TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 6 aprile 2022, n. 772

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 6 aprile 2022, n. 772

Pubblicato il 06/04/2022
N. 00772/2022 REG.PROV.COLL.
N. 01874/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1874 del 2018, proposto da
Luigi M., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Berton, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Melzo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Monica Meroni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento:
– dell’ordinanza di demolizione n. 3/2018 in data 23/5/2018 del responsabile del Settore Governo del Territorio del Comune di Melzo, notificata al ricorrente in data 25/5/2018, con la quale è stato ordinato al ricorrente la demolizione delle opere realizzate nella fascia di rispetto cimiteriale sita in Comune di Melzo, alla Via Gavazzi s.n.c.; nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del comune di Melzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2022 il dott. Lorenzo Cordi’ e lette le conclusioni rassegnate dalle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Sig. M., in proprio e quale legale rappresentante dell’impresa agricola “Il Giardino Fiorito”, impugna l’ordinanza n. 3/2018 con la quale il comune di Melzo ordina la demolizione di opere realizzate in fascia di rispetto cimiteriale.
2. In punto di fatto il ricorrente deduce di essere titolare dell’azienda agricola “Il Giardino Fiorito” che produce e commercializza fiori, nonché “proprietario dell’appezzamento di terreno sito in Viale Gavazzi, che sorge a ridosso del cimitero di Melzo, in zona di rispetto cimiteriale”. In particolare, l’area risulta “ricompresa nell’ambito del tessuto urbano consolidato, in zona a verde privato e di rispetto cimiteriale”. In tale area il ricorrente deduce di realizzare “una serra precaria con sostegni in tubolari metallici, una copertura precaria retta da tubolari per ricovero attrezzi, una pavimentazione in autobloccanti ed alcun altri manufatti di ridottissime dimensioni”. L’Amministrazione comunale accerta, invece, la presenza delle seguenti opere:
i) una recinzione costituita da rete in ferro plastificata e un cancello metallico;
ii) un manufatto climatizzato adibito a serra, realizzato “con struttura portante in tubolari metallici di vario calibro”;
<em<iii) “due manufatti fuori terra utilizzati come depositi”;
iv) una pavimentazione esterna in blocchetti autobloccanti;
v) un “manufatto fuori terra adibito a magazzino e autorimessa per mezzi commerciali, a piante rettangolare con struttura portante in tubolari metallici di vario calibro”;
vi)un manufatto in cattive condizioni”;
vii)un magazzino costituito da container”;
em>viii) un’area a parcheggio a servizio dell’area commerciale.
2.1. Evidenziato che l’area è soggetta a vincolo di rispetto cimiteriale ed accertata l’assenza di titolo edilizio l’Amministrazione ingiunge la demolizione delle opere preavvertendo della possibile acquisizione dell’area al patrimonio comunale in caso di inottemperanza.
3. Avverso tale provvedimento il sig. M. propone domanda di annullamento affidata a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la non necessità di titoli edilizi trattandosi di manufatti da ritenersi esenti ex art. 6 del t.u.e.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente evidenzia come il vincolo non derivi dalla previsione legale ma dalla disposizione di cui all’art. 7-bis delle N.d.A. del P.d.R. del P.G.T. comunale con conseguente non operatività del divieto assolto di edificabilità. In ogni caso, di tratterebbe di opere compatibili con il vincolo di cui all’art. 338 del R.D. n. 1265/1934.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione della previsione di cui all’art. 31 del t.u.e. con riferimento alla rete metallica oggetto dell’ordinanza, ritenuta opera che non necessita di titolo edilizio.
3.4. Il ricorrente inserisce la rubrica di un ulteriore motivo (“Violazione dell’art. 31 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sotto ulteriore profilo. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e sviamento”) ma omette di sviluppare il motivo rassegnando immediatamente le conclusioni.
4. Si costituisce in giudizio il comune di Melzo che chiede di dichiarare il ricorso inammissibile o, comunque, infondato.
