Cassazione civile, Sez. lavoro, 17 dicembre 1997, n. 12773

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Massima

Testo

Riferimenti: Riv. it. dir. lav. 1998, II, 270 nota (POSO), Riv. it. medicina legale 1998, 845

Massima:
Cassazione civile, Sez. lavoro, 17 dicembre 1997, n. 12773
In caso di rifiuto, da parte di lavoratrice sordomuta dalla nascita assunta obbligatoriamente quale invalida, di svolgere (da sola) mansioni di pulizia nella camera mortuaria di una casa di cura privata, accompagnato da proposizione di ricorso d’urgenza per l’accertamento dell’incompatibilità di tali mansioni con la sua salute (in quanto scatenanti fenomeni depressivi), la sentenza che rigetti l’impugnativa del licenziamento intimato alla lavoratrice a causa di tale rifiuto, ritenendo contrario a buona fede e sproporzionato il comportamento di autotutela dalla stessa adottato, è viziata nella motivazione nella parte in cui non abbia valutato la ragionevolezza o meno della presa di posizione della lavoratrice rispetto a pretese del datore che potevano incidere seriamente sulla sua salute psicofisica, e nella parte in cui abbia omesso di verificare la (contestata) buona fede del datore di lavoro nella sua insistita richiesta di svolgimento delle mansioni in questione, alla luce anche del dettato normativo secondo cui l’inserimento dell’invalido nell’organizzazione aziendale deve assicurare la compatibilità delle mansioni con le condizioni fisiche del medesimo; nè la stessa sentenza è in armonia con il principio per cui il giudice, in relazione a licenziamento per mancanze, deve tenere conto anche degli elementi idonei a giustificare il comportamento del lavoratore acquisiti in un secondo tempo e originariamente ignorati dal datore di lavoro.
La sentenza che dichiari la legittimità del licenziamento di una lavoratrice sordomuta dalla nascita, assunta obbligatoriamente quale invalida, per il rifiuto di svolgere, da sola, mansioni di pulizia nella camera mortuaria di una casa di cura privata, ritenendo contrario a buona fede e sproporzionato il comportamento di autotutela dalla stessa adottato, è viziata nella motivazione nella parte in cui non abbia valutato la ragionevolezza o no di detto comportamento rispetto alle determinazioni del datore di lavoro che potevano incidere seriamente sulle condizioni di salute psico-fisiche della lavoratrice invalida, e nella parte in cui abbia omesso di verificare la legittimità della assegnazione delle suddette mansioni, in considerazione del dettato normativo secondo cui l’inserimento dell’invalido nell’organizzazione aziendale deve assicurare la compatibilità delle mansioni assegnate con le condizioni di salute del medesimo.

