TAR Lazio, Sez. II bis, 10 maggio 2005, n. 3481

Riferimenti: Cass. civ., II, 29/9/2000, n. 12957

Testo completo:
TAR Lazio, Sez. II bis, 10 maggio 2005, n. 3481
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione Seconda bis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. Reg. Gen. 5911 del 2002 proposto da P. B., rappresentata e difesa dall’avv. M. G. Andreuzzi ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, v. Antonio Allegri 1, per delega in calce all’atto introduttivo;
contro
Comune di M., in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. ti E. Picozza e A. Di Giovanni, congiuntamente e disgiuntamente ed elettivamente domiciliato presso gli stessi in Roma, v. di San Basilio n. 61;
e nei confronti
Di B. R. M., T. P., T. G., T. P., rappresentate e difese dall’avv. A. Pasqualone, giusta delega a margine dell’atto di costituzione ed elettivamente domiciliate in Roma, P.le Clodio n. 18 presso lo studio dell’avv. Ragazzoni;
per l’annullamento dell’atto amministrativo ord. 127 prot. 10360 del Responsabile del Servizio urbanistico ed assetto del Territorio del Comune di M. del 18.1.2002, notificato alla ricorrente 7.3.2002, con cui era annullata l’autorizzazione comunale indicata in 52433 del 13.11.2001 (in luogo di 52326), per eseguire lavori di ampliamento in profondità della tomba di famiglia e monumento funerario al campo C, di mq. 2,50 per la creazione di n. 2 nuovi posti per un totale di n. 4 posti e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale;
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTI gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione e dei controinteressati;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI gli atti tutti della causa;
Nominato relatore, alla pubblica udienza del 13.1.2005, la Dott. Solveig Cogliani;
Uditi i procuratori delle parti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente esponeva di aver presentato in data 24.8.2001 – prot. Gen. 39534 – domanda di autorizzazione a far eseguire i lavori di ampliamento della tomba di famiglia e del monumento funerario sita nel cimitero di M., al campo C, al fine di creare due nuovi posti per un totale di quattro.
Riceveva parere favorevole della ASL RM H e dall’Ufficio comunale otteneva il consenso espresso del Dirigente del Servizio Urbanistico ed Assetto del Territorio in data 14. 9. 2001, cosicchè in data 8.5.2000 la stessa sottoscriveva un contratto di concessione di voltura di area cimiteriale e in data 13.11.2001 il comune autorizzava ad eseguire i lavori di ampliamento della tomba di famiglia.
Evidenziava la stessa che a seguito di tali atti, aveva provveduto a sottoscrivere con un’impresa un contratto di appalto per la realizzazione dei predetti lavori.
Esponeva che, però, in data 18.12.2001, il Comune di M. protocollava una raccomandata inviata in rappresentanza delle odierne controinteressate con cui le stesse comunicavano di essere proprietarie uniche della tomba.
Il Responsabile del Servizio di urbanistica ed Assetto del Territorio annullava l’autorizzazione di cui sopra, sulla base delle seguenti considerazioni:
– sia Di B. R. M., avente causa da T. F., che P. B. anvente causa da P. G. B., sono legittimati ad esercitare il diritto di sepolcro sulla tomba in oggetto entro i limiti della quota ereditaria, come evidenziato nel parere legale assunto;
– l’autorizzazione era stata rilasciata sulla scorta di una dichiarazione sostitutiva dalla quale risultava che i diritti di sepolcro erano di esclusiva pertinenza della ricorrente e non tenendo conto della posizione dei menzionati controinteressati.
La ricorrente deduceva che il provvedimento era viziato per i seguenti motivi:
1) vizio di eccesso di potere, da sviamento per errore nei presuposti di fatto e violazione di legge;
2) eccesso di potere, violazione di legge, falsa applicazione delle norme sullo ius sepulchri primario ed ereditario, difetto di motivazione;
3) illogicità o contraddittorietà dell’atto, violazione di legge.
