TAR Liguria, Sez. I, 7 aprile 2022, n. 266

TAR Liguria, Sez. I, 7 aprile 2022, n. 266

Pubblicato il 07/04/2022
N. 00266/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00770/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 770 del 2021, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Roberto Damonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Corsica, n. 10/4;
contro
Comune di Borzonasca, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Ettore Chiti, Armando Gamalero, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Armando Gamalero in Genova, via XX settembre, n. 6/9;
per l’annullamento
dell’ordinanza del Responsabile Area Amministrativa del Comune di Borzonasca n. 11 del 19.04.2021, avente a oggetto: «Concessione tomba nella Cappella Cimitero di San Rocco. Esame osservazioni, contrarietà, provvedimenti conseguenti»;
nonché di ogni ulteriore atto antecedente, presupposto, successivo o comunque connesso e segnatamente:
– del Regolamento della Polizia Mortuaria come da ultimo modificato con deliberazione del Consiglio comunale n. 37 in data 26.07.2019;
– della nota sindacale prot. n. 3918 del 03.08.2020 citata nell’ordinanza comunale;
– della nota sindacale del 26.09.2020 citata nell’ordinanza comunale;
– della nota sindacale prot. n. 4898 del 25.09.2020 citata nell’ordinanza comunale;
– della nota sindacale prot. n. 4969 del 30.09.2020 citata nell’ordinanza comunale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Borzonasca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2022 il dott. Alessandro Enrico Basilico e viste le conclusioni delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il ricorrente, sostenendo che la sua famiglia abbia dal 1800 «la legittima occupazione ed il legittimo possesso e proprietà» di due tombe nella cappella di San Rocco presso il cimitero di Borzonasca, ha impugnato l’ordinanza, indirizzata alla sorella, con cui il Comune, sul presupposto che l’occupazione del sepolcro fosse priva di un titolo e in mancanza del consenso dei privati a stipulare una concessione onerosa, ha intimato di esumare le salme entro il 31.12.2021, lasciando il bene in uno stato di manutenzione che ne consenta l’immediato utilizzo.
2. Si è costituito in giudizio il Comune, resistendo all’impugnativa.
3. Alla camera di consiglio dell’01.12.2021, la causa è stata rinviata per la trattazione nel merito.
4. Nel prosieguo del giudizio, le parti hanno depositato documenti e scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi.
5. All’udienza pubblica dell’11.03.2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6. Prima di esaminare le questioni processuali e sostanziali sollevate dalle parti, pare opportuno, data la peculiarità della controversia, premettere una sintetica ricostruzione della disciplina del “diritto al sepolcro” (“ius sepulchri”), nei limiti in cui risulta rilevante per dare soluzione al caso di specie.
7. A norma dell’art. 824, co. 2, cod. civ., i cimiteri comunali – quale pacificamente è quello in cui si trovano le tombe oggetto di causa – sono soggetti al regime del demanio pubblico; pertanto, ai sensi dell’art. 823 cod. civ., sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.
8. È interessante notare come la natura demaniale dei cimiteri comunali, sancita espressamente dal codice del 1942, fosse affermata dalla dottrina prevalente già nel vigore del codice civile del 1865, che pure non contemplava i cimiteri tra i “beni pubblici” (come attestato nella Relazione del Ministro Guardasigilli, pt. 392), e trovava fondamento nel regolamento di polizia mortuaria approvato con r.d. n. 448 del 1892, che dettava disposizioni generali sul servizio e sull’impianto dei cimiteri comunali (art. 88 e ss.) e disciplinava le concessioni di sepolture private al loro interno (artt. 97 e ss.).
9. Si può quindi escludere sin d’ora che i privati possano vantare un vero e proprio diritto di proprietà, ai sensi degli artt. 832 e ss. cod. civ., sulle tombe contenute nei cimiteri comunali, ma deve piuttosto ritenersi che siano titolari di una situazione giuridica soggettiva poliedrica che, trovando fondamento in una concessione “traslativa” da parte dell’Ente cui appartiene il bene demaniale, sia qualificabile come un diritto soggettivo, assimilabile a quello di superficie di cui agli artt. 952 e ss. cod. civ., nei confronti degli altri privati, e come interesse legittimo nei confronti dell’Amministrazione concedente, qualora questa adotti atti di natura autoritativa (in questo senso si v., tra le altre: Cass. civ., ss.uu.., sent. n. 21598 del 2018; Cons. St., sez. V, sent. n. 4843 del 2015; TAR Campania, Napoli, sent. n. 2456 del 2014).
