TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 8 marzo 2019, n. 3079

TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 8 marzo 2019, n. 3079

MASSIMA
TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 8 marzo 2019, n. 3079

Non sussiste la giurisdizione amministrativa, bensì quella ordinaria, allorquando il petitum sostanziale abbia riguardo all’accertamento della sussistenza dello ius sepulcri e/o all’accertamento della possibile consumazione della natura gentilizia del sepolcro e sua trasformazione in sepolcro ereditario.
NORME CORRELATE

Art. 93 dPR 10/9/1990, n. 285

Pubblicato il 08/03/2019
N. 03079/2019 REG.PROV.COLL.
N. 09209/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9209 del 2018, proposto da:
Fabrizio G., Massimo G., Orietta G., Laura G., rappresentati e difesi dagli avvocati Salvatore Bellomia, Arnaldo Morace Pinelli, con domicilio eletto presso lo studio Salvatore Bellomia in Roma, via Gradisca n.7;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Paolo Richter Mapelli Mozzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove 21;
Ama S.p.A., in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento n.11;
per l’annullamento
– della nota della Società AMA SpA – Cimiteri Capitolini prot. n. 13564 del 21.6.2018, con cui è stata comunicata “l’impossibilità di procedere alla richiesta tumulazione” di congiunto della parte ricorrente nel sepolcro (tomba di famiglia) sito nel Cimitero del Verano, zona “Pincetto Nuovo”, sottozona “Rupe Caracciolo sotto il Portico”, n. 8, fila 97;
– della nota funzionariale a mezzo posta elettronica della Divisione cimiteriale della società AMA SpA del 29.5.2018, con cui è stato comunicato che “la tumulazione è stata negata”;
– di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e/o conseguenziale, ancorché non cognito (e, in particolare, ove occorra, della concessione del Comune di Roma n. 518 del 1921, rilasciata al Sig. Carlo Giulilani, nella parte in cui limita i benefici ai soli soggetti indicati “e nessun altro”).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Ama S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2019 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Espone l’odierna parte ricorrente che con nota a.r. del 25.5.2018 il sig. Fabrizio G. chiedeva la tumulazione della figlia, prematuramente scomparsa, nella tomba di famiglia sita nel Cimitero del Verano, zona “Pincetto Nuovo”, sottozona “Rupe Caracciolo sotto il Portico”, n. 8, fila 97.
Del suddetto sepolcro è originario concessionario il Sig. Carlo G., nonno paterno degli odierni ricorrenti Fabrizio e Massimo, in virtù di atto di concessione del Comune di Roma n. 518 del 1921). Tra la figlia dell’odierno ricorrente ed il concessionario originario, Sig. Carlo G., vi è, quindi, un rapporto di parentela in linea retta di terzo grado, essendo la prima pronipote del secondo.
Nell’anzidetto atto di concessione si legge che: “Questa concessione è fatta perché la tomba sia destinata soltanto alla tumulazione delle salme del concessionario coniuge e della figlia, dei figli maschi e loro mogli, nonché dei figli o delle figlie nubili dei figli maschi dello stesso concessionario e K. Susanna e nessun altro”; e, subito dopo, che: “La concessione è subordinata a tutte le disposizioni contenute nelle leggi, nel regolamento di polizia mortuaria, nel regolamento comunale per i cimiteri ed in quello d’igiene, e nei successivi atti della competente Autorità”.
I ricorrenti precisano così che nel caso di specie si tratta di un “sepolcro familiare”; e che essi sono gli ultimi ed unici superstiti indicati espressamente quali beneficiari dalla cennata concessione.
La società Ama S.p.A. – Divisione cimiteriale comunicava che “la tumulazione è stata negata, in quanto il concessionario in origine G. Carlo con manufatto sito al Cimitero Verano c. 518 del 1921, stabilì con la dettatura delle norme concessorie, gli aventi diritto alla tumulazione, con esclusione «e non altri» del non avente titolo”.
