TAR Sardegna, Sez. II, 3 febbraio 2016, n. 98

Testo completo:
TAR Sardegna, Sez. II, 3 febbraio 2016, n. 98
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 637 del 2015, proposto da:
la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti
Floriana Isola e Alessandra Camba, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale della Regione Sarda in
Cagliari, viale Trento n. 69;
contro
il Comune di Tortolì, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Paolo Satta,
con domicilio eletto in Cagliari presso lo studio del medesimo legale, Via Libeccio n. 32;
il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro in carica,
la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le Province di Cagliari, Oristano – Medio Campidano – Carbonia – Iglesias e Ogliastra, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliati in Cagliari presso gli uffici della medesima, Via Dante n. 23;
per l’annullamento
– della deliberazione del Consiglio Comunale di Tortolì n. 14 del 23.4.2015, con la quale nel prendere atto
dei chiarimenti, delle correzioni e delle integrazioni predisposti dall’Ufficio del Piano in risposta alla
determinazione n. 3673 dell’8.11.2013 della Direzione Generale della Pianificazione Urbanistica Regionale, di rinvio per la rimozione dei vizi e delle incoerenze rilevate dall’Amministrazione Regionale in
sede di verifica di coerenza, è stato integrato il Piano Urbanistico del Comune di Tortolì, adottato in via
definitiva con deliberazione del Consiglio Comunale n. 17 del 3.4.2013 ed è stata disposta la trasmissione
all’Amministrazione Regionale dei nuovi elaborati del Piano e la pubblicazione della deliberazione sul
BURAS ai fini della entrata in vigore del Piano Urbanistico Comunale, con dichiarazione di immediata
eseguibilità, nonché dei relativi allegati costituenti il PUC;
– della nota del responsabile dell’Area del Governo del Territorio Edilizia Privata del Comune di Tortolì, in
data 23.4.2015, pubblicata sul BURAS n. 24 del 26.5.2015, con la quale si rende noto che il Consiglio
Comunale ha approvato le integrazioni al Piano Urbanistico del Comune di Tortolì, adottato in via
definitiva con deliberazione del C.C. n. 17/2013 al fine di uniformarsi alle segnalazioni contenute nella
determinazione del Direttore Generale della Pianificazione Urbanistica Territoriale e della Vigilanza
Edilizia dell’Assessorato EE. LL., Finanze e Urbanistica n. 3673/DG dell’8.11.2013, nei termini essa
indicati e che il Piano Urbanistico comunale adottato in via definitiva con la citata deliberazione entra in
vigore, ai sensi dell’articolo 20 della Legge Regionale n. 45 del 1989, dal giorno della pubblicazione dello
stesso avviso sul BURAS (28 maggio 2015);
– ove occorre, delle deliberazioni del Consiglio Comunale di Tortolì, di approvazione definitiva del PUC
del 3 aprile 2013 n. 17, e di adozione del 9 aprile 2010 n. 24, nonché dei relativi allegati costituenti il PUC;
– di tutti gli atti ad essi presupposti e connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Tortoli’ e dell’Amministrazione statale intimata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2015 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con delibera n. 37/6 del 6 settembre 2006 la Giunta regionale ha approvato il PPR al quale, in quanto
strumento di pianificazione sovraordinato, si devono conformare – ai sensi dell’art. 145 del D.Lgvo
22.1.2004 n. 42 e della legge regionale n. 8 del 25.11.2004 – gli strumenti urbanistici comunali.
Con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 9 aprile 2010 il Comune di Tortolì, ai fini del predetto
adeguamento, ha adottato il nuovo PUC e, una volta ottenuti i prescritti pareri in materia di VAS, VINCA e
compatibilità idraulica, geologica e geotecnica, l’ha approvato in via definitiva con delibera del Consiglio
comunale n. 17 del 3 aprile 2013.
Quindi, con nota n. 9799 del 24 aprile 2013 l’ha trasmesso alla Regione per la verifica di coerenza
prevista dall’art. 31, comma 5, della legge regionale 22.4.2002 n. 7, ai sensi del quale “…La verifica di
coerenza sugli atti di pianificazione urbanistica generale degli enti locali di cui alla lettera c) del comma 3,
è svolta, in via transitoria e sulla base degli indirizzi politico – amministrativi emanati dalla Giunta
regionale, dal direttore generale della pianificazione urbanistica territoriale, previo parere del CTRU di cui
all’articolo 32 della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45, da esprimere entro il termine di 30 giorni
dalla data di ricevimento della richiesta. La determinazione del direttore generale deve essere assunta
entro il termine di 90 giorni dalla ricezione della delibera di adozione definitiva del piano urbanistico.
Qualora il piano contrasti con gli strumenti sovraordinati di governo del territorio e con le direttive regionali
di cui alla lettera c) del comma 3, viene rimesso dal direttore generale della pianificazione territoriale
urbanistica all’ente locale per l’eliminazione dei vizi verificati…”.
La Regione, con determinazione n. 3164 del 20.9.2013 della Direzione generale della pianificazione
urbanistica, successivamente rettificata con determinazione n. 3673 dell’8.11.2013, dopo aver acquisito il
prescritto parere del CTRU reso nella seduta del 19.9.2013, ha rimesso gli atti al Comune di Tortolì per la
rimozione dei vizi evidenziati e per la correzione e l’integrazione dell’atto di pianificazione ritenendolo
dunque, nel complesso, non coerente.
A seguito della ricezione di tali atti l’ufficio comunale si è attivato per il superamento dei rilievi mossi.
A conclusione del relativo iter procedimentale il Consiglio comunale, con delibera n. 14 del 23 aprile 2015
dava atto di aver proceduto (in parte) alla correzione e all’integrazione degli elaborati del piano e, in pari
data, il Responsabile dell’ufficio comunale chiedeva di pubblicare l’avviso dell’approvazione definitiva del
PUC nel BURAS.
Appreso della decisione di voler procedere alla pubblicazione della delibera del consiglio comunale di
approvazione definitiva del PUC senza previamente (ri)sottoporla alla verifica di coerenza di cui alla legge
regionale n. 7/2002, la Regione avviava con il Comune di Tortoli una nuova interlocuzione,
accompagnata dallo scambio di note con le quali – invero – le parti manifestavano ampia disponibilità alla
composizione dei punti di contrasto ma all’esito della quale, malgrado un formale incontro svoltosi il 6
maggio 2015, non si addiveniva a soluzioni condivise.
L’interruzione della procedura di composizione del contrasto si concretizzava, infine, con la pubblicazione
del PUC del Comune di Tortoli sul BURAS n. 24 del 28 maggio 2015, malgrado non tutti i rilievi sollevati
dall’ufficio regionale fossero stati recepiti.
Di qui il ricorso in esame affidato ad una serie ampia e articolata di motivi – su cui ci si soffermerà
analiticamente nella parte in diritto – con richiesta di annullamento, previa sospensiva, degli atti impugnati
e vittoria delle spese.
Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di Tortoli che con articolate difese, dopo aver contestato
le stesse modalità di svolgimento del procedimento di verifica di coerenza seguito dall’amministrazione
regionale, ha replicato nel merito a tutti i rilievi sollevati dalla Regione Sarda concludendo, infine, per la
sua reiezione, vinte le spese.
Con ordinanza n. 214 del 16 settembre 2015 il Tribunale, senza sospendere il provvedimento impugnato,
ha fissato direttamente l’esame del merito della causa, in vista del quale le parti hanno depositato ulteriori
memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 16 dicembre 2015, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente deve rilevarsi l’infondatezza delle argomentazioni della difesa comunale secondo le quali
la Regione avrebbe operato un’indebita rinnovazione della verifica di coerenza (a suo avviso
definitivamente conclusa con determinazione n. 3673 dell’8.11.2013) attraverso un “nuovo” esame dello
strumento urbanistico comunale che, all’esito, avrebbe portato a sollevare obiezioni e a evidenziare punti
di criticità su aspetti che, invece, avevano superato indenni la “prima” (e unica ammissibile) verifica di coerenza.
Deve invero rilevarsi che la “verifica di coerenza” è la procedura diretta alla verifica della conformità degli
atti di programmazione urbanistica generale degli Enti Locali con gli strumenti sovraordinati di governo
del territorio e con le direttive regionali in materia urbanistica.
La sua finalità è, dunque, quella di garantire il corretto e ordinato assetto del territorio regionale e di
perseguire la tutela e la valorizzazione dei beni e dei valori paesistico – ambientali in coerenza con le
prospettiva di sviluppo sostenibile delineate dalla pianificazione sovraordinata.
Nell’ambito di tale procedimento, ove l’attività di riscontro affidata all’ufficio regionale richieda, rispetto
all’impianto originario dello strumento urbanistico esaminato, interventi correttivi e/o integrativi al fine di
addivenire, nell’ottica di un procedimento di maturazione del consenso a formazione progressiva, a
soluzioni condivise, deve ritenersi che, allorquando l’amministrazione comunale abbia apportato modifche
incidenti sulle linee direttrici del piano, derivanti dal recepimento in tutto o in parte dei rilievi avanzati
dall’ufficio regionale, quest’ultimo possa procedere al riesame dello strumento urbanistico nel suo assetto
definitivo, senza preclusioni o limitazioni rispetto a quanto emerso in sede di primo esame, rendendosi
necessario procedere ad una verifica di compatibilità della complessiva disciplina urbanistica comunale
così come conclusivamente approvata dall’ente locale.
Pertanto, a prescindere dalla questione dibattuta dalle parti se i rilievi sollevati in seconda battuta
dall’ufficio regionale fossero o meno compresi in quelli immediatamente rilevati e comunicati al Comune
di Tortoli per il necessario adeguamento, deve ritenersi legittima la verifica condotta dall’ufficio regionale
sul testo definitivo dello strumento comunale se non altro per l’ovvia considerazione che, opinando
diversamente, le modifiche introdotte e, soprattutto, la loro correlazione e l’incidenza sull’impianto
complessivo del piano resterebbe sottratta alla verifica dell’ufficio regionale, con palese violazione dell’art.
31, comma 5, legge regionale n. 7/2002.
Di qui l’infondatezza dell’argomento
Del pari priva di rilievo decisivo è la tesi difensiva secondo la quale il comportamento del Comune, di
procedere all’immediata pubblicazione del piano in mancanza di un positivo riscontro regionale,
troverebbe fondamento nell’orientamento giurisprudenziale – seguito anche da questo TAR – secondo il
quale il venir meno del sistema dei controlli avrebbe depotenziato il procedimento di verifica di coerenza a
mera attività di collaborazione sostanzialmente priva di sanzione per il caso di inadempimento da parte
dell’ente locale ai rilievi dell’ufficio regionale.