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. lavoro, 17 dicembre 1997, n. 12773
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Pasquale PONTRANDOLFI Presidente
” Guglielmo SCIARELLI Consigliere
” Paolino DELL’ANNO ”
” Donato FIGURELLI Rel. ”
” Giovanni MAZZARELLA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GAMBA PATRIZIA, elettivamente domiciliata in Roma Largo Del
Nazareno 8-11, presso lo studio dell’avvocato Massimo
Cerniglia, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
Ricorrente
contro
POLIGEST SPA INCORPORANTE CASA DI CURA VILLA DELLE QUERCE DI
NEMI per atto di fusione del NOTAIO G. PALMIERI di Roma
del 30-12-93, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma Via C COLOMBO 396, presso lo studio
dell’avvocato B.M. CARUSO, rappresentata e difesa
dall’avvocato GIOVANBATTISTA COVIELLO, giusta delega in atti;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 902-95 del tribunale di VELLETRI, depositata
il 21-10-95 n.r.g. 1675-95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03-06-97 dal Relatore Consigliere Dott. Donato Figurelli;
udito l’Avvocato COVIELLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Antonio BUONAIUTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
1) Con ricorso diretto al Pretore di Velletri – sezione distaccata di Genzano di Roma – depositato in data 28-1-93 Gamba Patrizia, sordomuta fin dalla nascita, esponeva che era stata assunta dalla Casa di Cura Villa delle Querce S.p.A. con avviamento obbligatorio del 7-1-1991 per svolgere le mansioni di AUSILIARIA ADDETTA ALLE PULIZIE; che con lettera del 25-3-1992 era stata destinata ad espletare la propria attività lavorativa con decorrenza 30-3-1992 nei locali della camera mortuaria della Casa di Cura; che da tale data per l’insorgenza di uno stato depressivo era stata assente dal lavoro per malattia fino al 25-5-1992; che con ricorso ex art. 700 c.p.c. in data 5-5-1992 aveva chiesto al Pretore di Roma che fosse ordinato alla Casa di Cura di adibirla allo svolgimento delle mansioni che svolgeva precedentemente alla comunicazione del 25-3-1992, essendo stato violato l’art. 20 della Legge n. 482-1968 sul collocamento obbligatorio degli invalidi; che in data 26-5-1992, al termine del periodo di malattia, si era presentata al lavoro ed, inviata ad assumere le nuove mansioni, aveva fatto presente di essere disponibile a svolgere soltanto mansioni compatibili con il proprio stato fisico di sordomuta; che le era stata contestata in data 4-6-1992 l’assenza ingiustificata dal luogo di lavoro e successivamente con lettera del 29-6-1992 era stata licenziata in pendenza del giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c.; che con ordinanza in data 13-7-1992 il Pretore di Roma aveva ordinato alla Casa di Cura di adibirla alle mansioni da lei svolge precedentemente alla lettera del 25-3-1992; che con ricorso in data 29-7-1992 ex articolo 414 c.p.c. aveva dito il Pretore di Roma chiedendo la declaratoria di nullità e d’illegittimità del licenziamento intimatole, che a seguito di declaratoria di incompetenza del Pretore di Roma aveva adito il Pretore del Lavoro di Velletri – Genzano in Roma, convenendo in giudizio la Casa di Cura Villa delle Querce per sentir dichiarare nullo e-o illegittimo il licenziamento a lei intimato in data 29-6-1992, in quanto non sorretto da giusta causa o da giustificato motivo con tutte le determinazioni in punto alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.
Si costituiva la Casa di Cura Villa delle Querce e nella memoria difensiva contestava l’avversa domanda sostenendo che il licenziamento intimato alla Gamba era perfettamente legittimo, essendosi la dipendente ingiustificatamente assentata dal lavoro. Espletata l’istruttoria, il Pretore, con sentenza in data 9-2-1994, rigettava la domanda della Gamba, dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio.
2) Avverso tale sentenza proponeva appello innanzi al Tribunale di Velletri – sezione lavoro – la Gamba, deducendo nei motivi di gravame l’illegittimità del licenziamento adottato nei suoi confronti, in quanto la sua assenza dal lavoro era pienamente giustificata dal grave inadempimento delle obbligazioni facenti capo alla Casa di Cura che l’aveva adibita a mansioni lavorative incompatibili con li suo stato psico-fisico già minorato. Chiedeva, pertanto, la Gamba che, in riforma della impugnata sentenza, fosse dichiarato illegittimo il licenziamento intimatole e fosse ordinato alla Casa di Cura di reintegrarla nel posto di lavoro già occupato, con tutte le conseguenze risarcitorie ex art. 18 Statuto dei Lavoratori.
Si costituiva la Casa di Cura e nella memoria difensiva, dedotta l’assoluta infondatezza del proposto gravame, per le considerazioni già esposte in primo grado, ne chiedeva il rigetto, con il favore delle spese del grado.
All’udienza del 18.9.95 il Tribunale di Velletri emetteva il seguente dispositivo: “Il Tribunale di Velletri, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello come in atti proposto da Gamba Patrizia nei confronti della Casa di Cura Villa delle Querce di Nemi S.p.a. avverso la sentenza del Pretore di Velletri – Sezione Genzano di Roma in data 9.2.94 – così provvede: 1) rigetta l’appello, 2) dichiara interamente compensate tra le parti le spese del grado”. Il Tribunale, motivando la detta sentenza, riteneva che le giustificazioni della Gamba, in merito alla legittimità del rifiuto a fornire la propria prestazione lavorativa, non avevano pregio in quanto non era stata ancora accertata giudizialmente (nel procedimento ex art. 700) l’incompatibilità del lavoro di pulizie con le sue condizioni psicofisiche, tenuto conto che la società non avrebbe potuto attendere l’accertamento giudiziale di siffatta incompatibilità prima di adottare i provvedimenti conseguenti alla condotta gravemente inadempiente della dipendente. Quanto all’autotutela invocata dalla Gamba al fine di giustificare il proprio inadempimento, il Tribunale lo riteneva contrario alla buona fede, avuto riguardo al principio di equivalenza tra la mancata prestazione dell’eccepente e il presunto inadempimento della controparte, e perciò sproporzionato, sul presupposto che essendo ancora in corso l’accertamento giudiziale, la lavoratrice soltanto verbalmente assumeva il pregiudizio delle proprie “nuove mansioni”, pregiudizio che era ancora tutto da verificare. In definitiva, concludeva il Tribunale, non poteva revocarsi il dubbio che il licenziamento della Gamba era stato adottato dal datore di lavoro legittimante, essendosi la lavoratrice rifiutata di prestare la propria attività lavorativa senza una fondata e valida giustificazione, rimanendo, pertanto, gravemente inadempiente ai suoi obblighi contrattuali.
