Tar Campania, Sez. I, 28 novembre 2016, n. 2577

Testo completo:
Tar Campania, Sez. I, 28 novembre 2016, n. 2577

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso, numero di registro generale 2075 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli Avv. Eduardo Sorrentino C. F. SRRDRD60B07G230U e Pasquale Gargano C. F. GRGPQL69L29H703F, con domicilio eletto, in Salerno, al Corso Garibaldi, 164, presso l’Avv. Gargano;
contro
Comune di Pagani, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Serritiello C. F. SRRGPP56M30H703D, con domicilio eletto, in Salerno, alla piazza Sant’Agostino, 29, presso l’Avv. Gaetano Paolino;
per l’annullamento
(atto introduttivo del giudizio)
del provvedimento, prot. 23683 del 9/06/2015, notificato, ai sensi dell’art. 140 c. p. c., il 10/06/2015 e conosciuto dalla ricorrente solo in data 4/09/2015, d’annullamento, in autotutela, del permesso di costruire n. 923 del 21/05/2013, rilasciato dal Comune di Pagani;
se ed in quanto lesiva, della comunicazione d’avvio del procedimento d’annullamento, in autotutela, prot. gen. n. 33415 del 10/11/2014, emessa dal Comune di Pagani e richiamata, per relationem, nel provvedimento d’annullamento;
se ed in quanto lesiva, della proposta, prot. n. 12884/15 del 2/04/2015, formalizzata dal Comune e finalizzata alla composizione degli interessi in conflitto e alla convalida del p. di c.;
di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;
(atto di motivi aggiunti)
per l’accertamento e la declaratoria
della nullità, ex art. 21 septies l. 241/90, del provvedimento tacito di revoca sanzionatoria, relativo alla concessione sepolcrale rilasciata con D. G. M. n. 332 del 5/05/1960, relativamente alle clausole di cui alle lett. c) e d), contenuto e richiamato, per relationem, nel provvedimento prot. 23683 del 9/06/2015, notificato ai sensi dell’art. 140 c. p. c. il 10/06/2015 e conosciuto dalla ricorrente solo in data 4/09/2015, già impugnato con il ricorso principale;
di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pagani;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2016, il dott. Paolo Severini;
Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;
FATTO
La ricorrente, a seguito di domanda di permesso di costruire, prot. 10913 del 28/03/2013, otteneva dal Comune di Pagani il rilascio di uno specifico titolo edilizio (permesso di costruire n. 923 del 21/05/2013), avente a oggetto la realizzazione, nel cimitero cittadino, d’una cappella gentilizia; alla base della richiesta v’era una concessione perpetua di suolo cimiteriale del 1960, rilasciata dal Comune resistente in favore del defunto sig. Buonocore Ettore e dei suoi eredi (D. G. M. n. 332 del 5/05/1960); istruita favorevolmente la pratica, l’Amministrazione approvava il progetto e rilasciava il p. di c., i cui lavori iniziavano il 28/08/2013, e si concludevano in data 11/12/2014; quasi contestualmente alla conclusione dei lavori, l’Amministrazione notificava, peraltro, la comunicazione ex art. 7, l. n. 241/1990, d’avvio del procedimento, finalizzato all’annullamento, in autotutela, del p. di c.; l’intento d’annullare il titolo edilizio, in particolare, era sorretto da due motivi: – 1) in primo luogo, l’Amministrazione riteneva che in capo alla richiedente mancasse il titolo di disponibilità dell’immobile, perché la concessione perpetua doveva ritenersi decaduta, stanti le clausole, di cui alle lettere c) e d) della stessa;- 2) in secondo luogo, l’Amministrazione rilevava che la struttura realizzata non rispondeva, quanto ad elementi architettonici e tipologici, alle caratteristiche, che avrebbero dovuto contraddistinguere tale tipo di struttura; la ricorrente, in data 12/12/2014, con prot. n. 37491A, presentava, allora, un articolato atto di controdeduzioni, chiedendo l’archiviazione del procedimento; nell’aprile 2015, a seguito di un