Ed invero, anche a prescindere dall’applicabilità alla vicenda per cui è causa, ratione temporis, della
novella di cui all’art. 22, comma 1°, della legge regionale n. 8/2015, in vigore dal 30 aprile 2015, per il
quale “Dopo il comma 5-quater dell’articolo 31 della legge regionale 22 aprile 2002, n. 7 (legge finanziaria
2002), e successive modifiche ed integrazioni, è aggiunto il seguente:
“5-quinquies. Salva l’ipotesi di cui al comma 5-ter, la pubblicazione del provvedimento di approvazione
definitiva del piano sul Buras, in assenza di positiva conclusione del procedimento di cui al comma 5,
determina l’annullabilità del piano per violazione di legge.”, va senz’altro riconosciuta la legittimazione
della Regione Sardegna alla proposizione, come nel caso di specie e come espressamente fatto salvo
dal precitato orientamento giurisprudenziale, di un’impugnativa in sede giurisdizionale al fine di far valere,
ed a prescindere dalla specifica formulazione delle osservazioni formulate in sede procedimentale,
l’illegittimità del piano urbanistico comunale per contrasto con gli atti di pianificazione sovraordinata posti
a presidio di valori tutelati e normativamente affidati alla sua vigilanza, rivelandosi dunque l’argomento
comunale privo di rilievo decisivo con riguardo alla vicenda impugnatoria che qui occupa.
Può quindi passarsi all’esame delle singole questioni sollevate dalla Regione ricorrente, premettendo che
l’attenzione del Collegio sarà concentrata esclusivamente sull’esame delle singole censure volte a
evidenziare ben definiti profili di contrasto della disciplina urbanistica comunale col quadro normativo di
riferimento, senza soffermarsi, in quanto estranee alle competenze di questo giudice, su considerazioni
della parte ricorrente tese ad esprimere, in termini generali ed astratti, giudizi di valore sulle decisioni di
politica urbanistica attuata dal Comune di Tortoli.
L’esame di ogni questione, peraltro, deve tener conto del fatto che il territorio del Comune di Tortolì,
vincolato con DM del 16 giugno 1966, ricade quasi interamente all’interno della fascia costiera che, ai
sensi dell’art. 19 delle NTA del PPR, rappresenta “bene paesaggistico d’insieme ed è considerato risorsa
strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo”, prevedendosi una sua tutela
massima rispetto ai rischi della sua compromissione.
A) La prima questione sollevata dalla Regione attiene alle nuove esigenze abitative.
Il Comune di Tortolì ha attualmente circa 11.000 abitanti (dagli atti risultano 10.609 censiti al 31.12.2008).
Le previsioni del PUC, riferite ad un periodo decennale (2011-2021), stimano una popolazione residente
al 31 dicembre 2021 pari a 15.282 abitanti.
L’art 4 del cd. decreto Floris (DA n. 2266/U del 1983) indica, per gli abitanti presumibilmente insediabili
nelle zone A, B e C, e salvo diversa dimostrazione in sede di strumento urbanistico comunale, il
parametro di 100 mc. ad abitante.
Nel nuovo PUC del Comune di Tortoli, tenuto conto delle diverse tipologie edilizie tipiche dell’abitato, tale
indice è stato innalzato a 280 mc/ad abitante.
Osserva la Regione che nelle aree urbane A, B e C attuate sarebbero complessivamente allocabili circa
3.790.755 mc. sicché, secondo l’indice del nuovo PUC di Tortoli, sarebbero insediabili solo 13.538
abitanti (3.790.755 : 280 = 13.538), mentre applicando il parametro del decreto Floris ne sarebbero
insediabili ben 37.907 (3.790755 : 100 = 37.907).
Dunque, in sostanza, l’argomento della Regione sottende il rilievo che applicando rigorosamente i
parametri del decreto Floris non sarebbe neanche necessario procedere all’individuazione di nuove aree
di espansione residenziale.
Le previsioni del PUC, invece, che come detto stimano al 31.12.2021 una popolazione di 15.282 abitanti,
per i 1744 nuovi abitanti (15.282 – 13.538 = 1744) hanno reso necessario procedere all’individuazione di
nuove aree trasformabili.
Per le nuove zone C di espansione si è quindi previsto un parametro di 200 mc/abitante e un indice di
edificabilità medio di 0,50 mc/mq. (fino a 0,25 in zona C6), laddove il decreto Floris consente un indice
territoriale massimo di 1,50 mc/mq.
In funzione delle esigenze di 1744 nuovi abitanti si è previsto, cioè, l’utilizzo a fini residenziali di un’area
pari a circa 350.000 mq., con forte incremento della superficie dedicata alle zone di espansione
residenziale complessivamente passata, come afferma la regione, da 1.457.774 mq del previgente PRG
a 2.446.313 mq del nuovo PUC “…soprattutto a causa della decisione di inserire una grande quantità di
aree periferiche solo in parte già interessate dall’edificazione, prevedendo densità edificatorie molto
basse…”(pag. 28 della relazione istruttoria della Regione).
In relazione a quanto sopra non sembra dubbio che le determinazioni assunte dal Comune di Tortolì
presentino palesi profili di contrasto con la normativa di riferimento sia con riguardo al difetto di
motivazione in ordine alle scelte compiute e sia con riguardo alle prescrizioni del PPR che impongono il
minimo consumo del territorio.
Anzitutto, infatti, la previsione di un parametro di insediamento abitativo pari a 280 mc/abitante (per le
zone A, B e C1), di 250 mc/abitante (C2) di 200 mc/abitante (C3, C4, C5 e C6), seppur astrattamente
consentito dall’art. 4 del decreto Floris, che non detta una prescrizione vincolante, per la particolare
incidenza sul dimensionamento delle varie zone ben avrebbe richiesto una motivazione più pregnante sia
in ordine alle ragioni di un così consistente incremento del parametro medio indicato dal decreto Floris
(100mc/mq) e sia in ordine alle ragioni per le quali non è stata ritenuto congrua la proposta della Regione
che nel tentativo di addivenire ad una soluzione condivisa aveva proposto di inserire il parametro di 150 mc/abitante.
Stessa carenza motivazionale non può non rilevarsi in relazione all’indice di edificabilità fissato per le
zone C di espansione residenziale, il cui sensibile incremento, a scapito di ambiti periurbani caratterizzati
da una forte vocazione agricola e con sottovalutazione dei costi – in ultima analisi da addossare alla
collettività – di realizzazione e gestione delle opere di infrastrutturazione di una così estesa zona
residenziale, avrebbe richiesto sia una dettagliata indagine dell’esistente al fine di ottimizzarne l’utilizzo e
sia un’accurata ponderazione in ordine alle conseguenze sul territorio di una siffatta scelta urbanistica.
Per contro, il mero riferimento all’esigenza di confermare, anche nelle zone dei nuovi insediamenti,
caratteristiche costruttive delle abitazioni sorte in periodi di più ampia disponibilità del territorio e di minore
densità abitativa si pone in palese contrasto con le prescrizioni di cui alle norme tecniche di attuazione del
PPR ricordate dalla difesa regionale, e precisamente:
Art. 3 (rubricato: Principi del P.P.R) per il quale ( per quanto qui rileva) “I principi contenuti nel P.P.R.,
assunti a base delle azioni da attuare per il perseguimento dei fini di tutela paesaggistica, costituiscono il
quadro di riferimento e coordinamento per lo sviluppo sostenibile del territorio regionale, fondato su un
rapporto equilibrato tra i bisogni sociali, l’attività economica e l’ambiente, in coerenza con la Convenzione
Europea del Paesaggio e con lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo.
2. I principi di cui al comma 1 concernono:
– il controllo dell’espansione delle città;
– la gestione dell’ecosistema urbano secondo il principio di precauzione
– la conservazione e sviluppo del patrimonio naturale e culturale;
– l’alleggerimento della eccessiva pressione urbanistica, in particolare nelle zone costiere…”.
Art. 20, commi 1 e 2, in materia di limitazioni delle trasformazioni in zona costiera;
Art. 62, comma 1, lettera c, Art. 62 (Rubricato: Assetto insediativo. Indirizzi) per il quale “I Comuni,
nell’adeguamento degli strumenti urbanistici al P.P.R., e gli enti e soggetti
istituzionali, per le rispettive competenze, si conformano ai seguenti indirizzi:…
c) orientamento delle azioni di trasformazione irreversibili per nuovi insediamenti al principio
di minimo consumo del territorio…”.
Art. 64 (Rubricato: Edificato urbano. Prescrizioni) per il quale “I Comuni, nell’adeguamento degli strumenti
urbanistici al P.P.R., si conformano alle seguenti prescrizioni:

e) dimensionare le aree di completamento e di nuova espansione a fini residenziali in relazione ad una
puntuale valutazione della domanda sociale proiettata sull’orizzonte temporale decennale…”.
Art. 74 (Rubricato: Espansioni in programma. Prescrizioni), per il quale “I Comuni, nell’adeguamento degli
strumenti urbanistici al P.P.R., si attengono alle seguenti prescrizioni:
a) potranno essere individuate nuove aree da urbanizzare ai fini residenziali solo successivamente alla
dimostrazione di reali fabbisogni abitativi, nell’orizzonte temporale decennale, non soddisfatti dal
consolidamento e dal recupero dell’esistente…”.
In relazione al ricordato quadro normativo, dunque, deve ritenersi che le scelte pianificatorie del Comune
di Tortolì, per quanto connotate da ampia discrezionalità insindacabile nel merito in sede giurisdizionale,
si siano orientate, senza l’indicazione di convincenti e ragionevoli argomentazioni a supporto della scelta
nella relazione al PUC, in senso contrario rispetto alle esigenze di conservazione e salvaguardia del
territorio sottese dalla pianificazione sovraordinata, per addivenire ad un sostanziale stravolgimento della
vocazione agricola di gran parte del territorio comunale in funzione di un’espansione residenziale che,
anche a voler ritenere corretti i criteri di quantificazione della crescita della popolazione residente fissati
nel PUC, ben avrebbe potuto trovare soluzioni compatibili e coerenti con le indicazioni del PPR.
Pertanto in relazione a tale motivo il ricorso è fondato, con annullamento, ai fini del riesame, delle
prescrizioni del PUC relative al parametro mc/abitante e all’indice di edificabilità delle zone C.
B) La seconda questione sollevata dalla Regione attiene alle nuove zone per servizi di interesse generale(G).
Sostiene la Regione che il PUC approvato individua una rilevantissima superficie di zone G per servizi
generali, suddivise in 4 sottozone, estesa per circa 2.472.880 mq, con disponibilità volumetrica di
3.180.318 mc, in assenza di alcun dimensionamento e senza indicazione di specifiche destinazioni.
L’incremento stabilito dal nuovo PUC emerge dal rilievo che in base al vecchio PRG l’estensione delle
zone G era di 961.170 mq che, sommata all’estensione di 109.297 mq di altre zone anch’esse destinate a
servizi generali classificate in maniera differente (zone R, Q, T, V, M), era pari a 1.070.467 mq (961.170 +
109.297 = 1.070.467).
L’incremento è dunque pari a 1.402.413 mq.
Lo stesso viene giustificato (pag. 288 della Relazione Generale) con mero richiamo “…ad un naturale
sviluppo del territorio comunale quale capoluogo di provincia…”.
Orbene, anche a prescindere dal rilievo che l’ente provinciale facente capo al Comune di Tortolì nelle
more è stato soppresso per effetto dell’esito della consultazione referendaria, venendo meno dunque la
ragione politica che aveva portato nell’assunto dei compilatori a prevedere un naturale sviluppo del
territorio comunale, il Collegio ritiene che, avuto riguardo ai dati precisati dalla difesa comunale,
l’anzidetta zonizzazione non si appalesi irragionevolmente sproporzionata rispetto alle ricordate esigenze
di salvaguardia del territorio.
