede diretto di Piero Dal Pero, originario erede del fondatore, mentre le controparti avevano acquistato il diritto all’uso dell’altra metà quali coeredi di Vincenzo Dal Pero, altro erede di Luigi Dal Pero, contestano che tra gli aventi diritto possa configurarsi, nella situazione venutasi a creare, una comunione ereditaria (ripetendo essi i rispettivi acquisti che da due diversi ascendenti ), con la conseguenza che la vendita sarebbe pienamente valida, avendo l’alienante la piena disponibilità della quota di sua spettanza, rispetto alla quale non sarebbe, quindi, neppure applicabile il diritto di prelazione subordinatamente fatto valere dagli attori.
Con la seconda censura, si imputa alla Corte d’appello di aver “semplicisticamente” desunto il carattere gentilizio dell’antica tomba situata in chiesa dal titolo nobiliare della famiglia e di aver, altresì, illogicamente ritenuto che siffatto carattere si fosse automaticamente trasmesso alla nuova tomba, senza considerare: che questa era stata oggetto di ordinaria concessione comunale; che mai il concessionario aveva manifestato, espressamente o tacitamente, la volontà di destinare il sepolcro ad uso esclusivo del proprio casato; che, come risulta anche dall’attuale normativa della materia (d.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803), le cappelle gentilizie venivano – e vengono ancora – costruite fuori dai cimiteri, in luoghi separati dalle sepolture comuni e su fondi di proprietà dei richiedenti, previo conseguimento della inerente autorizzazione prefettizia, della licenza edilizia e del nulla osta del sindaco per la tumulazione.
Sul valore che, nella specie, dovrebbe attribuirsi alla concessione amministrativa (“per lo meno quale fatto indicativo di una precisa situazione… di per sè significativa di determinare caratteristiche – legame “iure successorio” e non “iure sanguinis” tra i familiari – e di precise conseguenze giuridiche – piena disponibilità e trasmissibilità del diritto spettante all’erede -) si insiste ulteriormente nel secondo motivo, col quale i ricorrenti lamentano, inoltre, che il giudice del merito non si sia dato carico affatto della circostanza che l’amministrazione comunale aveva autorizzato Mario Dal Pero a trasferire il proprio diritto d’uso, a norma dell’art. 30 del regolamento comunale apportato nell’anno 1973, con ciò dimostrando, oltre ogni dubbio, di ritenere (non familiare, ma) ereditario, il sepolcro di cui si discute.
Nessuno dei due motivi (che, per ragioni di concessione, si esaminano congiuntamente) può essere accolto.
Comune ad entrambi è, fondamentalmente, la critica alla sentenza impugnata per avere attribuito carattere familiare al sepolcro “de quo”, escludendo, quindi, la divisibilità della comunione e la trasmissibilità del relativo diritto d’uso a terzi non legati “iure sanguinis” al fondatore, conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (sentt. 3311-1984, 78-1982, 532-1979, 4282 e 727 del 1977), condivisa, in linea di principio, anche dai ricorrenti. I quali, però, ne contestano l’applicabilità nel caso concreto, allegando che, nella specie, il sepolcro avrebbe carattere (non familiare, ma) ereditario, e si dolgono che la corte d’appello abbia fondato il proprio convincimento su elementi presuntivi di significato (asseritamente) incerto, trascurando del tutto quelli di segno contrario, che, se debitamente valutati, avrebbero condotto – si sostiene – ad una decisione diversa da quella adottata.
Deve premettersi che il dubbio sul carattere familiare o ereditario del sepolcro deve risolversi, in assenza di specifiche determinazioni del fondatore (sul punto, sovrano), nel primo senso, tale dovendosi presumere essere stata la sua volontà (Cass. 727-1977, 2709-1975, 714-1974, tra le tante).