Successivamente, con nota a.r. prot. n. 13564 del 21.6.2018, a firma del Direttore di Ama Cimiteri Capitolini, in riscontro alla nota del 25 maggio precedente, è stata confermata “l’impossibilità di procedere alla richiesta tumulazione”, con la seguente motivazione: “Il diritto alla tumulazione, da intendersi come diritto di essere seppellito nel sepolcro, è determinato dal concessionario la cui volontà è sovrana, potendo, senza alcuna restrizione, ampliare o limitare i beneficiari del diritto e determinare i confini entro i quali vada intesa la famiglia allo scopo di individuare i titolari del suddetto diritto. Nel caso che vi riguarda le norme di concessione dettate dal Sig. Carlo G. prevedono il diritto alla tumulazione nel manufatto in questione oltre che dello stesso concessionario (e di una persona nominata), anche del coniuge, della figlia, dei figli maschi e loro mogli nonché dei figli o delle figlie femmine nubili dei figli maschi dello stesso concessionario e nessun altro. Pertanto, la nota concludeva affermando che trattandosi della tumulazione della figlia del sig. Fabrizio, “alla luce della volontà espressa dall’originario concessionario, la stessa non rientra tra i beneficiari del diritto alla tumulazione arrestandosi, quest’ultimo, al grado precedente di parentela”.
Precisano i ricorrenti che la tomba in questione ha una capienza totale di 24 posti, dei quali attualmente ne sono occupati soltanto 8 (per le persone elencate in atti).
Avverso le note indicate, parte ricorrente deduce, nell’odierno giudizio, le seguenti ragioni di censura.
1.- VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 50 E 51 DEL REGOLAMENTO DI POLIZIA CIMITERIALE DEL COMUNE DI ROMA, APPROVATO CON DELIBERAZIONE DI C.C. N. 3516 DEL 30.10.1979 S.M.I., ANCHE IN RELAZIONE ALL’ART. 93 D.P.R. N. 285 DEL 1990; ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA, ARBITRARIETÀ E INGIUSTIZIA MANIFESTA.
Per pacifica giurisprudenza il rapporto concessorio sepolcrale, una volta costituito, è assoggettato alla normativa successivamente intervenuta e, in particolare, ai regolamenti di polizia mortuaria nonché ai regolamenti comunali di polizia cimiteriale, volti a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori già in essere (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 27.10.2014, n. 5296; Cons. Stato, Sez. V, 27.8.2012, n. 4608). Tale disciplina regolamentare, difatti, si colloca ad un livello sovraordinato rispetto a quello che contraddistingue l’interesse del concedente, essendo diretta a soddisfare superiori interessi pubblici. Essa prevale, quindi, sulla aspettativa del concessionario alla conservazione dell’assetto originario (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 10.2.2015 n. 683). Non vi è dubbio, pertanto, sulla applicabilità alla concessione in esame della normativa sopravvenuta che regola il rapporto concessorio anche in senso modificativo rispetto all’assetto operante all’atto del rilascio dell’originario titolo (così, espressamente, Cons. Stato, Sez. V, n. 4608/2012, cit.; Cons. Stato, Sez. V, n. 683/2015, cit.). E ciò, anche con riferimento alla determinazione dell’ambito soggettivo di utilizzazione del bene, come è nel caso che ci occupa (Cons. Stato, Sez. V, n. 5296/2014, cit.; nonché, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 17.2.2015, n. 486).
La stessa concessione n. 518/1921 prevede espressamente che ad essa si applichino tutti i successivi atti legislativi e regolamentari, nella parte in cui stabilisce che: “La concessione è subordinata a tutte le disposizioni contenute nelle leggi, nel regolamento di polizia mortuaria, nel regolamento comunale per i cimiteri ed in quello d’igiene, e nei successivi atti della competente Autorità”.
Verrebbero in rilievo innanzitutto l’art. 93, co. 1, del D.P.R. n. 285 del 1990, a norma del quale il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari e si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro.
