È accessibile un interessante volume che raccoglie le “Opere complete” di Euclide, in versione bilingue (greco-italiano).
Per qualche giorno (usare altre denominazioni di unità di tempo parrebbe improprio rispetto alla perpetuità, tara che affligge il sistema cimiteriale) queste proposizioni hanno costituito un caposaldo, abbastanza indiscusso.
Poi lentamente qualcuno ha iniziato a metterle in discussione, ad iniziare da Saccheri (1667-1733), per proseguire con Bolyai, Lobachevsky, Riemann, Beltrami e molti altri (non dimentichiamo Gauss).
Nel contesto della materie afferenti alle gestioni cimiteriali, un qualche cosa assimilabile, negli effetti, alle preposizioni euclidee può essere individuato nell’art. 337 T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.
Qui si legge, se non fosse norma … dell’Ottocento, che ogni comune deve avere almeno un cimitero a sistema di inumazione, secondo le norme stabilite nel regolamento di polizia mortuaria.
Il ché porta all’affermazione che si sia in presenza di un “obbligo” per i comuni, cui consegue, a valle, un ulteriore obbligo, quello rispetto al suo dimensionamento, stabilito dall’art. 58 [1] D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m..
Disposizione che va sempre letta considerando anche l’immediatamente successivo art. 59, cui si rinvia e che “riprende” disposizioni vigenti almeno dal 1874 (data questa sì pertinente al XIX sec.).
Da tali criteri di dimensionamento emergono alcune conseguenze:
(a) il superamento di “almeno” (ancora una volta!) la metà delle inumazioni [2] dell’ultimo decennio, coordinata alla durata del turno ordinario di rotazione (art. 82), porta ad un coefficiente di maggiorazione dell’1,5;
(b) le inumazioni da considerare non sono solo quelle risultanti nell’ultimo decennio, ma anche quelle derivanti dall’art. 86, comma 2 (ed, eventualmente, seguenti).
Per cui occorre anche una valutazione delle previsioni di estumulazioni che avvengano per scadenza delle concessioni nel periodo di operatività del piano regolatore cimiteriale.
Quindi, il fabbisogno cimiteriale è (o, se si vuole, era/sarebbe…): [(a) + (b)] * 1,5.
Non si considera come obbligatoria alcuna disponibilità di aree per tumulazioni, che è possibile pprevedere, se richieste, a condizione che non incidano su questo dimensionamento.
Anche se in alcune realtà territoriali la tumulazione è oggetto di “percezione sociale” di normalità, spesso supportata dagli stessi comuni, sotto il profilo normativo non si ha alcun obbligo per i comuni di assicurarne una qualche disponibilità.
Ora non mancano, a far tempo dall’ultimo quindicennio, previsioni in grado di alterare (adulterare?) l’impianto tra ciò che costituisce “obbligo” e quanto può essere una “facoltà”.
Ad esempio: … In relazione alle richieste della popolazione e secondo le tradizioni locali, nel cimitero sono realizzati ….[posti a sistema di tumulazione] ), introducendo una sorta di “obbligo” la cui fonte non è una norma quanto una “richiesta”.
A queste previsioni ne sono state aggiunte anche altre, poi variamente “scopiazzate” a-criticamente altrove.
Ad esempio: “Il comune, nella pianificazione dei cimiteri, tiene conto del fabbisogno di sepolture per il numero corrispondente ad almeno tre turni di rotazione per le inumazioni e a due turni di rotazione per le tumulazioni”.
Partendo dalla fine verrebbe da chiedere quali siano, o possano essere, i turni di rotazione per le tumulazioni, in relazione alle ampie differenze di durata, tra cui non mancano quelle pregresse date in perpetuo.
Anche ricordando le geometrie non euclidee, diventa difficile immaginare un doppio” di “perpetuo” e differenze di durate che, nel tempo, possono essere state oggetto di plurime modificazioni.
Superando questi scogli, la previsione di “corrispondere almeno a tre turni di rotazione per le inumazioni” produce la conseguenza che il parametro 1,5 venga elevato a quello di 3, cioè, con altre parole, seccamente raddoppiato, modificando il fabbisogno cimiteriale in: [(a) + (b)] * 3.
Se una quindicina d’anni addietro si poteva anche prendere atto degli autori di questi testi, meno si comprendono quanti li abbiano riprodotti altrove, se non ipotizzando che non siano stati minimamente valutati gli effetti.
Si pensi, unicamente, al c.d. consumo di territorio … E si collochino queste logiche illogiche nelle oggettive realtà locali, dove ogni ampliamento cimiteriale produce “sofferenze” amministrative (e non solo). Anche i tempi di realizzazione sono paragonabili al tempo che ci distanzia dalla presenza, allo stato selvatico, dei dinosauri.
Si aggiunge un’unica osservazione: da quindici anni a questa parte la composizione della domanda tra le tre pratiche funerarie è radicalmente mutata.
Inoltre la crescita della cremazione ha mutato altresì le tipologie di domanda dei “posti” nei cimiteri, non solo quantitativamente, ma – soprattutto – qualitativamente.
Viene da pensare che il solo modo di rispettare tali disposizioni (oltretutto, di rango primario) sia quello – abnorme – di non considerarle, scelte che si lasciano ad altri.
[1] = D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. – Art. 58.
1. La superficie dei lotti di terreno, destinati ai campi di inumazione, deve essere prevista in modo da superare di almeno la metà l’area netta, da calcolare sulla base dei dati statistici delle inumazioni dell’ultimo decennio, destinata ad accogliere le salme per il normale periodo di rotazione di dieci anni. Se il tempo di rotazione è stato fissato per un periodo diverso dal decennio, l’area viene calcolata proporzionalmente.
2. Nella determinazione della superficie dei lotti di terreno destinati ai campi di inumazione, occorre tenere presenti anche le inumazioni effettuate a seguito delle estumulazioni di cui all’art. 86. Si tiene anche conto dell’eventualità di eventi straordinari che possono richiedere un gran numero di inumazioni.
[2] – Le norme corrispondenti antecedenti non consideravano le sole inumazioni, quanto l’intera coorte dei decessi, indipendentemente dal fatto che si ricorresse all’inumazione o alla tumulazione o alla cremazione. Peraltro, questa un tempo presentava una domanda fortemente ridotta.
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