Tribunale, Milano, Sez. X, 30 luglio 2013, n. 11402

Testo completo:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

DECIMA CIVILE
In persona del Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico, dott. Damiano Spera, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
(pubblicata con il n. 11402-2013)
Nella causa civile iscritta al R.G. n. 62015/08 , promossa da
Enrico Anostini e Giuseppe Anostini con l’avv. Eliana Onofrio
– attori-
contro
Comune di Milano con gli avv.ti Luciana Robotti e Felice Penco
– convenuto –
CONCLUSIONI
Le parti concludevano come da verbale di udienza 26.3.2013 e fogli allegati.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto ritualmente notificato, i sig.ri Enrico e Giuseppe Anostini, esponevano:
– di essere rispettivamente padre e fratello del sig. Roberto Massimo Anostini, deceduto a Milano in data 30.10.2006;
– che il sig. Roberto Anostini veniva ritrovato senza vita, dal personale intervenuto, in data 30.10.2006 presso l’appartamento sito in Milano, via Primaticcio n. 196, dallo stesso condotto in locazione (doc.2 fascicolo parte attrice);
– che il corpo dell’Anostini veniva ritrovato integro, senza segni di eventuali violenze e che il medico intervenuto, dott. Roberto Molteni, attribuiva il decesso a cause naturali;
– che nella stessa giornata il corpo dell’Anostini veniva trasportato presso il civico obitorio comunale di Via Ponzio n.1, Milano (doc.3);
– che la Procura della Repubblica di Milano ha ritenuto di disporre l’esame autoptico sulla salma, che veniva fissato per il giorno 2.11.2006 presso l’Istituto di Medicina Legale di Piazzale Gorini, a Milano;
– che, in occasione dell’effettuazione di tale esame, in data 2.11.2006 i patologi dott. Roberto Molteni e dott. Marzio Capra constatavano che la salma dell’Anostini risultava vilipesa, con la “pressoché completa avulsione del sacco scrotale con disepitelizzazione del glande” (doc.4 fascicolo parte attrice);
– che la circostanza veniva riferita all’odierno attore, sig. Enrico Anostini ed all’Autorità Giudiziaria;
– che il Procuratore della Repubblica di Milano nel procedimento penale n. 67090/06 R.G.N.R. contro ignoti per la mutilazione del cadavere, disponeva una perizia per accertarne la datazione e, a seguito dell’indagine dei consulenti, in data 18.06.2007 inoltrava al GIP richiesta di archiviazione, contro la quale proponeva opposizione l’odierno attore, Enrico Anostini;
– che il GIP del Tribunale di Milano, con decreto 30.01.2008 disponeva l’archiviazione del procedimento penale n. 67090/06 R.G.N.R. – 232763/07 R.G.GIP (doc.18 fascicolo parte attrice).
I signori Enrico Anostini e Giuseppe Anostini, con atto di citazione notificato in data 8.9.2008 convenivano pertanto in giudizio il Comune di Milano e concludevano affinché il Tribunale,
accertatane la civile responsabilità in ordine alla mutilazione della salma del loro congiunto, avvenuta mentre si trovava custodita presso l’obitorio comunale, lo condannasse al risarcimento in loro favore dell’importo complessivo di Euro 500.000,00; chiedevano altresì l’autorizzazione alla pubblicazione della sentenza sui quotidiani di tiratura milanese, con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa.
Con comparsa del 19.3.2009, si costituiva il Comune convenuto, il quale contestava l’esistenza di una propria responsabilità in merito ai fatti allegati da controparte.
All’udienza del 14.1.2010 veniva ordinata l’acquisizione del fascicolo penale agli atti del presente giudizio. Alla successiva udienza del 16.3.2010 il Giudice concedeva termine alle parti per l’esame del fascicolo penale acquisito agli atti e rinviava pertanto la causa all’udienza del 30.3.2010. Durante la successiva udienza, venivano assegnati i termini di cui all’art. 183, c.6 c.p.c.
All’udienza del 23.9.2010 il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, non ammetteva le ulteriori prove dedotte dalle parti e fissava udienza per la precisazione delle conclusioni al 6.6.2012 e, a seguito di rinvio d’ufficio, al 26.3.2013.
In esito alla successiva udienza il Giudice assegnava quindi termine alle parti per il deposito delle comparse conclusionali e, all’udienza di discussione orale del 21.6.2013, ex art. 281 quinquies cpv c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione.
Ritiene questo Giudice che la domanda di risarcimento del danno proposta dagli attori meriti accoglimento in quanto sussiste la responsabilità in capo al Comune di Milano in merito alle circostanze di cui è causa.