Ed invero, come afferma incontestata la difesa comunale (pag. 28 e ss della memoria depositata il 5
settembre 2015), dei circa 250 ha di zone G circa 130 ha corrispondono ad aree così già classificate nel
vecchio PRG, che il PUC ha inteso meglio codificare, mentre circa 97 sono destinati a zona parco urbano
e verde attrezzato, con l’intento di salvaguardare alcuni ambiti aventi particolari peculiarità ambientali e
importanti funzioni strategiche da un punto di vista naturalistico, culturale ed economico, dove si è
prevista un indice di edificabilità pari a 0,01 mc/mq.
Pertanto col nuovo PUC sono state previste solo 23 ha circa di nuove zone G, destinate ad iniziative
private e, per lo più, inserite in ambiti urbani già edificati.
Al di là, quindi, delle singole questioni di dettaglio dibattute dalle parti in ordine alle sub zonizzazioni
disposte dal Comune, alle quali non può essere esteso il sindacato giurisdizionale del giudice
amministrativo se non nei limiti – non ricorrenti nella specie anche in ragione della già rilevata limitata
estensione – in cui le stesse incidono sulla ragionevolezza delle complessive scelte pianificatorie adottate
dal Comune, deve ritenersi che in relazione alle censure relative alle zone G il ricorso sia infondato e,
pertanto, vada respinto.
C) Altra questione è quella delle zone F turistiche.
Sostiene anzitutto la Regione che il numero dei bagnanti generato in base ai volumi previsti nel PUC
(11550) sarebbe superiore a quello massimo ammissibile (10264) sulla base dei parametri regionali, con
illegittimo incremento della previsione insediativa.
L’art. 4 del già citato decreto Floris, infatti, stabilisce che “Per le zone F costiere la capacità insediativa
massima, salvo diversa dimostrazione in sede di strumento urbanistico comunale, calcolata sulla fruibilità
ottimale del litorale determinata secondo i seguenti parametri:
– 2 posti-bagnante/ml per costa sabbiosa la cui fascia abbia una larghezza superiore a 50 mt.;
– 1,5 posti-bagnante/ml per costa sabbiosa la cui fascia abbia una larghezza compresa tra 50 e 30 mt.;
– 1 posto-bagnante/ml per costa sabbiosa la cui fascia abbia una larghezza inferiore a 30 mt.;
– 0,5 posti bagnante/ml per costa rocciosa.
Almeno il 20% della capacità insediativa così ottenuta deve essere riservato ad attrezzature alberghiere,
paralberghiere e villaggi turistici a rotazione d’uso”.
L’art. 6 della legge regionale n. 8/2004, nel testo modificato dall’art. 24, comma 1, L.R. 23 aprile 2015, n.
8, prevede che “Il dimensionamento delle volumetrie degli insediamenti turistici ammissibili nelle zone F
non deve essere superiore al 50 per cento di quello consentito con l’applicazione dei parametri massimi
stabiliti per il calcolo della fruibilità ottimale del litorale dal Dec.Ass. 20 dicembre 1983, n. 2266/U
dell’Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica”.
La censura in esame risulta tuttavia superata sulla base di quanto esposto dal Comune di Tortoli
nell’Allegato 2 “Zone Turistiche”, trasmessa dal Comune di Tortoli dopo la prima relazione regionale, ove
si specifica (pag. 9) che il numero di persone insediabili in base alle volumetrie previste e realizzabili sulla
base delle prescrizioni del PUC è di 9421, inferiore dunque al numero massimo consentito di 10264.
Sostiene ancora la Regione che la procedura di calcolo seguita dal Comune di Tortoli sarebbe errata in
quanto non tiene conto del fatto che alcune strutture alberghiere sarebbero state classificate in zona G e
non in zona F, caratterizzata come noto dalla specifica destinazione turistica, con la conclusione che le
stesse resterebbero sottratte al conteggio della disponibilità volumetrica in zone F.
Inoltre, il calcolo effettuato sulla base di un parametro differenziato tra residenze (60mc) e alberghi (85,6
mc) si discosterebbe ingiustificatamente dall’art. 4 del decreto Floris (che prevede unicamente il
parametro di 60 mc/bagnante), con sostanziale svuotamento dell’obbiettivo del dimezzamento perseguito
dall’art. 6 della legge regionale n. 8/2004.
In conclusione, quindi, secondo la Regione, si avrebbe un ingiustificato superamento del tetto massimo
del carico urbanistico previsto per le zone F.
Gli argomenti della ricorrente non si rivelano convincenti.
Quanto al primo profilo la difesa comunale ha evidenziato (pag. 22 della memoria depositata il
25.11.2015) che le strutture presenti nella zona G4.1 sono adibite a servizi generali dell’albergo “Il
Saraceno” (area sportiva, ristorante, sala convegni…) e, in previsione della realizzazione del porto
turistico, saranno anche a servizio di quest’ultimo, risultando dunque corretta la classificazione G4.1,
mentre, per contro, la volumetria della struttura alberghiera è stata correttamente considerata nel calcolo
del dimensionamento delle zone F, inclusa in subzona F1, ricadente quasi interamente nella sottozona F1.8.
Non risultando documentata la presenza di ulteriori strutture alberghiere in zona G, pertanto,
diversamente da quanto sostenuto dalla Regione, non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 3 del decreto
Floris.
In ogni caso l’asserita indebita sottrazione di volumetria dalla zona F lamentata dalla Regione non
sarebbe comunque conducente rispetto al fine perseguito dall’impugnazione proposta.
Ed invero, come evidenzia la difesa comunale, la volumetria cd turistica dell’area G4.1 corrisponde a 134
turisti che sommati ai 9421 insediabili sulla base delle prescrizioni del PUC comporterebbero una
insediabilità complessiva pari a 9555 unità, comunque inferiore al tetto massimo di 10.264 risultanti dal
calcolo dimezzato effettuato in base al decreto Floris.
Quanto alla questione dell’indice di edificabilità, come si ricava dall’Allegato 2 “Zone Turistiche” (pag 4 e
ss.), il dimensionamento operato dal Comune di Tortolì per le zone F è ampiamente giustificato con
riferimento al rilievo che le attività ricettive alberghiere presenti sul territorio (di cui 7 su 17 a quattro stelle)
ben giustificano, per tali strutture, una dotazione di volumetria al di sopra del valore previsto dall’art. 4 del
decreto Floris, che del resto, come già detto, reca una prescrizione indicativa e non vincolante, restando
affidata alla discrezionalità dell’amministrazione locale, non sindacabile in sede giurisdizionale se non in
caso di palese illogicità o irragionevolezza non ricorrente nella specie, l’individuazione dei parametri di
crescita volti a coniugare lo sviluppo economico delle attività imprenditoriali con l’esigenza di
salvaguardare gli ambiti di tutela del territorio.
La Regione contesta poi la legittimità delle sottozone F.
Nel PUC di Tortolì sono state individuate 4 sottozone turistiche (F1, F2, F3 e F4).
A pag. 29 del ricorso si dice che riguardo “…le tre sottozone F2 individuate dal PUC ( e cioè: la sottozona
F2.1 in località “Porto Frailis”, la sottozona F2.2 in località “Cea”, la sottozona F2.3 in località “Monte
Attu”), si evidenzia che nessuna delle stesse è conforme alla normativa vigente…” richiamandosi sul
punto gli atti regionali di verifica.
Gli atti richiamati dalla Regione evidenziano, per le zone F2, profili di criticità con gli artt. 20, 89 e 90 delle
NTA del PPR.
Il rilievo è stato oggetto di chiarimenti da parte del Comune di Tortoli ma questi ultimi non sono stati
ritenuti idonei a superare del tutto le criticità evidenziate in quanto “…nel bene paesaggistico “fascia
costiera” sono applicabili contemporaneamente le norme previste dagli articoli 20, 89 e 90 …”.
L’art. 20 del PPR (rubricato: Fascia Costiera – Disciplina) recita testualmente:
“1. Nella fascia costiera di cui all’art. 19 si osserva la seguente disciplina:
a) Nelle aree inedificate è precluso qualunque intervento di trasformazione, ad eccezione di quelli previsti
dall’art. 12 e dal successivo comma 2;
b) Non è comunque ammessa la realizzazione di:
1) nuove strade extraurbane di dimensioni superiori alle due corsie, fatte salve quelle di preminente
interesse statale e regionale, per le quali sia in corso la procedura di valutazione di impatto ambientale
presso il Ministero dell’Ambiente, autorizzate dalla Giunta Regionale;
2) nuovi interventi edificatori a carattere industriale e grande distribuzione commerciale;
3) nuovi campeggi e strutture ricettive connesse a campi da golf, aree attrezzate di camper.
2. Fermo quanto previsto dal comma precedente, possono essere realizzati i seguenti interventi:
1) nell’ambito urbano, previa approvazione dei P.U.C.:
a) trasformazioni finalizzate alla realizzazione di residenze, servizi e ricettività solo se contigue ai centri
abitati e subordinate alla preventiva verifica della compatibilità del carico sostenibile del litorale e del
fabbisogno di ulteriori posti letto;
2) nelle aree già interessate da insediamenti turistici o produttivi, previa intesa ai sensi dell’art. 11, 1°
comma lett. c):
a) riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti;
b) riuso e trasformazione a scopo turistico-ricettivo di edifici esistenti;
c) completamento degli insediamenti esistenti;
3) in tutta la fascia costiera:
a) interventi di conservazione, gestione e valorizzazione dei beni paesaggistici;
b) infrastrutture puntuali o di rete, purché previste nei piani settoriali, preventivamente
adeguati al P.P.R.
3. Gli interventi di cui al precedente comma 2 si attuano:
a) attraverso la predisposizione dei nuovi PUC in adeguamento alle disposizioni del P.P.R., secondo la
disciplina vigente;
b) tramite intesa nelle more della predisposizione del PUC, e comunque non oltre i dodici mesi, o
successivamente alla sua approvazione qualora non sia stato previsto in sede di adeguamento. L’intesa
si attua ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c), in considerazione della valenza strategica della fascia
costiera. Le intese valutano le esigenze di gestione integrata delle risorse, assicurando un equilibrio
sostenibile tra la pressione dei fattori insediativi e produttivi e la conservazione dell’habitat naturale,
seguendo le indicazioni della Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio
2002 relativa all’attuazione della “Gestione integrata delle zone costiere” (GIZC) in Europa (2002/413/CE)
e del “Mediterranean Action Plan” (MAP), elaborato nell’ambito della Convenzione di Barcellona. A tal
fine, in sede di intesa, la Regione si può avvalere di specifiche conoscenze e competenze attraverso un
apposito comitato per la qualità paesaggistica e architettonica.
4. Fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali si applicano le disposizioni di cui
all’art. 15”.
Sostiene anzitutto la Regione che non sarebbe stato indicato in quale delle fattispecie previste dal comma
2, punto 2) rientra l’area.
In realtà il rilievo è stato oggetto di precisazione da parte del Comune in sede di osservazioni (relazione
ing. Cerina del 16.4.2015 (allegato 5 delle produzioni comunali), ove si è precisato che:
“…le zone urbanistiche F2.1 e F2.3 rientrano nella fattispecie dell’articolo 20, comma 2, punto 1 aree
contigue al centro abitato, e la zona F2.2 rientra nella fattispecie dell’articolo 20, comma 2, punto 2,
poiché nell’area vi sono degli edifici che si intendono assoggettare a riuso e trasformazione turistico
ricettivo…”.
