TAR Toscana, Sez. II, 11 marzo 1998, n. 253

Norme correlate:
Art 2 Decreto Legislativo n. 114 del 98
Art 5 Decreto Legislativo n. 114 del 98
Art 2 Decreto Legislativo n. 114 del 986

Massima:
TAR Toscana, Sez. II, 11 marzo 1998, n. 253
Poiché la l. n. 266 del 1991 sul volontariato consente l’esercizio di attività commerciali marginali, ed in assenza di una disposizione di legge che preveda espressamente un’incompatibilità fra esercizio in via continuativa di attività commerciale ed attività di volontariato, non può essere negata alle associazioni di volontariato l’iscrizione al Rec o l’autorizzazione commerciale per la vendita di articoli funerari.

Testo completo:
TAR Toscana, Sez. II, 11 marzo 1998, n. 253
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
DELLA TOSCANA
II Sezione ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso n. 108/96 proposto dalle ditte Misuri A. & I., R. G. s.n.c., Del C. S. e M., e M. D. e Comm. Nedo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avv. Francesco Massimo Pozzi ed elettivamente domiciliate in Firenze, Borgo Pinti n. 80, presso lo studio dello stesso;
CONTRO
la Camera di Commercio Industria, Artigianato ed Agricoltura di Livorno, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Calogero Narese ed elettivamente domiciliata in Firenze, via dell’Oriuolo n. 20, presso lo studio dello stesso;
e nei confronti
di B. R. e della Venerabile Arciconfraternita di Misericordia di Livorno, in persona del rappresentante legale pro tempore, non costituitisi
PER L’ANNULLAMENTO
dei provvedimenti con i quali la C.C.I.A.A. di Livorno ha disposto con decorrenza 25 agosto 1995 l’iscrizione nel REC della Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Livorno e del preposto della stessa B. R.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della CCIAA e lo scritto difensivo dalla stessa prodotta;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza dell’8 gennaio 1998 il relatore consigliere Maurizio Nicolosi ed
Uditi, altresì, l’avv. A. Cuccurullo, delegato dall’avv. Pozzi, e l’avv. Falorni, delegato dall’avv. Narese;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in esame, notificato il 29 dicembre 1995 e depositato il 9 gennaio seguente, le nominate ricorrenti, esercenti da molti anni nel territorio livornese l’attività di trasporto funebre correlata a quella di commercializzazione di articoli ed arredi funebri, hanno impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati e ne hanno chiesto l’annullamento, spese ed onorari vinti, per i seguenti motivi:
Violazione e/o falsa applicazione degli artt.1 e 2 della legge 11 giugno 1971 n. 426 – Violazione dell’art. 5, primo comma lett. g) della legge 11 agosto 1991 n. 266 – Violazione dell’art. 1 del D.M. Finanze 25 maggio 1995 – Eccesso di potere per illogicità manifesta, carenza di istruttoria e di presupposti.
Secondo le norme rubricate solo in via marginale le associazioni di volontariato potrebbero ritrarre da attività propriamente commerciali le risorse economiche necessarie al loro funzionamento ed allo svolgimento dei loro compiti. Ciò coerentemente alla caratteristica di tali associazioni che operano nella società senza fini di lucro.
Il concetto di marginalità imporrebbe che l’attività commerciale debba svolgersi in modo del tutto occasionale e senza una organizzazione imprenditoriale che si ponga in concorrenza con gli operatori commerciali del settore interessato dall’attività marginale medesima.
Non vi sarebbero, quindi, nei confronti della controinteressata i presupposti per l’iscrizione al REC ed il rilascio dell’autorizzazione commerciale.
Costituitosi per la C. C.I.A.A., l’avv. Narese ha depositato in data 23 dicembre 1997 una memoria con la quale ha sostenuto la doverosità dell’iscrizione al REC da parte della C.C.I.A.A. medesima.
All’udienza pubblica dell’8 gennaio 1998 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso e infondato.
Nell’unico articolato motivo dedotto, le ditte e società ricorrenti sostengono sostanzialmente che le associazioni di volontariato, iscritte nell’apposito registro ai sensi della l.r. 26 aprile 1993 n. 28, giusta i principi posti dalla legge 11 agosto 1991 n. 266, possano svolgere attività commerciali e produttive marginali al solo fine di trarre da esse le risorse necessarie al loro funzionamento e che, pertanto, non possano essere iscritte al REC né titolari di autorizzazione commerciale per la vendita di articoli funebri, presupponendo ciò l’esercizio professionale di un’attività commerciale ontologicamente incompatibile sia con il concetto di marginalità che con gli scopi solidaristici professati.
Il Collegio osserva che per la soluzione della questione suesposta si debba avere riguardo alla legge quadro sul volontariato 11 agosto 1991 n. 266.
