TAR Veneto, Sez. II, 20 gennaio 2023, n. 94

TAR Veneto, Sez. II, 20 gennaio 2023, n. 94

Pubblicato il 20/01/2023
N. 00094/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00077/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 77 del 2020, proposto da
< omissis > s.r.l.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Amore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Pramaggiore, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Pizzato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Padova, Piazzale Stazione, 7;
per
l’accertamento:
– della formazione del silenzio-assenso relativamente alla richiesta di rilascio di un permesso a costruire di un forno di cremazione, presentata dalla società ricorrente al Comune di Pramaggiore (VE), in data 06.11.2018;
– risarcimento dei danni ingiusti patiti e patiendi dalla società ricorrente per difetto dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, ed in particolare del danno subito in conseguenza dell’inosservanza del termine di conclusione del procedimento ai sensi dell’art. 30 commi 2 e 4 D.Lgs. 104/2010;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Pramaggiore;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2022 la dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori Amore e Pizzato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente deduce di aver presentato al Comune di Pramaggiore, in data 6 novembre 2018, un’istanza di permesso di costruire per edificare, su un terreno (per l’acquisto del quale aveva stipulato un preliminare di vendita) situato in fascia di rispetto del locale cimitero, un forno crematorio.
Deduce, inoltre, di aver ricevuto dalla società < omissis > s.r.l., qualche giorno dopo aver presentato la pratica edilizia, una proposta di preliminare di compravendita del fondo, con relativo permesso di costruire.
Deduce, inoltre, di aver accettato la proposta in data 9 gennaio 2019 solo dopo la scadenza del termine di 60 giorni entro il quale, ai sensi dell’art. 20, comma 3, D.P.R. 380/2001, il responsabile del procedimento deve concludere l’istruttoria, non avendo ricevuto alcuna comunicazione ostativa all’accoglimento dell’istanza.
Il preliminare così perfezionatosi aveva ad oggetto l’intera operazione immobiliare, ossia l’acquisto del fondo munito di permesso di costruire per l’edificazione del forno crematorio. Il prezzo pattuito era di € 800.000,00, da corrispondersi in parte (€ 200.000,00) dopo il rilascio del permesso di costruire e per la restante parte al momento della stipula del contratto definitivo, da fissarsi entro il 29 aprile 2019.
Decorso il termine di novanta giorni, previsto dall’art. 20, comma 6, D.P.R. 380/2001 senza ricevere comunicazioni, la ricorrente, a mezzo del proprio progettista, presentava al Comune una dichiarazione asseverata di avvenuta formazione del titolo edilizio per silenzio assenso, chiedendo, contestualmente, il rilascio della relativa attestazione.
Il Comune, con nota del 14 febbraio 2019 riscontrava l’istanza dichiarando l’insussistenza dei presupposti per la formazione del silenzio-assenso e la contrarietà dell’intervento alla disciplina in materia di approvazione di progetti di forni crematori e a quella urbanistico-edilizia vigente.
A seguito dell’ulteriore diffida del ricorrente del 18 marzo 2019, il Comune, con nota del 19 aprile 2019, evidenziando le ragioni per le quali riteneva non formatosi il silenzio-assenso, avviava, ad ogni buon conto, il procedimento per l’annullamento in autotutela del titolo eventualmente formatosi per silentium.
Nel frattempo la ricorrente e < omissis > s.r.l. differivano la data per la stipula del contratto definitivo al 22 maggio 2019, essendosi la promissaria acquirente rifiutata di corrispondere l’anticipo pattuito.
Decorso il termine, in data 23 maggio 2019 < omissis > s.r.l. comunicava la risoluzione del contratto, non essendo stato rilasciato il titolo edilizio.
In data 23 luglio 2019 il Comune concludeva il procedimento negando definitivamente il rilascio del permesso di costruire.
La ricorrente ritiene di aver subito, a causa del rifiuto del Comune di rilasciare il permesso di costruire, un ingente danno (pari ad € 720.000,00, di cui € 600.000,00 per il fallimento delle trattative volte alla vendita del compendio ed il resto per le spese di progettazione e studio relative alla pratica edilizia) di cui chiede il ristoro.
A fondamento della propria pretesa assume l’illegittimità del rifiuto del Comune di rilasciare l’attestazione di avvenuta formazione del titolo edilizio <em e l’illegittimità del diniego espresso adottato nel luglio 2019.
