TAR Puglia, Bari, Sez. I, 8 marzo 2021, n. 422

TAR Puglia, Bari, Sez. I, 8 marzo 2021, n. 422

Pubblicato il 08/03/2021
N. 00422/2021 REG.PROV.COLL.
N. 01040/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1040 del 2017, proposto da
< omissis > – Illuminazioni Votive Cimiteriali di Rita Maria Rossini s.a.s., rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Bagnoli, Antonella Ida Roselli, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, Via Dante Alighieri n.25;
contro
Comune di Ruvo di Puglia;
Ruvo Servizi s.r.l.;
per l’annullamento
della deliberazione del Consiglio Comunale di Ruvo di Puglia n. 68 del 31.7.2017, avente ad oggetto “gestione integrata dei servizi cimiteriali-affidamento in house alla società Ruvo Servizi s.r.l. – indirizzi – approvazione relazione ex art. 34 del d.l. 179/2012 convertito in legge n. 221/2012”, e ciò limitatamente alla parte in cui si è provveduto ad affidare alla società Ruvo Servizi s.r.l. il servizio di illuminazione votiva; nonché di tutti gli atti presupposti e connessi, per quanto di interesse della ricorrente e, in particolare delle relazioni di cui agli allegati A) e B), costituenti parte integrante e sostanziale della deliberazione impugnata.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2021 il dott. Angelo Fanizza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società < omissis > s.r.l. ha impugnato e chiesto l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Ruvo di Puglia n. 68 del 31.7.2017, avente ad oggetto “gestione integrata dei servizi cimiteriali-affidamento in house alla società Ruvo Servizi s.r.l. – indirizzi – approvazione relazione ex art. 34 del d.l. 179/2012 convertito in legge n. 221/2012”, e ciò limitatamente alla parte in cui si è provveduto ad affidare alla società Ruvo Servizi s.r.l. il servizio di illuminazione votiva; nonché di tutti gli atti presupposti e connessi, per quanto di interesse della ricorrente e, in particolare delle relazioni di cui agli allegati A) e B), costituenti parte integrante e sostanziale della deliberazione impugnata.
La ricorrente ha premesso di gestire “dal 1984 (…) ininterrottamente il servizio di illuminazione votiva cimiteriale nel Comune di Ruvo di Puglia in virtù di contratti pluriennali di appalto, e fino ad oggi di fatto alle stesse condizioni pattuite (canoni, proventi comunali), in attesa che l’amministrazione comunale individuasse un nuovo soggetto affidatario” (cfr. pag. 2).
Ha soggiunto di aver presentato, prima della scadenza del contratto di appalto (31.12.2005), uno studio di fattibilità finalizzato alla realizzazione e gestione, mediante la procedura del project financing, “di un nuovo impianto di illuminazione con energia elettrica rinnovabile delle luci votive cimiteriali, senza oneri per la p.a.”: una proposta che, pur essendo stata inserita dall’Amministrazione comunale nel programma triennale delle opere pubbliche, approvato con deliberazione di Giunta comunale n. 276/2004, non avrebbe, però, mai avuto seguito, nonostante una riproposizione in data 27.7.2016 (cfr. pag. 3), mentre, di converso, i rapporti tra le parti si sarebbero deteriorati in conseguenza di un decreto ingiuntivo ottenuto dal Comune nei confronti della ricorrente per il “pagamento dei proventi arretrati (…) sui canoni riscossi per la gestione del servizio”, oggetto di opposizione che ha dato origine ad un giudizio innanzi al Tribunale di Trani.
Nel preambolo dell’impugnata deliberazione l’Amministrazione ha fatto presente che “la gestione del servizio di illuminazione votiva risulta assicurata in regime di mero fatto e in assenza di un valido titolo giuridico e la stessa non risulta conforme ai principi desumibili dall’ordinamento nazionale e comunitario in materia di modalità di assegnazione (e gestione) di un servizio pubblico locale per cui il Comune risulta ex lege tenuto ad adottare ogni e più opportuna determinazione al fine di ricondurre a legittimità l’attività gestionale di cui trattasi”; ha, di conseguenza, esplicitato in una allegata relazione – redatta ai sensi dell’art. 34, comma 20, del D.L. 179/2012, convertito in legge 221/2012 – i presupposti di “convenienza dell’affidamento in house alla società Ruvo Servizi s.r.l. per la durata di anni cinque, in quanto preferibile sotto più profili e congruente con il mercato di riferimento”; un affidamento esteso ad una vasta serie di servizi cimiteriali e, per quanto interessa il presente giudizio, comprendente la gestione dell’illuminazione votiva, dall’Amministrazione “qualificata come un servizio pubblico locale”, suscettibile di “assumere la configurazione di concessione di pubblico servizio data la possibilità di remunerazione dello stesso dagli importi versati dai terzi per l’utilizzo”.