incontro, il Comune di Pagani formulava specifica proposta (nota prot. 12884/2015) di risoluzione bonaria della controversia, secondo la quale il p. di c., asseritamente invalido, poteva essere oggetto di convalida, qualora il privato avesse versato, all’ente, l’importo di € 52.332,00, scomputato della somma, già versata all’epoca dell’originaria concessione ed attualizzata; tale somma rappresentava, in sostanza, il corrispettivo per una nuova concessione del suolo in questione; a tale proposta faceva riscontro una controproposta (del 22/05/2015) da parte della ricorrente, la quale, premesso che nulla era dovuto, offriva al Comune la somma di € 13.000,00, in via transattiva ed esclusivamente pro bono pacis; a tale controproposta faceva seguito il provvedimento impugnato, con cui il Comune annullava, in autotutela, il p. di c. in questione; la motivazione di tale provvedimento rispecchiava quella, di cui alla comunicazione d’avvio del procedimento, come sopra riassunta, ai punti 1) e 2); la ricorrente chiariva, inoltre, che il Comune di Pagani, nonostante avesse ricevuto la comunicazione d’avvio dei lavori, in data 28/08/2013, aveva ritenuto di far proseguire gli stessi e di preannunciare un possibile annullamento, in autotutela, del titolo edilizio, solo a lavori quasi ultimati, in tal modo esponendola ad un esborso economico assai ingente, pari ad € 350.000,00 circa; e, tanto premesso, avverso gli atti e provvedimenti in epigrafe articolava le seguenti censure in diritto:
I) VIOLAZIONE DI LEGGE (violazione e falsa applicazione artt. 2, 3, 7, 9 10 e 21 nonies, l. n. 241/1990 – violazione artt. 24 e 97 Cost.; violazione art. 12 d. P. R. 380/01 e dei principi generali in materia urbanistico – edilizia); ECCESSO DI POTERE (travisamento – errore sul presupposto – illogicità – carenza di potere – sviamento): premesso che le ragioni del provvedimento di secondo grado, oggetto di gravame, erano state le seguenti: – “«al momento della richiesta del permesso di costruire la sig.ra Palma Piscopo non era in possesso della titolarità del diritto per realizzare la cappella in quanto, come si evince chiaramente dalla D. G. M. 332 del 5 maggio 1960, la concessione di suolo al defunto dott. Buonocore Ettore era decaduta, per mancato rispetto delle prescrizioni in essa contenuta: ciò lo si rileva dal combinato del punto “c” del deliberato, ove si legge testualmente “i lavori di costruzione dovranno essere eseguiti a perfetta regola d’arte sotto la direzione e sorveglianza dell’Ing. Comunale e dell’Ufficiale Sanitario, e dovranno essere ultimati entro due anni dall’atto di concessione”; con il punto “d” “la inosservanza di una qualsiasi delle sopra cennate condizioni costituirà motivo di revoca o decadenza della concessione senza bisogno di diffida legale ed amministrativa o comunque di particolare pronunzia dell’Amministrazione Comunale”»; – “«il progetto non è configurabile come “cappella gentilizia ad uso privato”, per il qual scopo il Comune concede i lotti, non rinvenendosi in esso gli elementi architettonici e tipologici che devono contraddistinguere tali strutture, finalizzate, oltre che alla sepoltura dei concessionari e dei loro familiari, al raccoglimento ed alla preghiera. Tale osservazione è supportata dalla impostazione progettuale che prevede un notevole numero di loculi di cui buona parte con accesso dai viali esterni comuni»”; la ricorrente contestava la sussistenza di tali presupposti, per la cui esposizione si rinvia, per ovvii motivi di sintesi, al ricorso;
