Cassazione civile, 11 dicembre 1987, n. 9168

Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massima:
Cassazione civile, 11 dicembre 1987, n. 9168
Il diritto del coniuge rimasto in vita a traslare la salma del coniuge defunto dal luogo di sepoltura ad altro sepolcro, che è limitato solo da diversa volontà del defunto, non è in contrasto con la pietas verso i defunti, perché la coscienza collettiva cui tale sentimento fa riferimento, non recepisce negativamente, né disapprova la traslazione dei resti mortali per un seppellimento ritenuto ragionevolmente più idoneo e conveniente da detto coniuge superstite e dagli altri aventi diritto.

Testo completo:
Cassazione civile, 11 dicembre 1987, n. 9168
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Ferdinando ZUCCONI GALLI FONSECA Presidente
” Domenico MALTESE Consigliere
” Antonio SENSALE ”
” Michele CANTILLO ”
” Pellegrino SENOFONTE Rel. ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
CANTONI ENRICO, elett. dom. in Roma, Via G. Puccini n. 9, c-o l’avv.
Leonardo Perrone, che lo rapp. e difende unitamente all’avv. Mario
Niceforo, giusta delega in atti.
Ricorrente
contro
FONTANA MARIA ved. CANTONI.
Intimata
e sul II RIC. Proposto da:
FONTANA MARIA ved. CANTONI, elett. dom. in Roma, Via Tacito n. 23,
c-o l’avv. Antonio Gargiulo, rapp. e difesa all’avv. Alfredo
Siracusa, giusta delega in atti. Successivamente dall’avv. G.
Iannotta – proc. spec. 29.5.87 – per notar D. Martino.
Controricorrente e ricorrente incidentale
contro
CANTONI ENRICO
Intimato
Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data
4-10-1983;
Udita la relazione svolta dal Cons. Dott. Pellegrino Senofonte;
Udito l’avv. Iannotta con procura;
Udito il P.M. Dott. Mario Zema, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso principale e in subordine rigetto;
rigetto del ricorso incidentale.
FATTO
Con citazione notificata il 9 luglio 1975, Maria Fontana – premesso che la salma del marito Costante Cantoni era stata provvisoriamente tumulata nel cimitero di Pozzuolo Martesana, su iniziativa del cognato Enrico Cantoni, e che, per l’opposizione di questi, non aveva ottenuto l’autorizzazione a trasferirla nel cimitero di Gorgonzola, suo comune di residenza, dove essa aveva, frattanto, acquistato un “colombano” per ritumularla – convenne il cognato dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendo che le fosse riconosciuto il diritto alla traslazione della salma, con i provvedimenti conseguenziali. Nella resistenza del convenuto, il Tribunale rigettò la domanda, che la Corte d’appello di Milano, con la sentenza del 14 ottobre 1983, ora impugnata, ha, invece, accolta, ritenendo, sulla base delle testimonianze assunte, che il defunto non aveva scelto in vita il luogo della sepoltura e che la scelta spettasse quindi, alla vedova, per la prevalenza dello “ius coniugii” sullo “ius sanguinis”. Enrico Cantoni ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria e resistiti, con controricorso, dalla intimata, che ha anche proposto ricorso incidentale, con un solo motivo.
DIRITO
I due ricorsi vanno, preliminarmente, riuniti (art. 335 c.p.c.).
Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente, pur non contestando, in astratto, il principio che spetti, primariamente, al coniuge superstite il diritto di scegliere il luogo di sepoltura della salma dell’altro coniuge, sostiene che di tale principio la Corte territoriale ha fatto, nella specie, un’applicazione “aberrante”, non avendo considerato che lo “ius eligendi sepulcrumn”, una volta esercitato, si consuma, poiché la “pietas” verso i defunti impedisce che le spoglie siano sottoposte ad “un penoso itinerare”.
La censura non è fondata. La “electio sepulchri” si iscrive, infatti, tra le dichiarazioni unilaterali di volontà, alle quali inerisce, normalmente, lo “ius variandi”, suscettibile di essere paralizzato solo dalla cristallizzazione nella sfera giuridica altrui di situazioni effettuali favorevoli (“status, specie familiari, e diritti in genere”) irretrattabili, promananti direttamente dalla volontà del disponente o da essa semplicemente mediate, dovendosi, negli altri casi, ritenere consentita, per ragioni di coerenza interne alla logica del sistema, la esplicazione, in senso inverso (o, comunque, nuovo), di quella stessa autonomia dalla quale attinge legittimità la scelta originaria del soggetto.
Questo diritto ha fatto valere, nel caso in esame, la Fontana, né può dirsi che il suo esercizio sia incompatibile con la “pietas” verso i defunti, poiché la coscienza collettiva, cui questo sentimento si riferisce, non disapprova nè percepisce negativamente la traslazione di resti mortali per una ritumulazione ritenuta ragionevolmente più conveniente (e, quindi, non dovuta a impulsi futili in contrasto con l’etica familiare) dal coniuge superstite o da altri eventuali aventi diritto.
Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando insufficienza di motivazione e premesso che la prevalenza dello “ius coniugii, attesa la sua natura squisitamente equitativa, deve essere, di volta in volta, rigorosamente dimostrata, in quanto, nei casi singoli, il peso reale dei vincoli affettivi o speciali motivi umanitari possono indurre a preferire lo “ius sanguinis”, lamenta che sul punto la Corte di appello non abbia adeguatamente motivato, non tenendo conto, in particolare, che la madre del defunto non è in grado, per la tarda età, di spostarsi da Pozzuolo, dove ella risiede e dove il figlio aveva coltivato in vita affetti e amicizie.
Il mezzo propone una questione meritevole, in astratto, della più attenta considerazione e che, se ritualmente introdotta, avrebbe consentito di puntualizzare l’esatta portata della prevalenza costantemente attribuita da questa Corte allo “ius coniugii” (sent. 1527 del 1978, 4288 del 1974, 2475 del 1970) e fatta propria dei giudici milanesi nell’ottica di un modello di famiglia istituzionalizzata, che non esalta il valore degli affetti reali, positivamente apprezzati, invece, nella materia del sentire comune. Ma la questione non risulta proposta nel giudizio di merito e non può essere, quindi, esaminata in questa sede, involgendo al di là delle enunciazioni di principio (senza dubbio corrette), valutazioni di fatti nuovi non deducibili nel giudizio di legittimità.
Il ricorso principale deve essere, pertanto, respinto.
Da rigettare è anche il ricorso incidentale, con il quale la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia compensato le spese del doppio grado per giusti motivi, senza specificarli, rendendone, quindi, inattuabile il controllo in sede di legittimità. Non sussistono, infatti, valide ragioni per disattendere il principio consolidato secondo cui, sfuggendo i “giusti motivi” di compensazione delle spese processuali a qualsiasi enumerazione, anche esemplificativa, ed essendo essi discrezionalmente valutabili, non è sindacabile la statuizione compensativa che non ne contenga la specificazione (da ultimo, Cass. 4918-1985).
Anche le spese di questa fase si compensano per giusti motivi.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi li rigetta entrambi, compensa le spese di questa fase.
Così deciso in Roma il 5 giugno 1987.

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