Il Consiglio comunale di Ruvo di Puglia ha, pertanto, espresso l’indirizzo di affidare i predetti servizi, per la durata di cinque anni, mediante il modello organizzativo dell’in house providing, alla società Ruvo Servizi s.r.l. e di avviare la “progettazione e realizzazione dei lavori di rifacimento dell’impianto di luce votiva, di manutenzione straordinaria dei locali cimiteriali e dell’ingresso monumentale per un importo complessivo di €. 920.000,00 da eseguirsi nell’arco temporale di cinque anni”, e ciò “utilizzando risorse proprie del bilancio dell’ente o accedendo a specifici finanziamenti pubblici di derivazione regionale, nazionale ed europea via via messi a bando”.
A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:
1°) violazione dell’art. 192, comma 2 del d.gs. 50/2016, dell’art. 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione, erronea presupposizione di fatto e di diritto, travisamento.
La ricorrente ha censurato la valutazione di “congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione”, nel senso che “i dati inseriti nelle prospettazioni elaborate a confronto dall’amministrazione comunale sono oggettivamente errati”, e quindi inidonei a garantire una corretta valutazione della convenienza in termini di economicità “della scelta del modulo gestionale con affido diretto del servizio di illuminazione votiva. Anzi, alla luce di dati esatti, non si riscontrano affatto le pretese economie e riduzioni di costi, ma viceversa soltanto aumenti tariffari e di costi” (cfr. pag. 6).
In particolare, non sarebbe attendibile la “rappresentazione delle voci economiche su un’ipotesi di durata del contratto di almeno 20 anni” alla luce della circostanza che “la durata temporale dell’affido del servizio è stata invece prevista per soli 5 anni” (cfr. pag. 7); la tariffa ipotizzata, denominata “contributo una tantum allacciamento” non sarebbe di €. 12,00 ma di €. 7,87 (con riduzione del relativo importo ad €. 393,50 anziché €. 1.440,00); e sarebbe, altresì, inferiore il numero delle lampade votive (non già 10.873 utenze, ma 9.440), il che condurrebbe ad un ricavo stimato “soltanto di euro 71.366,40” (cfr. pag. 8).
Altro profilo di censura ha riguardato la sostanziale impossibilità del Comune di far fronte alla realizzazione del nuovo impianto di illuminazione votiva “attraverso finanziamenti pubblici non meglio definiti” (cfr., ancora, pag. 8).
Sarebbe poi travisata la “previsione dei ricavi necessari a garantire l’equilibrio economico-finanziario del concessionario (…) largamente sovrastimata in quanto calcolata sui numeri di nuovi allacciamenti e di canoni votivi erronei”, e ciò nella misura del 16% rispetto a quanto prefigurato (cfr. pag. 9).
La ricorrente ha, quindi, obiettato che “diversamente da quanto ritenuto dall’amministrazione, la scelta più vantaggiosa sarebbe quella di prediligere la soluzione (…) con previsione di affido a due soggetti distinti dei servizi, di cui quelli cimiteriali con affido in house e quello di illuminazione votiva al mercato libero, con esecuzione di lavori di adeguamento di loculi cimiteriali a carico del Comune” (cfr. pag. 13).
2°) Violazione dell’art. 192, comma 2 del d.lgs. 50/2016; dell’art. 34, comma 20 del DL 179/2012, convertito nella legge 221/2012; dell’art. 3 bis, comma 1 del DL 138/2011 e s.m.i.; eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione, travisamento e illogicità.
Con tale motivo è stata censurata la mancata indicazione “delle risultanze di qualsivoglia verifica dei costi del modello organizzativo gestionale scelto, come pure della valutazione dei costi di costituzione e funzionamento della società in house”, oltre che di una “valutazione dettagliata riferita all’ammontare degli accantonamenti che l’ente locale è tenuto a sostenere in virtù degli impegni finanziari riconducibili alla affidataria in house” (cfr. pag. 15).
