Tribunale Milano, Sez. X, 3 luglio 2024, n. 6664

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Massima

La dispersione delle ceneri di un defunto senza il consenso espresso di quest’ultimo costituisce violazione dell’art. 411 c.p. e lede il diritto secondario di sepolcro dei congiunti, inteso come diritto personalissimo al culto e alla pietà verso le spoglie. Tale diritto, radicato negli artt. 2, 13 e 19 Cost., tutela sentimenti di rilevanza costituzionale, integra la libertà religiosa e la personalità individuale, ed è autonomamente risarcibile in caso di pregiudizio. La condotta illecita configura un danno non patrimoniale derivante dalla privazione definitiva del culto verso il defunto, risarcibile in via equitativa.

Testo

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
DECIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Spera ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 15763/2023 promossa
da:
(omissis)
ATTRICE
contro
(omissis)
CONVENUTA
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da verbale di udienza del 09.04.2024.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 281 decies c.p.c., (omissis) proponeva domanda nei confronti di (omissis) per sentirla condannare al risarcimento del danno non patrimoniale subito in conseguenza della condotta illecita, integrante il reato di “distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere” ex art. 411 c.p., perpetrata dalla convenuta.
In data 22.06.2023, il Giudice fissava la comparizione delle parti per l’udienza del 14.11.2023 e assegnava termine per la costituzione di parte convenuta.
All’udienza di prima comparizione, verificata la ritualità della notifica del ricorso e del decreto, il Giudice dichiarava la contumacia della convenuta. Nella stessa udienza il Giudice ammetteva la prova per testi dedotta da parte ricorrente delegando il Giudice del Tribunale di Ferrara per l’escussione degli stessi entro il termine del 15.03.2024 e rinviando la causa innanzi a sé all’udienza del 09.04.2024.
In data 08.04.2024 si costituiva parte convenuta che concludeva per il rigetto di tutte le domande formulate da parte ricorrente in quanto infondate in fatto e in diritto.
Nella successiva udienza del 9.4.2024 le parti concordemente chiedevano di poter precisare le conclusioni e di procedere alla discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.; il Giudice autorizzava quindi le parti a precisare le proprie conclusioni e riservava la causa in decisione ex artt. 281 sexies e terdecies.
2. Sull’an debeatur
La ricorrente agisce in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito in conseguenza della condotta illecita perpetrata dalla sig.ra (omissis) la quale avrebbe disperso le ceneri del marito defunto senza il consenso di quest’ultimo, impedendo di fatto alla figlia, odierna ricorrente, il compimento degli atti di culto e di pietà che avrebbe voluto riservare al defunto padre.
Nel ricorso introduttivo del presente giudizio, la ricorrente esponeva:
– che, subito dopo essersi sposata in data 03.10.1992 a Milano, era andata a risiedere a Ferrara dove attualmente ancora risiede;
– che suo padre era deceduto in data 29.01.2003;
– che suo fratello (omissis) e sua madre, la sig.ra (omissis) hanno coabitato nella residenza familiare di Milano in via (omissis) sino a gennaio 2014;
– che, fintantoché i sig.ri sopracitati abitavano nella residenza familiare, avevano concesso alla ricorrente di accedere all’urna custodita nella camera matrimoniale di quella abitazione; urna nella quale, secondo quanto le era sempre stato prospettato dalla madre e dal fratello, erano custodite le ceneri del padre, il defunto sig. (omissis).
– che nel gennaio 2014, dopo la vendita dell’appartamento di via (omissis) sua madre e suo fratello trasferivano la residenza in altra zona di Milano; a quel punto, il fratello e la madre vietavano alla ricorrente di accedere alla loro abitazione senza comunicare nulla in relazione al luogo di conservazione delle ceneri, nonostante la ricorrente continuasse a chiedere di poter rendere il culto al padre defunto;
– che, in data 20.07.2022, la ricorrente apprendeva tramite una p.e.c. inviata dall’avvocato che assisteva la madre, che le ceneri del padre non erano mai state conservate nell’urna custodita nella casa di via (omissis) bensì erano state disperse;
– che, al contrario, non risultava affatto che il defunto padre della ricorrente avesse mai espresso la volontà di veder disperse le sue ceneri;
– che, nella lettera firmata dall’odierna convenuta in data 26.03.2023, quest’ultima ammetteva di essere stata lei a disperdere le ceneri.
Questo Giudice ritiene che la ricostruzione dei fatti così come prospettati da parte ricorrente sia pienamente suffragata dalla documentazione riportata agli atti e dalle testimonianze rese in sede di istruttoria orale innanzi al Giudice del Tribunale di Ferrara.