Infatti, dai documenti prodotti dalle parti e dall’espletata istruttoria, risulta provato:
– che il corpo del sig. Anostini è stato rinvenuto il giorno 30.10.2006 nel proprio appartamento, integro e senza segni di eventuali violenze, dai vigili del fuoco Mira D’Ercole e La Pecciarella, come risulta dal verbale di sommarie informazioni rese ai Carabinieri (doc.7 fascicolo parte attrice);
– che anche gli operatori sanitari del 118 hanno dichiarato di aver rinvenuto la salma integra, come risulta dal verbale di sommarie informazioni rese ai Carabinieri da Marcelletti Diego, il quale ha dichiarato: “Se gli organi del morto fossero stati in quelle condizioni, come dalle fotografie che mi avete mostrato, me ne sarei accorto”(doc.8);
– che durante l’esame autoptico sulla salma, il giorno 2.11.2006 i tecnici riscontravano una lesione agli organi genitali (doc.4 fascicolo parte attrice)
– che in data 16.11.2006, stante la necessità di ulteriori indagini di natura medico-legale e genetico-forense, il Procuratore della Repubblica dott.ssa Corbetta conferiva ai dottori Roberto Molteni e Marzio Capra incarico per consulenza tecnica collegiale (doc.15 fascicolo parte attrice), i quali rilevavano “in regione genitale, pressoché completa avulsione del sacco scrotale con disepitelizzazione del glande; i margini dell’area dell’avulsione scrotale appaiono a margini netti in assenza di infiltrazione emorragica”;
– che la rilevata assenza di infiltrazioni emorragiche ha consentito di ricondurre l’esecuzione dell’asportazione ad un’epoca successiva al decesso;
– che, il giorno del rinvenimento della salma dell’Anostini, i dipendenti della ditta di onoranze funebri “D’Antoni Riccardo” e della “Sofam S.r.l.” hanno trasferito la salma dal luogo del decesso al civico obitorio comunale, con furgone funebre d’ordinanza tg. CX220TW, senza effettuare alcuna sosta, come risulta dai verbali di sommarie informazioni rese ai Carabinieri da Cilone Giuseppe, Mazzei Luigi e Riccardo D’Antoni;
– che all’arrivo presso il civico obitorio è stato redatto un sintetico rapporto di consegna salma, di cui una copia rimane agli atti dell’obitorio e l’altra alla ditta di pompe funebri;
– che, dal momento della presa in consegna da parte dei dipendenti incaricati,alle ore 14.46 del 30.10.2006, la salma dell’Anostini è rimasta presso la stanza di osservazione fino alle ore 11.21 del 31.10.2006;
– che tale stanza presenta un’unica porta d’accesso, non chiusa a chiave, come risulta dalle annotazioni dei Carabinieri, redatte in esito agli accertamenti esperiti presso l’obitorio stesso (doc.12);
– che il corpo è stato in seguito trasferito a cella refrigerata, dove è rimasto fino alle 17.38 dell’1.11.2006, quando è stato trasferito al locale di osservazione;
– che l’ultimo trasferimento della salma è avvenuto in data 2.11.2006 alle ore 9.05 dal locale di osservazione alla sala autoptica numero 1 dell’Istituto di Medicina Legale, dove per la prima volta è stato rilevato il vilipendio sul cadavere.
– che, durante la verifica dei sistemi di sicurezza e vigilanza della struttura (docc.12 e 13 fascicolo parte attrice), i Carabinieri rilevavano che le telecamere presenti non erano dotate di sistema di registrazione e che in particolare la telecamera posta nel locale di osservazione era malfunzionante da tempo;
– che la medesima verifica ha evidenziato che le porte del seminterrato, dove sono ubicate le celle di refrigerazione, erano perennemente aperte in diretta comunicazione con il cortile, per motivi di ricambio d’aria.
Rileva il Tribunale che risulta pertanto raggiunta la prova, in termini di altissima probabilità, che l’illecito ha avuto luogo durante la permanenza della salma nella struttura dell’obitorio comunale di Via Pinzio n.1. La salma, infatti, era integra al momento del ritrovamento, come affermato dalla totalità dei soggetti che vi hanno assistito, mentre il trasporto verso l’obitorio è stato effettuato senza alcuna sosta, rendendo impossibile qualsivoglia contatto con la salma.
In considerazione di quanto esposto, il Tribunale riconosce la responsabilità del Comune di Milano, in primo luogo, sotto un profilo contrattuale.