Osserva la Regione (verbale n. 8 del 25 maggio 2015 del CTRU), evidentemente ritenendo esaustivo il
chiarimento comunale, che l’area F2.1 è interessata dalla fascia di in edificabilità dei 300 m dalla linea di
battigia marina e dal vincolo Hi4 del PAI, che la rendono praticamente inedificabile.
Ciò comporterebbe per la difesa regionale che “…tutta la volumetria prevista andrebbe raggruppata in
una ridotta porzione di territorio con una concentrazione eccessiva di volumi nella parte centro orientale
della sottozona, in contrasto con i più elementari principi in materia di pianificazione
paesaggistica…” (vedi memoria difensiva del 13.11.2015).
L’argomento, a ben vedere, non evidenzia profili d’illegittimità della determinazione comunale giacché i
volumi realizzabili nell’area consentita sono quelli compatibili con l’indice territoriale dell’intera zona F
(0,35 mc/mq) nei cui limiti dovrà pertanto contenersi, nell’area concretamente utilizzabile, l’attività
edificatoria prevista dal Comune d Tortolì.
Con riguardo alla zona F2.2 la Regione, in sede di replica alle osservazioni, rileva che tale area “…non
rientra nella fattispecie dell’articolo 20, comma 2, punto 2, aree già interessate da insediamenti turistici o
produttivi in quanto nell’area non sono presenti insediamenti da riqualificare…inoltre la sottozona è
interessata nella metà bassa dal vincolo Hi4 del PAI…”.
Sul punto il Collegio rileva un carente supporto probatorio da entrambe le parti, che non consente di
avere una precisa rappresentazione della reale situazione dell’area. In tale contesto, quindi l’argomento
regionale, invero ribadito solo in termini dubitativi nella memoria conclusiva ( pag. 20, “…sembrerebbe un
vecchio edificio rurale…”) non può che ritenersi non decisivo, fermo restando che l’attività consentita
nell’area è solo quella di cui al comma 2, punto 2, dell’art. 20 che presuppone in fatto di da insediamenti
turistici o produttivi da completare o riqualificare.
Va respinto anche l’argomento proposto avverso la zona F2.3 in quanto il rinvio operato dall’atto
introduttivo del giudizio agli atti di verifica regionale non evidenzia in termini puntuali alcun profilo di
contrasto con la normativa regionale, giacché solo con l’ultima memoria, ma in termini palesemente
inammissibili, si profila un contrasto, esposto peraltro in termini di assoluta genericità, con gli artt. 3 e 4
del decreto Floris che, in realtà, nulla dice sul dimensionamento delle zone.
Quanto alle zone F3, oltre a rinviare a quanto precisato negli atti di verifica regionale, la difesa della
ricorrente (pag. 29 del ricorso) precisa che “…l’art. 44 NTA del PUC, prevedendo la possibilità di
riconvertire i campeggi esistenti in strutture ricettive, si pone in contrasto con l’art. 90, comma 1, lettera
b), punto 4, delle NTA del PPR che tende alla delocalizzazione dei campeggi e alle limitazioni del
costruito in fascia costiera…”.
Anche in questo caso la difesa regionale richiama osservazioni sulle quali è intervenuto un puntuale
chiarimento da parte dell’amministrazione comunale in sede di confronto procedimentale.
Deve quindi ritenersi che l’unico profilo di censura per il quale persiste l’interesse alla decisione è quello
del precitato contrasto con l’art. 90, comma 1, lettera b), punto 4, delle NTA del PPR, (rubricato:
Insediamenti turistici. Indirizzi ) per il quale:
“1. I Comuni, nell’adeguamento degli strumenti urbanistici al P.P.R., si attengono ai seguenti indirizzi:
(…)
b. massimizzare la qualità urbanistica e architettonica degli insediamenti finalizzata anche all’offerta
turistico ricettiva, tramite piani di riqualificazione, di iniziativa pubblica o privata orientati ai seguenti criteri:
(…)
4. favorire il trasferimento dei campeggi ubicati nella fascia costiera ed in particolar modo quelli in
prossimità degli arenili verso localizzazioni più interne e maggiormente compatibili dal punto di vista
paesaggistico, incentivando contestualmente al trasferimento, la trasformazione degli stessi in strutture
alberghiere, con posti letto e relative cubature calcolati sulla base di una adeguata proporzione con il
numero dei posti campeggio preesistenti, comunque compatibili con la capacità di carico ricettiva
risultante dal Piano Regionale del Turismo Sostenibile…”.
Orbene, l’art. 44 (ex art. 43) delle NTA del PUC prevede testualmente quanto segue:
“Per i campeggi esistenti il PUC prevede operazioni di riqualificazione urbanistica e di miglioramento della
qualità architettonica e paesaggistica degli interventi esistenti. Può essere concertato con i privati il
trasferimento degli stessi verso localizzazioni più interne e/o l’eventuale riconversione ad attività
alberghiere nel rispetto della normativa sovraordinata. Il trasferimento delle strutture oltre la fascia dei 300
mt dalla linea di battigia marina è condizione necessaria per poter realizzare incrementi volumetrici e lo
stesso può avvenire solo all’interno di zone F.
Il PUC stabilisce che in tali casi si possa prendere come riferimento un indice territoriale massimo di
0,35mc/mq. Le modalità di attuazione devono essere espressamente indicate rappresentate in un piano
attuativo da assoggettare ad approvazione del Consiglio comunale…”.
Ad avviso del Collegio il raffronto delle due disposizioni non consente di evidenziare i profili di contrasto
illustrati dalla Regione nella memoria conclusiva del 13 novembre 2015, pag. 21.
L’art. 90 cit. tende a favorire il trasferimento dei campeggi ubicati nella fascia costiera verso localizzazioni
più interne incentivando, contestualmente al trasferimento, la trasformazione degli stessi in strutture
alberghiere, con posti letto e relative cubature adeguatamente proporzionate.
Tale disposizione è perfettamente rispettata, nella sua ratio ispiratrice, dal Comune di Tortolì, che
favorisce l’anzidetta delocalizzazione precisando che “…Il trasferimento delle strutture oltre la fascia dei
300 mt dalla linea di battigia marina è condizione necessaria per poter realizzare incrementi volumetrici e
lo stesso può avvenire solo all’interno di zone F…”.
Pretendere di limitare, come pare intendere la Regione, l’applicazione dell’art. 90 alle sole ipotesi di
delocalizzazione arretrata fin oltre la fascia costiera, infatti, oltre a non trovare riscontro nella lettera della
disposizione, renderebbe la stessa sostanzialmente inapplicabile nei comuni, come quello di Tortolì, il cui
territorio è quasi integralmente compreso all’interno della fascia costiera, con conseguente reiezione del motivo.
Quanto alle zone F4 sostiene la Regione in ricorso che tale classificazione non sarebbe conforme alle
previsioni del PPR in quanto la previsione del piano comunale non consente il raggiungimento degli
obiettivi previsti dagli articoli 20, 89 e 90 delle NTA del PPR di riqualificazione urbanistica e architettonica
degli insediamenti turistici o produttivi esistenti, non garantendo la demolizione dei volumi esistenti e la
conseguente liberazione dei 300 mt dalla linea di battigia marina ma, anzi, permettendo la
compromissione di numerosi altri comparti.
Inoltre la previsione della sottozona F4 si porrebbe in contrasto con gli artt. 23, 26 e 29 delle NTA di
attuazione del PPR per le “Aree naturali e sub naturali”, per le “Aree seminaturali” e per le “Aree agroforestali”.
L’argomento della Regione, in parte esposto in termini talmente generici da non consentire una concreta
comprensione dei profili di illegittimità rilevati (ci si limita invero a segnalare un “…contrasto con gli artt.
23, 26 e 29 delle NTA di attuazione del PPR per le “Aree naturali e sub naturali”, per le “Aree
seminaturali” e per le “Aree agroforestali…”), non risulta fondato neppure laddove censura lo strumento
urbanistico impugnato, senza invero corredare l’affermazione da adeguati supporti probatori, nella parte
in cui sostiene che il comparto F4.1 qualifica come insediamenti esistenti – ai fini della riqualificazione –
un insieme di edifici in realtà privi di titolo edilizio.
Come si ricava dalle difese comunali, infatti, è stata predisposta una puntuale indagine ricognitiva
dell’edilizia esistente al fine di individuare una soluzione al fenomeno di edilizia spontanea che, a partire
dagli anni ’80, ha interessato il comparto in questione, nel quale sono compresi fabbricati regolari,
fabbricati oggetto di condoni in corso d’esame destinati, almeno in parte, a concludersi positivamente e
fabbricati che non hanno alcuna possibilità di conservazione per i quali si preannunciano le necessarie
iniziative demolitorie.
Proprio al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi previsti dagli articoli 20, 89 e 90 delle NTA del
PPR di riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti si sono
previsti piani attuativi per i quali il punto 6 dell’art. 45 del PUC stabilisce:
“Il Piano attuativo si svilupperà secondo i parametri di seguito riportati:
…1. obblighi urbanizzativi e operativi, con espressa prescrizione, nell’ambito della convenzione della
inderogabile clausola di procedere, preventivamente alla realizzazione in esso di qualsiasi altro
intervento, alla demolizione dei manufatti abusivi qualora non siano sanabili e non vengano identificati
come fabbricati da acquisire al patrimonio comunale per finalità esclusivamente di pubblico interesse”.
In sostanza, dunque, solo in relazione agli insediamenti accertati – in sede attuativa – come
legittimamente esistenti si potrà procedere al consentito completamento, restando dunque già soddisfatta
dal testo della norma la richiesta regionale.
Così come dall’art. 45, comma 3, delle NTA del PUC risulta già soddisfatta l’esigenza regionale di
assicurare la limitazione delle aree edificabili ai soli comparti edificatori, come del resto riconosciuto dalla
stessa difesa comunale a pag. 32 della memoria depositata il 25 novembre 2015 e malgrado la Regione
insista nella necessità di una specifica previsione.
Alle pagine 24 e seguenti della memoria depositata il 13 novembre 2015 la difesa regionale espone,
nuovamente, una serie di criticità – talvolta ripetitive di osservazioni già esaminate – riferibili allo
strumento comunale riprendendo, nella sostanza, i rilievi sollevati dal CTRU col verbale n. 8 del 25
maggio 2015.
Al di là di quanto sopra già rilevato in relazione all’oggetto del presente giudizio, che non è quello di
accertare una generica non coerenza dello strumento comunale rispetto alla pianificazione sovraordinata
ma di censurare profili di contrasto immediato e diretto del PUC con la disciplina urbanistica vigente, non
è superfluo ricordare che non sono conducenti al fine perseguito dalla ricorrente i rilievi che attengono al
merito delle scelte compiute dall’amministrazione comunale (si pensi all’estensione degli stralci
funzionali), e neppure quelli che vorrebbero – a fini di chiarezza – l’inserimento nel PUC di prescrizioni
invero già consacrate in prescrizioni vincolanti sopraordinate o nelle stesse prescrizioni del PUC.