Per quanto riguarda la documentazione prodotta, particolare rilevanza riveste la domanda di iscrizione alla Società per la Cremazione, datata 20.08.1997 ed eseguita dal sig. (omissis) in cui vi è una dichiarazione di volontà dello stesso nella quale affermava: “voglio essere cremato” con firma autenticata dal Notaio (v. doc. 11 fasc. ricorrente). Invece, non vi è traccia della volontà di disperdere le proprie ceneri.
La cremazione del sig. (omissis) venne poi effettivamente autorizzata dal settore servizi funebri del Comune di Milano (cfr. doc 7 fasc. ricorrente) ed eseguita come risulta dal verbale di cremazione del Comune di Milano – crematorio di Lambrate. In quest’ultimo documento si riporta che: “eseguita la cremazione, si è proceduto alla estrazione delle ceneri che sono state raccolte e deposte in apposita urnetta di zinco” e che la stessa è stata poi consegnata alla sig.ra (omissis) che dichiarava di assumersi ogni responsabilità in ordine al trasporto
delle ceneri al cimitero di Marsiglia in Francia (v. doc. 8 fasc. ricorrente). L’autorizzazione al trasporto delle ceneri del sig. (omissis) era stata data dal Comune di Milano su istanza, formulata in data 04.12.2003, del figlio (omissis).
In ordine alla responsabilità della convenuta, è di fondamentale importanza la lettera del 26/3/2023 a firma della sig.ra (omissis) che contiene una dichiarazione confessoria, dal momento che la stessa ammette espressamente: “faccio presente che quello che le ha detto la sua cliente è completamente falso. Non è vero che ha fatto tutto da solo [parlando del figlio]. È andato da solo ma con il nostro consenso agli Uffici comunali per organizzare il
funerale, cremazione e permesso dell’espatrio delle ceneri poi si è completamente disinteressato […] tutto il resto l’ho fatto io” (cfr. doc. 14 fasc. ricorrente).
I testimoni escussi hanno inoltre confermato: l’abitudine della ricorrente di rendere il culto alle ceneri del padre, che credeva conservate nell’urna posta nella camera matrimoniale della casa famigliare; e l’impossibilità, da inizio anno 2014, di poter accedere alla casa, con la conseguenza di non poter più esercitare il culto di pietà verso il padre e senza sapere ove la madre e/o il fratello avessero portato le ceneri.
In particolare, la teste (omissis) figlia della ricorrente, affermava che da quando era morto suo nonno, andava con la sua famiglia a trovare la nonna e cioè la sig.ra (omissis). Proprio in quelle occasioni le era stato illustrato che nella camera da letto matrimoniale dei nonni, nell’armadio, era collocata un’urna contenente le ceneri del nonno su cui era stata apposta la sua fotografia ed anche una targhetta dorata col suo nominativo. Le visite alle ceneri del nonno avvenivano per lo più nei periodi di vacanza (Natale, Pasqua, certe volte in estate). La teste riportava altresì uno specifico episodio avvenuto nel dicembre del 2013 mentre era in visita alla nonna con la sua famiglia. In quell’occasione ci sarebbe stata una discussione tra la madre e lo zio che avrebbe giurato che non avrebbero messo mai più piede nella nuova casa che avrebbe acquistato, come in effetti poi avvenne. Pertanto, non fu più possibile per l’intera famiglia far visita al nonno anche perché, addirittura, non era stato comunicato dove lo zio e la nonna si fossero trasferiti e, quindi, dove fossero state portate le ceneri.