5. In vista dell’udienza pubblica di trattazione del merito del ricorso il sig. M. deposita memoria conclusiva con la quale insiste nei motivi di ricorso deducendo, altresì, la nullità dell’ordinanza in quanto non notificata ai proprietari dell’immobile che, secondo l’atto di donazione del 2016 versato in atti, sono i figli del ricorrente. La notifica al proprietario dell’immobile costituirebbe elemento essenziale del provvedimento e comporterebbe – in caso di omissione – la nullità dell’ordinanza ex art. 31 t.u.e.
5.1. L’Amministrazione comunale deposita memoria difensiva con la quale osserva come il sig. M. si qualifichi in vari atti come il proprietario del bene e sia, comunque, il responsabile degli abusi. L’omessa notificazione al proprietario non invaliderebbe il comando rivolto al responsabile ma precluderebbe la sola acquisizione al patrimonio comunale, peraltro solo annunciata e non disposta. Nel merito, l’Amministrazione deduce l’infondatezza dei motivi di ricorso articolati dal sig. M..
5.2. Le parti depositano memorie di replica prendendo posizione sulle rispettive avverse deduzioni e difese.
5.3. All’udienza del 5.4.2022 la causa è trattenuta in decisione.
6. Prendendo l’abbrivio dall’eccezione di nullità dell’ordinanza comunale il Collegio osserva come la stessa sia notificata al sig. M. quale titolare della ditta “Il Giardino Fiorito” e, quindi, quale soggetto che, nell’esercizio della predetta attività, realizza gli abusi. Aspetto che, del resto, non è contestato da parte del sig. M.. In tale situazione fattuale opera il principio di diritto affermato dalla Sezione secondo la quale:
i) la “mancata notifica del provvedimento di demolizione al proprietario del fondo, non influisce sulla legittimità del provvedimento medesimo: la notificazione dell’atto, infatti, attiene non già alla fase di perfezionamento dello stesso ma alla fase di integrazione dell’efficacia; sicché, l’unica conseguenza derivante dalla mancata notifica dell’ordinanza di demolizione al proprietario sarà l’impossibilità di pretendere l’esecuzione da parte di quest’ultimo e di procedere in suo danno all’acquisizione gratuita in caso di mancata spontanea ottemperanza, da parte dell’autore dell’abuso, all’ordine impartito (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 5 novembre 2013, n. 9386; id., Sez. I-quater, 7 marzo 2011, n. 2031; id., Sez. II-ter, 3 luglio 2007, n. 5968)”;
ii)l’autore dell’abuso, quindi, è comunque tenuto ad eseguire la demolizione, anche nel caso in cui l’ordine sia stato diretto solo a lui; fermo restando che, in caso di inerzia, l’Amministrazione non potrà acquisire l’area al proprio patrimonio in danno del proprietario ignaro del provvedimento”;
iii)ad analoghe conclusioni si può giungere nel caso in cui l’Amministrazione non solo non notifichi l’atto al proprietario, ma addirittura neppure adotti l’atto nei confronti di quest’ultimo, rivolgendosi esclusivamente contro l’autore dell’abuso” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 6.4.2020, n. 597).
6.1. Nel caso di specie, pertanto, non può considerarsi nullo un provvedimento notificato al solo responsabile e non anche al proprietario. La sola conseguenza dell’omessa notificazione consiste nell’impossibilità di acquisire l’area al patrimonio comunale che, tuttavia, è conseguenza solo preannunciata ma correttamente non disposta dal Comune.
7. Passando alla disamina dei motivi il Collegio ritiene di poterne operare una trattazione congiunta stante l’evidente connessione logico-giuridica degli stessi.