Si è costituito il Comune di Pramaggiore eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto di notifica all’indirizzo del Comune presente nel Re.gin.de o in INI-PEC.
Ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per intrinseca contraddittorietà tra petitum e causa petendi. Se si fosse formato il silenzio assenso sull’istanza, non sarebbe configurabile alcuna inerzia comunale e, dunque, la domanda di risarcimento del danno da ritardo sarebbe inammissibile perché i fatti costitutivi allegati sarebbero in aperta contraddizione con quelli normativamente previsti (obbligo di provvedere – silenzio non significativo – danno).
Sotto altro aspetto, la domanda di accertamento del silenzio assenso sarebbe inammissibile poiché il provvedimento ipoteticamente formatosi per silentium sarebbe stato superato dal successivo diniego espresso mai impugnato.
La pretesa sarebbe, inoltre, infondata poiché il silenzio assenso non si è mai formato, ostandovi la palese inammissibilità dell’istanza di permesso di costruire presentata in quanto le disposizioni regolanti l’approvazione dei progetti di costruzione e di gestione di forni crematori riservano alla mano pubblica sia l’iniziativa circa la loro costruzione (il relativo progetto deve essere approvato dal consiglio comunale e costituisce un’opera pubblica), sia la gestione, che può essere affidata a soggetti privati o in forme di gestione pubblico-privata, secondo la disciplina dei servizi pubblici locali.
Inoltre vi sarebbe un’incompatibilità con la destinazione urbanistica dell’area, essendo i forni crematori destinati ad essere costruiti entro il recinto cimiteriale ed essendo incompatibili con la disciplina della fascia di rispetto.
Ha contestato, inoltre, sotto svariati profili, la sussistenza dei requisiti dell’illecito e la quantificazione del danno.
All’udienza del 17 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La ricorrente individua quale comportamento illecito, fonte di responsabilità, il rifiuto del Comune di confermare l’avvenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza di permesso di costruire e/o di rilasciare il permesso di costruire richiesto entro i termini di legge, sul presupposto che tale illegittimo contegno abbia determinato il fallimento della trattativa instaurata per la vendita del terreno su cui il progetto era destinato ad essere realizzato.
Ciò la ricorrente lamenta, in ultima analisi, è il mancato rilascio, entro i termini previsti dalla legge, del permesso di costruire. L’azione proposta, dunque, è da qualificare quale azione di risarcimento del “danno da ritardo”.
Con tale espressione, infatti, “si ha riguardo all’ipotesi in cui l’amministrazione abbia adottato tardivamente il provvedimento richiesto, all’ipotesi in cui il procedimento si sia concluso (tardivamente) con l’emanazione di un provvedimento negativo, o ancora al caso della mera inezia, ossia il caso in cui l’inerzia dell’amministrazione si sia protratta oltre la durata del termine previsto per la conclusione del procedimento” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2021, n. 5648).
2. Tale dovendo qualificarsi l’azione proposta, il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato, il che esime – in ossequio al principio della ragione più liquida – dall’esame delle plurime eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso sollevate dalla parte resistente.
3. Per costante orientamento giurisprudenziale, la responsabilità della pubblica amministrazione per i danni cagionati a causa dell’esercizio del potere (o del suo mancato o ritardato esercizio) ha natura extracontrattuale ed implica l’accertamento di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito civile previsti dall’art. 2043 c.c. ossia l’esistenza di un fatto lesivo (provvedimento o inerzia della pubblica amministrazione), di un danno ingiusto, inteso come lesione di un interesse legittimo, il nesso di causalità materiale tra il fatto lesivo ed il danno ingiusto, le conseguenze dannose prodottesi nel patrimonio del privato ed il nesso di causalità giuridica tra esse ed il fatto lesivo (da ultimo, Consiglio di Stato sez. V, 04/07/2022, n.5554).
3.1 Con specifico riguardo agli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione per danno da ritardo nell’adozione del provvedimento richiesto dal privato sono stati definitivamente fissati dall’Adunanza plenaria nella sentenza 23 aprile 2021, n. 7; la quale, dopo aver ribadito (al par. 5) la “dimensione «sostanzialistica»” dell’interesse legittimo “quale interesse correlato ad un «bene della vita» coinvolto nell’esercizio della funzione pubblica, e comunque, a una situazione sostanziale facente parte della sfera giuridica di cui il soggetto è titolare”, e detto che tanto l’ “emanazione di atti illegittimi” quando l’ “inerzia colpevole” può essere fonte di responsabilità dell’amministrazione sulla base del principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 cod. civ., ha precisato che il requisito dell’ingiustizia del danno “implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi”.