Anche l’altra figlia della ricorrente, (omissis) ha confermato le già menzionate circostanze dichiarando che: “dal 2003, quando è morto il nonno, noi accompagnavamo più volte all’anno la mamma a Milano presso la residenza della nonna perché lì, nell’armadio della camera da letto, erano poste le ceneri del nonno. La mamma aveva così modo di pregare il nonno e anche io ho visto l’urna che si trovava nell’armadio prima anta a sin. dove si trovavano ancora
tutti i suoi vestiti, la foto del nonno e la targhetta con il suo nome e cognome, la data di nascita e di morte. Dal 2014, quando la nonna e lo zio hanno venduto la casa, si sono portati dietro le ceneri del nonno e a noi non è stato più detto dove fossero state collocate dette ceneri. Mia madre ha chiesto a mia nonna più volte dove fossero le ceneri del nonno ma non ha mai ottenuto risposta, mio zio non ci ha mai permesso di entrare nella nuova casa, non abbiamo più avuto la possibilità di vedere il nonno.[…] Fino al 2013, quando non c’era mia mamma, nostro zio ci faceva vedere, a me e a mia sorella, l’urna cineraria del nonno che, appunto si trovava dentro l’armadio in una specie di altarino e ci diceva “salutate vostro nonno”. Più volte l’anno, circa tre quattro volte, ci recavamo a Milano per esercitare il culto e pregare il nonno
Le medesime circostanze sono infine state confermate anche dall’ex marito dell’odierna ricorrente, il sig. (omissis) che unitamente a sua moglie e alle loro due figlie, si recavano a Milano, circa 3-4 volte all’anno. Il teste si era recato un paio di volte dentro la camera dove era alloggiata l’urna, posta dentro un armadio, contenente le ceneri del defunto (omissis). Egli affermava inoltre che sua moglie si recava più spesso a fargli visita, ma che, dopo che la stessa litigò con il fratello nel 2013, gli venne impedito di esercitare il culto per il defunto padre. In sede istruttoria, (omissis) dichiarava altresì che “nel periodo di settembre-ottobre-
novembre 2003, i miei suoceri hanno vissuto a casa nostra a Ferrara. Una volta che eravamo seduti sul divano […], mi disse chiaramente che voleva essere cremato ma che non voleva che le ceneri venissero disperse
” (cfr. verbale udienza 12.02.2024).
Rileva il Tribunale che risulta raggiunta la prova che la sig.ra (omissis) abbia disperso le ceneri del defunto padre della ricorrente, facendole tuttavia credere che dette ceneri fossero ancora contenute nell’urna posta nella casa famigliare; e impedendole addirittura di accedere alla propria abitazione a partire dal 2014.
Le ceneri del sig. (omissis) sono state disperse in assenza della precisa volontà dello stesso, in violazione della normativa in materia. Infatti la l. 30 marzo 2001, n. 130 recante disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri: l’art. 3 lett. c) dispone che: “la dispersione delle ceneri è consentita, nel rispetto della volontà del defunto, unicamente in aree a ciò appositamente destinate all’interno dei cimiteri o in natura o in aree private”; nella lettera d) viene altresì prescritto che: “la dispersione delle ceneri è eseguita dal coniuge o da altro familiare avente diritto, dall’esecutore testamentario o dal rappresentante legale
dell’associazione di cui alla lettera b), numero 2), cui il defunto risultava iscritto o, in mancanza, dal personale autorizzato dal comune
”.
Ritiene il Tribunale che la descritta condotta della convenuta integri, con valutazione di questo giudice incidenter tantum, gli estremi soggettivi e oggettivi di cui all’art. 411 c.p. che sanziona chiunque distrugga, sopprima o sottragga un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne sottragga o disperda le ceneri. Il terzo comma della norma prevede che “non costituisce reato la dispersione delle ceneri di cadavere autorizzata dall’ufficiale dello stato civile sulla base di espressa volontà del defunto”. La ratio di questa disposizione è quella di regolamentare e garantire gli atti di disponibilità del proprio corpo come conseguenza del principio di autodeterminazione dell’individuo. Nella fattispecie concreta, il defunto sig. (omissis) non ha
mai espresso alcuna volontà in tal senso, di conseguenza la sua dispersione delle ceneri costituisce una condotta criminosa contro la pietà dei defunti.
2.1 Sul diritto secondario di sepolcro
Il danno subito dalla ricorrente, in conseguenza di tale fatto illecito, consiste nella lesione del diritto secondario di sepolcro, che può essere definito come la facoltà di accedere alla tomba per compiervi gli atti di culto e di pietà verso le salme dei propri congiunti o dei propri danti causa, ivi legittimamente seppelliti, nonché il diritto di impedire atti che turbino l’avvenuta tumulazione delle predette salme (cfr. Cass. sent. n. 246 del 07/02/1961).
Tale diritto ha natura personalissima e intrasmissibile; trova ragione innanzitutto nella Carta fondamentale negli artt. 2, 13 e 19 e spetta a chiunque sia congiunto a una persona, che riposa in un sepolcro, di accedervi e di opporsi ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella spoglia.
Il diritto secondario di sepolcro investe sentimenti che:
1. esaltano l’aspetto spirituale dell’uomo;
2. costituiscono la parte più alta e fondamentale del patrimonio affettivo della comunità;
3. rappresentano dal punto di vista giuridico la classe dei sentimenti-valori, qualificati positivamente dal diritto e protetti sia in funzione della loro attuazione sia contro eventuali violazioni.