Tale ha qualificato l’attività di volontariato come funzione di rilevante valore sociale, espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo da tutelare per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale (art. 1).
In tale ratio ha configurato come attività di volontariato quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte (art. 2) ed ha individuato come organizzazioni di volontariato ogni organismo, liberamente costituito al fine dello svolgimento delle attività indicate nell’art. 2, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti (art. 3). Lo stesso articolo tre, al comma due, recita che tali organizzazioni possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico.
In tale quadro normativo si può essere concordi in via di principio con le ricorrenti che l’esercizio di tutte le attività svolte dalle organizzazioni in questione, al di la dei settori di intervento in cui sono particolarmente specializzate, debba essere coerente con i limiti derivanti dalla natura e dallo scopo delle organizzazioni medesime.
L’esercizio di un’attività commerciale, seppure non vietata specificamente, non potrebbe dirsi coerente con lo scopo indicato nello statuto di un’associazione privata che si ispira a principi solidaristici e comunque con la ratio della legge sul volontariato laddove avvenisse con carattere di professionalità (con impiego quindi di adeguata organizzazione e pubblicità) nei confronti di soggetti terzi estranei all’associazione, in modo da risultare – tale attività – concorrente per intensità con quella di volontariato, tanto da sottrarne impegno e risorse. Ciò non tanto perché l’attività commerciale presuppone uno scopo di lucro che confligge con i principi solidaristici, potendo gli utili essere riversati a beneficio delle attività volontaristiche; quanto per la ragione che in tal modo l’associazione occulterebbe nella forma giuridica associativa una veste commerciale che finirebbe per aggirare il limite del secondo comma, che vieta l’assunzione di forme giuridiche incompatibili con lo scopo solidaristico professato (l’art. 2249 del c.c. fa peraltro obbligo alle figure societarie che hanno ad oggetto l’esercizio di un’attività commerciale di costituirsi secondo uno dei tipi regolamentati dai capi III e seguenti: da s.n.c. in poi), e disattenderebbe l’altro limite imposto dalla legge quadro all’art. 5. Com’è noto tale articolo, nell’individuazione le risorse economiche per il funzionamento delle organizzazioni di volontariato, indica al comma primo, lett. g), le entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali: ossia attività che escludono il carattere della prevalenza o concorrenza di iniziative professionali economiche proprie dell’imprenditore, quale definito dall’art. 2082 del cc..
La Sezione ha già avuto modo di osservare nella sentenza 29 aprile 1995 n. 219, pronunciata su uria controversia che ha visto contrapposte le parti in causa, che i termini di imprenditore commerciale e di impresa vogliono definire e precisare non una qualificazione propria del soggetto che svolge una determinata attività, bensì una specifica attività concretamente svolta secondo i parametri oggettivi indicati negli artt. 2082 e 2195 del c.c.. Di modo che va assimilato all’imprenditore quanto meno ai fini del regime delle iscrizioni ed autorizzazioni previste dalla legge 11 giugno 1971 n. 426 – quel soggetto che pur non svolgendo formalmente un’attività commerciale professionale, acquisti tale veste dall’esercizio di fatto di tale attività, a nulla rilevando che questi sia un ente morale privato privo di scopo di lucro (il fine di lucro è implicito in ogni attività economica nel senso che ogni attività economica, per essere proficua, deve necessariamente non essere esercitata in perdita; esso, come si è già osservato, può avere rilievo solo in ordine alla forma societaria da assumere giusta gli artt. 2247 e 2249 c.c.), e che l’attività dallo stesso svolta sia marginale e compatibile con i fini delle tavole statutarie (come nel caso che ne occupa).
Tutto ciò non esclude, però, che compatibilmente ed in stretto collegamento con gli scopi e le attività solidaristiche individuate dalla legge (e dallo statuto), e ferma restando la strumentalità rispetto al reperimento (attraverso anche gli eventuali utili dell’attività commerciale) delle risorse economiche per il loro funzionamento e lo svolgimento delle attività istituzionali per le quali sono state costituite, le organizzazioni private di volontariato possano svolgere, anche nei confronti dei terzi e non necessariamente nei confronti dei soli soci od aderenti (in tal caso non si potrebbe parlare di attività commerciale vera e propria), in forza dell’art. 5 della legge 266 del 1991, un’attività commerciale collaterale marginale ossia, come è desumibile dalla definizione data dal vocabolario della lingua italiana, limitata e non determinante, quale e quella condotta nell’ambito delle prestazioni afferenti alle esequie ed alla pietas nel confronti dei defunti, in cui molte associazioni di ispirazione religiosa hanno tradizionalmente curato da sempre un apposito servizio.
