Massima
Testo
Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 3 agosto 1999, n. 8386
Poiché la cappella funeraria non è che un sepolcro, non può ritenersi che la disposizione testamentaria con la quale si provvede alla sua manutenzione, senza alcuna modalità integrativa relativa alla celebrazione di riti di suffragio e di devozione, abbia fine di culto o di religione e possa dunque essere considerata alla stregua di una disposizione per l’anima.
Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 3 agosto 1999, n. 8386
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
composta da:
Michele LUGARO Presidente
Carlo CIOFFI Consigliere relatore
Giovanni SETTIMJ Consigliere
Giovanna SCHERILLO Consigliere
Francesca TROMBETTA Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Comune di CUASSO AL MONTE, elettivamente domiciliato in Roma, viale
Parioli 47, presso l’avv. Pio Corti, difeso dall’avv. Giuseppe Lozito
come da procura in atti;
– ricorrente –
contro
BOLLA Silvio, BIANCHI Adele, e PEDOJA Gaudenzio;
– intimati –
e sul ricorso incidentale proposto da:
BOLLA Stefano e BOLLA Daniele, nella qualità di eredi di Bolla
Adele, elettivamente domiciliati in Roma, via Ravenna 7a, presso
l’avv. Mariassunta Treglia, difesi dall’avv. Alfonso Brighina, come
da procura in atti;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
contro
Comune di CUASSO AL MONTE;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1657 del 7
giugno 1996.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18
gennaio 1999 dal relatore Carlo Cioffi;
Udito l’avv. Giuseppe Lozito;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Francesco Mele, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale
condizionato.
FATTO
Con testamento olografo del 2 dicembre 1984 Teresita Pedoja nominò esecutore Gaudenzio Pedoja, e lo incaricò di trasmettere l’intero suo patrimonio “ad un’opera di bene che si impegnasse a mantenere in ordine la loro cappella al cimitero”.
Adele Bianchi, erede legittima, convenne Gaudenzio Pedoja innanzi al Tribunale di Varese, per sentir dichiarare la nullità di tale disposizione testamentaria.
Il Tribunale la ritenne una “disposizione a favore dei poveri”, di quelle previste e disciplinate dall’art. 630 cod. civ.; e quindi, disposta la chiamata in causa del Comune di Cuasso al Monte, che si costituì, gli attribuì l’eredità, nella qualità di assuntore delle funzioni di pubblica assistenza, in passato di competenza dell’E.C.A.
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, approfondendo l’esegesi della scheda testamentaria, ha invece escluso che detta disposizione sia qualificabile come “a favore dei poveri”, ed ha affermato che essa rientra tra quelle “a favore dell’anima”, previste e disciplinate dall’art. 629 cod. civ.; ne ha quindi dichiarato l’invalidità, non essendo stato indicato un crede onerato, e non essendo stati specificati i beni da impiegarsi per il perseguimento della indicata finalità, ed ha dichiarato aperta la successione legittima di Teresita Pedoja in favore di Adele Bianchi.
Il Comune di Cuasso chiede la cassazione di tale sentenza per un solo motivo.
Stefano e Daniele Bolla, eredi di Adele Bianchi, nelle more deceduta, resistono con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso; e propongono a loro volta ricorso incidentale condizionato.
Silvio Bolla e Gaudenzio Pedoja non hanno svolto attività difensiva.
DIRITTO
Il ricorso principale e quello incidentale, proposti contro la stessa sentenza, devono essere preliminarmente riuniti.
I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, perché, a loro dire, esso espone i fatti in modo sommario, senza fornire un quadro completo delle circostanze processuali.
L’eccezione è infondata.
Il ricorrente ha esposto in modo sommarlo, ma sufficiente, lo svolgimento del processo, perché ha evidenziato gli aspetti salienti della vicenda processuale, segnatamente quelli che sono essenziali per comprendere il senso e la portata delle sue censure.
I controricorrenti hanno eccepito altresì l’inammissibilità del ricorso, perché con esso si denunzia la violazione dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., ossia una violazione di legge, senza tuttavia indicare quali sono state le norme di legge violate.
