Norme correlate:
Massima
Testo
Norme correlate:
Art 338 Regio Decreto n. 1265/1934
Capo 10 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990
Massima:
TAR Puglia, Sez. II, 4 novembre 2002, n. 4755
Le fasce di rispetto cimiteriale costituiscono un vincolo urbanistico stabilito con leggi dello Stato (art. 338, r.d. 27 luglio 1934 n. 1265) e delle regioni; esse, come tali, sono operanti “ex se” indipendentemente dagli strumenti urbanistici vigenti ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi.
Testo completo:
TAR Puglia, Sez. II, 4 novembre 2002, n. 4755
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA
Sede di Bari – Sezione Seconda
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1787/01 proposto da Cialdella Sergio e Cialdella Maria Francesca, rappresentati e difesi dagli avv.ti Felice Eugenio Lorusso e Gianfranco Ordine, anche in via disgiuntiva, con loro elettivamente domiciliati in Bari, alla via Amendola n. 166/5;
contro
Comune di Cerignola, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Raffaele De Robertis ed elettivamente domiciliato in Bari alla via Davanzati n. 33;
per la condanna
del Comune intimato al risarcimento del danno derivante da occupazione illegittima ed irreversibile trasformazione dei suoli di proprietà dei ricorrenti oltre interessi e rivalutazione monetaria;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cerignola;
Relatore, all’udienza del 17 ottobre 2002, il magistrato Giuseppe Rotondo;
Uditi gli avv.ti Felice Eugenio Lorusso, Gianfranco Ordine e Maria Grazia De Roberto (quest’ultima per delega dell’avv. Raffaele De Robertis);
Ritenuto in fatto e considerato in diritto:
FATTO
Con atto notificato il 15 ottobre 2001 e depositato il successivo giorno 19, i ricorrenti propongono l’epigrafato ricorso.
Chiedono che, accertata l’irreversibile trasformazione dei terreni di loro proprietà, il Comune di Cerignola sia condannato a risarcire il danno da essi subito che si quantifica in £ 4.721.400.000 oltre accessori, o nella maggiore o minor somma che il Tribunale vorrà accertare; somma da maggiorare di interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data in cui è sorto il diritto sino ad integrale soddisfo e da liquidarsi in proporzione alla quota di proprietà di ciascuno dei ricorrenti.
Si è costituito il Comune di Cerignola che, oltre a confutare la tesi avversaria, eccepisce la prescrizione del credito azionato.
Con memorie conclusionali depositate il 20 e 21 settembre 2002 le parti prospettano in modo più articolato le loro tesi difensive ed insistono per l’accoglimento delle rispettive richieste.
All’udienza del 17 ottobre 2002 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Il Comune di Cerignola ha occupato in via temporanea e d’urgenza (con decreto n. 16127 del 31/5/84, notificato il 5/6 successivo) parte dei suoli di proprietà dei ricorrenti.
L’occupazione è stata disposta per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione (viabilità e pubblica illuminazione) di cui alla deliberazione di C.C. n. 3 del 10/3/82, quest’ultima recante l’approvazione del piano particolareggiato d’esecuzione della zona C1, in variante al P.R.G., in contrada Scarafone.
All’occupazione non è seguito alcun decreto di esproprio.
Di qui la domanda giudiziale degli interessati finalizzata al conseguimento del risarcimento del danno sul presupposto dell’intervenuta irreversibile trasformazione dei suoli.
Sostengono gli istanti che:
1) “mentre nel decreto di occupazione la superficie interessata era indicata in complessivi 18.960 mq., in concreto l’immissione in possesso è stata effettuata su un’area totale di 31.376 mq (…)”.
2) il Comune di Cerignola “nonostante le reiterate richieste di determinazione dell’indennità di occupazione e dell’indennità di esproprio, anche a mezzo di atto di diffida e costituzione in mora notificato in data 6/4/98, non ha mai inteso riconoscere ai ricorrenti quanto loro spettante per la perdita dei terreni abusivamente occupati”.