II) VIOLAZIONE DI LEGGE (violazione e falsa applicazione art. 21 nonies l. n. 241/1990): premesso che il procedimento in autotutela, ex art. 21 nonies l. 241/90 prevede la contemporanea sussistenza di diversi elementi, rappresentati dalla violazione di legge invalidante il provvedimento, dall’interesse pubblico all’espunzione dall’ordinamento, da un termine ragionevole entro cui esercitare l’annullamento e dalla motivazione sull’affidamento del destinatario e del controinteressato (inoltre l’art. 21 nonies, comma 2, l. 241/90 contempla anche una disposizione di “salvezza” degli atti amministrativi, ovvero la possibilità di convalida del provvedimento amministrativo, ancorché illegittimo), la ricorrente sosteneva l’assenza, nella specie, di tali condizioni per l’esercizio del potere d’annullamento in questione, per la cui esposizione, sempre per ovvie ragioni di sintesi, si rimanda alla lettura dell’atto introduttivo del giudizio;
III) VIOLAZIONE DI LEGGE (violazione art. 3, L. n. 241/1990); ECCESSO DI POTERE (difetto di motivazione – erroneità del presupposto – contraddittorietà): con la nota, prot. n. 12884/15 del 2/04/2015, l’Amministrazione invitava la Piscopo a versare l’importo di € 52.332,00 (mq 49 x €/mq 1.068,00), scomputato della somma versata all’epoca della concessione originaria ed attualizzata, quale costo della cessione al valore attuale; in primo luogo, la somma versata nel 1960 ed attualizzata doveva corrispondere esattamente a quanto oggi dovuto per una concessione avente la medesima finalità ed il medesimo oggetto e, se anche la somma oggi dovuta fosse stata legittimamente più elevata (ipotesi tutta da dimostrare), la nota del Comune di Pagani si presentava comunque carente, dal punto di vista del contenuto, tenuto conto che non esplicitava l’ammontare complessivamente dovuto; in secondo luogo, tale “proposta conciliativa” era viziata da contraddittorietà, in quanto l’Ufficio dichiarava che il p. di c. assorbiva la concessione di suolo, la quale, tuttavia, non potrebbe considerarsi validamente rinnovata, spettando la relativa decisione all’organo politico dell’Amministrazione (Consiglio Comunale); contemporaneamente, però, il medesimo Ufficio si riteneva competente a formulare una proposta di € 52.332,00, scomputata di una somma indeterminata; vale a dire che, se il cittadino pagava la cifra di € 52.332,00, diventava competente l’Ufficio o il Settore (Dirigente); mentre, quando occorreva valutare la “rinnovazione” della concessione originaria, allora era competente l’organo politico dell’ente;
IV) VIOLAZIONE DI LEGGE (violazione art. 6 L. n. 241/1990 – violazione del principio del cd. soccorso istruttorio); ECCESSO DI POTERE (difetto di istruttoria): nella specie, il titolare del permesso di costruire ha chiesto un preciso titolo edilizio, ha presentato un regolare progetto, tale progetto è stato valutato in sede istruttoria dal Responsabile del Procedimento e dal Dirigente Responsabile, a seguito dell’istruttoria, è stato rilasciato il titolo ritenendo adeguato quel progetto, v’è stata regolare comunicazione di inizio lavori, in data 28/08/2013, i lavori sono stati ultimati in data 11/12/2014; ma solo il 27/11/2014, l’Amministrazione ha notificato l’inizio del procedimento, teso all’annullamento di tale titolo edilizio; tale modus operandi non poteva che riverberarsi in ordine alle precise responsabilità del Responsabile del Procedimento e/o del Dirigente Responsabile; difatti, nella denegata ipotesi in cui la P.A. avesse ritenuto sussistenti i presupposti e le condizioni per l’annullamento del p. di c., i soggetti sopra citati avrebbero avuto il dovere d’ufficio d’intervenire, fin dal primo momento utile, anziché attendere quasi la fine dei lavori, pena altrimenti la configurabilità, a loro carico, di ben precise responsabilità, e ferma restando, in ogni caso, l’illegittimità del provvedimento gravato, anche sotto tale profilo.
Si costituiva in giudizio il Comune di Pagani, con memoria in cui controdeduceva rispetto alle avverse doglianze, concludendo per il rigetto del ricorso, in quanto infondato (si rinvia alla lettura dell’atto di costituzione, per il dettaglio).