7.1. In primo luogo si osserva come le opere accertate come illegittime dal Comune siano le seguenti:
i) una recinzione costituita da rete in ferro plastificata su paletti metallici ancorati in cordolo in cemento armato con un cancello metallico scorrevole ad anta unica;
ii) un manufatto climatizzato adibita a sede dell’attività, a pianta rettangolare e chiusa su quattro lati, accessibile mediante una porta scorrevole vetrata, divisa in due ambienti mediante parete trasparente munita di porta scorrevole di comunicazione, il tutto con struttura portante in tubolari metallici di vario calibro con chiusure verticali (in parte amovibili) parte in lastre di plexiglass e parte in lamiera ondulata e copertura a volta (in parte apribile a vasistas) in lastre ondulate di plexiglass (tale manufatto risulta munito di impianto elettrico e di illuminazione tramite plafoniere a neon, di impianto di riscaldamento alimentato a metano e di allaccio idrico; al suo interno è rilevato un ambiente chiuso adibito ad ufficio; il pavimento è in autobloccanti con soglie in cemento; inoltre, il manufatto risulta al rilievo di dimensioni mt 30,50 x 8,00 x h. max 3,68, h gronda mt 2,37, con antistante portico di mt. 1,50”;
iii) due manufatti fuori terra utilizzati come depositi in prossimità del lato ovest del manufatto di cui al punto 1, uno di dimensioni mt 2,00×2,00 x h. 2,30, l’altro di dimensioni mt 2,00 x 2,08 x h. 2,70;
iv) una pavimentazione esterna in blocchetti autobloccanti di dimensioni mt 1,90 x 7,80, con incidenza sull’indice drenante;
v) un manufatto fuori terra adibito a magazzino e autorimessa per mezzi commerciali, a pianta rettangolare e chiusa su tre lati, accessibile mediante ampia apertura sul lato ovest, con struttura portante in tubolari metallici di vario calibro, con chiusure verticali e copertura a volta in lastre ondulate di plexiglass (tale struttura risulta munita di impianto elettrico e di illuminazione tramite plafoniere a neon e allacciata alla rete idrica, il pavimento è in calcestre, il manufatto risulta al rilievo di dimensioni mt 7,20 x 13,20 per h. max 5,00, h gronda mt 3,20);
vi) un manufatto in cattive condizioni, realizzato da lastre ondulate di plexiglass a copertura piana e chiuso sui quattro lati ad eccezione di un’apertura d’accesso, adibito a pollaio con animali in situ, di dimensioni mt 2,00 x 2,00 x h. 2,10 circa (l’ambito relativo è delimitato da una rete in ferro a chiusura di un’area di mt 6,50 x 3,00, adiacente ad un serraglio per cane di dimensioni mt 4,30 x 2,10, anch’esso delimitato da rete metallica);
vii) un magazzino costituito da container in lamiera zincata, di dimensioni mt 3,00 x 2,00 x h. 1,90; contornato da tettoia costituita da struttura metallica tubolare appoggiata al terreno con copertura in telo plastificato, di dimensioni 7,40 x 3,70 x h. 1,90;
viii) un’area a parcheggio a servizio dell’area commerciale (in fregio a viale Gavazzi).
7.2. Tenendo conto della pluralità di opere illegittime constatata dal Comune deve darsi applicazione al consolidato orientamento giurisprudenziale, a cui il Collegio aderisce, secondo il quale “quando un intervento edilizio consiste in una pluralità di interventi, l’Amministrazione deve compiere necessariamente una valutazione globale degli stessi, in quanto la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione” (T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, 23.11.2020, n. 2232; Id., 15.2.2022, n. 358). Pertanto, osservando il complesso degli interventi non può che condividersi la conseguenza sanzionatoria posta in essere dal Comune che tiene conto della trasformazione dell’intera area condotta attraverso la pluralità delle opere eseguite.
7.3. La legittimità del provvedimento comunale si apprezza anche considerando la bipartizione operata nell’ordinanza tra opere di nuova costruzione ed opere contrarie alla normativa urbanistica vigente nell’area.