Chiedono, pertanto, il risarcimento del danno ingiusto determinatosi a seguito dell’occupazione appropriativa nonché l’accertamento del proprio diritto a percepire l’indennità di occupazione.
Per la quantificazione del danno essi invocano, sul presupposto della natura edificatoria dei suoli siccome appresi, l’applicazione dell’art. 5 bis, del D.L. n. 333/92, convertito in L. 8/8/92, n. 359, nel testo integrato dall’art. 3, comma, comma LXV, della legge n. 662/96.
Si è costituito il Comune di Cerignola che, oltre a sostenere l’infondatezza del ricorso, eccepisce – preliminarmente – la prescrizione del diritto azionato.
Nella memoria conclusionale depositata il 20 settembre 2002 l’Amministrazione resistente articola meglio detta eccezione. Ed invero, a suo dire, il credito azionato si sarebbe prescritto del tutto ad eccezione di quello fatto valere tempestivamente dal Cialdella Sergio con “richiesta dell’11/5/94, relativamente ai 6829 mq. ivi indicati”.
In fatto, alla stregua della documentazione prodotta in causa, il Collegio reputa incontrovertibile che:
1) l’occupazione è stata disposta per la realizzazione di opere dichiarate di pubblica utilità (Cfr. deliberazioni di C.C. n. 3/82, n. 423/83 e n. 118/84);
2) il decreto di occupazione (n. 16127/84) è stato notificato ai ricorrenti in data 5/6/84;
3) l’immissione in possesso nei relativi suoli è avvenuta il successivo 18 luglio (cfr. stato di consistenza – doc. 8 e 9 allegati al controricorso);
4) sussiste perfetta coincidenza (di misure, entità e dati catastali) tra le particelle indicate nel decreto di occupazione (interessate alla realizzazione delle opere) e quelle concretamente fatte oggetto di apprensione (immissione materiale nel possesso);
5) alcun decreto di esproprio risulta emanato dall’Amministrazione comunale, pur decorsi i termini di occupazione legittima;
6) le opere in questione sono state realizzate nel corso dell’occupazione autorizzata.
Osserva il Collegio, che la causa attiene ad una fattispecie di occupazione appropriativa (non sono contestate in atti l’esistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica e la mancanza del decreto d’esproprio): la domanda, dunque, è inerente all’occupazione permanente ed irreversibile dei terreni.
Il fenomeno dell’occupazione appropriativa (o accessione invertita) va ricostruito in termini di illecito extracontrattuale (cfr. Corte Cost. 29/3/95, n. 188).
Ed invero, il Legislatore ha qualificato in termini risarcitori le conseguenze economiche dell’acquisto del bene privato al patrimonio dell’erario in assenza del decreto d’esproprio (cfr. art. 3, comma LXV, L n. 662/96).
Durante il periodo di occupazione autorizzata (decorrente dalla data di immissione in possesso) l’Amministrazione pubblica può procedere a tutte le operazioni dirette alla realizzazione dell’opera pubblica; pertanto, la trasformazione del fondo è per definizione non solo legittima ma anche improduttiva di danni.
È la mancata emissione del decreto d’esproprio entro tale periodo (accompagnata dalla contemporanea, irreversibile trasformazione del fondo di proprietà privata in opera pubblica) che rende illegittima l’impossibilità di restituzione del fondo alla scadenza del termine di occupazione autorizzata concretando la fattispecie complessa estintivo – acquisitiva del diritto dominicale e la contestale consumazione del fatto illecito agli effetti della liquidazione del danno.
Le considerazioni che precedono (insussistenza di una fattispecie produttiva di danno – recte, illegittima – nel periodo di occupazione autorizzata) comportano la declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di accertamento del diritto soggettivo alla corresponsione dell’indennità di occupazione.
Ed invero, la vicenda giudiziaria che involge la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa (occupazioni, requisizioni) rientra – de plano, ratione materia – nella sfera di giurisdizione del giudice ordinario (art. 34, D.lvo n. 80/98, nel testo sostituito con l’art. 7, della L. n. 205/00).
