Tar Abruzzo, Sez. I, 3 dicembre 2014, n. 481

Testo completo:
Tar Abruzzo, Sez. I, 3 dicembre 2014, n. 481
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 468 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Romeo Di Martile, rappresentato e difeso dagli avv. Pierluigi Vasile, Massimo Di Tonto, Patrizia Silvestri, con domicilio eletto presso Patrizia Silvestri in Pescara, Via G. Misticoni, N.3;
contro
Comune di Chieti, rappresentato e difeso dagli avv. Patrizia Tracanna, Marco Morgione, con domicilio eletto presso Tar Pescara Segreteria in Pescara, Via Lo Feudo 1; Dirigente Settore VII del Comune di Chieti;
nei confronti di
Vittorio Corradi, Renato Corradi, Giulio Francesco Mario Corradi, rappresentati e difesi dall’avv. Marco Cocilovo, con domicilio eletto presso Tar Pescara Segreteria in Pescara, Via Lo Feudo 1;
per l’annullamento
della delibera n. 1610 del 27 agosto 2013 con la quale la G.C. del Comune di Chieti ha annullato in autotutela la delibera di G.M. n. 3567 del 15.10.1992 con la quale era stato concesso al ricorrente il subentro nella titolarità della costruzione privata di una cappella sita nel vecchio cimitero.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Chieti, di Vittorio Corradi, di Renato Corradi e di Giulio Francesco Mario Corradi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2014 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi gli avvocati Patrizia Silvestri per la parte ricorrente, Patrizia Tracanna per l’Amministrazione resistente, Nadia Di Domenico su delega dell’avvocato Marco Cocilovo per i controinteressati;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con la delibera impugnata (n. 1610 del 27 agosto 2013), la Giunta comunale di Chieti ha annullato la sua precedente delibera n. 3567 del 15 ottobre 1992, con la quale era stato concesso all’odierno ricorrente il “subentro nella titolarità della costruzione privata tipo cappella sita nella zona 1aD del vecchio cimitero”.
Detta struttura privata è stata realizzata su concessione rilasciata il 21 febbraio 1957 al sig. Mario Puglielli dal Comune di Chieti appunto per la costruzione di una cappella gentilizia sul suolo del cimitero comunale. In detto atto concessorio sono altresì indicate in modo specifico le persone che da morte avrebbero potuto essere inumate nella cappella. E difatti tali persone sono state ivi sepolte.
Il sig. Mario Puglielli, poi, privo di eredi legittimari all’atto della morte, con testamento pubblico n.83 del 29 maggio 1987 ha nominato quale suo erede universale l’odierno ricorrente onerandolo tra l’altro, oltre che dell’assistenza vitalizia anche abitativa a richiesta, di provvedere “con ogni cura alla manutenzione anche straordinaria della cappella gentilizia nel cimitero di Chieti curandovi altresì la mia sepoltura” e disponendo poi che “la cappella se e in quanto possibile ai sensi delle disposizioni vigenti all’epoca della mia morte passerà in proprietà del mio erede istituito ma questi non potrà in alcun modo modificarne la destinazione e cioè dovrà rispettare le sepolture dei miei familiari ivi poste”.
In forza di tali disposizioni di ultima volontà il ricorrente ha ottenuto appunto il subentro nella titolarità della cappella, con la deliberazione n. 3567 del 1992 della Giunta comunale di Chieti.
Il medesimo Comune poi non considerando tale precedente atto concedeva con delibera G.M. n. 2040 del 24 settembre 2012 agli odierni controinteressati, nipoti di Mario Puglielli, in quanto figli della sorella, il subentro nella titolarità della cappella.