Con riguardo, inoltre, al nesso di causalità tra attività amministrativa illegittima (ovvero illegittima inerzia nell’esercizio della stessa) e danno, si è, inoltre, precisato che esso costituisce presupposto dell’accertamento della responsabilità dell’Amministrazione, necessitante di specifica prova (“la responsabilità civile della P.A. non consegue automaticamente all’annullamento del provvedimento amministrativo (ovvero all’accertamento della sua illegittimità), in sede giurisdizionale (o di ricorso straordinario o di autotutela). Non basta il solo annullamento dell’atto lesivo o la declaratoria della sua invalidità, occorrendo la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, secondo un giudizio di regolarità causale, un pregiudizio direttamente riferibile all’assunzione o all’esecuzione della determinazione contra ius lesivo del bene della vita spettante all’attore (cfr. C.d.S., Sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1356; id., 1° luglio 2015, n. 3258).(C.d.S., Sez. IV, 8 febbraio 2018, n. 825)” C.d.S., Sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5409; “il risarcimento del danno da ritardo o inerzia della P.A. nella conclusione del procedimento postula, ai sensi del comma 1 dell’art. 2-bis cit., che la condotta inerte o tardiva della P.A. sia stata causa di un danno prodottosi nella sfera giuridica del privato il quale, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento stesso (C.d.S., Sez. IV, 29 settembre 2016, n. 4028). Il danno, del quale il privato deve fornite la prova sia nell’an che nel quantum (C.d.S., Sez. V, 11 luglio 2016, n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento da parte della P.A., sempreché non si versi in un’ipotesi di cd. silenzio significativo” C.d.S., Sez. III, 18 maggio 2016 n. 2019; “L’ingiustizia e la stessa sussistenza del danno non possono presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, dovendo l’attore dare la prova, ex art. 2697 c.c., di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in specie, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante (cfr. C.d.S., Sez. II, 24 luglio 2019, n. 5219; Sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358; Sez. V, 22 settembre 2016, n. 3920)” Consiglio di Stato sez. II, 07/01/2022, n.106).
4. Nel caso di specie, l’azione risarcitoria proposta è infondata, difettando la prova sia della spettanza del bene della vita cui mirava la parte ricorrente, sia del nesso causale tra il contegno serbato dall’Amministrazione ed il danno.
5. Con riguardo al primo profilo, è incontestato tra le parti che il progetto di costruzione del forno crematorio presentato dalla ricorrente fosse destinato ad essere realizzato entro la fascia di rispetto cimiteriale, ma fuori dal perimetro del cimitero.
Tale collocazione rendeva il progetto non compatibile con la normativa vigente in materia, ed, in particolare, con quanto prevede l’art. 78 D.P.R. 285/90, secondo cui “I crematori devono essere costruiti entro i recinti dei cimiteri”, per tali intendendosi le mura perimetrali che, ai sensi dell’art. 61 del medesimo decreto, devono circondare l’area cimiteriale (Art. 61. “1. Il cimitero deve essere recintato lungo il perimetro da un muro o altra idonea recinzione avente un’altezza non inferiore a metri 2,50 dal piano esterno di campagna.”, cfr. anche Consiglio di Stato, 5 ottobre 2006, n. 5930 “il forno crematorio rientra espressamente fra le “costruzioni accessorie” dei cimiteri (a guisa di una camera mortuaria o di una sala di autopsia); che, in ogni caso, i crematori vanno costruiti esclusivamente entro i recinti dei cimiteri”). Infatti, l’art. 343 R.D. 1265/1934 prevede che: “I comuni debbono concedere gratuitamente l’area necessaria nei cimiteri per la costruzione dei crematoi”.
Non convince l’affermazione della parte ricorrente secondo cui l’opera avrebbe potuto essere realizzata anche in fascia di rispetto cimiteriale, poiché lo strumento urbanistico comunale ammette, in tale zona la costruzione di “manufatti attinenti ai servizi tecnici cimiteriali”.