Il principio da applicare è, dunque, diametralmente opposto a quello propugnato dai ricorrenti, equivocando, visibilmente, tra volontà (espressa, ove esista) del fondatore intesa a delimitare la cerchia dei soggetti rientranti nella propria famiglia e volontà (presunta) del medesimo di destinare il sepolcro esclusivamente alla sepoltura dei membri di essa (comunque da lui intesa).
In fatto, è, poi, pacifico, nel caso di specie, che mai il fondatore ebbe a manifestare, in qualsiasi forma, la volontà di imprimere al sepolcro oggetto della concessione carattere ereditario: correttamente, pertanto, la Corte felsinea ne ha dedotto che beneficiari possono esserne solo i suoi discendenti, aggiungendo – superfluamente, ma, sul piano della congruenza logica, ineccepibilmente – che, essendo l’arcata sepolcrale del cimitero di Piratello destinata a soddisfare quelle stesse esigenze di rango familiare e di orgoglio della stirpe originariamente consegnate all’antica tomba gentilizia, deve ragionevolmente ammettersi che ne abbia mutuato natura e destinazione.
Per completezza, conviene sottolineare che la preminenza attribuita nel settore alla volontà (espressa o presunta) del fondatore e il correlato carattere familiare del sepolcro in esame rendono, anzitutto, incongruo il richiamo alla trasmissibilità del diritto prevista dall’art. 30 del regolamento comunale (che riproduce l’art. 71, II comma, del regolamento di polizia mortuaria contenuto nel r.d. 1880 del 1942), essendo essa espressamente condizionata alla sua compatibilità “con il carattere del sepolcro secondo il diritto civile” e non potendosi, perciò, ammettere riguardo ai sepolcri familiari, in ragione della loro destinazione, appunto, “secondo il diritto civile”, che privilegia nella materia la volontà del fondatore, quale che sia, nel caso singolo, l’opinione dell’Amministrazione concedente.
Di qui, inoltre, l’irrilevante, per quanto ne occupa, dell’atto di concessione, dai ricorrenti, invece, richiamato con insistenza, per dedurne la pretesa ereditarietà del sepolcro, quasi che la concessione ne precluda la destinazione (esclusivamente) familiare.
Per contestare la quale, neppure può farsi corretto riferimento alle norme contenute nel d.P.R. 803 del 1975, successive di oltre un secolo e non ostative, comunque, all’erezione di sepolcri familiari nell’ambito delle aree cimiteriali, avendo finalità solo igienico-sanitarie, del tutto estranee alle questioni trattate in questo giudizio.
Le quali – occorre aggiungere – attengono all’”ius sepulchri” in senso stretto (diritto alla tumulazione) e nulla, quindi, hanno da vedere col diverso diritto di natura reale – tardivamente evocato nella memoria dai ricorrenti – sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono.
Sul diritto di prelazione, infine, subordinatamente azionato dagli attori, la Corte del merito non si è pronunciata affatto, avendo ritenuto dichiaratamente (e correttamente) la questione assorbita.
Per questa parte, quindi, il primo motivo è inammissibile, mentre il mezzo è infondato nella parte in cui i ricorrenti, supposta (erroneamente, per le ragioni già note) la divisibilità del diretto derivante dalla concessione, negano che possa ipotizzarsi, rispetto ad esso, una qualsiasi comunione tra Mario Dal Pero e i congiunti (attori), con la conseguenza (non condivisibile neppure sotto questo aspetto, data la erroneità della premessa) che egli avrebbe potuto disporre liberamente della propria quota (pretesamente stralciata da quelle dei contitolari).
Il ricorso deve essere, pertanto, respinto.
Sulle spese di questo stadio del giudizio non v’è luogo a provvedere, essendo il controricorso inammissibile, perché notificato (il 30 aprile 1984) oltre il termine previsto con riferimento alla scadenza (28 aprile 1984) del termine di deposito del ricorso (art. 370 c.p.c.) né avendo gli intimati partecipato alla discussione orale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese di questa fase. Così deciso in Roma il 28 settembre