Le disposizioni del Ministero delle Finanze contenute nel decreto del 1995, alle quali si richiamano le ricorrenti, non introducono affatto una definizione nell’ambito delle attività marginali indicate dall’art. 5 della medesima legge 266/91, ma provvedono solo ad indicare quali attività sono ammesse al regime fiscale agevolato in relazione all’art. 8, comma 4, della legge 266/91. Esse non sono, quindi, incompatibili con la soluzione ora delineata, in quanto le attività commerciali che non dovessero rientrare nelle tipologie elencate nel decreto medesimo sarebbero soggette al normale regime di tassazione previsto per le ordinare transazioni commerciali. Sulla materia occorre comunque ora fare riferimento alla recentissima disciplina varata con il decreto legislativo 4 dicembre 1997 n. 460 di riordino del regime tributano applicabile agli enti non commerciali ed alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, la quale, ad un primo sommano esame sembra al Collegio confermare quanto ora sostenuto.
Il concetto di marginalità non ricomprende concettualmente (come erroneamente sostenuto nel ricorso) quello di occasionalità, che non menzionato, infatti, nella legge sul volontariato.
Non vale dare rilievo in proposito alla gratuita delle attività prestate nell’ambito del volontariato, in quanto la gratuita e propria delle prestazioni degli aderenti alle associazioni che devono provvedere ad organizzare le attività di volontariato La gratuità, in pratica, va rapportata alla spontaneità ed ambedue i requisiti ineriscono alla natura del rapporto esistente fra aderenti ed associazioni che può definirsi di collaborazione, ma mai di lavoro subordinato (il che esclude l’ammissibilità di qualsiasi rivendicazioni degli aderenti sul piano del trattamento economico e previdenziale).
Né vale rilevare l’implicito beneficio che conseguirebbero le associazioni di volontariato da un’attività commerciale riguardante la fornitura di arredi funebri a costi inferiori a quelli praticati dalle ditte commerciali del settore grazie anche al particolare regime fiscale. Ciò in quanto le disposizioni ministeriali contenute nel D.M. del maggio 1995 vietano l’uso di mezzi organizzati professionalmente per fini concorrenziali e quindi l’impiego di qualsiasi forma pubblicitaria, insegna o marchio di distinzione dell’impresa che possa dare luogo a concorrenza sleale od il ricorso ad intermediari. Ma nel caso di specie, ribadito sempre che trattasi di disposizioni aventi effetti sul piano del regime di tassazione, non viene denunciato l’uso dei mezzi in questione.
Senza dire poi che i proventi delle vendite non vanno a beneficio diretto e proprio delle associazioni, ma sono utilizzati interamente per gli scopi di volontariato: quindi manca del tutto il requisito dell’ingiustificato arricchimento che deve derivare da una violazione del principio di corretta concorrenza.
Dall’insieme delle suesposte considerazioni il Collegio ritiene, in definitiva, che in vigenza di un disposto normativo che consente espressamente l’esercizio di attività commerciali marginali e – di contrapposto – in assenza di una disposizione di legge che preveda espressamente un divieto od un’incompatibilità fra esercizio in via continuativa di attività commerciale ed attività di volontariato, non possa la C.C.I.A.A. od il Sindaco legittimamente rifiutare, rispettivamente, l’iscrizione ai REC o l’autorizzazione commerciale per la vendita degli articoli in parola alle quali la legge 426 del 1971 subordina inderogabilmente l’esercizio dell’attività commerciale medesima.
Vi è da affermare semmai, a completamento di quanto sino ad ora detto ed osservato, che laddove dovesse emergere che un’associazione di volontariato eserciti professionalmente un’attività commerciale in maniera concorrente se non prevalente rispetto a quella di volontariato, sussisterebbero i presupposti per la cancellazione dell’associazione dall’albo delle organizzazioni di volontariato per la già evidenziata incompatibilità con i fini indicati dalla legge quadro sul volontariato (si veda l’art. 6 della legge 266 del 1991 e l’art. 15 l.r. 28 del 1993). Ma una tale evenienza agirebbe comunque non sul piano del regime autorizzatorio dell’attività commerciale (e quindi in termini di illegittimità dell’iscrizione al REC o dell’autorizzazione rilasciata o del mancato loro ritiro), bensì su quello della vigilanza sull’attività svolta dall’associazione di volontariato ai fini dell’eventuale esercizio del potere sanzionatorio della Regione.
In conclusione, il ricorso è infondato e va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza secondo la liquidazione operata nel dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana Sezione 2^, rigetta il ricorso in epigrafe indicato.
Condanna le ricorrente al pagamento in solido, in favore dell’Amministrazione resistente, degli onorari e delle spese di giudizio che liquida in £. 2.000.000.= (duemilioni). Nulla per la controinteressata non costituita.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio dell’8 gennaio 1998, con l’intervento dei signori giudici:
Eugenio LAZZERI Presidente
Maurizio NICOLOSI Consigliere estensore
Giacinta DEL GUZZO Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 11 MAR 1998

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