Con la consegna della salma ai dipendenti dell’obitorio, si è infatti perfezionata una responsabilità ex recepto in capo al civico obitorio, e quindi in capo al Comune di Milano. Da tale responsabilità
scaturisce l’obbligazione di deposito di cui all’art. 1768 c.c., cui lo stesso, come sopra precisato, non ha adempiuto.
Il deposito, infatti, richiede la custodia della cosa ricevuta da parte del depositario che, nell’adempiere, deve usare la diligenza di cui all’art. 1176 c.2, da valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
Nella circostanza di cui è causa, alla luce dei rilievi in merito alle condizioni di carente sorveglianza in cui versavano i locali di osservazione e conservazione della salma, si ravvisa la violazione da parte dell’obitorio dell’obbligo di custodia conseguente alla presa in consegna del corpo di Roberto Anostini, obbligo che si protraeva fino al momento della riconsegna della salma ai congiunti, ai fini della sepoltura.
Esiste inoltre, nella fattispecie concreta, una responsabilità extracontrattuale, di natura omissiva, in capo al Comune, in considerazione dell’obbligazione ex lege esistente in capo allo stesso, ai sensi dell’art. 13 del D.P.R. 285/1990. La norma attribuisce infatti agli obitori comunali, tra le specifiche funzioni, quella di “deposito per un periodo indefinito dei cadaveri a disposizione dell’autorità giudiziaria per autopsie giudiziarie e per accertamenti medico-legali, riconoscimento e trattamento igienico-conservativo”.
In base a tale norma, pertanto il civico obitorio deve assicurare la conservazione delle salme durante il periodo di deposito, al quale è tenuto ai sensi della norma di legge citata.
In tema di riconoscimento della causalità materiale nell’ambito della responsabilità aquiliana si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno ritenuto che, in applicazione dei principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 c.p., “un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non). Il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità
efficiente, desumibile dall’art. 41 c.p., comma 2, in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (Cass. 19.12.2006, n. 27168; Cass. 8.9.2006, n. 19297; Cass. 10.3.2006, n. 5254; Cass. 15.1.1996, n. 268). Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quella similare della ed. regolarità causale (ex multis: Cass. 1.3.2007; n. 4791; Cass. 6.7.2006, n. 15384; Cass. 27.9.2006, n. 21020; Cass. 3.12.2002, n. 17152; Cass. 10.5.200)”.
Nel caso di specie, la gestione della struttura dell’obitorio non ha posto in essere alcuna misura di sicurezza al fine di evitare l’ingresso di non addetti all’interno, lasciando al contrario addirittura “sempre aperte” le vie di accesso dal cortile all’interno degli ambienti di conservazione delle salme.
L’archiviazione del procedimento penale n. 67090/06 R.G.N.R, dovuta alla mancata individuazione, in sede di indagine penale, dell’autore materiale della mutilazione della salma, comporta infatti una ricostruzione in termini di mera probabilità e di alternatività della circostanza di fatto che ha reso possibile il danneggiamento della salma.
Il vilipendio, infatti, potrebbe essere stato commesso, con pari grado di verosimiglianza, da soggetto interno all’organico della struttura comunale, così come da soggetto esterno, il cui ingresso non è stato in alcun modo impedito, in considerazione della prassi adottata dall’obitorio, che prevedeva di lasciare sempre libera ogni via di accesso ai locali di osservazione e conservazione delle salme.
La circostanza ha pertanto reso possibile l’ingresso di soggetti terzi, non dipendenti, all’interno dell’obitorio civico.
In ogni caso il fatto illecito del terzo (rimasto ignoto) è stato posto in essere in conseguenza della condotta colposa del Comune convenuto, da ravvisarsi nella carente sorveglianza dei locali, sia per la assoluta facilità di ingresso che per il mancato funzionamento degli appositi dispositivi di videosorveglianza.
Occorre a questo punto esaminare le conseguenze che la violazione ha comportato con riferimento alla sfera giuridica degli attori.
L’interesse sotteso alla tutela delle spoglie umane è individuato dalla dottrina giuridica nella pietà per i defunti. In particolare, l’ordinamento penale prevede diverse fattispecie di reato a tutela della particolare estrinsecazione di tale sentimento di pietas, non solo nel culto ma anche e soprattutto nel rispetto delle spoglie umane.
Il bene giuridico violato è rappresentato da un legittimo interesse etico-sociale diffuso, proprio di ciascun membro della collettività, in quanto radicato nell’umanità in ogni epoca storica e cultura, astraendo dalle qualità rivestite dal soggetto allorché era in vita.
Tale interesse si presenta peraltro come indipendente da eventuali collegamenti con la professione di una fede religiosa e con esigenze di tipo sanitario, che non influiscono sull’oggettività giuridica.