A sua volta, l’art. 50 del Regolamento di Polizia Cimiteriale comunale dispone espressamente che “in ogni sepoltura è permessa la tumulazione di salme, resti mortali o ceneri di persone non comprese nelle norme della concessione, previo pagamento del quadruplo di apertura, sempre che ve ne sia capienza, ove trattasi: a) di parenti ed affini del concessionario; b) degli eredi”. Il successivo art. 51, dopo avere stabilito, al comma 1, che la richiesta di qualsiasi operazione cimiteriale, quale la tumulazione, deve essere fatta dal concessionario e, dopo la sua morte, da chi abbia la qualifica di erede e dimostri tale qualità, prevede addirittura, al comma 3, che “in ogni tumulo è consentita a richiesta del concessionario o, dopo la sua morte, con il consenso di tutti gli aventi diritto, la tumulazione di persone estranee al nucleo familiare del concessionario che risultino essere anagraficamente, all’atto del decesso, conviventi da almeno un anno con lui o con alcuno degli aventi diritto o avere acquisito particolari benemerenze nei confronti della famiglia”.
Queste disposizioni, sopravvenute alla concessione ed alla manifestazione di volontà in essa raccolta, consentirebbero la tumulazione richiesta.
2.- ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETÀ E PERPLESSITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA; IRRAGIONEVOLEZZA; VIOLAZIONE DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO; DIFETTO DI ISTRUTTORIA.
Nella tomba de qua è stata consentita, dall’Amministrazione resistente, la sepoltura di diversi soggetti non contemplati nella concessione n. 518/1921 fra i beneficiari dello ius sepulchri e che non erano nemmeno parenti consanguinei del concessionario. Ciò è accaduto, all’epoca, su richiesta dei titolari della concessione, trattandosi di affini legati affettivamente a questi ultimi. Come si è anticipato, la loro successiva estumulazione, nei diversi momenti in cui è avvenuta, è stata determinata esclusivamente da una scelta dei beneficiari della concessione e mai da un provvedimento dell’Autorità amministrativa.
3. VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE E OMESSA APPLICAZIONE DELL’ART. 93 D.P.R. N. 285 DEL 1990; ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITÀ E IRRAGIONEVOLEZZA MANIFESTA, DIFETTO DI ISTRUTTORIA; VIOLAZIONE DELL’ART. 97 COST.
Secondo l’interpretazione della concessione fornita dalla resistente AMA S.p.A. nei provvedimenti impugnati, nella tomba de qua potranno essere seppelliti gli odierni ricorrenti e nessun altro. Ciò significherebbe lasciare ben 12 posti liberi.
Si tratterebbe, come è evidente, di una interpretazione manifestamente illogica ed irragionevole, che si pone altresì in contrasto con i princìpi costituzionali di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa, precludendo il pieno e completo utilizzo della tomba in questione in palese contrasto anche con l’interesse pubblico.
Del pari palese sarebbe, nella specie, la violazione dell’art. 93 del rubricato Regolamento di polizia mortuaria, il cui comma 1 dispone che il “diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche” debba essere esercitato “fino al completamento della capienza del sepolcro”.
4.- IN SUBORDINE, VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 50 E 51 DEL REGOLAMENTO DI POLIZIA CIMITERIALE DEL COMUNE DI ROMA, APPROVATO CON DELIBERAZIONE DI C.C. N. 3516 DEL 30.10.1979 S.M.I., ANCHE IN RELAZIONE ALL’ART. 93 D.P.R. N. 285 DEL 1990. ILLEGITTIMITÀ DERIVATA.
Alla luce di quanto dedotto nei motivi che precedono, l’illegittimità degli impugnati provvedimenti di diniego di sepoltura appare di tutta evidenza.
Né, per le ragioni suesposte, tale diniego potrebbe in alcun modo trovare fondamento nella richiamata locuzione “e nessun altro” contenuta nella concessione cimiteriale n. 518/1921.
In via di stretto subordine, nella denegata ipotesi in cui la cennata concessione fosse interpretata in senso ostativo all’accoglimento dell’istanza presentata dal Dott. G., se ne denuncia la illegittimità in parte qua per violazione delle disposizioni in rubrica.