Ed invero, con riferimento a tale sottozona, l’amministrazione regionale, che propone una molteplicità di
questioni concernenti la sua disciplina, peraltro neppure puntualmente ancorate a parametri di legittimità
e, oltretutto, non agevolmente verificabili in quanto in gran parte già oggetto di contraddittorio
procedimentale e di accoglimento (in tutto o in parte) da parte del Comune di Tortolì, non riesca a
dimostrare come le disposizioni contestate, di carattere generale e astratto, e necessitanti dell’adozione
di strumenti attuativi ovviamente soggetti anch’essi alla pianificazione sovraordinata, siano in contrasto
immediato e diretto con le disposizioni del PPR.
Di qui, pertanto, senza neppure la necessità di procedere ad una loro analitica esposizione, il loro rigetto.
D) Può quindi passarsi all’esame delle questioni concernenti le zone E.
1) Sostiene anzitutto la Regione che la zonizzazione agricola del territorio comunale non sarebbe
corrispondente alla vocazione produttiva e alle potenzialità agro-pedologiche del territorio ma solo
esclusivamente all’uso in atto, risultando dunque eccessivamente frazionata.
1.1) Inoltre si afferma che sarebbero previste destinazioni d’uso e parametri urbanistico/edilizi pressoché
identici in ogni sottozona, seppur classificata diversamente per la diversa situazione territoriale.
1.2) Ancora, non si sarebbe considerato che le aree ricadono in fascia costiera, con violazione degli artt.
19 e 20 delle NTA del PPR.
1.3) Sempre nell’assunto della Regione Sarda la normativa del PUC e, in particolare, le destinazioni e i
parametri urbanistico-edilizi previsti per le “Aree naturali, sub naturali e seminaturali” che dovrebbero
essere classificate come E5 “Aree marginali per l’agricoltura”, non sarebbero in linea con gli artt. 23 e 26
delle NTA del PPR per le “Aree naturali, sub naturali e seminaturali”.
1.4) Allo stesso modo, le destinazioni e i parametri urbanistico-edilizi previsti per le “Aree ad utilizzazione
agroforestale” che dovrebbero essere classificate come E1, E2 ed E3 e non sarebbero in linea con l’art.
29 delle NTA del PPR.
1.5) Sostiene ancora la Regione che la disciplina della zona agricola, contenuta nell’art. 40, comma 19,
delle NTA del PUC relativa alle superfici minime di intervento per la realizzazione di edifici residenziali
sarebbe in contrasto con l’art. 26, comma 3, della legge regionale n. 8/2015, che prevede che possano
edificare in agro con superficie minima di 3 ha solo gli imprenditori agricoli svolgenti effettiva e prevalente
attività agricola.
1.6) Ugualmente sarebbe illegittima la prescrizione dell’art. 40, comma 22, del PUC in materia di unità
fondiaria agricola.
1.7) Infine, l’art. 40, comma 38, del PUC sarebbe in contrasto con gli artt. 1,2 e 3 del DPGR n. 228/1994
(direttive delle zone agricole) e con gli artt. 3 e 4 del decreto Floris che ammettono solo occasionalmente
e specificamente la possibilità di realizzare strutture funzionali alla gestione dei beni presenti.
Osserva il Collegio che l’art. 2 del DPGR n. 228/1994, richiamato dalla stessa Regione ricorrente, recante
“Direttive per le zone agricole”, stabilisce all’art. 2 che “…”.sono definite zone agricole le parti del territorio
destinate all’agricoltura, alla pastorizia, alla zootecnia, all’itticoltura, alle attività di conservazione e di
trasformazione dei prodotti aziendali, all’agriturismo, alla silvicoltura e alla coltivazione industriale del legno”.
L’art. 8 del medesimo testo normativo stabilisce che:
“Nella formazione di nuovi piani urbanistici comunali di revisione di quelli vigenti o mediante apposita
variante, i Comuni tutelano le parti di territorio a vocazione produttiva agricola e salvaguardano l’integrità
dell’azienda agricola e rurale. I Comuni suddividono le zone agricole del proprio territorio nelle seguenti sottozone:
E1) aree caratterizzate da una produzione agricola tipica e specializzata;
E2) aree di primaria importanza per la funzione agricolo produttiva, anche in relazione all’estensione,
composizione e localizzazione dei terreni;
E3) aree che, caratterizzate da un elevato frazionamento fondiario, sono contemporaneamente utilizzabili
per scopi agricolo-produttivi e per scopi residenziali;
E4) aree che, caratterizzate dalla presenza di preesistenze insediative, sono utilizzabili per
l’organizzazione dei centri rurali;
E5) aree marginali per attività agricola nelle quali viene ravvisata l’esigenza di garantire condizioni
adeguate di stabilità ambientale”.
Precisa inoltre il 2° comma che “La ripartizione in sottozone agricole di cui al presente articolo deve
essere deliberata …mediante la valutazione dello stato di fatto, delle caratteristiche geopedologiche e
agronomiche dei suoli, e della loro attitudine e potenzialità colturale con idonea rappresentazione
cartografica”.
Il Comune di Tortoli ha precisato sul punto che la classificazione proposta rappresenta l’esito di
operazioni di analisi e valutazione dei caratteri ambientali (aspetti geomorfologici, usi attuali del suolo
ecc.) delle caratteristiche pedo-agronomiche dei terreni, della capacità d’uso della terra, dell’attitudine agli
usi agricoli e alla potenzialità colturale dei suoli, nonché alla loro suscettività ad usi diversi, dalla
considerazione delle emergenze ambientali di pregio e dello stato di degrado/compromissione degli
equilibri naturali del territorio indotta dagli usi antropici diretti e indiretti.
Il contestato eccessivo frazionamento delle zone E, dunque, costituendo la risultante di una siffatta
approfondita indagine, non costituisce di per sé – e in assenza di qualsivoglia puntuale riferimento a
possibili abusi nell’applicazione dell’anzidetto criterio di classificazione – elemento idoneo a ritenere
fondata la censura sollevata dalla parte ricorrente.
Quanto all’asserita illegittimità circa la previsione di destinazioni d’uso e parametri urbanistico/edilizi
pressoché identici in ogni sottozona, seppur classificata diversamente per la diversa situazione
territoriale, va osservato che in assenza di puntuali prescrizioni normative sul punto l’amministrazione
comunale ha individuato 4 categorie di zone agricole (E1, E2, E3 E5) e 12 sub categorie e ha distinto gli
indici di edificabilità in due categorie:
per le nuove costruzioni e gli ampliamenti ad uso residenziale, previa presentazione e approvazione di un
piano aziendale, ha fissato un indice, pari a 0,03 mc/mq per le zone E1 ed E2 e il parametro di 0,01
mc/mq nelle zone E3 ed E5, fermo restando che qualora l’estensione aziendale avesse una superficie
superiore all’ettaro, ai sensi dell’art. 13 bis della legge regionale 23.10.2009 n. 4, ricadendo il Comune di
Tortolì all’interno dell’ambito costiero, l’indice massimo di edificabilità per le nuove residenze è pari a
quello dichiarato in base alla sottozona agricola di appartenenza per il primo ettaro, ridotto del 50% per il
secondo e del 75% per i successivi;
per i fabbricati connessi alla conduzione agricola e zootecnica si prevede un indice di 0,10 mc/mq che
con deliberazione del Consiglio comunale potrà essere elevato fino a 0,5 mc/mq in presenza di particolari
esigenze aziendali, purché le opere siano ubicate ad una distanza dal perimetro urbano di almeno 1000 metri.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di indici ampiamente compatibili con la classificazione della zona, in
relazione ai quali non trovano fondamento le argomentazioni della ricorrente che, senza alcun supporto
normativo, lamenta che non sarebbero stati individuati parametri differenziati per le diverse subzone.
Né può ritenersi fondato il rilievo che gli anzidetti parametri non terrebbero conto delle esigenze di tutela
della fascia costiera.
A parte il rilievo della difesa comunale, che circa il 90% delle aree agricole classificate E1, E2 ed E3
ricadono all’interno della fascia costiera, è altresì decisivo il rilievo che i parametri ridotti previsti dallo
strumento urbanistico, addirittura inferiori alle indicazioni regionali, non si appalesano tali da aggravare il
carico antropico delle residenze del bene paesaggistico “fascia costiera”.
Deve essere invece respinto per genericità il rilievo della ricorrente per il quale le destinazioni e i
parametri urbanistico-edilizi previsti per le “Aree naturali, sub naturali e seminaturali” che dovrebbero
essere classificate come E5 “Aree marginali per l’agricoltura”, non sarebbero in linea con gli artt. 23 e 26
delle NTA del PPR per le “Aree naturali, sub naturali e seminaturali”.
Così come non può che concludersi per la palese genericità, e dunque della reiezione, del rilievo –
anch’esso meramente enunciato – per il quale le destinazioni e i parametri urbanistico-edilizi previsti per
le “Aree ad utilizzazione agroforestale” che dovrebbero essere classificate come E1, E2 ed E3 e non
sarebbero in linea – senza l’indicazione delle ragioni – con l’art. 29 delle NTA del PPR.
Sostiene ancora la Regione che la disciplina della zona agricola, contenuta nell’art. 40, comma 19, delle
NTA del PUC relativa alle superfici minime di intervento per la realizzazione di edifici residenziali in zona
agricola, sarebbe in contrasto con l’art. 26, comma 3, della legge regionale n. 8/2015, che prevede che
possano edificare in agro con superficie minima di 3 ha solo gli imprenditori agricoli svolgenti effettiva e
prevalente attività agricola.
Verosimilmente la censura proposta dalla ricorrente concerne non il 3° comma ma il comma 4
dell’anzidetto art. 26, per il quale “Nelle more dell’aggiornamento della disciplina delle trasformazioni
ammesse nelle zone agricole, l’edificazione per fini residenziali nelle zone urbanistiche omogenee E del
territorio regionale è consentita unicamente agli imprenditori agricoli e alle aziende svolgenti effettiva e
prevalente attività agricola e la superficie minima di intervento è fissata in tre ettari”.
Ma è lo stesso testo normativo asseritamente violato che evidenzia che si tratta di una disciplina
transitoria suscettibile, appunto, di essere modificata – purché non secondo modalità illogiche irrazionali
che non si rinvengono nella specie – in sede di adeguamento dei PUC alla normativa sovraordinata.
Sempre secondo la Regione sarebbe illegittima la prescrizione dell’art. 40, comma 22, del PUC in materia
di unità fondiaria agricola per contrasto con l’art. 26, comma 3, della legge regionale n. 8/2015.
L’art. 26, comma 3, L.R. n. 8/2015 stabilisce testualmente che “Ai fini della realizzazione degli interventi
previsti dalle Direttive per le zone agricole, gli strumenti urbanistici comunali disciplinano la possibilità di
raggiungere la superficie minima di intervento con l’utilizzo di più corpi aziendali che, in caso di
edificazione a fini residenziali, devono essere contigui. Il volume realizzabile è, in ogni caso, calcolato
utilizzando esclusivamente la superficie effettiva del fondo sul quale si edifica, ferma la possibilità di
utilizzare particelle catastali contigue”.
L’art. 40, comma 22, delle NTA del PUC stabilisce che l’unità fondiaria può essere costituita da più
appezzamenti di terreno della stessa proprietà, non contigui tra loro (corpi aziendali).