Avverso detta sentenza, depositata il 21 ottobre 1995, con atto notificato l’11 aprile 1996, la signora Patrizia Gamba ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Con atto notificato il 21 maggio 1996 la Poligest S.p.A. ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con il primo motivo la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., deduce che i giudici del merito non si sono posti il problema della proporzionalità del licenziamento rispetto al suo preteso inadempimento, e dei veri motivi per i quali essa era stata adibita da sola alle pulizie nella camera mortuaria.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 5, della legge 2 aprile 1968 n. 482 e dell’art. 2103 c.c., nonché carenza e contraddittorietà di motivazione, deduce che il Tribunale non ha proceduto ad alcuna indagine sull’effettiva equivalenza delle mansioni, né ha tenuto conto dell’ordinanza ex art. 700 c.p.c., favorevole alla lavoratrice e fondata su c.t.u., né dei principi fissati dal citato art. 20 in ordine alla compatibilità delle mansioni con lo stato d’invalidità della medesima.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 2087 c.c. e 9 della legge 20 maggio 1970 n. 300, nonché carena e contraddittorietà di motivazione, deduce che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che vi sia stato un grave inadempimento della lavoratrice, non ostacolato dall’esercizio della facoltà di cui all’art. 1460 c.c., perché non effettuata in buona fede e non giustificata dalla mancanza di equivalenza con il preteso inadempimento della società; invero, ad avviso della ricorrente, a fronte di una questione organizzativa della casa di cura, si contrapponeva il diritto alla salute ed alla integrità psico-fisica della lavoratrice, tutelata dalle norme citate e di rilevanza costituzionale, con legittimo ricorso all’autotutela di cui all’art. 1460 c.c., stante la buona fede richiesta dalla norma, per la disponibilità della Gamba a svolgere le mansioni per le quali era stata assunta.
I predetti motivi possono essere congiuntamente esaminati, stante la loro connessione, ed il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione.
Sussiste carenza di motivazione della sentenza del Tribunale, che esclude la buona fede della lavoratrice in ordine al rifiuto di prestazione dell’attività di pulizia, da sola, nella camera mortuaria, allorché il giudice del merito omette di tenere in conto le gravi condizioni di minorazione, che comporta il sordomutismo, notoriamente anche a livello psicologico, pur in presenza di accertamenti urgenti, richiesti dalla lavoratrice in sede giudiziaria.
E, se da una parte è carente la motivazione del Tribunale in ordine all’applicabilità dell’art. 1460 c.c. per mancanza della buona fede della Gamba, è d’altra parte altresì carente detta motivazione, allorché afferma la sproporzione dell’inadempimento della lavoratrice rispetto alle pretese del datore di lavoro, senza valutare la ragionevolezza o meno di tali pretese, che potevano incidere seriamente sulla salute psico-fisica della lavoratrice, e quindi in definitiva senza valutare la buona fece del datore di lavoro nella richiesta di determinate prestazioni lavorative che, secondo l’assunto della Gamba, sarebbero state preordinate per un provvedimento espulsivo (v. Cass. n. 3039 del 1996), laddove invece l’inserimento dell’invalido nell’organizzazione aziendale deve rispondere per preciso dettato normativo (art. 20 legge n. 482-68) al principio della compatibilità delle mansioni con le condizioni fisiche dell’invalido. Carente è poi la motivazione del Tribunale, allorché questo afferma che il datore di lavoro non era tenuto ad attendere l’accertamento urgente richiesto dalla lavoratrice in sede giudiziaria sull’incompatibilità delle mansioni ad essa affidate con lo stato di salute della medesima.
Il Tribunale non ha invero valutato i tempi presumibilmente brevi di un accertamento urgente già in corso, ed afferente a questioni di compatibilità delle mansioni con un diritto primario ed irrinunziabile, quale quello di salute, né se l’accertamento sanitario fosse già a conoscenza del datore di lavoro, come la lavoratrice assume, tanto più che il licenziamento è avvenuto in data 29 giugno 1992, e l’ordinanza del Pretore ex art. 700 c.p.c. è stata pronunziata in data 13 luglio 1992, come risulta dalla stessa narrativa della sentenza impugnata.
E va osservato che il Tribunale ha omesso altresì di esaminare la legittimità del licenziamento anche alla stregua del principio di buona fece nell’esecuzione del contratto, e che il licenziamento va caducato, allorché il giudice del merito accerti che la mancanza del lavoratore, già posta a base del provvedimento, risolutivo del rapporto, risulti giustificata da elementi acquisiti successivamente e precedentemente ignorati dal datore di lavoro (v. Cass. n. 5558 del 1982).
Con l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio al Tribunale di Latina, che provvederà anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Latina, che provvederà anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 3 giugno 1997.