Costituitasi, resiste al ricorso l’AMA che eccepisce con articolate argomentazioni il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. St., Sez. V, n. 3796/16; nello stesso senso, ex multis, Tar Milano, Sez. IV, n. 1710/12, e Sez. I, n. 1369/17), vertendosi, nell’odierna fattispecie, in ordine all’accertamento dello “ius sepulchri” della parte ricorrente; infondatezza nel merito del ricorso sotto diversi profili, dovendosi riconoscere la prevalenza alla volontà del titolare originario della concessione; eventuali sepolture di terzi, precedentemente concesse, andrebbero considerate come non conformi a loro volta e non legittimerebbero l’accoglimento dell’istanza (a prescindere dal fatto che si tratta di defunti successivamente estumulati e collocati altrove). Peraltro, il regolamento cimiteriale sopravvenuto (deliberazione CC n. 3516 del 30.10.1979), i cui articoli 50 e 51 sono richiamati dai ricorrenti, prevede all’art. 111 una specifica regolamentazione riguardante i sepolcri preesistenti all’emanazione del regolamento medesimo, disciplina che dunque ammette la tumulazione di persone non comprese nelle norme concessorie, ma solo a condizione che “nella concessione sia stata usata la espressione generica “per sé e suoi” o simili”. Anche il sopravvenuto regolamento comunale, per AMA, dimostrerebbe così di voler salvaguardare la volontà espressa nelle concessioni cimiteriali ad esso preesistenti.
Con propria memoria i ricorrenti insistono nell’accoglimento del ricorso.
Quanto al difetto di giurisdizione rilevano che l’articolo 133 comma 1 lettere B e C del CPA devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo i giudizi riguardanti atti e provvedimenti relativi e rapporti di concessione di beni pubblici, con l’unica eccezione, estranea al caso di specie, dei rapporti in tema di indennità, canoni ed altri corrispettivi, di quelli attribuiti alla cognizione dei Tribunali superiori delle acque pubbliche.
Rientrerebbe dunque dell’odierno giudizio sotto la cognizione del giudice amministrativo di impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo instaurato giusta presentazione dell’istanza del 25 maggio 2018 di autorizzazione alla tumulazione della defunta figlia da parte dell’odierno ricorrente.
Si aggiunge che nel presente giudizio i ricorrenti impugnano quale atto presupposto anche la concessione cimiteriale numero 518/1921, nella parte in cui individua tra i soggetti beneficiari i soli indicati e nessun altro.
Peraltro, a differenza delle fattispecie nelle quali è stata ritenuta la sussistenza della giurisdizione del GO, nel caso in esame la controversia non riguarda un contrasto fra i titolari della concessione, che sono, anzi, tutti concordi nel consentire la tumulazione della defunta (tanto è vero che hanno, tutti, prodotto il ricorso oggi in decisione), ma concerne il cattivo uso del potere autoritativo di AMA, che nega questa possibilità. Secondo i ricorrenti, trattasi, pertanto, di controversia che attiene al proprium della concessione, del relativo rapporto e degli obblighi da esso derivanti alla luce della disciplina regolamentare (statale e comunale) della materia.
Seguono altre argomentazioni a sostegno del merito, sostenendo la prevalenza dell’art. 93 del regolamento comunale sulle altre disposizioni invocate da AMA, in particolare l’art. 111.
A tale fine eccepiscono peraltro che il richiamo al disposto di cui all’art. 111 del Regolamento comunale integrerebbe una “motivazione postuma” non essendoci alcun cenno alla disposizione nel provvedimento impugnato, come tale argomento inammissibile nell’odierno giudizio.
Nel merito, comunque, si tratterebbe di una interpretazione errata.
Invero, tale disposizione non intenderebbe affatto limitare, per le concessioni previgenti, la possibilità di tumulare nel sepolcro anche familiari non compresi nella norme della concessione, come invece previsto in modo chiaro dai precedenti e sopra ricordati artt.50 e 51, con cui, per tale via, si porrebbe in illogico ed immotivato contrasto, venendo a stabilire regole ingiustificatamente ed irragionevolmente diverse per le concessioni previgenti e quelle successive. Essa, invece, contiene semplicemente una norma di interpretazione volta a dirimere ogni dubbio sul fatto che, per i sepolcri preesistenti alla emanazione del Regolamento, le espressioni generiche sovente contenute nelle risalenti concessioni quali “per sé e suoi o simili” vanno intese come comprendenti tutti i familiari ivi indicati (tra cui tutti i soggetti legati da vincolo di sangue con l’originario concessionario). Si tratterebbe pertanto di una norma di apertura, che amplia i soggetti aventi diritto alle sepolture per atto di concessione privata, e non certo li limita escludendo i familiari. Nel caso del sepolcro familiare G., la possibilità di ampliare la sfera delle salme tumulabili discenderebbe quindi dalla applicazione dei citati artt.50 e 51 del Regolamento, in alcun modo contraddetti sul punto dal successivo art. 111.