Seguiva il deposito, nell’interesse della ricorrente, di un atto di motivi aggiunti, diretto avverso gli atti, specificati in epigrafe, impugnati, in via tuzioristica, per l’ipotesi che fosse stata considerata valida la tesi del Comune, ovvero che con il provvedimento, gravato in sede d’atto introduttivo del giudizio, si fosse verificata una vera e propria ipotesi di revoca sanzionatoria della concessione sepolcrale del 1960, impugnativa affidata alle seguenti, ulteriori, censure:
I) VIOLAZIONE DI LEGGE (violazione art. 21 septies L. 241/90, in comb. disp. con artt. 1346, 1349 e 1419 co. 1 c. c.): nell’ipotesi in cui fosse stata ritenuta valida la tesi del Comune, di cui sopra, la ricorrente invitava il Tribunale a “scrutinare la liceità della clausola di cui al combinato disposto dei punti c) e d) della citata concessione. In buona sostanza, seguendo le perentorie affermazioni della controparte, il cittadino concessionario avrebbe dovuto (si badi, nel 1960) richiedere una licenza edilizia, aspettare che la stessa P. A. concedente gli rilasciasse la licenza edilizia, costruire i loculi oggetto della concessione. A ben vedere, l’ente concessionario avrebbe stabilito un termine essenziale a pena di decadenza (rectius: revoca sanzionatoria) il cui adempimento, di fatto e di diritto, sarebbe lasciato al suo stesso diritto potestativo. In altre parole, sarebbe bastato che il Comune concessionario, ricevuta la richiesta di licenza edilizia, avrebbe, nemmeno denegato, anche solo rilasciato la licenza in due anni, affinché la stessa concessione sepolcrale a monte, già pagata e ritirata, risultasse soggetta alla “tagliola” della revoca sanzionatoria, per decorso del biennio senza l’esecuzione delle opere” (…) il tutto, si badi, nel 1960, ovvero in un’epoca in cui la legge sul procedimento amministrativo non aveva ancora fissato il termine di conclusione di tutti i procedimenti amministrativi (art. 2 l. 241/90). In buona sostanza, il Comune di Pagani avrebbe rilasciato una concessione amministrativa: fissando un termine perentorio biennale per l’esecuzione di (futuri) lavori, non ancora autorizzati; stabilendo una revoca tacita in caso di mancata esecuzione dei detti lavori; subordinando l’operatività della revoca sanzionatoria al diritto potestativo, rectius alla scelta arbitraria dello stesso Ente concessionario, libero di negare la licenza edilizia o di concederla oltre il biennio” la conclusione della ricorrente era nel senso che: “l’interpretazione fornita dal Comune di Pagani, nei sensi qui esplicitati, non può che condurre ad una nullità parziale della concessione sepolcrale, limitatamente ai punti sub c) e sub d) della concessione di cui alla D. G. M. n. 332 del 5/05/1960”. (…) “Se fosse, infatti, (vero) che i due anni per la conclusione dei lavori decorrevano dal 5 maggio 1960, si sarebbe venuta a determinare una fattispecie di DETERMINABILITÀ DELL’OGGETTO (la venuta ad esistenza della cappella funeraria) RIMESSA AL MERO ARBITRIO DI UNA DELLE PARTI DEL RAPPORTO CONTRATTUALE (nella specie, il Comune di Pagani)”; fattispecie, invero, ritenuta pacificamente inammissibile, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.
Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 22.10.2015, la Sezione accoglieva la domanda cautelare, articolata in ricorso, nel modo che segue: “Rilevato che le questioni dedotte in ricorso vanno delibate approfonditamente nella sede di merito, ma che, per lo stato ormai completo dell’edificazione, occorre pervenire alla decisione di merito “re adhuc integra”, sospendendo, nelle more, gli effetti del provvedimento gravato; Ritenuto che sussistono eccezionali motivi per compensare le spese di fase; P. Q. M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima) accoglie la domanda cautelare, nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto: sospende l’efficacia del provvedimento gravato, fino all’udienza di merito, per la quale fissa l’udienza pubblica dell’8 novembre 2016; compensa le spese della presente fase cautelare”.
Seguiva il deposito di replica sui motivi aggiunti, nell’interesse del Comune di Pagani.
Dopo il deposito di scritto riepilogativo, per la ricorrente, alla pubblica udienza dell’8.11.2016 il ricorso era trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il Collegio osserva che il provvedimento gravato si fonda su due ragioni: la presunta decadenza della concessione funeraria del 1960, per mancato inizio dei lavori di costruzione della cappella gentilizia, entro due anni dalla data della concessione medesima; la dedotta divergenza della cappella funeraria, come realizzata, dai canoni architettonici di edifici di tal specie (il progetto non era configurabile come “cappella gentilizia ad uso privato”, in quanto prevedeva “un notevole numero di loculi di cui buona parte con accesso dai viali esterni comuni”).