Sicchè il ricorrente proponeva istanza di annullamento di tale delibera in autotutela, a cui il Comune di Chieti provvedeva con determina dirigenziale n. 1390 del 21 agosto 2013 “in attesa di un successivo pronunciamento in merito alla concessione della titolarità della cappella de quo ai soggetti titolari del diritto”, per poi annullare con la delibera qui impugnata (n. 1610 del 27 agosto 2013) il provvedimento di subentro in favore del ricorrente, e successivamente concedere con la determina dirigenziale n. 1766 del 9 ottobre 2013 (impugnato con motivi aggiunti) il subentro nella titolarità della concessione della cappella proprio agli odierni controinteressati sulla base della richiesta dai medesimi avanzata in data 24 settembre 2013.
Il ricorrente ritiene che la titolarità e l’uso della cappella gentilizia possa essere trasferita per testamento, sulla base dell’articolo 93 del d.p.r. n. 285 del 1990 vigente ratione temporis, e del regolamento comunale di polizia mortuaria n. 1031 del 13 luglio 1989 (del resto espressamente richiamato dal Comune di Chieti proprio nella concessione in suo favore del 1992) che contemplava esplicitamente il subentro per testamento per le tombe a terra ma che il Comune medesimo applicava per analogia anche per le cappelle gentilizie in concessione perpetua sul sito cimiteriale.
L’Ente locale resistente pertanto avrebbe errato annullando un atto del 1992 sulla base di una disciplina intervenuta solo successivamente cioè sulla base dell’articolo 28 e 29 del regolamento comunale di polizia mortuaria n. 117/160 del 29 dicembre 1994 (come si evince dalla delibera impugnata infatti il Comune ha considerato che l’allora vigente regolamento comunale di polizia cimiteriale n. 866/867 del 3 novembre 1938 non conterrebbe riferimenti alle procedure di subentro e che il successivo regolamento comunale n. 1031 del 13 luglio 1989 avrebbe previsto la santoria dei subentri solo per le tombe a terra ma non per le cappelle gentilizie; sicchè per ritenere fondata la pretesa dei controinteressati nipoti del de cuius ha fatto appello agli articoli 28 e 29 del sopravvenuto regolamento comunale n. 117/160 del 29 dicembre 1994, “riconfermati dagli articoli 18 e 19 del regolamento comunale di polizia cimiteriale n.150 del 15 febbraio 2011”).
Ritiene inoltre che non vi sarebbe neanche il contrasto con gli articoli 28 e 29 del successivo regolamento comunale del 1994, poiché essi dispongono rispettivamente che “in caso di decesso del concessionario di una sepoltura privata i discendenti legittimi e le altre persone che hanno titolo sulla concessione sono tenuti a darne comunicazione….per aggiornamento della intestazione” e che “il subentrante, nell’ambito dei diritti provenienti dalla intestazione della concessione, può disporre, nel periodo residuo della prima concessione e fatti salvi i diritti di tumulazione acquisiti dalle persone indicate dal primo concessionario, dei posti liberi non espressamente destinati nel primo atto concessorio…”.
Sempre secondo il ricorrente, mancherebbero anche i presupposti di cui all’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990, per provvedere all’annullamento in autotutela della delibera di subentro in suo favore, atteso che tra l’altro sono passati quasi 20 anni da detto subentro prima che il Comune riesaminasse detti titoli e prima che i nipoti del de cuius reclamassero le chiavi della cappella.
Con motivi aggiunti, poi il ricorrente ha impugnato il provvedimento dirigenziale n.1766 del 9 ottobre 2013, con il quale il Comune resistente ha disposto il subentro nella titolarità della cappella in favore degli odierni controinteressati.
Secondo il ricorrente, quest’ultimo provvedimento sarebbe viziato in via derivata, ma anche per vizi propri, e ciò poichè in base al regolamento approvato nel 1994 la domanda di subentro doveva essere presentata entro 2 mesi dal decesso, mentre in base a quello vigente n.150 del 2011 entro un anno sempre dal decesso; in ogni caso, quindi, essi sarebbero decaduti, sicchè il Comune non avrebbe potuto disporre il subentro nei loro confronti.
All’udienza del 6 novembre 2014 la causa è passata in decisione.
Il ricorso è fondato.