Nel caso in esame occorre accertare, in via propedeutica, l’esatto momento in cui è cessato il periodo di occupazione legittima (decorrendo da tale scadenza il termine quinquennale di prescrizione dell’azione risarcitoria stabilito dall’art. 2947, comma I, Cod. civ.).
Com’è noto, il periodo di occupazione legittima decorre, ai sensi dell’art. 20, comma II, legge n. 865/71, dalla data di immissione in possesso (per vero, l’occupazione d’urgenza soggiace a due distinti termini di durata: il decreto, infatti, perde efficacia se entro tre mesi dalla sua emanazione non segue la materiale apprensione del bene; mentre l’occupazione non può essere protratta oltre i cinque anni dall’immissione in possesso – Cass. S.U. n. . 2081/94 e n. 9518/95).
Nella fattispecie, l’immissione in possesso – autorizzata con deliberazione di C.C. n. 118, del 12/4/84 per la durata di cinque anni – è avvenuta il 18/7/84 (vedi supra sub 3).
L’occupazione legittima, dunque, sarebbe giunta a scadenza il successivo 18/7/89.
Sennonché, detto termine è stato prorogato, dapprima, con l’art. 14, comma II, del D.L. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito in legge con modificazioni dalla L. 29 febbraio 1988, n. 47 – relativamente alle occupazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge medesima (1 gennaio 1988) – ed in seguito (per ulteriori due anni) con l’art. 23, della L. n. 158 del 20/5/91 – per le occupazioni d’urgenza in corso al primo gennaio 1991 (per incidens, giova osservare che l’art. 4, del d.lvo n. 166 del 1/8/02 – qualificata dal Legislatore come norma d’interpretazione autentica) ha stabilito che le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni d’urgenza stabilite dalla disciplina di proroga sopra citata “s’intendono riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e s’intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti”).
Deve concludersi che effettivamente quando i ricorrenti hanno notificato al Comune atto di diffida e messa in mora (6/5/98), per effetto delle proroghe, era in corso ancora il termine ordinario per l’esercizio del diritto di credito.
Ne consegue l’ammissibilità della domanda avanzata dai ricorrenti la quale ha ad oggetto un diritto di cui infondatamente viene eccepita la prescrizione.
La questione, a questo punto, involge esclusivamente la determinazione del danno subito dai ricorrenti per effetto dell’acquisto a titolo originario – in favore della mano pubblica – della proprietà del suolo occupato senza titolo.
A tal fine, è necessario il preventivo accertamento della natura del suolo occupato: se edificabile o agricolo. Ed invero, l’art. 5 – bis della legge n. 359/92 distingue soltanto tra questi due tipi di aree.
Detta distinzione è stata ritenuta conforma alla costituzione rientrando nella discrezionalità del legislatore differenziare tali ipotesi (Corte cost. n. 261, del 23/7/97).
In ordine al concetto di area edificabile sussiste un contrasto sia dottrinale che giurisprudenziale. Ed invero, si discute se il requisito dell’edificabilità dell’area sussista anche in mancanza di una possibilità legale ove si riconosca una vocazione edificatoria del sito.
Orbene, l’articolo 5 citato statuisce che “per la valutazione dell’edificabilità delle aree si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione”.
Ad avviso del Collegio l’uso della congiuntiva “e” depone nel senso che occorrono entrambi i requisiti della possibilità legale (classificazione urbanistica) e della possibilità effettiva di edificazione.
Pertanto, nel primo caso (area edificabile) sarà applicabile il criterio, introdotto dall’art. 3, comma 65, legge 23/12/96. n. 662, della semisomma del valore venale con il reddito dominicale rivalutato, senza la decurtazione del 40% e con incremento del 10%; mentre nel secondo caso il danno dovrà essere commisurato al valore sul mercato dei terreni agricoli.
Nel caso di specie dirimente, in punto di diritto, è la circostanza che i terreni in questione, ancorché inclusi in zona (ri)tipizzata “residenziale di completamento” – C1 – (delibera C.C. n. 204 del 11/4/80), ricadono – quanto meno dal 1980 – all’interno della fascia di rispetto cimiteriale (cfr. decreto n. 1758/80 del 3/2/80).