Nell’interpretazione della volontà del costituente il diritto di sepolcro, l’espressione “nessun altro” varrebbe ad escludere la tumulazione di terzi estranei al nucleo familiare, salvo il soggetto espressamente nominato (Susanna K.) il cui nominativo infatti precede la locuzione in esame, così confermandone l’intendimento nel senso indicato dai ricorrenti e da essi fatto valere.
AMA replica che il richiamo all’art. 111 non costituirebbe una inammissibile integrazione postuma della motivazione; il divieto di integrazione della motivazione non possiederebbe peraltro carattere assoluto, non sussistendo tale vizio “quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato o si verta in ipotesi di attività vincolata” (cfr., ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, n. 3376/12; Sez. V, n. 4610/12 e n. 4194/13), risultando in tal senso pacificamente ammessa “una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento” (Cons. St., Sez. IV, n. 1018/14, n. 1959/18 e n. 6599/18). Quanto al richiamato art. 111, è evidente come lo stesso consenta la tumulazione di persone non comprese nelle norme concessorie solo a condizione che “nella concessione sia stata usata la espressione generica “per sé e suoi” o simili”, circostanza che non ricorre nel caso di specie. Sul punto non può non ribadirsi come, mediante tale specifica disposizione finale, il sopravvenuto regolamento comunale abbia evidentemente inteso salvaguardare la volontà espressa nelle concessioni cimiteriali ad esso preesistenti.
Che sia questa la corretta esegesi del suddetto articolo si ricava del resto dalla sua collocazione sistematica tra le “Disposizioni generali e transitorie”. La conferma di quanto precede si rinviene altresì nel successivo art. 111-bis, con cui si è prevista l’inapplicabilità delle preesistenti norme concessorie nella parte in cui abbiano previsto il divieto di tumulazione delle figlie femmine coniugate: ciò a riprova del fatto che, laddove il regolamento comunale ha effettivamente voluto superare l’originario contenuto dell’atto concessorio, lo ha fatto attraverso l’introduzione di una specifica normativa espressa, in assenza della quale devono di contro ritenersi pienamente efficaci e applicabili le norme concessorie come originariamente dettate dal fondatore, anche con riferimento alla cerchia dei beneficiari dello ius sepulchri.
Nella pubblica udienza del 22 gennaio 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Nell’odierno giudizio viene all’esame del Collegio una domanda di annullamento degli atti impugnati con i quali l’AMA ha negato ai ricorrenti la tumulazione di una propria congiunta nella tomba di famiglia.
Rileva il Collegio che la parte ricorrente afferma che il sepolcro di interesse avrebbe natura (non ereditaria, ma) familiare o gentilizia. Su tale premessa, prospetta censure che avrebbero ad oggetto il cattivo uso del potere amministrativo e ritiene radicata la propria domanda nella giurisdizione del giudice amministrativo.
In realtà, così come eccepito dalla difesa di AMA, la domanda dei ricorrenti attiene all’accertamento del loro diritto soggettivo di disporre del sepolcro.
Deve rammentarsi, a tale proposito, che la più recente giurisprudenza (cfr. Cassazione civile sez. un. 28 giugno 2018 n. 17122) ha ribadito (in termini) che “Nel sepolcro ereditario lo “ius sepulchri” si trasmette nei modi ordinari, per atto “inter vivos” o “mortis causa”, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre in quello gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo “ius sepulchri” è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari di esso, acquistandosi dal singolo “iure proprio” sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, “iure sanguinis” e non “iure successionis”, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o “mortis causa”, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione “mortis causa”.