7.4. In particolare, per le opere di cui alle lettere ii), iii), v), vi), vii), di cui al punto 7.1 della presente sentenza deve condividersi l’assunto del Comune secondo il quale si tratta di nuove costruzioni. Lo conferma la giurisprudenza della Sezione che nota come la previsione di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001 consideri interventi di nuova costruzione “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”. La successiva previsione di cui all’articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del medesimo articolato normativo inserisce nella c.d. edilizia libera le sole “opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale”. La maquillage normativa apportata dal legislatore con il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222 non innova le elaborazioni fornite dalla giurisprudenza amministrativa nella vigenza delle precedenti edizioni del disposto legale. In particolare, si afferma che “in ordine ai requisiti che deve avere un’opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un’esigenza temporanea. La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un’opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie” (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1776). E’, pertanto, necessario un titolo edilizio – secondo la sentenza ora richiamata – per la realizzazione di “tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, […] ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”. Ne consegue che “la natura “precaria” di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo”. Nello stesso senso, viene chiarito che “la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (in tal senso: Consiglio di Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2842)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4116; v. anche: Consiglio di Stato, 1 aprile 2016, n. 1291; nella giurisprudenza della Sezione si veda: T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 28 luglio 2017, n. 1705; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2019, n. 204; Id., 28 febbraio 2019, n. 259; Id., 23.2.2022, n. 454). Nel caso di specie, le opere complessivamente realizzate determinano una trasformazione permanente del territorio e, come tali, necessitano di apposito titolo edilizio.
7.4. Per le rimanenti opere occorre, invece, considerare la specifica disciplina urbanistica dell’area. L’immobile è, infatti, collocato in zona a verde privato-rispetto cimiteriale di cui all’art. 7-bis delle N.T.A. del P.d.R. del P.G.T. Tale previsione dispone: “All’interno del Verde privato – Zona di rispetto cimiteriale, non è consentita alcuna nuova edificazione né fuori terra, né sotto, fatti salvi: • gli ampliamenti delle strutture cimiteriali; • i chioschi a carattere provvisorio per le attività di servizio al cimitero, anche commerciali, • previa apposita convenzione/autorizzazione; • volumi tecnici senza permanenza di persone; • attrezzature inerenti la custodia e la gestione delle attrezzature cimiteriali; • strade di arroccamento alle e per la struttura cimiteriale; • parcheggi pubblici; • impianti tecnologici”.
7.4.1. Declinando la regolamentazione urbanistica al caso di specie deve, in primo luogo, osservarsi come le strutture realizzate non possano, comunque, ricondursi tra i chioschi a carattere provvisorio per le ragioni in precedenza spiegate. Non si tratta di opere temporanee ma di una complessa struttura articolata in più opere (da valutare, come spiegato, in modo unitario) finalizzate all’intera attività commerciale del ricorrente.
7.4.2. In secondo luogo, neppure le ulteriori opere indicate nell’ordinanza comunale sono riconducibili alle tassative eccezioni previste dalla disposizione in esame.
8. Inoltre, non risulta condivisibile la tesi esposta dalla ricorrente in ordine alla possibilità di edificazione in fascia di rispetto cimiteriale. Occorre prendere le mosse dal dato normativo che, per chiarezza espositiva, è utile riprodurre. La previsione invocata dal ricorrente dispone:
1. I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge.
2. Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano ai cimiteri militari di guerra quando siano trascorsi 10 anni dal seppellimento dell’ultima salma.

3. […].
4. Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:
a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;
b) l’impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari.
5. Per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell’area, autorizzando l’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre.
6. Al fine dell’acquisizione del parere della competente azienda sanitaria locale, previsto dal presente articolo, decorsi inutilmente due mesi dalla richiesta, il parere si ritiene espresso favorevolmente.
7. All’interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all’utilizzo dell’edificio stesso, tra cui l’ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d’uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457
”.
8.1. Osserva il Collegio come la giurisprudenza formatasi prima delle modifiche apportate al testo di legge dall’art. 28 della L. 166/2002 sia costante nel ritenere che, all’interno delle c.d. zone di rispetto, sia preclusa la possibilità di realizzare ogni tipo di attività edilizia “costruttiva”, fermo restando i soli corpi di fabbrica già esistenti all’interno di detta fascia (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 476: Id., 12 novembre 1999, n. 1871).