Il Comune si difende ritenendo che, nel caso di specie, si tratterebbe di sepolcro familiare e non ereditario e quindi il diritto ad essere tumulati spetterebbe solo iure sanguinis agli eredi del fondatore e non sarebbe disponibile per atti inter vivos o mortis causa.
Semplificando, occorre innanzitutto distinguere il diritto personalissimo di visita sepolcrale (per esercitare la pietas verso il defunto; cd. diritto di sepolcro secondario) che appartiene a tutti gli eredi del defunto e non può essere oggetto di atti di autonomia privata, né può essere impedito o limitato in alcun modo.
V’è poi il diritto di proprietà sull’edificio sepolcrale, il quale, in quanto assimilabile ad un diritto reale di superficie su suolo pubblico, è di norma disponibile, salva la necessità della voltura della concessione cimiteriale.
In teoria, quindi, ove non vi ostassero disposizioni dei regolamenti cimiteriali, vi potrebbero essere soggetti titolari del diritto di superficie e subentrati nella concessione i quali non abbiano tuttavia il diritto di sepolcro cd. primario, cioè di essere seppelliti in quella cappella.
V’è poi appunto il diritto ad essere sepolti in una cappella (cd. diritto di sepolcro primario), il quale si ritiene abbia pur sempre carattere reale (seppure ad esercizio postumo, per mezzo di familiari o della pubblica Autorità), e che si può trasmettere per atto mortis causa o inter vivos oppure solo iure sanguinis, a seconda, rispettivamente, che si tratti di un sepolcro ereditario oppure familiare.
Ciò che decide se, nel caso di specie, il sepolcro è familiare (o gentilizio) oppure ereditario, è la volontà del fondatore, cioè di colui che realizza il sepolcro e gli imprime una destinazione.
Nel caso di specie, anche al di là del nomen iuris (cappella gentilizia di famiglia, appunto) utilizzato nell’atto di concessione del 1957 in favore del primo concessionario-costruttore della cappella Puglielli Mario, quest’ultima concessione viene rilasciata per l’inumazione di 5 persone ben definite e specificate appartenenti alla famiglia, con esclusione di altri.
Si tratta quindi indubbiamente di un sepolcro cd. familiare.
Difatti emerge una precisa volontà del fondatore che esso si trasferisca automaticamente solo a determinate e indicate persone che a lui sono legate da vincoli di sangue (circostanza che ha determinato tra tali specifici titolari il sorgere di una comunione indivisibile, che esclude ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche del medesimo fondatore).
Tuttavia, alla morte dell’ultimo degli aventi diritto, termina tale particolare forma di comunione, e lo “ius sepulchri” si trasforma da familiare in ereditario (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 7000 del 2012).
In tal senso, deve essere intesa, ad avviso del Collegio, la volontà del fondatore, nel senso cioè di mantenere come familiare il sepolcro fino alla sepoltura dell’ultimo avente diritto, disponendo poi che, compiuta e fatta salva tale destinazione familiare, la proprietà del sepolcro sarebbe passata al suo erede, ivi incluso, s’intende, il diritto di sepoltura, sempre dopo la sepoltura dell’ultimo familiare indicato e con l’obbligo di rispettare tali sepolture.
Nella disposizione testamentaria indicata dal ricorrente egli è beneficiario del diritto di proprietà del sepolcro, che del resto è strumentale alla cura e manutenzione del sepolcro stesso, salvo il limite di non poter in alcun modo modificarne la destinazione e cioè rispettare le sepolture dei suoi familiari ivi poste, vale a dire mantenerne la sua destinazione familiare nei limiti delle sepolture già effettuate e indicate nell’atto di concessione originario (5 oltre il concessionario-fondatore).
Nel caso di specie, in conclusione, non v’è alcun dubbio che il ricorrente sia legittimamente subentrato nella concessione cimiteriale del suo dante causa; né nella disciplina richiamata dal Comune si rinviene alcuna preclusione alla disponibilità mortis causa.