Secondo tali principi, ed avendo particolare riguardo alla trasformazione del sepolcro da gentilizio ad ereditario in capo all’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore (vedasi, in proposito, anche Cass.civ. n.7000/1990), osserva il Collegio che la risoluzione della odierna controversia dipende dall’accertamento della situazione giuridica di cui sono titolari gli odierni ricorrenti, avendo riguardo al fatto che essi rappresentano gli ultimi contitolari iure proprio della concessione (essendo nipoti dell’originario concessionario: la concessione del 1921 prevedeva, infatti, che la “tomba sia destinata soltanto alla tumulazione delle salme del concessionario, coniuge e della figlia, dei figli maschi e loro mogli, nonché dei figli o delle figlie nubili dei figli maschi dello stesso concessionario e K. Susanna e nessun altro”); ovvero, va accertato se essi, in quanto ultimi titolari, possono disporne iure successionis, essendosi concentrato in capo a loro lo ius sepulchri.
Tale circostanza è da escludere coinvolga il contenuto pubblicistico dell’atto di concessione, ponendo in discussione il rapporto stesso nel suo aspetto genetico o funzionale e pertanto è strettamente correlata alla cognizione sul rapporto concessorio, così come eccepito dalla difesa di AMA la quale evidenzia che il petitum sostanziale del ricorso avversario, piuttosto che riguardare la contestazione di atti autoritativi (del tutto assenti nel caso di specie) con cui la parte pubblica avrebbe conformato in un certo modo il rapporto concessorio, concerne il preteso riconoscimento della spettanza dello ius sepulchri con riguardo alla de cuius, sicchè la controversia appartiene alla giurisdizione ordinaria.
Quella sollevata da AMA è una eccezione conforme agli orientamenti di giurisprudenza (vedasi in particolare, Cass. II, Sent. 27-09-2012, n. 16430; Cass. Sez. II, Sent., 19-07-2016, n. 14749), secondo la quale il discrimine fondamentale per la determinazione del giudice fornito di giurisdizione deve essere individuato nella posizione giuridica che il privato interessato fa valere, che implica la giurisdizione del giudice amministrativo allorchè la controversia riguardi una fase procedimentale precedente o, comunque, concernente il provvedimento attuativo del beneficio; al contrario, nei casi in cui il rapporto concessorio di una delle parti con la Pubblica Amministrazione costituisca il semplice presupposto storico della controversia tra i privati che non coinvolge in alcun modo l’amministrazione, un problema di difetto di giurisdizione del giudice ordinario non si può neppure porre (v. anche, in generale, Cass. Sez. Un. 4/2/1993, n. 1392; Cass. Sez. Un., 8/1/1992 n. 114; Cass. Sez.Un., 19/4/1990, n. 3269).
Nel caso odierno, atteso che il “petitum sostanziale” trae legittimazione dal diritto soggettivo della parte odierna ricorrente alla tumulazione del proprio congiunto entro un sepolcro del quale intende disporre (sostanzialmente “iure successionis”), è evidente che nessun aspetto delle censure dedotte (salvo l’ultima, articolata in subordine, sulla quale si tornerà oltre) può radicare la giurisdizione del giudice amministrativo sull’odierna controversia, che appartiene alla cognizione del giudice ordinario al quale soltanto spetta di esaminare il fondamento delle censure.
Non vale in contrario quanto argomentato dalla parte ricorrente nelle proprie memorie (vedasi in particolare l’atto depositato il 20 dicembre 2018), secondo cui la cognizione del g.a. sarebbe radicata nelle previsioni di cui agli artt. 133, co.1 lett. b) e c) del cp.a. perché si lamenterebbe il “cattivo uso” del potere (mentre la giurisdizione del giudice ordinario sarebbe giustificata nei casi di contrasto tra più soggetti affermanti la propria titolarità all’uso del sepolcro).
All’evidenza, le note di AMA che vengono contestate dai ricorrenti non scaturiscono da questioni attinenti il rapporto concessorio (che implica la spendita di poteri pubblicistici di tipo conformativo della concessione, vedasi ad esempio la fattispecie di TAR Lazio, II ter, 8 luglio 2015, nr. 9214 oppure Consiglio di Stato, 23 novembre 2018, nr. 6643), ma riguardano la titolarità a disporre del sepolcro, in maniera del tutto analoga ai casi esaminati dalla giurisprudenza della giurisdizione ordinaria cui parte ricorrente si riferisce (essendo meramente occasionale e non sostanziale la differenza di fattispecie tra casi nei quali la titolarità del diritto è contestata tra privati e quella odierna nella quale la medesima titolarità è contestata dall’Amministrazione).