8.2. Le modifiche normative apportate nel 2002 segnano l’insorgenza di un dibattito sulla portata della previsione di cui all’art. 338, co. 5, R.D. n. 1265/1934 che, come visto, si riferisce alla possibilità di realizzare opere pubbliche o di attuare un intervento urbanistico.
8.3. Secondo una parte della giurisprudenza l’espressione “intervento urbanistico” potrebbe ritenersi riferita solo alle opere pubbliche o di pubblica utilità al fine di non snaturare la ratio su cui riposa la previsione legale (Consiglio di Stato, sez. V, 29 marzo 2006, n. 1593; Id., 3 maggio 2007, n. 1934).
8.4. Altra parte della giurisprudenza ricomprende nell’alveo applicativo della regola in esame anche le opere realizzate dai privati (cfr.: T.A.R. per l’Abruzzo – sede di Pescara, sez. I, 22 febbraio 2007, n. 189; T.A.R. per la Sardegna, Sez. II, 20.03.2009, n. 322; Id., 18 maggio 2007, n. 973).
8.5. Invero, la prima opzione interpretativa appare maggiormente aderente al dato normativo e alla mens legis. Si tratta, infatti, di materia “disciplinata direttamente dalla legge e non suscettibile, pertanto, di deroghe, da parte di altra disposizione normativa se non di pari o superiore rango ed in base alle seguenti considerazioni” (T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. IV, 14 novembre 2014, n. 5942). Con le modifiche normative del 2002 si fissa, comunque, in 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale il limite per l’edificabilità privata. Lo conferma la previsione contenuta nel primo comma, risoluta nell’affermare che è vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di duecento metri “quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge”. Il limite all’edificabilità privata non è, quindi, ancorato alla “fascia di rispetto” (che può variare in relazione alle determinazioni adottate dall’Autorità Comunale), ma è legislativamente fissato in ogni caso entro il limite di 200 metri da calcolarsi dal perimetro dell’impianto cimiteriale. “Il regime vincolistico così delineato con riferimento all’attività edilizia dei privati appare più che in linea con la ratio delle deroghe ed eccezioni al limite dei 200 metri previste dalla legge medesima che sono ammesse in funzione dell’ampliamento dei cimiteri esistenti o della costruzione di nuovi cimiteri (comma 4), nonché nei casi in cui l’amministrazione comunale debba dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico” (T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. IV, 14 novembre 2014, n. 5942). Trattasi in entrambi i casi di eccezioni giustificate da esigenze pubblicistiche correlate alla stessa edilizia cimiteriale, oppure ad altri interventi pubblici purché compatibili con le concorrenti ragioni di tutela della zona (comma 5) (cfr., ancora, T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, Sez. IV, 14 novembre 2014, n. 5942).
9. In ultimo, deve ritenersi infondato il motivo con il quale si lamenta l’illegittimità dell’ordinanza nella parte relativa alla rete metallica. Ferme restando le considerazioni esposte supra in ordine alla necessità di una valutazione complessiva degli interventi, si osserva, in ogni caso, come si tratti di una recinzione costituita da rete in ferro plastificata su paletti metallici ancorati in cordolo in cemento armato con un cancello metallico scorrevole ad anta unica. Le caratteristiche rilevate (cordolo in cemento armato ed apposizione di cancello automatico) depongono a favore della tesi che l’opera realizzata, avendo determinato una irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, non può ritenersi, comunque, ricompresa tra quelle che non necessitano di un titolo edilizio.
10. In definitiva il ricorso deve essere respinto.
11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto:
i) respinge il ricorso;
ii) condanna parte ricorrente a rifondere al comune di Melzo le spese di lite del presente giudizio che quantifica in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2022 con l’intervento dei magistrati:
Ugo Di Benedetto, Presidente
Silvana Bini, Consigliere
Lorenzo Cordi’, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE (Lorenzo Cordi’)
IL PRESIDENTE (Ugo Di Benedetto)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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