Infatti, per le ragioni indicate, il ricorrente stesso è un avente titolo, e la concessione non era scaduta al momento del subentro.
Inoltre, per il cd. principio di doppia conformità, non può essere annullato un atto se è conforme alla disciplina del tempo in cui è stato adottato o a quella del momento di adozione dell’atto di autotutela.
Occorre quindi aver riguardo, sebbene solo se a favore della legittimità della delibera di subentro del 1992, anche al regolamento cimiteriale vigente al momento dell’adozione dell’atto impugnato di annullamento della concessione del subentro.
Non avrebbe alcun senso annullare un atto che è attualmente conforme al diritto positivo, cioè se in base ai vigenti regolamenti l’atto di autonomia privata in questione legittimerebbe il subentro.
Del resto, poi, lo scopo dei regolamenti comunali non è quello di limitare l’autonomia privata, ma quello di regolamentare i casi in cui le disposizioni valide sul piano del diritto privato hanno effetto ai fini del subentro nella concessione cimiteriale, cioè sono titolo per richiederla, e quindi non si può fare riferimento al regolamento vigente al momento dell’apertura della successione, per vedere se la disposizione testamentaria era valida ed efficace.
Premesse tali considerazioni, appare per ciò solo illegittima la motivazione del provvedimento impugnato laddove si fa riferimento appunto ai regolamenti vigenti all’atto della concessione del subentro della titolarità nei confronti del ricorrente, per affermare che quello del 1938 non contemplava la possibilità del subentro e quello del 1989 l’ha previsto solo per le tombe a terra.
Per il richiamato principio di doppia conformità, difatti, è sufficiente (ai fini della illegittimità dell’annullamento) che il regolamento vigente all’atto dell’adozione del provvedimento di autotutela impugnato consenta il subentro che l’Amministrazione ha invece inteso annullare.
E proprio nel provvedimento impugnato si sostiene che l’istituto del subentro è stato poi regolamentato e quindi consentito espressamente con gli articoli 28 e 29 del regolamento n. 160 del 1994 confermati dagli articoli 18 e 19 del regolamento n. 150 del 2011, per tutti i tipi di concessioni cimiteriali.
Analizzando gli articoli 18 e 19 del regolamento n. 150 del 2011, secondo un’interpretazione ragionevole e conservativa, non può che intendersi che al primo concessionario sia riconosciuto lo stesso potere di disporre che viene riservato espressamente al primo subentrante dall’articolo 19 (“il subentrante, nell’ambito dei diritti provenientegli dalla interstazione della prima concessione, può disporre, nel periodo residuo della prima concessione e fatti salvi i diritti di tumulazione acquisiti dalle persone indicata dal primo concessionario, dei posti liberi presenti nel manufatto non espressamente destinati nel primo atto concessorio”).
Infatti, nell’articolo 18, è dato leggere che “in caso di decesso del concessionario di una sepoltura privata, i discendenti legittimi e le altre persone che hanno titolo alla concessione…sono tenuti a darne comunicazione….richiedendo contestualmente la variazione per aggiornamento dell’intestazione della concessione in favore degli aventi diritto”.
Si desume cioè che il titolo sulla concessione non spetta solo in virtù dello status di discendente legittimo (“e le altre persone”).
In sintesi, l’odierno ricorrente si trova nel caso di specie nella situazione legittima di primo subentrante con tutti i poteri che gli derivano in base all’articolo 19 cit., e ciò all’evidenza si concilia perfettamente con il titolo di provenienza, vale a dire con il contenuto della disposizione testamentaria più volte citata.
Di qui l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per le ragioni indicate in motivazione.
Condanna il Comune resistente e i controinteressati al pagamento, in solido tra loro, della somma complessiva di euro 3000/00 in favore del ricorrente, a titolo di spese processuali, oltre iva, cpa, spese generali e contributo unificato come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente
Alberto Tramaglini, Consigliere
Massimiliano Balloriani, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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