In altri termini, ad avviso della ricorrente sarebbe “predeterminata ed indimostrata (…) la scelta dell’amministrazione circa la forma di gestione del servizio di illuminazione votiva” (cfr. pag. 16).
3°) Violazione dell’art. 192, comma 2 del d.lgs. 50/2016; dell’art. 34, comma 20 del DL 179/2012, convertito nella legge 221/2012; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, travisamento e illogicità.
La ricorrente ha, infine, dedotto che “la Ruvo Servizi s.r.l. non sembra (…) possedere i requisiti per ottenere l’affidamento diretto, in primo luogo perché l’ente comunale non esplicita le modalità in cui viene esercitato il c.d. controllo analogo sulla medesima” (cfr. pag. 17).
L’Amministrazione comunale non si è costituita in giudizio.
In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 24 febbraio 2021, la ricorrente ha depositato una memoria (23.1.2021) nella quale ha fatto presente che il servizio di illuminazione votiva “non è stato ancora affidato alla Ruvo Servizi srl, dato che con delibera n.116/2018 la Giunta comunale non ha inserito tra i servizi cimiteriali affidati (…) anche quello di illuminazione votiva nelle more della definizione del contenzioso sviluppatosi con la società < omissis >” (cfr. pag. 1), in particolare riferendosi ad un pendente giudizio (RG 1339/2020) innanzi alla III Sezione di questo Tribunale, riguardante l’impugnazione dell’ingiunzione di rilascio dell’impianto di illuminazione votiva; e, per il resto, si è riportata alle deduzioni oggetto del ricorso; a tale udienza, svoltasi con modalità da remoto, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione e, comunque, infondato nel merito.
A tal fine, la titolarità dell’interesse legittimo di natura oppositiva fatto valere nel ricorso dev’essere accertata in base al criterio della “differenziazione” e della “qualificazione”.
Quanto al primo criterio, si deve verificare se in capo alla ricorrente sia individuabile una posizione diversa e di interesse più intenso rispetto a quella riconoscibile alla generalità di altri operatori dei servizi cimiteriali.
Ritiene il Collegio, con riguardo alla “differenziazione” dell’interesse che fa da sfondo alla legittimazione, che non si possa prescindere da un esame del caso specifico. Sul punto, dagli atti emerge che la ricorrente ha svolto il servizio illuminazione votiva in forza del contratto di appalto del 28.12.1984, che il Comune di Ruvo di Puglia, come si legge nel preambolo della deliberazione impugnata, “ha rinnovato per ulteriori venti anni” e che “ha avuto termine il 31.12.2005”, con la conseguenza che “da allora la ditta < omissis > ha continuato a gestire di fatto il servizio”, o meglio “in assenza di un valido titolo giuridico”: quest’ultima una delle fondanti ragioni per le quali l’Amministrazione si è risolta ad intervenire in chiave regolatoria.
Pertanto, l’inesistenza di un contratto di appalto, ormai scaduto da oltre 15 anni, costituisce ad avviso del Collegio elemento di conferma dell’insussistenza di una posizione differenziata della ricorrente rispetto ad altri operatori, né potendo, in contrario, rilevare la “tolleranza” nello svolgimento del servizio: una situazione di fatto che potrebbe, se mai, configurare, per un verso, la nullità delle prestazioni effettuate e, per altro verso, un indebito arricchimento in favore della società < omissis >, ma non certo sostanziare i presupposti per la proroga tacita del contratto sino ad oggi, come peraltro incidentalmente statuito nella sentenza del Tribunale di Trani n. 433 del 27.2.2020.
Del resto, già prima della naturale scadenza del contratto (31.12.2005) era in vigore (12.5.2005) l’art. 23 della legge 62/2005, secondo cui “i contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Tale divieto, come ha rilevato la giurisprudenza, “vale sicuramente anche in relazione alle concessioni di servizio e alle concessioni su aree demaniali afferenti al servizio stesso ex art. 30 del Codice dei contratti pubblici” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192).
Il secondo criterio propedeutico all’accertamento delle caratteristiche dell’interesse fatto valere in giudizio, ossia la sua “qualificazione”, implica di verificare se il potere dell’Amministrazione coinvolga un soggetto che, rispetto a tale potere, possa dirsi titolare di un interesse riconosciuto dall’ordinamento, dipendendo, proprio da tale riconoscimento, la legittimazione a reagire avverso atti o provvedimenti ritenuti lesivi.