Orbene, è noto che le fasce di rispetto cimiteriale costituiscono un vincolo urbanistico stabilito con leggi dello Stato (art. 338, R.D. 27/7/34, n. 1265) e delle Regioni; esse, come tali, sono operanti ex sé indipendentemente dagli strumenti urbanistici vigenti ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi.
Al loro interno sono vietati interventi su edifici preesistenti che comportino un’alterazione dei volumi o delle superfici nonché le costruzioni di nuovi edifici.
L’art. 338 del citato decreto impone una fascia di rispetto intorno ai cimiteri di duecento metri. Detta distanza è derogabile dal Prefetto, per previsione espressa dello stesso articolato, in due distinte ipotesi: la prima, per l’ampliamento e/o la costruzione dei cimiteri stessi; la seconda, per altre finalità sempreché sia stata richiesta dal Consiglio comunale con apposita e motivata deliberazione.
Nel caso in esame risulta che con decreto del medico provinciale di Foggia (n. 1758/80 del 3/2/80) il Comune di Cerignola è stato autorizzato alla riduzione dell’aria di rispetto cimiteriale, sul lato est (interessato dai suoli dei ricorrenti), di mt. 100.
Ebbene, in disparte ogni considerazione in ordine alla circostanza che il provvedimento del medico provinciale si inserisce (come parere obbligatorio reso in luogo del Consiglio provinciale di Sanità – art. 1, della legge 17/10/57, n. 983 -) nel più ampio procedimento di deroga di competenza del Prefetto (di cui non v’è traccia in atti), decisiva è la circostanza che la deroga alla distanza minima di duecento metri dai cimiteri (disposta all’interno di quella preesistente), prevista per le costruzioni, riguarda unicamente l’ampliamento dei cimiteri stessi e non anche l’attività edificatoria ad opera dei privati (C. d. S. Sez V, 11/3/95, n. 377)..
Quanto sopra appare suffragato dalla recente novella legislativa introdotta con l’art. 28, del d.lvo n. 166 del 1/8/02. L’articolato, modificando l’art. 338 del T.U. delle leggi sanitarie di cui al r.d. 24/7/34, n. 1265, ha stabilito espressamente che la deroga alla distanza dei duecento metri è possibile, in presenza di predeterminate condizioni, per la costruzione (soltanto) di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti; in tal modo confermando il vincolo teleologico e funzionale della deroga con detti interventi (tipici) di natura pubblicistica.
Ne consegue, alla stregua di quanto sopra esposto, che le aree dei ricorrenti, siccome vincolate da prescrizioni urbanistiche inderogabili nonché sottratte concretamente a possibilità legali di edificazione, devono essere qualificate come agricole – tertium non datur – (cfr. Cass. Sez I, n. 8634/98).
La difesa del Comune, per vero, revoca in dubbio che l’accessione invertita abbia interessato l’intera area occupata.
L’assunto è inconferente.
Ed invero, la genericità dell’affermazione prospettata in termini (meramente) dubitativi – non supportata sul piano probatorio da alcun elemento peritale e/o documentale indispensabile per assolvere, in parte qua – all’onere della prova nonché per consentire al giudice di disporre, del caso da lui reputato opportuno, una consulenza tecnica in punto di riscontro fattuale – non è idonea a fondare l’eccezione di inefficacia dei fatti (art. 2697, comma II, Cod. civ.) che costituiscono il fondamento della pretesa azionata (utilizzazione, ai fini dell’opera pubblica, del suolo occupato e pedissequa radicale trasformazione del medesimo per attrazione alla categoria dei beni pubblici.
La natura agricola dei terreni occupati comporta che il valore del terreno in questione va accertato, ai fini della liquidazione del danno da occupazione appropriativa, con riferimento al valore agricolo di mercato.