Il contrasto con la fonte legislativa concerne, dunque, l’edificazione a fini residenziali, consentita
unicamente agli imprenditori agricoli e alle aziende svolgenti effettiva e prevalente attività agricola, per la
quale si richiede che i fondi siano contigui e che la superficie minima di intervento è fissata in tre ettari.
Il motivo non è fondato in base al principio del tempus regit actum.
Va rilevato che l’art. 26, comma 3 della legge reg. L.R. 23 aprile 2015, n. 8 è successivo, come detto,
all’approvazione del PUC in quanto la legge n. 8/2015 è entrata in vigore il 30 aprile 2015, data di
pubblicazione sul BURAS.
Comunque, l’anzidetto profilo di contrasto sopraggiunto, che ha comportato l’inapplicabilità della norma
regolamentare per contrasto la nuova norma introdotta dalla legge n. 8/2015, dovrà essere oggetto di
opportuno adeguamento da parte dell’amministrazione comunale, anche per esigenze di chiarezza sul
contenuto delle norme regolamentari vigenti.
Infine, l’art. 40, comma 38, del PUC sarebbe in contrasto con gli artt. 1, 2 e 3 del DPGR n. 228/1994
(direttive delle zone agricole) e con gli artt. 3 e 4 del decreto Floris che ammettono solo occasionalmente
e specificamente la possibilità di realizzare strutture funzionali alla gestione dei beni presenti.
Secondo la Regione (pagg. 34 e 35 del ricorso) la genericità della locuzione “aree prossime ad un bene
paesaggistico”, in presenza di numerosi beni paesaggistici nel territorio, comporterebbe la possibilità di
realizzare svariati edifici, con sacrificio dell’obiettivo di conservare e salvaguardare i beni paesaggistici.
Orbene, l’art. 40, comma 38, delle NTA del PUC stabilisce che:
“Nelle zone agricole, in aree prossime ad un bene paesaggistico, così come definito dagli artt. 142 e 143
del D.Lgvo n. 42/2004 e così come riconosciuti dal PUC nella fase iniziale di “acquisizione delle
conoscenze”, e nelle aree inglobate, in tutto o in parte, dalla perimetrazione del SIC Lido di Orri, è
permessa la realizzazione di strutture di supporto alla fruizione e alla valorizzazione ambientale e
culturale del sito. I parametri urbanistici da rispettare in tali aree sono:
superficie minima di intervento 8 ha
indice di edificabilità territoriale 0,12 mc/mq
altezza max degli edifici 4,50 m
cessioni per servizi pubblici necessari per la fruizione pubblica del sito: almeno il 40% dell’intero comparto
interessato dall’intervento…”.
Ad avviso del Collegio il motivo di illegittimità paventato dalla Regione con riguardo all’anzidetta
disposizione non ricorre tenuto conto:
dell’ampia superficie minima di intervento richiesta (8 ha) e del basso indice di edificabilità territoriale
consentito (0,12 mc/mq);
del fatto che, ai sensi del successivo comma 39, l’intervento proposto dovrà essere obbligatoriamente
inserito in un progetto generale di valorizzazione ambientale – paesaggistica e di tutela degli habitat
prioritari, recante le puntuali indicazioni richieste dalla stessa disposizione;
dell’obbligatorietà delle cessioni per servizi pubblici necessari per la fruizione pubblica del sito: almeno il
40% dell’intero comparto interessato dall’intervento.
Sotto questo profilo, dunque, l’impugnazione si rivela infondata.
La Regione Sarda impugna il PUC di Tortoli anche per violazione dell’art. 65 del D.Lgvo n. 152/2006,
della legge regionale n. 45 del 1989 delle norme di attuazione del PAI, artt. 1, commi 3 e 4, e da 27 a 34,
per aver previsto la possibilità di realizzare interventi anche a fini residenziali in aree pericolose esposte
anche a rischio idrogeologico e a pericolosità idraulica e/o frana elevata e molto elevata.
Neppure tale censura si rivela fondata.
Anzitutto va ricordato che l’art. 12, comma 3, delle NTA del PUC stabilisce che:
“…per le aree soggette a dissesto idrogeologico, a pericolo di alluvioni e di frane…per le quali il PUC è
redatto in coerenza con le indicazioni e prescrizioni del Piano di Assetto Idrogeologico
a) La zonizzazione del PUC, relativamente agli interventi che si potrebbero realizzare in ciascuna zona
omogenea, è soggetta al rispetto delle indicazioni e delle prescrizioni del PAI, che si assume quale
strumento di pianificazione gerarchicamente superiore al PUC e le cui prescrizioni sono inalienabili e
inderogabili dallo strumento di pianificazione urbanistica comunale e dagli strumenti attuativi…”.
Vi è dunque un preliminare e generale riconoscimento, da parte dell’amministrazione comunale, della
prevalenza delle prescrizioni del PAI sulle eventualmente contrastanti disposizioni del PUC.
In ogni caso, a parte il rilievo che l’accoglimento del ricorso relativamente al primo motivo, concernente
l’estensione delle zone C, comporterà necessariamente una rimodulazione (anche) delle aree interessate
dalla presente censura, si rivelano meritevoli di accoglimento – se non altro perché rimaste prive di un
efficace contrasto da parte della ricorrente, che nell’ultima memoria del 13 novembre 2015, nella parte
dedicata a questa censura (pagg. 29 e 30), svolge argomenti del tutto inconferenti col merito delle
argomentazioni proposte dalla difesa comunale in quanto attinenti alla classificazione di talune parti del
territorio comunale – le considerazioni esposte dal Comune di Tortoli alle pagg. 52 e ss della memoria
depositata il 5 settembre 2015, confermate nella memoria conclusiva del 25 novembre 2015, pagg. 37 e
ss), per le quali – ovviamente – il Comune di Tortoli manterrà una situazione di totale inedificabilità delle
zone interessate dalle prescrizioni del PAI fino a quando non verranno realizzate le opere di mitigazione
necessarie all’eliminazione delle situazioni di pericolo idraulico esistenti sulla base di quanto consentito
dall’art. 8, comma 2, delle NTA del PAI, per il quale:
“Indipendentemente dall’esistenza di aree perimetrate dal PAI, in sede di adozione di nuovi strumenti
urbanistici anche di livello attuativo e di varianti generali agli strumenti urbanistici vigenti i Comuni – tenuto
conto delle prescrizioni contenute nei piani urbanistici provinciali e nel piano paesistico regionale
relativamente a difesa del suolo, assetto idrogeologico, riduzione della pericolosità e del rischio
idrogeologico – assumono e valutano le indicazioni di appositi studi di compatibilità idraulica e geologica e
geotecnica, predisposti in osservanza dei successivi articoli 24 e 25, riferiti a tutto il territorio comunale o
alle sole aree interessate dagli atti proposti all’adozione. Le conseguenti valutazioni comunali, poste a
corredo degli atti di piano costituiscono oggetto delle verifiche di coerenza di cui all’articolo 32 commi 3,
5, della legge regionale 22.4.2002, n. 7 (legge finanziaria 2002). Il presente comma trova applicazione
anche nel caso di variazioni agli strumenti urbanistici conseguenti all’approvazione di progetti ai sensi del
DPR 18.4.1994, n. 383, “Regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di
interesse statale”.
Detto studio di compatibilità idraulica presso il Comune di Tortolì è stato approvato e pubblicato sul
BURAS n. 2 del 17 gennaio 2012.
Sulla base delle risultanze di tale studio potrà essere proposta una variante al PAI.
Fino a quel momento le aree interessate dalle prescrizioni del PAI resteranno senz’altro inedificabili,
senza che – tenuto conto della natura di pianificazione e programmazione propria dell’atto impugnato – la
loro attuale classificazione possa comportare i vizi di legittimità denunciati dalla ricorrente.
Di qui il rigetto della censura.
E) Con l’ultimo motivo la Regione contesta, sotto diversi profili, la violazione, da parte del Regolamento
edilizio e delle NTA del PUC, della legge regionale n. 23/1985, del DPR n. 380/2001 e del decreto Floris.
Per semplicità espositiva si utilizza la stessa classificazione seguita dalla ricorrente alle pagine 37 e ss.
del ricorso.
A – R.E. Art. 9, punto 2 lettera b): Violazione dell’art. 7 bis della legge reg. n. 23/1985 e art. 34, comma 2
bis (rectius: ter) del DPR n. 380/2001.
La censura non viene accompagnata da alcuna argomentazione.
Verosimilmente riguarda il contrasto in punto di tolleranze laddove il R.E. art. 9, punto 2 lettera b),
stabilisce che “Ai fini dell’agibilità dei locali è ammessa una tolleranza di +/- 3% sulle altezze suddette”,
mentre l’art. 7 bis della legge reg. n. 23/1985 prevede che “ Sono considerate tolleranze edilizie, con
conseguente inapplicabilità delle disposizioni in materia di parziale difformità, le violazioni di altezza,
distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento
delle misure progettuali”.
Stessa percentuale di tolleranza è prevista dall’art. 34, comma 2 bis (rectius: ter) del DPR n. 380/2001.
Il motivo non è fondato in base al principio del tempus regit actum.
Va rilevato che l’art. 7 bis della legge reg. n. 23/1985 è stato aggiunto dall’art. 4, comma 1, L.R. 23 aprile
2015, n. 8, successiva come detto all’approvazione del PUC ed entrata in vigore il 30 aprile 2015, data di
pubblicazione sul BURAS.
Comunque, l’anzidetto profilo di contrasto sopraggiunto, che ha comportato l’inapplicabilità della norma
regolamentare per contrasto la nuova norma introdotta dalla legge n. 8/2015, dovrà essere oggetto di
opportuno adeguamento da parte dell’amministrazione comunale, anche per esigenze di chiarezza sul
contenuto delle norme regolamentari vigenti.
B – R.E. Articoli 10,11 e 12 : Violazione degli artt. 4 e 5 del decreto Floris – Violazione dell’art. 9 del DM
n. 1444/1968 – Contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia.
Si contestano, in particolare, le previste modalità di calcolo delle distanze tra edifici affermandosi che “…
nella valutazione delle distanze devono essere considerati tutti gli elementi del fabbricato ad eccezione
degli sporti ornamentali di piccole dimensioni, e quindi anche i balconi aperti, le scale esterne, ecc…”.
L’argomento della ricorrente, che attiene invero più all’interpretazione giurisprudenziale della normativa
vigente che a concreti profili di illegittimità delle norme genericamente richiamate, non trova peraltro
riscontro nel testo del R.E.
L’art. 11, comma 2, in materia di “distanze minime dei fabbricati dai confini di proprietà”, stabilisce infatti
che “La distanza dei fabbricati dai confini di proprietà viene determinata quale distanza minima tra il
fabbricato in qualsiasi punto, anche se aggettante, ed il confine”.
L’art. 12, comma 1°, dello stesso R.E. , in materia di “Distanze minime tra edifici” precisa che con tale
definizione si intende “…la distanza minima fra le proiezioni verticali dei fabbricati, misurata nei punti di
massima sporgenza ad esclusione degli aggetti praticabili e non praticabili compresi entro m. 1,20. I
distacchi variano da zona a zona ma è fissato un minimo assoluto”.