In altri termini, l’interesse a ricorrere costituisce la diretta espressione della meritevolezza che l’ordinamento a tale interesse riconosca. Diversamente opinando, si perverrebbe, infatti, alla conclusione paradossale che la tutela giurisdizionale dovrebbe essere ammessa (dunque, garantita) a qualsiasi interesse, compreso al titolare di un mero interesse di fatto.
Sotto tale aspetto, la domanda della società ricorrente mostra, ad avviso del Collegio, i propri elementi di strutturale debolezza, e ciò per le seguenti ragioni.
In tutti e tre i motivi di ricorso, la società < omissis > ha formulato rilievi di merito tecnico sull’incongruità – e più in dettaglio sulla mancanza di convenienza economica – del modello di affidamento dei servizi cimiteriali (e, per quel che più riguarda il presente giudizio, del servizio di illuminazione votiva), giungendo a sostenere che “la scelta più vantaggiosa sarebbe quella di prediligere la soluzione n. 4 prospettata in relazione” (cfr. pag. 13 del ricorso), sarebbe a dire l’affidamento “a due soggetti distinti dei servizi di luce votiva di cui i servizi cimiteriali con affidamento in house e l’esecuzione dei lavori di adeguamento dei locali cimiteriali con fondi comunali” (cfr. relazione, pag. 9).
Tale opzione, che presupporrebbe l’affidamento del servizio “di illuminazione votiva al mercato libero”, così stralciandola dal complesso delle prestazioni da devolvere al modello in house, è stata sagacemente riferita alla proposta di project financing che la ricorrente ha esposto di aver presentato all’Amministrazione comunale nel 2004 e di aver rinnovato in data 27.7.2016 (cfr. pag. 3): anzi, a dire il vero l’opzione ipotizzata in astratto dal Comune (c.d. scenario n. 4) sarebbe stata addirittura più favorevole di quella patrocinata dalla ricorrente, essendo, quest’ultima, basata sulla “realizzazione e gestione di un nuovo impianto di illuminazione con energia elettrica rinnovabile delle luci votive cimiteriali, senza oneri per la p.a. (esecuzione di un impianto fotovoltaico, con totale apporto di capitale privato e costo preventivato di € 180.000, mediante espletamento della procedura di project financing)” (cfr. pag. 2).
A tal proposito va, però, considerato che, come confermato dall’Adunanza plenaria nella sentenza 28 gennaio 2012 n. 1, “nel procedimento di project financing, articolato in più fasi, la prima delle quali si conclude con la scelta, da parte della stazione appaltante, del promotore, l’atto di scelta del promotore determina una immediata posizione di vantaggio per il soggetto prescelto e un definitivo arresto procedimentale per i concorrenti non prescelti”.
Ora, nella specie non vi è stata alcuna decisione del Comune in ordine all’elezione della proposta di project financing presentata dalla ricorrente, irrilevante essendo il risalente indirizzo della Giunta comunale ad inserire tale proposta nel piano triennale delle opere pubbliche (peraltro non vi è prova di successiva approvazione da parte del Consiglio comunale e/o conferma di tale indirizzo anche per i tempi successivi).
Non è, pertanto, ravvisabile in capo alla ricorrente un interesse qualificato ad ottenere il bene della vita richiesto (ossia, quanto meno, la nomina a promotore). Non è configurabile, perciò, il rapporto conseguenziale che nel ricorso sembra essere stato sostanzialmente istituito tra il richiesto annullamento della deliberazione di affidamento in house del servizio di illuminazione votiva, da un lato, e la proposta di project financing avanzata dalla ricorrente, dall’altro.
Oltre che inammissibile, il ricorso è anche infondato nel merito, non cogliendo nel segno i tre motivi di ricorso, che per affinità tematica possono essere esaminati congiuntamente.
Con riferimento al dedotto difetto d’istruttoria sulla congruità della soluzione eletta dall’Amministrazione, va considerato che nella relazione ex art. 34, comma 20 del DL 179/2012 (c.d. Allegato A) si è operata un’analisi comparativa delle diverse modalità di gestione dei servizi (cfr. pag. 7 e seguenti), individuandosi cinque distinte opzioni, l’ultima delle quali è, appunto, quella dell’in house providing, fondata sulla “possibilità che il Comune realizzi con fondi propri tutti i lavori di manutenzione straordinaria del plesso cimiteriale e messa a norma dell’impianto di illuminazione votiva con affidamento ad unico operatore economico dei servizi di luce votiva e servizi cimiteriali. Il risultato è un tariffario più accessibile e conveniente dovuto alla mancata previsione nel conteggio costi/ricavi dell’importo per l’esecuzione dei lavori maggiorato degli interessi passivi”.