Sotto il primo aspetto, sosteneva che il Comune aveva annullato l’autorizzazione sul presupposto – asseritamente errato – che le controinteressate, essendo succedute mortis causa a T. R. – erede di T. F., vedova P. – fossero titolari del sepolcro in via erediataria.
Nella specie, l’istante rivendicava la natura familiare della tomba, poiché, a suo dire, la stessa era stata costituita da P. E. per tumulare la salma del padre F., nonno della ricorrente, costituendo una tomba di famiglia.
Sicchè la costituzione di un sepolcro familiare, ove non risulti la diversa volontà del fondatore, conferisce il diritto di sepoltura al fondatore del sepolcro stesso ed a tutti i suoi discendenti, facenti parte della famiglia del fondatore stesso, ivi compresi i collaterali, i quali acquistano il diritto di sepoltura iure proprio.
Sotto il secondo profilo, censurava il provvedimento per carenza di una valida motivazione.
Nel terzo motivo, la ricorrente ricordava che lo ius sepulchri, che nel sepolcro ereditario si trasmette nei modi ordinari per atto inter vivos o mortis causa dall’originario titolare come qualsiasi altro bene, anche a persone non facenti parte della famiglia, nel sepolcro gentilizio o familiare, è attribuito , in base alla volontà del testatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari del sepolcro stesso, iure proprio.
Chiedeva, conseguentemente l’annullamento del provvedimento impugnato.
Si costituiva il Comune, che chiedeva il rigetto della domanda, precisando che l’atto di fondazione della tomba contiene l’espresso riferimento all’intenzione di seppellirvi il solo P. F., padre del fondatore e nonno della ricorrente, non ricorrendo, pertanto, l’ipotesi di residuale iscrizione della tomba al genus del sepolcro familiare, prevista dalla legge nel solo caso di assoluta assenza di manifestazioni di volontà da parte del fondatore stesso in ordine alla qualificazione del sepolcro. Correttamente, pertanto, il Comune di M. aveva provveduto ad annullare l’autorizzazione ai lavori in conseguenza delle doglianze delle legittime contitolari della concessione sul sepolcro. La natura ereditaria del sepolcro escluderebbe, dunque, la titolarità, per lo meno, in via esclusiva della ricorrente.
In ogni caso, anche a voler configurare il sepolcro come familiare, il decesso del P. E. senza discendenti diretti, farebbe venir meno la natura gentilizia del sepolcro stesso, con la conseguente trasmissione in via erediataria, con passaggio della titolarità dapprima a T. F., vedova ed erede universale di P. E. (detto G.), poi a T. R., erede universale di T. F. e dunque alle figlie di quest’ultimo, odierne controinteressate.
Da ultimo, precisava che il provvedimento impugnato era motivato, in punto di fatto e di diritto, con richiamo alle contestazioni svolte dalle controinteressate ed al parere legale assunto in merito, mentre la richiesta di autorizzazione della ricorrente conteneva una dichiarazione non corrispondente alla reale situazione di fatto laddove indicava la stessa come unico titolare della tomba.
Si costituivano, altresì, le controinteressate che contestavano la natura familiare del sepolcro, adducendo di essere titolari, poiché eredi, secondo le considerazioni già esposte.
All’udienza di discussione, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Osserva il Collegio che, ai fini della decisione, deve essere esaminata la questione relativa alla natura del sepolcro in oggetto, in via incidentale, poiché essa costituisce un antecedente logico della soluzione del giudizio.
Il provvedimento di annullamento, in sede di autotutela, della prestata autorizzazione alle opere sul sepolcro, infatti, risulta motivato espressamente sulla nuova valutazione della dichiarazione sostitutiva resa dalla ricorrente, con la quale questa affermava di essere esclusiva titolare del diritti sulla tomba, a seguito del parere reso dall’ufficio legale interpellato dal Comune e della rivendicazione della titolarità sul sepolcro stesso effettuata dalle controinteressate.