Anche questa seconda eccezione è infondata perché il ricorrente nell’atto di impugnazione, sviluppando le argomentazioni proposte per sostenerla, ha specificato quali sono le norme di legge che sostiene essere state violate, indicandole in quelle contenute negli art. 628, 630 e 631 cod. civ..
Con l’unico motivo dei suo ricorso il Comune di Cuasso al Monte denunzia violazione di legge e vizio di motivazione.
Si è innanzi accennato che la Corte territoriale ha affermato che la disposizione testamentaria esaminata non è qualificabile come a favore dei poveri, e l’ha invece ritenuta a favore dell’anima.
Non a favore dei poveri, perché, precisato che “le opere di bene”, come quella destinataria del lascito testamentario per cui è causa, non sono (o non sono soltanto) le opere “di beneficenza o solidarietà verso i poveri”, la Corte d’appello ha ritenuto che intenzione della testatrice non era stata quella, altruistica, di soccorrere i bisognosi, ma solo quella, egoistica, di assicurarsi la cura della sua cappella cimiteriale.
Il cennato lascito poteva, invece, ben rientrare tra le disposizioni a favore dell’anima, proprio perché quest’ultima, e solo quest’ultima, era stata la finalità perseguita dalla testatrice.
Il ricorrente censura entrambe le argomentazioni; sostiene che la manutenzione di un monumento funebre al cimitero non implica necessariamente uno scopo di culto o religione, e che il lascito testamentario finalizzato a tale manutenzione non può dunque essere considerato alla stregua di una disposizione per l’anima; e rileva che la disposizione a favore di “un’opera di bene” è quanto meno simile a quella a favore dei poveri.
Entrambe le censure sono fondate.
La prima delle ricordate argomentazioni che sostanziano la motivazione della impugnata sentenza non è condivisibile, perché, come questa Corte ha già avuto modo di osservare, la cappella funeraria, anche se gentilizia, non è che un sepolcro, e non può dunque ritenersi che la disposizione testamentaria con la quale si provvede alla sua manutenzione, per giunta senza alcuna modalità integrativa relativa alla celebrazione di riti di suffragio o devozione, come nella specie, abbia fine di culto o di religione, e possa dunque essere considerata alla stregua di una disposizione per l’anima (vedi le sentenze 12 giugno 1968 n. 1880 e 13 dicembre 1969 n. 3964).
Parimenti non è condivisibile la seconda, dal momento che la Corte territoriale non ha considerato che la norma di cui all’art. 630 cod. civ., si applica, per sua espressa previsione, non solo alle disposizioni a favore dei poveri, ma anche a quelle similari, e non ha valutato la possibilità che il lascito testamentario per cui è causa sia riferibile a quest’ultima categoria.
Non sembra logico escludere tale possibilità in via di principio, e senza tener conto della consistenza economica del lascito; quest’ultima potrebbe infatti essere tale da indurre a ritenere che intenzione della testatrice era stata certo quella, espressa in modo non equivoco, di assicurare la manutenzione del suo sepolcro, ma anche quella di destinare il suo patrimonio (per la parte non impiegata nel perseguimento di tale finalità) ad “un’opera di bene”, ossia ad un ente istituzionalmente dedito alla assistenza e alla beneficenza; sicché la disposizione per cui è causa poteva apparire del tutto “simile” a quelle attribuite “a favore dei poveri”.
Il ricorso incidentale condizionato proposto da Stefano e Daniele Bolla è inammissibile perché con esso i proponenti non hanno formulato censure contro la sentenza della Corte d’appello di Milano indicata in epigrafe, e non ne hanno chiesto la cassazione, ma si sono limitati a ricordare che nel giudizio di merito erano stati da essi prospettati altri motivi di gravame, oltre quello accolto; motivi che, riconoscono, “giustamente” non sono stati presi in considerazione dalla Corte territoriale, perché assorbiti, e dei quali, in caso di accoglimento del ricorso principale, chiedono l’esame nel giudizio di rinvio.
P.Q.M.
La Corte ordina la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, dichiara inammissibile quest’ultimo, accoglie il primo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
Roma, 18 gennaio 1999