L’interesse dei parenti ad avere un luogo per onorare il defunto e l’interesse a che tale luogo non sia trasformato sono esplicazione di un diritto della personalità, posto che il culto dei defunti è una parte fondamentale della vita personale di ciascuno con rilevanza ai sensi dell’art. 2 della Costituzione: la pratica del culto dei defunti, è manifestazione di profondo radicamento antropologico e culturale e di millenaria consuetudine e, pertanto, costituisce inalienabile ed intangibile estrinsecazione della umana personalità. La dispersione delle ceneri contenute nell’urna cineraria impedisce irreversibilmente il culto del defunto e integra
quindi gli estremi di una condotta illecita allorché non sia stata previamente consentita dal de cuius.
Il diritto secondario al sepolcro è anche espressione della libertà religiosa di ognuno, essendo il culto dei defunti comune a diverse religioni; e dunque trova fondamento altresì nell’articolo 19 della Cost., che garantisce la libertà di religione e delle pratiche che ne sono espressione.
Nello specifico, il diritto secondario al sepolcro si estrinseca:
1. nel diritto di visita e culto: i parenti e le persone affettivamente legate al defunto hanno il diritto di accedere, visitare la tomba e di rendere omaggio al defunto; questo diritto include la possibilità di svolgere riti e cerimonie religiose o commemorative presso la tomba; ne consegue, per i familiari e agli amici, la possibilità di mantenere un legame emotivo con il defunto, fondamentale per il processo di rielaborazione del lutto e per il rispetto delle tradizioni culturali e religiose;
2. nel diritto di mantenere e curare il sepolcro: questo aspetto permette di onorare e rispettare la memoria del defunto, contribuendo alla conservazione del luogo di sepoltura in modo dignitoso;
3. nel diritto relativo allo svolgimento dei riti: i familiari hanno il diritto di svolgere riti e cerimonie presso il sepolcro, in accordo con le proprie tradizioni religiose e culturali. Questi riti consentono l’elaborazione del lutto e il rispetto delle credenze spirituali dei familiari e del defunto.
Il diritto secondario al sepolcro è protetto dalla legge per impedire eventuali interferenze o violazioni, così assicurando che i sentimenti di pietà e il diritto di onorare i defunti siano rispettati e non ostacolati da terzi.
Il giudice è pertanto chiamato a bilanciare il diritto secondario al sepolcro con altri diritti e interessi, come la proprietà privata, al fine di rinvenire soluzioni che rispettino i sentimenti e gli interessi di tutte le parti coinvolte.
Nell’ipotesi di controversia tra i familiari circa l’accesso al sepolcro, il giudice dovrà quindi garantire che tutti i legittimati possano esercitare il proprio diritto di visita e culto e sanzionare chi ne impedisca in tutto o in parte l’esplicazione.
In tema la Corte di cassazione si è recentemente espressa con la sent. n. 370 del 10.01.2023 che afferma: “dal diritto “primario” al sepolcro – consistente nel diritto ad essere seppellito o a seppellire altri in un dato sepolcro – si distingue quello “secondario” dei parenti ad accedere alla sepoltura del proprio congiunto e ad opporsi a qualsiasi trasformazione idonea ad arrecare pregiudizio al rispetto dovuto alle sue spoglie; quest’ultimo costituisce esplicazione della personalità e della libertà religiosa dell’individuo (tutelata dagli artt. 2,13 e 19 Cost.) e dalla sua lesione può derivare un danno non patrimoniale risarcibile. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto a una donna il risarcimento del danno non patrimoniale patito in conseguenza della cremazione, successiva alla riesumazione, dei resti del padre, in assenza del consenso richiesto dall’art. 3, comma 1, lett. g, della l. n. 130 del 2001)”.
Ebbene, è di tutta evidenza che, in applicazione degli esposti principi di diritto, la convenuta debba essere condannata al risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla ricorrente in conseguenza del fatto illecito di cui è causa, che ha determinato la lesione del diritto inviolabile di compiere gli atti di culto e di pietà verso la salma del proprio congiunto o dante causa.