10. Occorre altresì osservare che è proprio in ragione della qualificazione del diritto di sepoltura privata quale concessione di un bene demaniale che le controversie inerenti ad atti che ledano questa situazione giuridica soggettiva possono farsi rientrare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. b), cod. proc. amm. (in questo senso, si v. la già citata Cass. civ., ss.uu.., sent. n. 21598 del 2018, in cui si dibatteva proprio della titolarità del diritto di sepoltura privata esercitato da tempo immemorabile su aree o porzioni di edificio in un cimitero pubblico).
11. Fatta questa premessa sulla natura della situazione giuridica soggettiva oggetto del giudizio, con ciò che ne consegue in punto di giurisdizione, è possibile esaminare le singole questioni, processuali e di merito, sollevate dalle parti.
12. In via pregiudiziale, il Comune eccepisce l’inammissibilità del ricorso, in quanto il regime concessorio delle tombe contenute nella cappella di San Rocco sarebbe stato sancito dalla deliberazione del Consiglio n. 37 del 26.07.2019, che ha modificato in tal senso il regolamento comunale di polizia mortuaria, e che, rientrando nella categoria dei regolamenti “volizione-azione” avrebbe un contenuto immediatamente lesivo.
13. L’eccezione è infondata.
Occorre premettere che, a seguito delle modifiche apportate nel 2019, il regolamento (di cui il resistente ha prodotto un estratto quale proprio doc. 7), stabilisce varie prescrizioni, tra cui quella secondo cui, per le tombe poste all’interno della cappella cimiteriale, «la durata della concessione è di 60 anni salvo rinnovo oneroso» (art. 36, lett. k), quella per cui «la concessione deve risultare da apposito contratto da stipularsi fra il Comune e il Concessionario, secondo modalità e termini dal Comune stabiliti», e quella secondo cui, «per le tombe poste all’interno della cappella cimiteriale di Borzonasca Capoluogo, considerata la loro particolare ubicazione, essendo collocate in una struttura del Comune che se ne riserva l’uso pubblico, sono a carico dei concessionari le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria della tomba, delle sue lapidi ed ornamenti, garantendo il calpestio in sicurezza della pavimentazione, preventivamente predisposto dal Comune per l’uso pubblico della cappella, mentre il Comune si farà carico della manutenzione ordinaria e straordinaria delle pareti, della copertura e delle parti comuni».
Nello stabilire che le tombe sono assegnate ai privati in regime di concessione, la disciplina non è innovativa (dunque, di per sé non è lesiva), in quanto, come sopra esposto, è da tempo pacifico che lo ius sepulchri sia oggetto di una concessione amministrativa.
Risulta invece innovativo nella parte in cui pone un limite di 60 anni alla durata della concessione ma, sul punto, la sua lesività dipende dalla soluzione della questione della sua applicabilità ai rapporti già in essere alla data della sua entrata in vigore; da questo punto di vista, non essendoci una normativa transitoria esplicita, si deve ritenere che la deliberazione non possa che disporre per l’avvenire, secondo il principio generale di cui all’art. 11 disp. prel. cod. civ., dunque riguardi solo le nuove concessioni e non riduca la durata di quelle già esistenti.
Infine, nella parte in cui pone a carico dei concessionari gli oneri di manutenzione, non può determinare alcun pregiudizio per i privati fino a quando tali oneri non siano concretamente e individualmente specificati.
Non vi sono quindi ragioni ostative all’esame del ricorso nel merito.
14. Con il primo motivo, si deduce: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7, 9, 10, 10bis, 12 e 21-quinquies della legge n. 241 del 1990; violazione delle garanzie partecipative e del principio della parità di trattamento; violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, manifesta illogicità; eccesso di potere per difetto di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa; eccesso di potere, irragionevolezza manifesta, sproporzione, sviamento violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 del DPR n. 285 del 1990 e dell’art. 824, co. 2, cod. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt.42, 97 e 113 Cost., difetto assoluto di motivazione, eccesso di potere; travisamento dei fatti; illogicità manifesta.
In particolare, premettendo che il provvedimento incide negativamente sulla sua sfera giuridica, il ricorrente lamenta che l’Amministrazione non gli abbia consentito di partecipare al procedimento.
15. Il motivo è infondato.
Secondo un’interpretazione sostanzialistica, e non formalistica, dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, il privato non può limitarsi a dolersi genericamente della mancata comunicazione di avvio, ma deve anche quantomeno indicare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione, onere al quale il ricorrente non ha adempiuto.
