Ri-federiamo dal basso la polizia mortuaria con un modello a “rete”

Partiamo da un fatto incontrovertibile: ormai la disciplina della polizia mortuaria è stata disarticolata su più livelli e gradi, tra loro disomogenei e spesso incoerenti e ciò ha causato, in particolare modo nei primissimi anni del federalismo funerario di italica concezione, veri e propri bug di sistema, vuoti normativi, lacune e prassi tra le più difformi, spesso dettate dall’improvvisazione “emergenziale”, o da atti amministrativi omnibus, di dubbia legittimità.
Le Regioni stesse, specie quelle interessate dalla prima ondata delle leggi regionali, avendo forse avuto maggior tempo materiale per riflettere sui danni cagionati a tutta l’architettura del comparto funerario italiano, a motivo della dalla sfrenata devolution di competenze e funzioni, hanno cominciato a capire molto bene che l’evento morte, di per sé stesso certo, ma sempre imprevedibile mal si concilia con la limitazione territoriale dovuta ai confini amministrativi di ciascun Ente Locale.
Ecco, allora la c.d. clausola di reciprocità impropriamente invocata da diverse Regioni, in particolare sul trasporto salma a cassa aperta, così da facilitarne l’espletamento con le maggiori semplicità e rapidità possibili.

La necessità di procedura snella per ottenere la mobilità accelerata delle salme dal luogo del decesso, qualunque esso sia, verso più rassicuranti case funerarie (rispetto alle misere camere ardenti ospedaliere?) o sale del commiato per ad es. esequie laiche, non tollera più profonde dissonanze o eterodossie formalistiche tra contesti territoriali limitrofi e densamente popolati, senza soluzione di continuità alcuna.
Tra l’altro, la crescita esponenziale del fenomeno cremazionista, con i suoi istituti giuridici conseguenti e relativamente nuovi nei costumi funerari di noi italiani (affido ceneri o loro dispersione), pone quotidianamente gli operatori della polizia mortuaria tutta (ovvero impiegati comunali, impresari funebri, necrofori…) dinanzi alle legittime istanze della cittadinanza in merito all’esercizio di diritti personalissimi, e rilevanti possono pure essere i riflessi penali.
Ecco, quindi, una proposta tanto banale (ed insensata?)  da riuscire persino rivoluzionaria, a Costituzione vigente.

L’esercizio dei diritti personalissimi, per Costituzione, dovrebbe esser materia esclusivamente statale, ma dato il sordo silenzio del Parlamento o del Governo, perché non federiamo le migliori esperienze di polizia mortuaria regionale attraverso un modello a rete, muovendo dal basso, da quel portato di esperienza oramai ventennale delle Regioni, in tema di servizi funerari?

Occorre, insomma, una sorta di “proprietà transitiva” tra i differenti micro-ordinamenti locali di polizia mortuaria, capace di favorire processi di allineamento progressivo, almeno sui grandi temi e valori, da cui poi deriveranno norme tecniche più di dettaglio ed implementazione.
Una consapevole negoziazione tra le Regioni (se lo Stato silente partecipasse come supervisore sarebbe meglio) potrebbe condurre finalmente ad una regolazione più pianificata dell’intero settore funerario.
Le regioni avrebbero assicurato il loro spazio costituzionale per un’autonoma legislazione funeraria (solo se oggetto di potestà legislativa concorrente), mentre si porrebbe un po’ di ordine e raziocinio nella governance delle attività funerarie, almeno con iniziative comuni, preventivamente concordate e soprattutto bipartisan.

In fondo la polizia mortuaria è argomento molto di nicchia (per squisite ragioni scaramantiche) poco appetibile per il grande pubblico dunque, ma è bene conoscere come essa coinvolga oltre 6.000 soggetti imprenditoriali senza contare l’indotto e soprattutto tutte le famiglie italiane toccate e provate duramente da un lutto.
Il funzionamento della macchina “polizia mortuaria” è essenziale per l’andamento dell’amministrazione in ciascun Comune e, visto il già elevato numero di norme esistenti, sarebbe auspicabile che nei regolamenti locali si privilegiasse l’essenzialità.

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Carlo Ballotta

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