Cassazione civile, Sez. Unite, 12 marzo 1986, n. 1666

Norme correlate:
Art 822 Regio Decreto n. 262/1942
Art 824 Regio Decreto n. 262/1942
Art 1145 Regio Decreto n. 262/1942
Art 1168 Regio Decreto n. 262/1942

Massima:
Cassazione civile, Sez. Unite, 12 marzo 1986, n. 1666
L’esperibilità davanti al giudice ordinario, nei rapporti fra privati, di azione di reintegrazione nel possesso di un immobile non resta esclusa dall’eventuale assoggettamento del bene al regime del demanio pubblico (nella specie, sotto il profilo della sua appartenenza a cimitero comunale), atteso che l’art. 1145 comma 2 c.c. espressamente accorda la tutela contro atti di spoglio, nell’ambito dei suddetti rapporti, anche per i beni demaniali.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. Unite, 12 marzo 1986, n. 1666
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giuseppe TAMBURRINO Primo Presidente
” Renato GRANATA Pres. di Sez.
” Andrea VELA ”
” Alberto VIRGILIO Consigliere
” Carlo NOCELLA ”
” Adriano COLASURDO ”
” Carmine LAUDATO ”
” Giuseppe CATURANI Rel. ”
” Romano PANZARANI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2942-82 del R.G. AA. CC. proposto
da
RINALDI ROMOLO, nato a Ussita il 17.11.1911 e residente a Serra
Petrona (Macerata), ed elettivamente domiciliato in Roma, Via
Alberico II n. 33 presso l’Avv. Peppino Longo, rappresentato e difesa
dallo Avv. pietro Paolo Delle Fave, giusta delega a margine del
ricorso
Ricorrente
contro
CLAUDI BENIAMINO, elettivamente domiciliato in Roma Via Cicerone n.
49 presso l’Avv. Antonio Bernardini, che lo rappresenta e difende
unitamente all’Avv.to Giuseppe Sartori, giusta delega in calce al
controricorso;
Controricorrente
Avverso la sentenza del tribunale di Macerata depositata il
10.7.1981;
Udita nella pubblica udienza, tenutasi il giorno 10 ottobre 1985, la
relazione della causa svolta dal cons. Rel. Caturani;
Uditi gli avvocati Bernardini-Sartori;
Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Prof. Vittorio Sgroi,
Avvocato Generale presso la Corte Suprema di Cassazione, che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTO
Con ricorso al Pretore di Tolentino in data 11 gennaio 1967, Beniamino Claudi, premesso di essere possessore di un’area sita al confine con il cimitero di Pievefavena, frazione di Caldarola da lui acquistata con atto per notar Gentilucci del 6 novembre 1937 e destinata alla costruzione di una cappella funeraria, assumeva che Romolo Rinaldi aveva occupato circa la metà di detto terreno pur delimitato da picchetti, per costruirvi una tomba, malgrado le reiterate proteste e diffide da lui rivoltegli, talché chiedeva a quel Pretore di essere reintegrato nel possesso dell’area con ordine allo spoliante di demolire il manufatto e di sgomberare il terreno arbitrariamente occupato.
Nella resistenza della parte convenuta il Pretore adito, con sentenza del 21 gennaio 1977, riteneva sussistente il possesso del Claudi su una superficie di metri 5,60×7,20 secondo la planimetria in atti e condannava il Rinaldi a rimuovere la porzione della cappella funeraria eretta in tale ambito.
Su gravame di entrambe le parti, il tribunale di Macerata, con sentenza del 10 luglio 1981, rigettava entrambi gli appelli, confermando la decisione di primo grado.
Riteneva il tribunale che: a) l’area controversa non era demaniale ma di proprietà privata e trovavasi fuori dell’area cimiteriale ancorché con questa confinante; b) l’atto amministrativo del Sindaco di Caldarola in data 19 dicembre 1966 con il quale si autorizzava la costruzione di un sepolcreto in adiacenza al cimitero di Pievefavera e da accorparsi al cimitero stesso, doveva qualificarsi come licenza edilizia e pertanto non poteva avere l’efficacia di includere il sepolcro, costruito su area privata nell’attigua area cimiteriale e demaniale; c) il possesso del Claudi era provato da alcune specifiche attività e comportamenti tenuti nel tempo (delimitazione con canneto dello spazio di cui si contende; l’avere intimato con successo al colono della Parrocchia Domenico Pieroni di rimuovere del pietrame che quegli vi aveva abusivamente depositato; l’esservi