16. Con il secondo motivo, si deduce: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 63, 90, 92, 93, 94, 98, 99 del DPR n. 285 del 1990 e degli artt. 11, 824 co. 2, 822 e 832 cod. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, 97 e 113 Cost.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7, 9, 10, 10-bis e 12 e 21-quinquies della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere sotto i profili della carenza assoluta di motivazione e di istruttoria; violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, manifesta illogicità; eccesso di potere per difetto di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa; eccesso di potere, irragionevolezza manifesta, sproporzione, sviamento; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 del DPR n. 285 del 1990 e dell’art. 824 co. 2 cod. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, 97 e 113 Cost., difetto assoluto di motivazione, eccesso di potere; travisamento dei fatti e del presupposto; illogicità manifesta.
In sostanza, il ricorrente contesta che l’occupazione delle tombe sia senza titolo, dato che queste sarebbero di sua proprietà, in comunione con la sorella, o comunque sarebbero state concesse in uso perpetuo alla sua famiglia sin dal XIX secolo; di conseguenza, sarebbe illegittima la pretesa di stipulazione di una nuova concessione per la durata di sessant’anni e quella di pagamento di un canone per la presunta occupazione senza titolo.
17. Il motivo è parzialmente fondato, nei limiti che seguono.
18. Sebbene si debba escludere che il ricorrente possa vantare un vero e proprio diritto di proprietà sul sepolcro, data la natura demaniale del cimitero comunale, si può comunque presumere che questi, come i suoi antenati e danti causa prima di lui, abbia ricevuto in concessione l’uso del bene.
Pur in assenza di documentazione in proposito, il rilascio della concessione può presumersi in applicazione dell’istituto dell’immemorabile, elaborato sin dal diritto romano per fornire tutela a situazioni le cui origini si perdono nel tempo (al punto che di esse “memoria non exstat”) e per le quali, anche per questo, non sia possibile addurre un titolo formale.
Tale istituto, di larga applicazione durante il medioevo, è stato abbandonato con l’avvento delle moderne codificazioni – il codice napoleonico e con esso quello italiano del 1865 negarono espressamente, per esempio, che le servitù discontinue e quelle continue non apparenti potessero essere stabilite per effetto del solo possesso «benché immemorabile» – con riferimento al diritto civile e ai rapporti tra privati, anche per la sua incompatibilità con le norme in tema di prescrizione e usucapione; si ritiene tuttavia che esso rimanga invocabile nel diritto pubblico, laddove «trova applicazione al fine di riconoscere, attraverso un procedimento presuntivo, la legittimità di un esercizio di fatto corrispondente ad un diritto per un tempo immemorabile, allorché manchi un atto formale di concessione e si intenda adeguare per “un’elementare esigenza di giustizia” la situazione fattuale a quella giuridica “quale principio generale valido ai sensi dell’art. 12 preleggi”» (in tal senso, si v., ancora, Cass. civ., ss.uu., sent. n. 21598 del 2018).
Tra le due visioni alternative dell’istituto, che fin dal medioevo hanno diviso i commentatori, quale modalità di acquisto di un diritto ovvero quale strumento di prova dello stesso, si ritiene quindi che sia quest’ultima a essere preferibile, quantomeno nell’ordinamento come attualmente configurato, perché, mentre non si rinvengono indici normativi idonei a suffragare la prima tesi – anzi, la tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, nel campo del diritto privato, e il principio di legalità, in quello del diritto pubblico, rappresentano indizi di segno opposto – la seconda trova un fondamento nella disciplina generale della prova per presunzioni di cui all’art. 2729 cod. civ.: è infatti dal fatto noto (l’uso del bene protratto senza soluzione di continuità e senza contestazioni per un tempo assai lungo, del cui momento iniziale non si ha traccia né memoria) che è possibile dedurre il fatto ignoto (ossia l’esistenza di un titolo); presunzione che, in quanto “semplice”, può sempre essere smentita da una prova contraria.
19. Nel caso di specie, sussistono tutti i caratteri dell’immemorabile, perché, effettivamente il ricorrente, e la sua famiglia prima di lui, fa uso delle tombe nel cimitero di Borzonasca da un tempo delle cui origini non vi è memoria, senza che vi siano state contestazioni di sorta (lo stesso Comune ha dato atto del possesso dei sepolcri, al fine di domandare una compartecipazione alle spese per il restauro e la messa in sicurezza della cappella: si v., per esempio, la nota prot. 1479 del 20.03.2017, doc. 3 di parte attrice).
20. L’istituto dell’immemorabile consente di presumere non solo la titolarità della concessione, ma anche la sua natura perpetua, considerato che l’uso del bene si protrae da lungo tempo e che, prima che venisse adottato il regolamento di polizia mortuaria di cui al DPR n. 873 del 1975 (poi sostituito da quello di cui al DPR n. 285 del 1990), le concessioni cimiteriali ben potevano essere perpetue (così disponeva l’art. 70 del r.g. n. 1880 del 1942 e, ancor prima, l’art. 100 del r.d. n. 448 del 1892).