Il 2° comma dello stesso articolo precisa che “E’ prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10
metri tra pareti finestrate e tra pareti di edifici antistanti”.
Alla luce dei ricordati testi normativi non è dato comprendere sotto quale aspetto la previsione comunale
si ponga in concreto ed effettivo contrasto con i parametri normativi richiamati.
Del pari privo di pregio è il rilievo che sarebbe illegittima la disposizione impugnata nella parte in cui
prevede che “Fanno eccezione alla distanza minima così definita i manufatti di qualsiasi genere, compresi
gli interrati e i seminterrati, non più alti in ogni punto di 1,00 metro dalla quota del piano stradale o del
piano di campagna allo stato naturale se più sfavorevole”.
Ed invero la pacifica giurisprudenza è concorde nel ritenere che ratio della disposizione in oggetto sia
quella di impedire che tra costruzioni vicine si creino intercapedini che, per la loro esiguità, abbiano a
risultare pericolose (sotto il profilo dell’insalubrità nonché dell’ordine pubblico).
In generale, rientra nel concetto di costruzione ogni manufatto, di qualunque materiale esso sia costituito,
che emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo o non sia completamente interrato e che,
pur difettando di una propria individualità, per struttura, solidità, compattezza, consistenza e sporgenza
dal terreno, sia idoneo a creare quelle intercapedini dannose, in quanto impediscono il passaggio di aria e
luce, che la legge, stabilendo la distanza minima fra le costruzioni, intende evitare.
Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, appare coerente con le finalità di pubblico interesse
l’esclusione dalla disciplina delle distanza dei manufatti non più alti di un metro in quanto, appunto,
configurano entità trascurabili rispetto all’interesse tutelato dalla norma considerato nel suo triplice
aspetto della tutela della sicurezza, della salubrità e dell’igiene.
C – R.E. Artt. 13 e 126: contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia di volumi
tecnici: la censura va respinta senza necessità di alcuna argomentazione non essendo stato individuato
da parte della ricorrente alcun parametro normativo violato dal Comune di Tortoli.
D – R.E. Art. 14 – NTA del PUC, art. 45, comma 8, lettera e): Violazione articoli 4 e 5 del decreto Floris –
contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia di calcolo dei volumi: in quanto la
lettera b) del comma 2, e i commi 3,4 e 5 sarebbero in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale
consolidato e con l’art. 4 del decreto Floris secondo cui costituisce volume urbanistico qualunque spazio
chiuso lateralmente per almeno tre lati.
Orbene, il riferimento al comma 2, lettera b) dell’art. 14 è relativo alla detraibilità dal computo dei volumi
del piano pilots per un’altezza pari a mt. 2,50.
La censura non merita accoglimento.
Il c.d. piano “in pilotis ” o piloty è lo spazio a livello del suolo su cui insiste un edificio costruito su piloni.
Esso, dunque, fintanto che resta aperto su tutti i lati e destinato a parcheggio, sebbene non qualificabile
come un volume tecnico, non concorre a formare la volumetria dell’edificio, rilevando in tal senso soltanto
solo allorché venga chiuso per essere utilizzato ad altri fini (in termini, TAR Lazio, Sez. II ter, n. 8644
dell’11.9.2009).
L’altro vizio di legittimità contestato dalla Regione riguarda il 3° comma dell’art. 14, per il quale “Sono
inoltre escluse dal computo dei volumi le superfici chiuse lateralmente su tre lati con profondità inferiore ai
2,50 metri”.
Tale censura merita accoglimento.
Ed invero in materia urbanistico – edilizia il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito
dalla costruzione di (almeno) un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto
una superficie chiusa su un minimo di tre lati (cfr. Tar Campania, Napoli, IV, 24.5.2010, n. 8342; Tar
Piemonte, 12.7.2005, n. 2824), non potendosi dunque escludere in via generale dal computo della
volumetria tale tipologia di manufatti.
Di qui l’annullamento dell’art. 14, comma 3°, del R.E.
E – Regolamento Edilizio – art. 16 – Violazione principi giurisprudenziali consolidati in materia –
Contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia: analogamente a quanto sopra
rilevato sub C), la censura va respinta senza necessità di alcuna argomentazione non essendo stato
individuato da parte della ricorrente alcun parametro normativo violato dal Comune di Tortoli.
F) – Regolamento Edilizio – articoli 21 e 27 – Violazione art. 3 del DPR n. 380/2001 e ss.mm.: con
riguardo alla modifica delle definizioni contenute nell’anzidetta normativa statale, in particolare la
definizione di “manutenzione straordinaria” non può essere diversa da quella prevista dalla lettera b) e la
definizione di “ampliamento” non può essere diversa da quella prevista dalla lettera e.1) dello stesso
DPR, secondo cui è “nuova costruzione” ogni ampliamento realizzato all’esterno della sagoma esistente,
e non solo quello che supera il 40% del volume.
Quanto al primo profilo, in mancanza del benché minimo argomento dal quale ricavare quale sia il profilo
di contrasto con l’art. 3 del DPR n. 380/2001 individuato dalla Regione (né aiuta il verbale n. 8 del CTRU
a pag. 10, parimenti generico), la definizione di “manutenzione straordinaria” di cui all’art. 21 del R.E.
appare coerente con quanto previsto dalla normativa statale, con conseguente reiezione della censura.
Merita invece accoglimento il secondo rilievo relativo all’art. 27, comma 1 e 2, del R.E. per il quale “Si
definisce ampliamento di edificio esistente l’intervento che comporta un incremento fino ad un massimo
del 40% delle superfici esistenti…; 2. Per incrementi superiori l’intervento si considera di nuova costruzione”.
Va anzitutto premesso che non esiste una differenza di ordine qualitativo tra ampliamento e nuova costruzione.
L’ampliamento, infatti, costituisce una “modalità” di realizzazione di una nuova costruzione che si
concreta essenzialmente nella realizzazione di nuovi manufatti che si aggiungono alla struttura edilizia
preesistente modificandone l’ estensione e la consistenza, con incremento del valore originario; pertanto,
il detto intervento si traduce nella costruzione di corpi aggiunti, il cui inserimento modifica la fisionomia
strutturale e accresce la consistenza volumetrica dell’ edificio sul quale si interviene, che risulta
trasformato dalla realizzazione della nuova opera..
In sostanza, ciò che distingue l’ampliamento dalla nuova costruzione è l’iniziale relazione di accessorietà
tra un manufatto nuovo ed uno preesistente principale.
Pertanto il concetto di “nuova costruzione” riguarda non solo la realizzazione di un manufatto su un’area
libera, ma anche ogni intervento di ristrutturazione che rende un manufatto oggettivamente diverso da
quello preesistente, in considerazione dell’entità delle modifiche; tenendo presente che l’oggettiva
diversità del manufatto, come emerge dall’articolo 8 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 ( relativo alla
determinazione delle variazioni essenziali ), si ha per il solo fatto che sussiste “il mutamento della
destinazione d’uso che implichi la variazione degli standard ( Cons. St., Sez. V, 3-2-1999, n. 98; Sez V,
22 giugno 1998, n. 921).
In buona sostanza, ciò che distingue l’ampliamento dalla nuova costruzione è la natura totalmente
autonoma del manufatto realizzato su un terreno inedificato ovvero radicalmente innovativa rispetto alla
costruzione preesistente che caratterizza la seconda rispetto al primo.
Tali tipologie di intervento restano quindi assoggettate al medesimo regime urbanistico senza che possa
dunque ritenersi legittimo introdurre in sede di pianificazione comunale, con riguardo ad ampliamenti di
notevole portata (fino al 40%) e al fine di assoggettarli ad una diversa disciplina urbanistica, una diversa
qualificazione giuridica di interventi edilizi sostanzialmente omogenei.
Di qui l’accoglimento della censura e l’annullamento dell’art. 27, comma 1 e 2, del R.E.
G) – Regolamento Edilizio – articoli 26, 29, 30, 31, 32, 38, 39, 40 e ss. Fino al 53 – Violazione della legge
regionale n. 23/1985, artt. 10 bis, 11, 14, 15 e 15 ter.
Sostiene in particolare la Regione che:
G.1) L’art. 26 del R.E. in materia di mutamenti di destinazione d’uso sarebbe in contrasto con l’art. 11
della L.R. n. 23/1985;
G.2) Gli artt. 29, 30, 31 e 32 che disciplinano le opere interne, le opere minori, la sistemazione dei terreni
e l’arredo urbano sarebbero in contrasto con gli artt. 10 bis e 15 della L.R. n. 23/1985;
G.3) Gli artt. 38, 39 e 40 che disciplinano le modalità per la realizzazione di opere di edilizia libera, di
opere soggette a permesso di costruire e di opere soggette a DIA/Autorizzazione edilizia sarebbero in
contrasto con gli artt. 10bis, 15, 15 ter della L.R. n. 23/1985.
Ritiene il Collegio che le censure in esame, per come genericamente formulate dalla ricorrente che, per
ognuna di esse si limita a richiamare un parametro normativo (peraltro dal contenuto articolato e
complesso) senza spendere neppure un argomento per evidenziare profili di illegittimità censurati vadano
tutte respinte per genericità, non potendosi ammettere che l’onere probatorio incombente sulla parte
ricorrente possa, nel giudizio amministrativo, limitarsi ad una generico giudizio di difformità della
disposizione urbanistica impugnata rispetto alla normativa di riferimento del tutto avulsa dalla
prospettazione di puntuali vizi dell’atto concretamente incidenti sugli interessi riconducibili alla sfera
giuridica della parte ricorrente.
H – Regolamento Edilizio – Art. 73: Violazione dell’art. 1 del DM Sanità 5 luglio 1975.
La censura della Regione riguarda il 2° comma dell’art. 73 R.E. per il quale le disposizioni sulle altezze
minime dei locali abitabili “…non si applicano per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente..”.
Tale previsione, infatti, sarebbe in contrasto col richiamato decreto del 1975 che consente la deroga alle
altezze minime solo per i locali di abitazione di edifici situati in ambito di Comunità montane sottoposti ad
interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico sanitarie quando l’edificio
presenti caratteristiche tipologiche specifiche del luogo meritevoli di conservazione.
Il motivo è fondato.
Le disposizioni di cui al D.M. 5.7.1975, finalizzate alla tutela di preminenti interessi pubblici, integrano,
infatti, una normativa di rango primario e pertanto ad esse, al pari di quanto accade per le disposizioni in
materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli infortuni, dev’essere data
un’interpretazione strettamente letterale, con la conseguenza che tali prescrizioni sono inderogabili da
parte dei regolamenti comunali.
Di qui l’illegittimità dell’art. 73, comma 2, del R.E. del Comune di Tortolì.
I – Regolamento Edilizio – artt. 80, 82, 83, 85 – Violazione dell’art. 44 della L.R. n. 8/2015: in quanto le
deroghe previste dagli artt. 15 e 15 bis della L.R. n. 4/2009 per il calcolo dei volumi e per i requisiti di
agibilità dei piani seminterrati, inserite nel R.E., sono state abrogate dall’art. 44 della L.R. n. 8/2015
Il motivo non è fondato in base al principio del tempus regit actum.