Sul punto, il Collegio ritiene di dover fissare i seguenti criteri di liquidazione ai sensi di quanto disposto dall’art. 35, del D.lvo n. 80/98, nel testo sostituito con l’art. 7, della L. n. 205/2000:
a) il valore di mercato dei terreni deve essere stimato alla data di scadenza dell’occupazione legittima – quale risultante, quest’ultima, all’esito delle ripetute proroghe legali succedutesi per effetto delle disposizioni normative sopra citate – in quanto da questa data il Comune è proprietario dei suoli stessi per accessione invertita;
b) per la commisurazione del danno dovrà tenersi conto, indicativamente, dei criteri di cui agli artt. 15 e 16 della legge 22/10/71, n. 865;
c) sull’importo spettante alla data di accessione è dovuta la rivalutazione monetaria nonché, sulla somma via via rivalutata, gli interessi legali fino alla data di liquidazione (debito di valore); per il periodo successivo – dalla sentenza al soddisfo – andranno corrisposti, invece, soltanto gli interessi legali (debito di valuta);
d) le somme, come sopra determinate, andranno calcolate e liquidate separatamente nei confronti dei due ricorrenti in proporzione alla quota di (ex) proprietà di ciascuno di essi.
In ordine al punto sub c) il Collegio – a confutazione della tesi di parte resistente – ritiene legittimo il cumulo della rivalutazione monetaria con gli interessi sulla somma liquidata in quanto i due istituti assolvono a funzioni diverse.
Ed invero, il primo mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno; il secondo svolge una funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata (recte, rivalutata).
Infondata, infine, è la domanda avanzata dal Comune resistente di voler compensare il danno patito dai ricorrenti con il maggior valore conseguito dalle aree residuali e finitime di proprietà Cialdella per effetto della realizzazione dell’opera pubblica in asserita applicazione degli art. 40 e 41, della legge n 2359 del 1865.
In disparte ogni considerazione sulla differenza ontologica tra le due fattispecie messe a raffronto (espropriativa l’una, illecita l’altra) in ragione della quale non appare possibile invocare il medesimo trattamento giuridico (detrazioni dall’indennità), ciò che rileva in via dirimente è la circostanza che le ipotesi normative contemplate negli artt. 40 e 41, legge citata, postulano il conseguimento di un vantaggio speciale ed immediato derivante dalla esecuzione di un’opera pubblica alla porzione di immobile non espropriata (rectius, non occupata in via appropriativa); pertanto, le detrazioni ivi previste (nel caso di specie, asseritamente da compensarsi con le somme dovute a titolo di risarcimento danni) non possono essere riconosciute quando non sia stato provato (ex art. 2697, comma I, Cod.civ.) che il beneficio, discendente dall’esistenza dell’opera pubblica, sia – per gli eventuali immobili residui e/o finitimi degli espropriati (recte, dei proprietari danneggiati) direttamente collegato alla fattispecie estintivo – acquisitiva del diritto dominicale; quindi, differenziato e particolare anche se non esclusivo, anziché quello, meramente generico, comune a tutta la collettività.
In conclusione, dunque, va disposto l’accoglimento parziale del ricorso nei termini prospettati in motivazione.
La parziale soccombenza è giusta causa per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sede di Bari – Sezione II, in parte dichiara inammissibile – per difetto di giurisdizione -ed in parte accoglie, nei sensi e limiti in motivazione, il ricorso n. 1787/01 proposto da Cialdella Sergio e Cialdella Maria Francesca, meglio in epigrafe specificato, e per l’effetto condanna il Comune di Cerignola a risarcire il danno ai ricorrenti.
Ai sensi dell’art. 7, della legge n. 205, del 21 luglio 2000 il Comune di Cerignola è tenuto a proporre ai ricorrenti, entro il termine di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della motivazione della sentenza, una proposta vincolante relativamente all’ammontare del risarcimento del danno, sulla base dei criteri indicati nella motivazione della sentenza.
Elasso il prefato termine, e comunque in caso di mancato accordo, il Tribunale Regionale può essere adito per la determinazione della somma di risarcimento con il ricorso in ottemperanza di cui all’art. 27, comma 1, numero 4), del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 17 ottobre 2002, con l’intervento dei Magistrati:
Michele PERRELLI Presidente
Doris DURANTE Componente
Giuseppe ROTONDO Componente, Est.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 04 NOV 2002.