La rilevanza conferita alla particolare res dall’ordinamento è riconducibile alla centralità della persona umana, di cui la salma rappresenta una “proiezione ultraesistenziale”.
Il cadavere umano conserva quindi una propria connaturata dignità, assolutamente diversa da ogni altra res.
Si ritiene pertanto che gli attori abbiano subito la violazione del proprio diritto inviolabile alla piena estrinsecazione del proprio sentimento di rispetto e di pietas verso la salma del congiunto, al di là di ogni professione religiosa e convincimento etico o filosofico.
Anche in una dimensione laica, infatti, i cadaveri umani generano sentimenti di rispetto e peculiari esigenze di pietosa conservazione.
Circa la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, giova premettere che le sentenze Cass. SS.UU. 11.11.2008 (c.d. “sentenze di San Martino”) hanno definitivamente sostenuto che il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. è risarcibile nei seguenti casi:
– in tutte le fattispecie di reato ex art. 185 c.p., che obbliga al risarcimento del danno patrimoniale e “non patrimoniale” (anche laddove non sia stato accertato l’elemento soggettivo, v. sentenza Corte Cost. n. 233/2003);
– nelle ipotesi previste dalla legge n. 117/1998 (sui danni derivanti dalla privazione della libertà personale), dalla legge n. 675/1996 (sulle modalità illecite nella raccolta dei dati personali), dalla legge n. 286/1998 (sull’adozione di atti discriminatori per motivi razziali), dalla legge n. 89/2001 (sul mancato rispetto del termine ragionevole del processo) e (aggiungo io) negli altri residuali “casi” espressamente disciplinati dalla legge (come, ad es., dall’art. 89 c.p.c.);
– nelle ipotesi di lesione dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione: il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost., denominato anche biologico nella definizione data dagli artt. 138 e 139 Cod. delle Assicurazioni), il danno da lesione del diritto inviolabile all’autodeterminazione in relazione ad un determinato trattamento sanitario (art. 32, comma 2 e art. 13 Cost.), il danno da lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost., concernenti la perdita o la compromissione del rapporto parentale per morte o grave invalidità del congiunto), il danno conseguente “alla violazione del diritto alla reputazione, all’immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n. 25157/2008)”.
La selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno avviene ad opera del legislatore nei casi normativamente previsti e ad opera del giudice nella individuazione degli specifici diritti inviolabili della persona necessariamente presidiati dalla minima tutela risarcitoria.
Tuttavia non è precluso al legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria anche in relazione ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili.
Il catalogo dei casi determinati dalla legge “non costituisce numero chiuso”. Per effetto dell’art. 2 Cost. in un processo evolutivo deve essere consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi, emersi nella realtà sociale, siano di rango costituzionale attenendo a diritti inviolabili della persona umana.
Ebbene, è di tutta evidenza che, in applicazione degli esposti principi di diritto, il convenuto deve essere condannato al risarcimento del danno non patrimoniale subito dagli attori in conseguenza del fatto illecito di cui è causa, che ha determinato la lesione del diritto inviolabile al rispetto e alla pietas verso la salma del congiunto.
Ai fini del quantum, il Tribunale tiene conto: delle modalità del fatto e dell’oggetto della mutilazione subita dal cadavere; della risonanza che l’episodio ha avuto sulla stampa locale; della particolare intensità della sofferenza psichica subita dagli attori al momento della scoperta e dell’inevitabile protrarsi della stessa per tutta la vita, ogni volta che verrà ricordato l’episodio delittuoso o, comunque, il prossimo congiunto.
Alla luce di quanto esposto, con prudente apprezzamento, vagliate tutte le peculiarità della fattispecie concreta, stimasi equo liquidare agli attori, in solido (come richiesto), la somma complessiva di Euro 70.000,00 (comprensiva di interessi compensativi e rivalutazione monetaria); pertanto il convenuto va condannato al pagamento di detta somma, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo.
Non vi sono i presupposti né l’opportunità, dato il tempo trascorso dall’evento, per accogliere la domanda relativa alla pubblicazione della presente sentenza.
Consegue alla soccombenza la condanna del convenuto a rifondere agli attori, in solido, le spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:
– condanna il convenuto al pagamento, in favore degli attori in solido, della somma di Euro 70.000,00, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo;
– rigetta le altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti;
– condanna il convenuto a rifondere agli attori, in solido, le spese processuali, che liquida in Euro 500,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compenso di avvocato, oltre C.P.A. ed I.V.A. come per legge;
– dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.
Milano, 30.7.2013
Il Giudice Istruttore
in funzione di giudice unico
dr. Damiano SPERA

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