Che, poi, come dedotto dalla ricorrente, il “ricavo stimato” possa essere stato sovrastimato (“non può essere verosimilmente di euro 125.039,50, ma soltanto di euro 71.366,40”, cfr. pag. 8), non costituisce rilievo dirimente, tenuto conto, se non altro, della situazione di gestione fattuale che il Comune si è proposto – con autoconsapevolezza dell’insostenibilità dello status quo – di interrompere.
Un’incertezza, ormai endemica, nella regolazione amministrativa del servizio, che ha generato un contenzioso civilistico che, per giunta, si è concluso sfavorevolmente per l’Amministrazione comunale (con riguardo, cioè, all’accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo per la riscossione della percentuale dell’ammontare di canoni di luce votiva) a causa della prescrizione maturata dopo la conclusione del rapporto contrattuale.
Nella “relazione sulla gestione dei servizi cimiteriali”, poi, è stata operata un’analisi dei costi rapportata alle diverse alternative gestorie, propendendosi, alla fine, per il modello in house, in merito al quale si è valutato:
a) che la possibilità di realizzare con fondi propri i lavori di modifica e adeguamento (i lavori di ricostruzione dell’impianto elettrico di luce votiva sono stati stimati in €. 604.745,50) “rende opportuno oltreché conveniente ricorrere all’affidamento in house dell’insieme dei servizi cimiteriali per due motivazioni”;
b) che tale modalità di gestione renderebbe “meno conflittuale il rapporto fra Comune e gestore nel primo quinquennio di gestione dei servizi quando le opere di miglioramento e adeguamento non sono ancora complete”;
c) che “in caso di gestione del servizio in house è prevedibile la sussistenza delle seguenti economie rispetto ad una gestione affidata a terzi: a. risparmio sulle spese annue di attivazione di un ufficio in città, attivo per almeno due ore al giorno, dal lunedì al venerdì, per la gestione dei contratti con l’utenza e la riscossione dei versamenti per tutti i servizi cimiteriali; infatti, la Ruvo Servizi effettua già tale attività per altre tipologie di servizio e potrebbe integrare tra quelli già attivi i servizi di gestione contratti di luce votiva e la riscossione dei pagamenti per i servizi a tariffa cimiteriale senza aumento significativo dei costi, anzi, incrementando la sua produttività; b. ulteriore risparmio prevedibile per la insussistenza di utili gestionali per le attività espletate dalla Ruvo Servizi
”;
d) che la gestione in house garantirebbe, in ragione del principio del controllo analogo, uno stretto rapporto “tra ente controllante/appaltante e gestore/concessionario”.

In chiave prospettiva, infine, la soluzione prescelta comporterebbe un rientro degli investimenti di 20 anni (con un contributo di allacciamento di €. 10,99 e con un canone di €. 13,02), ovvero di 15 anni in caso di elevazione del canone ad €. 15,00.
Non si ravvisa, pertanto, il difetto di motivazione imputato con il secondo motivo.
Con riguardo, da ultimo, al terzo motivo, occorre rilevare che la ricorrente si è limitata a dubitare, con intento esplorativo, la sussistenza dei presupposti del controllo analogo.
Ma nella specie la ricorrente non ha allegato prova che la Ruvo Servizi s.r.l. svolgerebbe un’attività (servizi cimiteriale e, segnatamente, illuminazione votiva) disomogenea rispetto al proprio oggetto sociale; il capitale di tale società non risulta essere stato aperto ai privati, anzi è interamente pubblico; l’ambito territoriale di attività resta quello comunale; non è emerso che il sistema di amministrazione e controllo della società di servizi possa legittimare un esercizio autonomo rispetto all’indirizzo e controllo del Comune di Ruvo di Puglia (cfr. pag. 43 dell’Allegato B).
In conclusione, il ricorso è inammissibile per difetto d’interesse e, comunque, infondato nel merito.
Nulla per le spese in ragione della mancata costituzione del Comune di Ruvo di Puglia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile e, comunque, lo respinge, nei sensi espressi in motivazione.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Desirèe Zonno, Consigliere
Angelo Fanizza, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Angelo Fanizza)
IL PRESIDENTE (Angelo Scafuri)
IL SEGRETARIO

Written by:

Sereno Scolaro

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