Va rilevato, infatti, che gli artt. 15 e 15 bis della L.R. n. 4/2009, su cui si fondano le deroghe previste dalle
disposizioni impugnate, erano vigenti al momento della delibera di approvazione del PUC (23.4.2015);
l’abrogazione, disposta dall’art. 44, comma 3, L.R. 23 aprile 2015, n. 8, è avvenuta solo con l’entrata in
vigore della medesima legge e cioè il 30 aprile 2015, data di pubblicazione sul BURAS.
Comunque, l’anzidetto profilo di contrasto sopraggiunto, che ha comportato l’inapplicabilità della norma
regolamentare per contrasto la nuova norma introdotta dalla legge n. 8, dovrà essere oggetto di
opportuno adeguamento da parte dell’amministrazione comunale, anche per esigenze di chiarezza sul
contenuto delle norme regolamentari vigenti.
L – Regolamento Edilizio – art. 82, comma 2, art. 85, comma 1, art. 90: Violazione degli artt. 4 e 5 del
decreto Floris – Violazione dell’art. 9 del DM 1444/1968 – Contrasto con l’orientamento giurisprudenziale
consolidato in materia di calcolo dei volumi e delle distanze.
Tale censura non viene argomentata dalla ricorrente che si limita a richiamare le osservazioni di cui alla
pag. 11 del verbale n. 8/2015 del CTRU.
In tale verbale, alla lettera p), dopo la trascrizione dell’art. 82, comma 2, del R.E., si legge testualmente:
“…deve essere eliminato essendo in contrasto con il DA 2288/U/1983 e, in particolare, con lo schema 21
della Circolare dell’Assessorato degli Enti Locali, Finanze e Urbanistica 20 marzo 1978 n. 2-A…”.
Come si rileva da quanto sopra, tra la censura proposta e il documento richiamato per illustrarne il
fondamento non vi è neppure piena coincidenza quanto ai parametri normativi di riferimento di cui si
lamenta la violazione.
Non solo.
Lo schema 21 della Circolare dell’Assessorato degli Enti Locali, Finanze e Urbanistica 20 marzo 1978 n.
2-A è un mero disegno di pianta e rispettive sezioni e altezze (ultima pag. dell’allegato 20 della Regione)
del tutto inidoneo ad offrire una precisa indicazione della portata della censura in esame, che pertanto va
respinta anch’essa per genericità.
M – Norme Tecniche di Attuazione PUC – Art. 16 – Violazione dell’art. 14 del DPR n. 380/2001: in quanto,
secondo la Regione, la norma impugnata prevede una deroga generica “sulle norme del PUC e su quelle
del Regolamento Edilizio”, mentre il DPR n. 380/2001 limita la deroga ai soli limiti di densità edilizia, di
altezza e di distanze tra fabbricati fermo restando il rispetto dei limiti massimi imposti dal decreto Floris.
L’art. 14 del DPR n. 380/2001 recita testualmente (per quanto qui interessa):
“Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per
edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel
rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.
1 bis….
2…
3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i
limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli
strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d’uso,
fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale
2 aprile 1968, n. 1444”.
La formulazione dell’impugnato art. 16 delle NTA del PUC non pare tuttavia porsi in contrasto con la
richiamata norma statale.
Ed invero il 1° comma stabilisce che “L’Amministrazione comunale può esercitare la deroga ai sensi
dell’art. 14 del DPR n. 380/2001…”, operando quindi un rinvio dinamico alla normativa statale che,
pertanto, anche in mancanza di uno specifico richiamo ai limiti previsti dal 3° comma, dovrà essere
necessariamente applicata dal Comune in sede di rilascio dei titoli edilizi.
N- Norme Tecniche di Attuazione PUC – Artt. 26 e 45: Violazione dell’art. 9 del DM n. 1444/1968, dell’art.
5 del decreto Floris e contrasto con la giurisprudenza in materia: in quanto gli articoli citati non prevedono
una distanza minima di 10 metri dalle pareti finestrate degli edifici.
Anche tale censura, peraltro genericamente espressa, non merita accoglimento, tenuto conto che, come
già sopra esposto, in sede di regolamentazione di dettaglio l’art. 12, comma 2, del R.E. stabilisce che “E’
prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e tra pareti di edifici
antistanti…”.
O – Norme Tecniche di Attuazione PUC – Artt. 55 e 58 – Violazione dell’art. 10 bis della L.R. n. 45/1989 e
del DPGR 30.12.1993 n. 368: in quanto ad avviso della Regione la normativa comunale non prevede
l’inedificabilità né della fascia dei 300 metri dalla linea di battigia marina, limitandola a 150 metri, né
l’inedificabilità del “Rio Foddeddu”, non prevedendo nulla per tale corso d’acqua che, invece, è il n. 26
dell’elenco allegato a tale decreto.
Questa censura riguarda l’Area di rispetto “ (Hr2) : Ambiti di rispetto paesaggistico hard delimitata dall’art.
55 delle NTA del PUC.
Il 3° comma di tale disposizione stabilisce che:
“Lungo la fascia costiera del territorio comunale, anche se facente parte di zone con diversa destinazione
d’uso, ai finii del mantenimento della continuità dell’ambiente naturale è vietato qualunque intervento
edificatorio. In particolare:
a) nelle fasce balneari a costa bassa non rocciosa è vietata ogni edificazione per una profondità di m 150
dalla linea di alta marea, misurata su proiezione ortogonale; tuttavia, ove la profondità della spiaggia
superi i m 50, può essere consentita previa deroga del Consiglio comunale, la realizzazione di piccole
attrezzature balneari private ad uso pubblico, a carattere stagionale e facilmente rimovibili, con la
esclusione di ogni altra costruzi one, comprese le case di abitazione.
b) E’ vietato qualunque intervento con materiali cementizi e murature tradizionali. Deve essere
convenientemente risolto il problema dello scarico delle acque reflue con fosse a tenuta integrale.
c) Le eventuali recinzioni, realizzate con materiali facilmente rimovibili, devono distare oltre i 150 m e
devono essere del tipo a giorno al fine di non ostacolare le visuali, ed essere realizzate con progetto
unitario per l’intero settore d’intervento;
d) Nelle fasce a costa rocciosa è vietata ogni edificazione per una profondità di m 150 dalla line di alta
marea misurata su proiezione ortogonale”.
Il 4° comma poi precisa che “Le eventuali recinzioni di proprietà se realizzate in muratura anche a giorno
devono distare dalla linea di alta marea non meno di m. 150.”.
Come detto, ad avviso della Regione ricorrente tale disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 10 bis, 1°
comma, della L.R. n. 45/1989 per il quale:
“Sono dichiarati inedificabili in quanto sottoposti a vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri
naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi: (13)
a) i terreni costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea della battigia, anche se
elevati sul mare, con esclusione di quelli ricadenti nelle zone omogenee A, B, e D, nonché nelle zone C e
G contermini agli abitati, tutte come individuate negli strumenti urbanistici vigenti in base al Dec.Ass. 20
dicembre 1983, n. 2266/U (14);
b) le zone umide incluse nell’elenco di cui al D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448;
c) i fiumi compresi in un apposito elenco approvato dalla Giunta regionale tra quelli iscritti negli elenchi di
cui al T.U. delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, approvato con regio decreto 11
dicembre 1933, n. 1775 e le relative sponde o piede degli argini, per una fascia di 150 metri ciascuna:
d) i territori con termini ai laghi naturali compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di
battigia, anche se elevati sui laghi;
e) le zone di interesse archeologico;
f) le isole minori della Sardegna, con esclusione di quelle indicate alla lettera g) del successivo comma:
g) le spiagge, i compendi sabbiosi, i lidi in genere e le immediate adiacenze funzionalmente connesse
alla tutela del bene principale”.
La censura non si rivela tuttavia fondata, in quanto con la citata disposizione sono consentite solo opere
amovibili e precarie nell’interesse pubblico e segnatamente a supporto della balneazione; trattasi quindi di
opere funzionali alla migliore utilizzazione pubblica del bene demaniale, come tali escluse dal vincolo di
inedificabilità assoluta.
Quanto alla possibilità di realizzare delle recinzioni in muratura sui fondi privati, non sussiste la dedotta
violazione atteso che esse non sono funzionali alla edificazione ma semplicemente a proteggere la
proprietà privata; tuttavia simili modifiche dello stato dei luoghi soggiacciono alla valutazione della
competente autorità amministrativa in relazione al vincolo paesaggistico e ambientale esistente sulla
zona.
In relazione all’inedificabilità della fascia prospiciente il “Rio Foddeddu”, va rilevato che il vincolo deriva
dalla norma di livello superiore, come tale direttamente applicabile anche senza la riproduzione di identica
norma da parte del PUC.
O.1 – Inoltre l’art. 58 delle NTA definisce le aree di rispetto cimiteriale ma si pone in contrasto con l’art.
338 del TU leggi sanitarie in quanto la misura della fascia di rispetto è pari a 200 metri e può essere
ridotta, salvo specifica autorizzazione ASL, solo per la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di
quelli già esistenti e per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento
urbanistico.
L’art. 338 del T.U. delle leggi sanitarie (R.D. 27 luglio 1934 n. 1265) stabilisce che:
“I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire
intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale
risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in
fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge.

Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale,
la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri
dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le
seguenti condizioni:
a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia
possibile provvedere altrimenti;
b) l’impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale,
sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli
naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari.
Per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi
ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della
competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi
ambientali di pregio dell’area, autorizzando l’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi
edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la
realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici
e serre.
…”.
Il rilievo della Regione è fondato e merita accoglimento sia in ordine alla previsione di una ridotta fascia di
rispetto (100 m.) sia con riferimento alla mancata indicazione dei casi tassativi in cui può essere derogata
la previsione normativa.
Il vincolo cimiteriale, infatti, persegue la finalità di pubblico interesse di assicurare, in primo luogo,
condizioni di igiene e di salubrità mediante la conservazione di una “cintura sanitaria” intorno allo stesso
cimitero e, in secondo luogo, garantire la tranquillità e il decoro ai luoghi di sepoltura.
Sul punto non è superfluo richiamare la giurisprudenza formatasi in materia per la quale “La fascia di
rispetto cimiteriale prevista dall´art. 338 t.u. leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265, misurata a partire dal
muro di cinta del cimitero, costituisce un vincolo assoluto d´inedificabilità, tale da imporsi anche a
contrastanti previsioni di piano regolatore generale, che non consente in alcun modo l´allocazione sia di
edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici
che tale fascia di rispetto intende tutelare e che sono da individuarsi in esigenze di natura igienico-
sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all´inumazione e alla
sepoltura, nel mantenimento di un´area di possibile espansione della cinta cimiteriale…” (Cons. Stato,
Sez. IV, n. 4403 del 2011).
Di qui l’annullamento dell’art. 58 delle NTA del PUC per quanto in contrasto con l’art. 338 del T.U. leggi
sanitarie.
Per tutto quanto sopra esposto dunque, il ricorso merita accoglimento solo per quanto specificamente
indicato, mentre va respinto per il residuo.
In ragione della parziale reciproca soccombenza le spese del giudizio possono essere interamente
compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti precisati in
motivazione, respingendolo per il residuo.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2015 con l’intervento dei
magistrati:
Francesco Scano, Presidente
Tito Aru, Consigliere, Estensore
Antonio Plaisant, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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