saltuariamente acceduto); d) l’animus spoliandi del Rinaldi si desumeva dal fatto che dalla scrittura in data 14 dicembre 1966, coeva allo spoglio, emergeva come egli non potesse non conoscere la vicenda traslativa delle aree in questione ed in particolare quella relativa appunto alla area del Claudi; e) doveva ritenersi, in mancanza di prova contraria, che il possesso fosse stato esercitato conformemente al titolo e sulla base dei calcolo del consulente tecnico di ufficio, la delimitazione dell’area posseduta dal Claudi, secondo un assetto diverso rispetto a quello indicato da quest’ultimo, eseguita dal pretore, era da accogliersi e confermare, almeno in possessorio.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre Romolo Rinaldi sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso Beniamino Claudi che ha anche presentato memoria.
DIRITTO
Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 37 c.p.c. e degli artt. 822 e 824 c.c. in relazione all’art. 360 n. 1 c.p.c., il ricorrente assume che il Comune di Caldarola, rilasciandogli la licenza edilizia, aveva ordinato che l’area de qua venisse inserita in quella cimiteriale, onde ogni controversia al riguardo era devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo. Doveva in particolare escludersi la tutela possessoria in relazione ad una situazione soggettiva che può derivare, per le aree cimiteriali, esclusivamente da concessione amministrativa.
La censura è infondata.
La tesi sostenuta in questa sede dal ricorrente che cioè l’area de qua in seguito al provvedimento del Sindaco di Caldarola in data 19 dicembre 1966 avesse acquistato natura di bene demaniale in quanto rientrante nella area del cimitero comunale (art. 824 comma 2 c.c.), è destituita di fondamento ed urta contro accertamenti di merito compiuti dai giudici di secondo grado che in quanto correttamente motivati non sono suscettibili di sindacato in questa sede di legittimità.
D’altro canto, non può farsi a meno di rilevare che nei rapporti tra privati (tra i quali si svolge il presente giudizio) non può insorgere una questione di giurisdizione allorché si contenda del possesso del bene, poiché in tal caso è concessa l’azione di spoglio rispetto ai beni dei comuni soggetti al regime del demanio pubblico (art. 1145 c.c.) Correttamente i giudici del merito, posta la indiscussa natura privata della area oggetto dell’azione possessoria (si discuteva se fosse nel possesso dell’uno o dell’altro del litiganti), hanno ravvisato nel provvedimento autoritativo del 1966, una licenza edilizia che in quanto rendeva giuridicamente possibile la prevista costruzione funeraria sull’area privata, non poteva ovviamente essere qualificata come concessione amministrativa su bene demaniale (art. 68 regolamento mortuario, 21 dicembre 1942 n. 1880).
Con il secondo ed il terzo motivo, denunziando violazione degli artt. 1140 e 1168 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., si sostiene che: a) la prova dell’elemento materiale (corpus) del possesso è stato insufficiente: b) è mancata la dimostrazione dell’animus spoliandi, difettando la consapevolezza dell’altruità dell’area.
Le riassunte censure non sono fondate.
È noto che, ai fini del mantenimento del potere di fatto sulla cosa da parte del possessore non occorre l’esplicazione di continui e concreti atti di godimento e di esercizio del possesso, ma è sufficiente che la cosa anche in relazione alla sua particolare destinazione possa considerarsi rimasta nella virtuale disponibilità del possessore , salvo che l’animus dereliquendi non risulti esteriorizzato da chiari ed inequivoci segni (sentt. 3837-87; 5825-84). Come pure costituisce principio costantemente applicato da questa Corte che l’animus spoliandi è insito nel comportamento di colui che sovverta (presunta fino a prova contraria) del possessore rimanendo irrilevante l’intento di nuocere o meno dell’agente (sentt. 3010-82; 1132-85).
P.Q.M.
Orbene sotto entrambi i profili la sentenza risulta correttamente motivata.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 1985.

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