La prima ragione, a fondamento dell’esercizio nella specie del potere d’autotutela, richiede al Collegio l’interpretazione, in via ovviamente incidentale, della concessione funeraria del 1960.
Si tratta della deliberazione di G. M., prot. n. 332 del 5.05.60, con cui l’organo esecutivo dell’ente concedeva, in perpetuo, al dante causa della ricorrente “il suolo di cui in narrativa” (dell’estensione di mq. 50) “per la costruzione di una cappella al cimitero comunale”, alle seguenti condizioni (di seguito, dalla lett. a) alla lett. e), enunciate): a) omissis; b) “la costruzione della cappella sarà realizzata dal concessionario in conformità del progetto che dovrà essere preventivamente sottoposto al parere della Commissione Edilizia e, per la concessione della esecuzione dei lavori, lo stesso concessionario dovrà attenersi alle disposizioni riportate nel regolamento comunale per la concessione di suoli e nicchie (…)”; c) i lavori di costruzione (…) dovranno essere ultimati entro due anni dalla data dell’atto di concessione”; d) “l’inosservanza di una qualsiasi delle sopra cennate condizioni costituirà motivo di revoca o decadenza della concessione senza bisogno di diffida (…) e comunque di particolare pronunzia dell’Amministrazione Comunale”; e) omissis.
Orbene, al Collegio appare davvero chiaro – conformemente a quanto ritenuto dalla ricorrente, nella prima censura dell’atto introduttivo del giudizio – che il Comune di Pagani ha erroneamente ricollegato i due anni dalla data dell’atto di concessione, decorsi i quali i lavori di costruzione della cappella avrebbero dovuto essere ultimati, pena la decadenza della “concessione”, alla data della delibera giuntale, testé esaminata, anziché, com’è ovvio, alla data del rilascio della concessione della esecuzione dei lavori, ovvero del titolo edilizio, futuro ed eventuale, legittimante, in concreto, alla realizzazione della cappella medesima.
Non avrebbe avuto alcun senso prevedere, alla lett. b) dell’atto giuntale, una concessione della esecuzione dei lavori, distinta e separata – naturalmente – dalla concessione del diritto ad edificare la cappella gentilizia in questione su suolo cimiteriale, per poi, illogicamente, pretendere che i lavori di costruzione dovessero essere ultimati, entro due anni dalla data della stessa delibera di G. M.: tra l’altro, un tale argomentare confliggerebbe, in maniera palese, con il carattere “perpetuo” della concessione di suolo cimiteriale, contestualmente affermato, dal Comune di Pagani, nell’atto deliberativo del 1960 (laddove, se si accedesse alla tesi dell’ente, lo ius sepulchri, anziché perpetuo, sarebbe invece destinato ad estinguersi nel giro di due anni, ove i lavori non fossero completati, a tale data).
Insomma, il Comune non ha considerato, come avrebbe dovuto, che una cosa è la concessione del suolo cimiteriale, ovvero il trasferimento del diritto d’edificare su suolo, di proprietà del Comune, compreso nel cimitero cittadino, al fine d’erigervi una cappella gentilizia, altra cosa, evidentemente, è la concessione della esecuzione dei lavori, ovvero il titolo, mercé il quale veniva regolato lo svolgimento, in concreto, dei lavori di costruzione de quibus, conformemente (oltre che al relativo progetto), come si legge, sempre nell’atto deliberativo del 1960, alle disposizioni del Regolamento comunale per la concessione di suoli e nicchie nonché “a tutte le altre norme di polizia mortuaria ed igienico – sanitarie”.
Sicché, se alle cennate previsioni della D. G. M. del 1960 vuole darsi una valenza non illogica, le stesse vanno interpretate, nel senso che la decadenza della concessione sepolcrale sarebbe derivata dal mancato completamento dei lavori di costruzione, entro il biennio successivo al rilascio della “concessione della esecuzione dei lavori”, non piuttosto entro il biennio dal rilascio della stessa concessione di suolo cimiteriale, ogni altra interpretazione finendo per tradire il senso dell’atto giuntale in questione, complessivamente considerato (in ossequio, oltretutto, al noto canone ermeneutico, della lettura necessariamente sistematica degli atti negoziali).