Sotto altro profilo, le censure, sia pure formulate in termini di illegittimità del diniego per contrasto con il regolamento cimiteriale e con lo ius sepulchri della parte ricorrente, attengono pur sempre alla verifica sostanziale dell’ampiezza e dei limiti dello ius sepulchri che parte ricorrente intende esercitare, rispetto alla quale i parametri normativi costituiscono un mero parametro di riferimento secondo l’ordinario schema norma-effetto (e non secondo lo schema proprio dell’interesse legittimo norma-potere-effetto): il primo motivo di ricorso, nel sostenere (sia pure nella premessa della natura familiare o gentilizia del sepolcro) che alla concessione nr. 518/1921 si applichino tutti i successivi atti legislativi e regolamentari (per effetto della dizione ““La concessione è subordinata a tutte le disposizioni contenute nelle leggi, nel regolamento di polizia mortuaria, nel regolamento comunale per i cimiteri ed in quello d’igiene, e nei successivi atti della competente Autorità”), attiene al presupposto dell’esercizio dello ius sepulchri che la parte ravvisa nella propria esegesi delle norme di cui agli artt. 93, comma 1 del D.P.R. n. 285 del 1990 e 50 del Regolamento di Polizia Cimiteriale comunale; il secondo argomento di censura (secondo cui nella sepoltura sarebbero già stati sepolti altri congiunti esterni alla cerchia del concessionario) così come il terzo (secondo cui l’interpretazione della concessione di AMA determinerebbe un risultato incongruo in quanto residuerebbero posti liberi non assegnabili) attengono entrambi ad argomenti esegetici prospettati per connotare sia un comportamento di fatto, tipicamente una delle fonti di interpretazione del contenuto di un rapporto sotto il profilo funzionale e non meramente costitutivo dello stesso, sia ragioni di incongruenza sostanziale della interpretazione del regolamento della fattispecie.
Potrebbe attenere ad aspetti propriamente pubblicistici la quarta censura, dedotta in via subordinata, secondo cui sarebbe illegittimo l’atto concessorio nella misura in cui, limitando le sepolture a “nessun altro” oltre i soggetti espressamente previsti, violerebbe l’art. 93 del DPR n.285/1990 per illegittimità sopravvenuta.
All’evidenza, laddove dovesse intendersi tale censura come domanda di annullamento con effetti costitutivi della concessione “in parte qua”, sussisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo, ma la parte non avrebbe interesse al suo esame: infatti, considerata la possibile consumazione della natura gentilizia del sepolcro di cui si è detto in apertura, ogni verifica circa la applicabilità di tale clausola alla fattispecie dipende dall’accertamento (che è ancora da condursi) circa la consistenza della situazione giuridica dei ricorrenti.
Tuttavia, agli odierni fini di giudizio appare prevalente il fatto che, considerata la natura subordinata della censura, la cognizione della eventuale illegittimità sopravvenuta della clausola è legata strumentalmente all’esercizio dello ius sepulchri e dunque non può predicarsi all’attualità un interesse della parte ricorrente al suo annullamento “in parte qua” separato dalla sepoltura che si richiede; di tale eventuale illegittimità dovrà quindi conoscere – avendo riguardo al petitum sostanziale – ancora una volga l’A.G.O. che, ove ritenuta la perdurante cogenza della clausola, potrà all’occorrenza disapplicarla se riterrà fondato l’argomento di censura della parte ricorrente.
Per tutte queste ragioni, dunque, il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, che va declinata in favore del giudice ordinario ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 11 del c.p.a.
Sussistono evidenti ragioni per disporre la piena compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo che declina in favore dell’AGO ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 11 del c.p.a.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente
Michelangelo Francavilla, Consigliere
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Salvatore Gatto Costantino Pietro Morabito
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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