Il forno crematorio non può annoverarsi all’interno dei “servizi tecnici cimiteriali” realizzabili in fascia di rispetto atteso che, ai sensi degli artt. 343 R.D. 1265/1934 e dell’art. 78 sopra citato, essi devono essere installati all’interno dell’area cimiteriale e ciò per intuibili ragioni di tutela della salute pubblica e della sacralità dei luoghi destinati al culto dei defunti, trattandosi di manufatti che assolvono alle medesime funzioni cui sono destinate le altre costruzioni “necessarie” presenti nei cimiteri (cappelle ed aree di inumazione) e per l’utilizzo dei quali ricorrono le medesime esigenze di vigilanza e controllo che ispirano la disciplina generale dei servizi cimiteriali (cfr. artt. 49 e ss. d.p.r. 285/1990).
Dunque, il bene della vita cui aspirava la parte ricorrente non era legittimamente conseguibile.
5. Ciò posto, neppure il rifiuto del Comune di attestare il formarsi del silenzio assenso sull’istanza può costituire comportamento suscettibile di essere valutato quale fatto generatore di responsabilità del Comune.
Ed, infatti, tenuto conto della sequenza temporale con la quale si sono susseguiti gli atti, deve escludersi che il contegno serbato dal Comune sia stato causa del danno lamentato.
Anche prescindendo dalla soluzione alla questione controversa circa l’idoneità del solo fattore temporale a determinare il perfezionamento della fattispecie provvedimentale per silentium in caso di contrasto del progetto con le norme urbanistiche applicabili, il Collegio ritiene che il mero rilascio dell’attestazione circa il decorso dei termini utili alla formazione del silenzio-assenso non avrebbe potuto evitare la risoluzione del contratto preliminare stipulato con < omissis > s.r.l.
Nella specie, infatti, prima ancora che il termine per la stipula del contratto definitivo venisse a naturale scadenza (il 29 aprile 2019) il Comune aveva già avviato il procedimento per l’annullamento in autotutela del titolo edilizio eventualmente formatosi per silentium, ben evidenziando le ragioni che ostavano alla realizzabilità del progetto.
Se, come afferma la parte ricorrente, scopo pratico dell’operazione era la vendita del terreno per realizzarvi il forno crematorio – come in effetti emerge dall’impegno assunto dal promissario acquirente di acquistare “l’intera operazione immobiliare progettata” e dalla previsione quale termine per il pagamento dell’anticipo di € 200.000,00 sul prezzo di vendita il momento dell’ “avvenuto ritiro della Concessione edilizia la cui richiesta è stata presentata il 6.11.2018” – non può ragionevolmente ritenersi che il mero rilascio dell’attestazione sul decorso dei termini previsti dall’art. 20 D.P.R. 380/2001 sarebbe stato sufficiente a mutare l’esito delle trattative, non potendo ritenersi il promissario acquirente tenuto alla stipula del contratto definitivo di compravendita in assenza di un titolo edilizio legittimamente formatosi ed in procinto di essere annullato.
L’impossibilità di realizzare la causa concreta del contratto, quantomeno nei termini che le parti avevano concordato, sarebbe stata una ragione sufficiente, secondo buona fede, a sciogliere il promissario acquirente da ogni vincolo.
Il fallimento delle trattative di vendita del bene, dunque, è da ricondurre, in ultima analisi, all’impraticabilità dell’operazione entro i termini previsti dal contratto per le ragioni esposte nel provvedimento di diniego.
6. Infine, stante la disciplina che regola la materia dei servizi di cremazione, deve escludersi finanche che il titolo edilizio possa ritenersi formato per silentium. Ed, infatti, l’attestazione della conformità urbanistico-edilizia dell’opera da parte del progettista non esauriva tutti i presupposti necessari perché l’opera potesse essere realizzata, difettando l’approvazione del progetto da parte del consiglio comunale prevista dall’art. 78, comma 3, D.P.R. 285/1990 (“I progetti di costruzione dei crematori sono deliberati dal consiglio comunale”) quale condizione per la realizzazione di tale tipologia di opere.
7. In definitiva il ricorso è infondato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Pramaggiore, che liquida in complessivi € 2.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:
Grazia Flaim, Presidente
Mariagiovanna Amorizzo, Primo Referendario, Estensore
Elena Garbari, Primo Referendario
L’ESTENSORE (Mariagiovanna Amorizzo)
IL PRESIDENTE (Grazia Flaim)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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