21. Pertanto, dovendosi presumere la sussistenza di una concessione perpetua, è illegittima la pretesa del Comune, formulata sul presupposto che l’uso delle tombe nella cappella sia privo di titolo, di subordinare il mantenimento delle salme alla stipulazione di un atto di concessione (per una durata di sessant’anni) e di conseguenza l’ordinanza impugnata che, in ragione della mancata conclusione di un simile accordo, ne ha intimato l’esumazione.
Dinanzi a una concessione perpetua, infatti, l’Amministrazione potrebbe unicamente esercitare il proprio potere di autotutela per revocare l’atto, se ve ne siano i presupposti, e comunque con il rispetto delle garanzie e delle modalità previste dall’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 (in tal senso, si v. Cons. St., sez. IV, sent. n. 4530 del 2017).
22. Per questo, il provvedimento impugnato è dunque meritevole di annullamento.
23. Occorre tuttavia pronunciarsi anche sul terzo motivo di ricorso, con cui si deduce: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 63, 90, 92, 93, 94, 98, 99 del DPR n. 285 del 1990 e degli artt. 11, 824 co. 2, 822 e 832 cod. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, 97 e 113 Cost.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7, 9, 10, 10-bis, 12 e 21-quinquies della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere sotto i profili della carenza assoluta di motivazione e di istruttoria; violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, manifesta illogicità; eccesso di potere per difetto di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa; eccesso di potere, irragionevolezza manifesta, sproporzione, sviamento; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 del DPR n. 285 del 1990 e dell’art. 824 co. 2 cod. civ.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, 97 e 113 Cost., difetto assoluto di motivazione, eccesso di potere; travisamento dei fatti e del presupposto; illogicità manifesta.
In particolare, il ricorrente contesta la pretesa dell’Amministrazione di far gravare sui proprietari-concessionari delle tombe gli oneri di manutenzione della cappella, che è di proprietà comunale.
24. L’interesse del ricorrente a una pronuncia sulla censura, pur a fronte dell’annullamento dell’atto impugnato in accoglimento del secondo motivo, deriva dall’incertezza sui diritti e gli obblighi derivanti dal rapporto concessorio, il cui accertamento rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
25. Il motivo è infondato, nei termini che seguono.
26. Occorre innanzitutto osservare che, a maggior ragione quando ha natura perpetua, il rapporto concessorio, una volta costituito, «può essere disciplinato da una normativa entrata in vigore successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri» (così Cons. St., sez. V, sent. n. 4943 del 2015).
È dunque di per sé legittimo che il Comune introduca una nuova disciplina dell’uso del bene – naturalmente, fatto salvo il diritto di recesso del privato.
Nella specie, poi, non può dirsi irragionevole porre a carico dei concessionari le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria «della tomba, delle sue lapidi ed ornamenti», come disposto dal regolamento comunale (doc. 7 del resistente); quanto all’obbligo di svolgere tali lavori «garantendo il calpestio in sicurezza della pavimentazione», su cui si appuntano molte delle critiche della parte attrice, si tratta di una prescrizione di cui è ben possibile dare un’interpretazione «nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti» (secondo il criterio di cui all’art. 1371 cod. civ., dettato per i contratti ma applicabile anche ai provvedimenti e agli accordi amministrativi), ritenendo che quando il concessionario provvede alla manutenzione delle tombe, deve consentire il passaggio in sicurezza nella cappella (senza giungere a far gravare sui concessionari il rifacimento del pavimento).
A tale conclusione conducono del resto anche l’interpretazione letterale e quella sistematica della disposizione: dal primo punto di vista, l’obbligo di garantire la sicurezza del calpestio è espressamente legata – mediante l’uso del gerundio – agli interventi di manutenzione delle tombe date in concessione; dal secondo, il rifacimento del pavimento rientra pacificamente tra le opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni, di cui l’Ente si farà carico.
27. In conclusione: il ricorrente è titolare di una concessione perpetua di uso di due tombe nella cappella del cimitero comunale di Borzonasca, pertanto il Comune non può imporre l’esumazione delle salme (per quanto potrebbe in astratto revocare il titolo in autotutela, con i presupposti e le garanzie di legge); l’Amministrazione tuttavia può introdurre una nuova disciplina del rapporto, pertanto è legittimo addossare al privato gli oneri di manutenzione del bene.
28. La particolare complessità e la relativa novità della questione giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato; compensa tra le parti le spese di lite
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità e di ogni altro dato idoneo a identificare il ricorrente.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Angelo Vitali, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE (Alessandro Enrico Basilico)
IL PRESIDENTE (Giuseppe Caruso)
IL SEGRETARIO
[ In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati. ]

Written by:

Sereno Scolaro

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