Ciò si ravvisa in relazione a molteplici aspetti quali:
– mancanza di consenso alla dispersione delle ceneri da parte del de cuius: questo atto compiuto dalla madre, pertanto, è considerato una ulteriore violazione del rispetto dovuto alla memoria del defunto e per l’effetto dei sentimenti della figlia. La mancanza di rispetto per le volontà del defunto e per il diritto della figlia di partecipare o essere informata di tale decisione è una violazione e una mancanza di considerazione per i suoi diritti e sentimenti;
– falsità dell’urna cineraria: la ricorrente ha scoperto dopo circa 20 anni che l’urna, che credeva contenere le ceneri del padre, era sempre stata vuota, subendo così un odioso inganno prolungato nel tempo: ha vissuto per anni onorando il padre di fronte a un’urna vuota, facendo affidamento sulle assicurazioni della madre che contenesse le ceneri del padre;
– privazione del culto del defunto: la convenuta ha negato alla figlia l’accesso all’urna dopo aver trasferito la propria abitazione per circa nove anni; ha così impedito alla figlia la reiterazione delle visite, il raccoglimento e il culto presso l’urna contenente le ceneri del padre. La perdita di questo rito può causare un forte stress emotivo e un senso di perdita;
– centralità delle figure coinvolte: per quanto riguarda il defunto, si tratta delle ceneri del padre, certamente una figura centrale nella sfera affettiva della parte ricorrente; inoltre, l’inganno è stato perpetrato dalla madre, figura altrettanto centrale nella sfera dell’affettività della ricorrente. Costituisce massima di comune esperienza il rapporto di incondizionata fiducia che il figlio ripone nei confronti dei propri genitori e per converso la responsabilità degli stessi nei confronti dei propri figli;
– l’ulteriore trauma per la figlia: la consapevolezza che i propri figli sono stati coinvolti in questo inganno aggiunge certamente ulteriore dolore;
– dinamicità delle relazioni famigliari: la dinamica familiare è stata danneggiata, influenzando negativamente le relazioni all’interno della famiglia. La condotta della madre non solo ha causato pregiudizi emotivi alla ricorrente deteriorando la relazione tra le stesse, ma ha sicuramente influenzato negativamente l’unità familiare anche nel rapporto con il fratello, complice, in quanto era a conoscenza della verità fin dall’inizio.
In questo quadro, pertanto, appare evidente la condotta illecita di parte convenuta. La violazione della fiducia, l’amplificazione del trauma emotivo, le aspettative di comportamento morale, il danno alle relazioni familiari e alle memorie condivise sono tutti fattori che fanno emergere la mancanza di considerazione nei confronti della figlia/ricorrente per i suoi diritti e sentimenti.
3. Sul quantum debeatur
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, la Cass. sent. n. 901 del 17.01.2018 ha statuito che: “il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti”.
Inoltre, anche nell’ordinanza cass. n. 7513/2018 (c.d. “ordinanza decalogo”) si afferma nel punto dieci che: “Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell’uno come nell’altro caso, senza
automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria”.
Orbene, il danno dinamico relazionale è comprovato dagli spostamenti compiuti dalla ricorrente per poter onorare il culto del defunto padre. Il danno da sofferenza soggettiva interiore risulta già comprovato alla luce delle molteplici considerazione innanzi esposte e può essere analiticamente ravvisato in quattro momenti differenti: quello intercorrente tra la data del decesso del padre e il periodo in cui è stato consentito l’accesso all’urna (dal 29.01.2003 al gennaio 2014 circa); il momento a partire dal quale non è stato invece consentito l’accesso
all’urna (dal gennaio 2014 in poi); il momento in cui la ricorrente ha appreso di aver pregato innanzi a un’urna che in realtà è sempre stata priva delle ceneri del padre (nel luglio 2022) e, in ultimo, il danno derivante da non poter mai più rendere il culto al padre nella consapevolezza della irrimediabile perdita delle ceneri.
Alla luce di quanto esposto, le peculiarità della fattispecie concreta e l’assenza di precedenti giurisprudenziali costringono questo giudice a liquidare questo danno con l’utilizzo del mero criterio equitativo ex art. 1226 c.c.
Con prudente apprezzamento, stimasi equo liquidare alla ricorrente la somma complessiva di euro 50.000,00 (comprensiva di interessi compensativi e rivalutazione monetaria); pertanto la convenuta va condannata al pagamento di detta somma, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo.
3. Sulle spese processuali
Consegue alla soccombenza la condanna della convenuta a rifondere alla ricorrente le spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:
– condanna la convenuta al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di euro 50.000,00, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo;
– condanna la convenuta a rifondere alla ricorrente le spese processuali, che liquida in euro 545,00 per esborsi e in euro 7.000,00 per onorario di avvocato, oltre spese forfettarie nella
misura del 15%, oltre C.P.A. ed I.V.A.;
– dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.
Milano, 2 luglio 2024
Il Giudice Istruttore
In funzione di Giudice Unico (dott. Damiano Spera)