Non vale – come il Comune ha fatto, nello stesso provvedimento impugnato – replicare a tali ovvii argomenti, affermando che il biennio d’ultimazione dei lavori doveva, invece, decorrere dal 5.05.1960, ovvero dalla data del rilascio della concessione di suolo cimiteriale, perché “all’epoca della delibera il termine < concessione edilizia > non era stato ancora introdotto”; ovvero perché – come dedotto dalla difesa del Comune – all’epoca il titolo ad edificare era rappresentato dalla licenza edilizia (e quindi si sarebbe dovuto leggere, eventualmente, nell’atto, “entro due anni dalla licenza”): trattasi di argomenti nominalistici, che non mutano la sostanza delle cose e non considerano – a tacer d’altro – che se davvero tale fosse stato l’intendimento del Comune, allora nella stessa delibera di G. M. dovevano essere esplicitate tutte le modalità costruttive della cappella funeraria, il che, ovviamente, non è avvenuto (né poteva avvenire, non essendo stato ancora presentato alcun progetto), con la conseguenza che la lettura, patrocinata dalla ricorrente e accolta dalla Sezione, costituisce l’unica compatibile con la logica e il diritto (oltre che con il buon senso).
D’altronde, se così non fosse, non si spiegherebbe, oltre tutto, per quale ragione il Comune di Pagani non abbia immediatamente revocato, allo spirare del termine biennale dall’emanazione della delibera giuntale in oggetto, la concessione sepolcrale de qua, a cagione della mancata ultimazione dei lavori (come pure avrebbe dovuto fare, accedendo alla sua tesi), e perché abbia atteso quasi l’ultimazione dei lavori, autorizzati (senza alcuna esitazione) con il p. di c. del 2013, per tacitamente revocare una concessione di suolo funerario, emanata (e, tra l’altro, già decaduta, secondo la sua tesi) da oltre cinquant’anni.
È evidente, infatti, con ciò trascorrendo alle ulteriori osservazioni della ricorrente, sempre contenute nel primo motivo di ricorso, che l’intento di revocare, o pronunziare la decadenza, di una concessione funeraria ultra – cinquantennale, avrebbe invece richiesto, da parte del Comune, un’esplicita pronuncia in tal senso, adeguatamente motivata, nonché preceduta dalla comunicazione d’avvio del relativo procedimento, il tutto da esternarsi, ovviamente, prima di procedere all’esame dell’istanza e quindi al rilascio, in favore della ricorrente, del permesso di costruire del 2013, poi oggetto dell’odierno annullamento d’ufficio.
Laddove nessuna di tali modalità di redazione dell’atto, e di tali indispensabili garanzie partecipative è stata, in concreto, adottata dall’Amministrazione, e tanto con buona pace delle regole, tassativamente sancite dagli artt. 3, 7 e 10 della l. 241/1990, oltre che del principio generale dell’obbligo di leale collaborazione tra P. A. e privati.
Trascorrendo al secondo aspetto, in cui s’è estrinsecata la motivazione dell’atto impugnato, vale a dire il dedotto scostamento del progetto, proposto dalla ricorrente, rispetto alle caratteristiche tipologiche ed architettoniche della “cappella gentilizia ad uso privato”, osserva, anzitutto, il Tribunale che s’è in cospetto di un palese difetto d’adeguata specificazione delle norme urbanistico – edilizie, asseritamente violate, atteso che limitare le ragioni della presunta difformità dal modello generale di “cappella gentilizia”, unicamente alla previsione di “un notevole numero di loculi”, di cui “buona parte con accesso dai viali comuni”, non spiega affatto, concretamente, perché, nella specie, ci si sia allontanati da tale paradigma ideale (se pure lo stesso possa dirsi, poi, effettivamente esistente).
Correttamente, a tale riguardo, la ricorrente ha inoltre ricordato che il permesso di costruire “ha carattere vincolato, in quanto, ai sensi dell’art. 12 comma 1, t. u. in materia di edilizia approvato con d. P. R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere negato solamente per contrasto con disposizioni di legge, di strumenti urbanistici o di regolamenti edilizi” (così, tra le tante, T. A. R. Perugia (Umbria), Sez. I, 8/04/2010, n. 236; conforme: T. A. R. Lecce (Puglia), Sez. III, 15/12/2011, n. 2168).