In verità, la ricorrente rilasciava, in occasione della richiesta di autorizzazione alle opere di ampliamento,una dichiarazione con cui affermava di essere unica erede del P. G., concessionario della tomba di famiglia ed altresì, chiedeva l’autorizzazione all’ampliamento predetto, asserendo di avere la qualità di “concessionario della tomba di famiglia”. Le due affermazioni, in vero presentavano già in sé un’ambiguità sulla natura del sepolcro. Infatti, da un lato l’istante, nella richiesta, asseriva la natura di sepolcro familiare della tomba in oggetto, dall’altro, nella dichiarazione affermava di essere unica erede dell’originario titolare del sepolcro, così facendo intuire che il suo diritto derivasse mortis causa e non iure proprio.
In ogni caso l’autorizzazione era rilasciata all’interessata sulla convinzione che la stessa fosse l’unica titolare.
A riguardo sembra dirimente quanto evidenziato dal TAR Marche, con la sentenza n. 43 del 2004, citata dalla parte resistente: “A fronte della presunta destinazione ai membri delle due famiglie, a ciascuna delle quali spettava una quota pari a 50%, estinta la classe dei familiari e dei congiunti di una delle due quote sepolcrali lo ‘jus sepulchri’, con riferimento alla famiglia del Sig. xxx, si è trasformato da familiare in ereditario, con rivivesceza dello jus successionis e la trasmissibilità del diritto per atto inter vivos o mortis causa”.
Nel caso esaminato dal Tribunale della Marche il sepolcro asseritamente gentilizio faceva capo a due fondatori facenti capo a due famiglie diverse, ma ciò non rileva; per quanto qui interessa, invece vale il principio, che deve condividersi, secondo cui anche nel caso in cui P. E. – fondatore della tomba – avesse voluto destinare tale tomba alla sepoltura di P. F. e dei discendenti di quest’ultimo (ovvero P. E., G. B. – padre della ricorrente , R. – padre di P. C., R. – padre di P. C. e C. T.), la natura familiare del sepolcro sarebbe mutata in jus ereditario al venir meno dei discendenti diretti di ogni titolare di una quota. Con la conseguenza che, una volta morto P. E. senza discendenti diretti, la sua quota dovrebbe ritenersi trasmissibile in via ereditaria con passaggio a T. F. (vedova del P. E.) e successivamente a T. R. (erede di T. F.) e dunque alle figlie di quest’ultimo, odierne controinteressate.
La stessa Cassazione (sez. II, 29.9.2000 n. 12957) ha precisato che al venir meno dei titolari dello jus sepulchri inteso iure sanguinis, il diritto viene trasmesso per via ereditaria.
Né pare possa essere rilevante il fatto che l’originario titolare si sia sposato successivamente alla costituzione della tomba.
Per riassumere va dunque evidenziato che:
– o il sepolcro viene considerato costituito con natura ereditaria ab origine, con le conseguenze contestate da parte ricorrente e la mancanza di unica titolarità in capo alla stessa;
– oppure, ove si ritenesse la natura familiare della tomba, come prospettato dalla ricorrente, in forza di una presunzione della volontà dell’originario titolare di destinazione del sepolcro “sibi familiaeque suae” – in carenza di una prova contraria sulla volontà di seppellirvi le spoglie dei propri eredi – tuttavia, il sepolcro, con la morte del titolare, sarebbe comunque entrato nell’alveo dei beni trasmissibili in via ereditaria, per la via della erede universale T. F., con possibilità eventualmente di una partecipazione pro quota dell’istante, ma in ogni caso con l’assenza dell’unicità della titolarità.
Quanto agli altri motivi di ricorso, va rilevato che come già evidenziato, il provvedimento è chiaramente motivato direttamente e per relationem al parere legale assunto, risultando evidentemente indicata la finalità di non compromissione della sfera delle odierne controinteressate, una volta conosciuta la reale consistenza dei fatti.
Il ricorso, conseguentemente deve essere respinto. Tuttavia, in considerazione della complessità della fattispecie esaminata, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda bis) respinge il ricorso e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 13.1.2005.
Con l’intervento dei Magistrati:
Patrizio Giulia, PRESIDENTE
Renzo Conti, Consigliere
Solveig Cogliani, rel. Primo Referendario

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