Ne consegue che l’annullamento d’ufficio, posto in essere dall’Amministrazione, avrebbe dovuto specificare quale fosse, concretamente, il contrasto con leggi, strumenti urbanistici o regolamenti edilizi, della cappella in questione, piuttosto che rifarsi a, non meglio precisati, “elementi architettonici e tipologici che devono contraddistinguere tali strutture” funerarie.
Ma c’è di più, perché, ammesso e non concesso che al Comune fosse consentito sindacare profili di tale genere, senza operare le indispensabili specificazioni di cui sopra, in ogni caso le suddette ragioni avrebbero potuto e dovuto fondare, eventualmente, un rigetto dell’istanza di p. di c. in oggetto, piuttosto che sorreggere un annullamento d’ufficio del titolo ad aedificandum già rilasciato, nonché – per di più – ad opere quasi ultimate.
Perché è chiaro che, così invece operando, il Comune di Pagani ha sostanzialmente effettuato un’indebita rivalutazione delle concrete caratteristiche costruttive della cappella votiva da edificare, ritenuta, in seconda battuta, divergente da un presunto modello generale di “cappella gentilizia ad uso privato”, rivalutazione dell’interesse pubblico – di carattere evidentemente discrezionale – che anziché fondare, legittimamente, l’annullamento d’ufficio, avrebbe potuto, al più, essere posta a base d’una revoca, come tale soggetta alle disposizioni, di cui all’art. 21 quinquies della l. 241/90, con conseguente applicazione di tutte le relative regole, ivi compresa, anzitutto, la necessità di liquidare, alla ricorrente, un indennizzo (“Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo”), invece nella specie neppure ipotizzato (anzi, secondo l’amministrazione, era il privato a dover riacquistare, e a caro prezzo, il diritto, di cui era già titolare).
Le considerazioni che precedono fondano ampiamente, ad avviso del Tribunale, l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento di secondo grado, oggetto di gravame.
In ogni caso, s’osserva che sarebbe altresì fondata la seconda censura dell’atto introduttivo del giudizio, in cui parte ricorrente ha denunziato sia la violazione, nella specie, dell’art. 21 nonies della l. 241/90, in tema d’esercizio del potere d’autotutela, sia l’eccesso di potere per difetto di motivazione e contraddittorietà, quanto all’esternazione delle ragioni per le quali il Comune non avrebbe potuto concludere, con la ricorrente, la transazione al prezzo – notevolmente più basso rispetto a quanto preteso dall’ente – offerto, dalla medesima, in un’ottica conciliativa.
Quanto ai motivi aggiunti, stante l’accoglimento del ricorso, per effetto dell’interpretazione prediletta dal Collegio, gli stessi divengono di necessità improcedibili, per sopravvenuta carenza d’interesse (del resto, parte ricorrente li aveva proposti, in via dichiaratamente tuzioristica).
L’accoglimento del ricorso, per le ragioni dianzi espresse, implica la condanna del Comune di Pagani al pagamento, in favore della ricorrente, di spese e compensi di lite, liquidati come in dispositivo, oltre che al rimborso, in favore della medesima, del contributo unificato versato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e sui motivi aggiunti allo stesso, così provvede:
accoglie l’atto introduttivo del giudizio, e per l’effetto annulla il provvedimento, d’annullamento d’ufficio del permesso di costruire, rilasciato alla ricorrente dal Comune di Pagani, ivi impugnato;
dichiara i motivi aggiunti improcedibili, per sopravvenuto difetto d’interesse, nei sensi di cui in motivazione;
condanna il Comune di Pagani al pagamento, in favore della ricorrente, -OMISSIS-, di spese e compensi di lite, che liquida complessivamente in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge, e lo condanna altresì al rimborso, in favore della medesima, del contributo unificato, versato nella misura di € 650,00 (seicentocinquanta/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2016, con l’intervento dei magistrati:
Giovanni Sabbato, Presidente FF
Ezio Fedullo, Consigliere
Paolo Severini, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Paolo Severini
IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato
IL SEGRETARIO

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