TAR Campania, Sez. V, 8 febbraio 2006

Norme correlate:
Capo 10 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massima:

TAR Campania, Sez. V, 8 febbraio 2006
È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente con la quale il Sindaco ordina l’occupazione d’urgenza di suoli di proprietà privata al fine di fare fronte alla riscontrata carenza di spazi disponibili per le inumazioni nel cimitero comunale, pretendono illegittimamente di sostituire agli ordinari mezzi giuridici ablatori (espropriazione per pubblica utilità e subprocedimento di occupazione d’urgenza), predisposti dall’ordinamento secondo un principio di tipicità degli atti di esercizio di autorità posto a tutela delle libertà e dei diritti dei soggetti, il rimedio extra ordinem eccezionale costituito dall’ordinanza sindacale contingibile e urgente assunta per motivi igienico-sanitari. In sostanza, l’ente locale, avendo omesso di porre in atto per tempo tutte le procedure legali idonee a far fronte in modo tempestivo ai bisogni pubblici (nella specie, avendo omesso di provvedere a un congruo ampliamento del locale cimitero, in modo da poter far fronte alla necessità di aree per le inumazioni), pretende di porre rimedio alla conseguente carenza di aree cimiteriali occupando – senza indennizzo alcuno – i beni di privati mediante un provvedimento straordinario la cui urgenza è cagionata non già da sopravvenienze impreviste e imprevedibili, bensì dalla stessa inefficienza gestionale dell’ente. Tale modo di procedere dell’ente locale contravviene alle più elementari regole di legittimità che presiedono al ricorso allo strumento sussidiario e residuale dell’ordinanza contingibile e urgente che non può surrogare i rimedi giuridici ordinari tipici (nel caso di specie, le procedure espropriative ordinarie) e non può rinvenire il suo presupposto di urgenza nell’inerzia della stessa amministrazione.

Testo completo:
TAR Campania, Sez. V, 8 febbraio 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione V, ANNO 2006 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 4100/2005 Reg. Gen., proposto da Chianese Valeria rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ambroselli ed Ennio Magrì, con domicilio eletto in Napoli alla via Carducci 19
contro
il Comune di Marano di Napoli, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. Riccardo Marone, con domicilio eletto in Napoli alla via Cesario Console 3;
nonché il Sindaco pro tempore del Comune di Marano di Napoli, in qualità di Ufficiale di Governo ex art. 54 d.lgs. 267/00, non costituito
per l’annullamento, previa sospensiva
quanto al ricorso introduttivo:
<<1) dell’ordinanza contingibile e urgente n. 21 del 14.3.2005 di occupazione d’urgenza della p.lla 650 (ex 162 b) del fg. 24 di mq. 2450, della p.lla 651 (ex 162 c) del fg. 24 di mq. 190, emessa dal Sindaco del comune di Marano di Napoli ai sensi dell’art. 38 L. 142/1990, notificata alla sig.ra Chianese Valeria il 25.3.2005 e di ogni atto ivi citato ed allegato, ivi compresa la comunicazione prot. n. 312/04/94 del 12.2.2005 indirizzata al Sindaco e a firma del Dirigente Settore Vigilanza; 2) di ogni ulteriore atto, ad essi preordinato, connesso e conseguente, lesivo dei diritti e degli interessi della ricorrente;
nonché per l’accertamento
del diritto della ricorrente alla restituzione dell’area illegittimamente occupata, con conseguente declaratoria del relativo obbligo in capo all’amministrazione resistente;
e per la condanna
dell’amministrazione resistente al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi dall’istante (oltre interessi e rivalutazione monetaria) per effetto della illegittima occupazione dell’area de qua, a decorrere dall’illegittima apprensione del suolo e sino alla formale restituzione della stessa, previa ammissione ed espletamento, in via istruttoria, di C.T.U. che accerti l’area effettivamente occupata, quella eventualmente trasformata, nonché le modalità e costi, ove possibile, di riduzione in pristino della stessa; laddove non fosse possibile la restituzione dell’area, per intervenuta irreversibile trasformazione: per la condanna della medesima Amministrazione all’integrale risarcimento dei danni patiti e patendi dalla ricorrente, per la temporanea indisponibilità della medesima a decorrere dall’occupazione sino alla relativa trasformazione, nonché per la perdita del suolo in misura pari al valore venale del suolo e dei soprasuoli e colture ivi esistenti, (il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria) da accertarsi sempre a mezzo di C.T.U., di cui in tale ipotesi, si chiede sino d’ora l’ammissione.>>;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
<<1) dell’ordinanza sindacale n. 46 dell’8.7.2005, adottata ex art. 50, V co. d.lgs. 267/2000, con la quale il Sindaco del Comune di Marano, da un lato revocava la propria ordinanza n. 21 del 14.3.2005 – in quanto carente di motivazione in ordine ai presupposti della sua adozione – e, dall’altro ordinava nuovamente l’occupazione temporanea d’urgenza, per la durata di sei mesi, delle seguenti particelle di cui l’istante è proprietaria: 1. Foglio 24 particella 650 (ex 162/b) di mq 2450; 2. Foglio 24 particella 651 (ex 162/c) di mq 190; 2) della delibera di G.M. n. 630 del 30.7.1997, ivi indicata e non conosciuta, con la quale sarebbe stata approvata la gara per l’affidamento dell’appalto dei servizi integrati per l’ampliamento del Cimitero comunale; 3) di ogni ulteriore atto, ad essi preordinato, connesso e conseguenziale, lesivo dei diritti e degli interessi della ricorrente;
nonché per l’accertamento
del diritto della ricorrente alla restituzione dell’area illegittimamente occupata, previa riduzione in pristino della stessa, con conseguente declaratoria del relativo obbligo in capo all’amministrazione resistente;
e per la condanna
dell’amministrazione resistente al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi dall’istante (oltre interessi e rivalutazione monetaria) per effetto della illegittima occupazione dell’area de qua, a decorrere dall’illegittima apprensione del suolo e sino alla formale restituzione della stessa, previa ammissione ed espletamento, in via istruttoria, di C.T.U. che accerti l’area effettivamente occupata, quella eventualmente trasformata, nonché le modalità e costi, ove possibile, di riduzione in pristino della stessa; laddove non fosse possibile la restituzione dell’are, per intervenuta irreversibile trasformazione: per la condanna della medesima Amministrazione all’integrale risarcimento dei danni patiti e patendi dalla ricorrente, per la temporanea indisponibilità della medesima a decorrere dall’occupazione sino alla relativa trasformazione, nonché per la perdita del suolo in misura pari al valore venale del suolo già accertato in L. 34.285 (€ 17,71) al gennaio 1981, da rivalutarsi chiaramente all’attualità, giusta sentenza del Tribunale di Napoli n. 2997/99 passata in giudicato, e dei soprasuoli e colture ivi esistenti, (il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria) da accertarsi eventualmente a mezzo di C.T.U., di cui in tale ipotesi, si chiede sino d’ora l’ammissione.>>.
VISTI il ricorso ed i relativi allegati;
VISTO il ricorso per motivi aggiunti notificato in data 28 luglio 2005 e depositato in data 3 agosto 2005;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Marano di Napoli con le annesse produzioni;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTA l’ordinanza collegiale n. 1892/2005 del 16 giugno 2005, con la quale la Sezione ha fissato, ai sensi dell’art. 23-bis. l. 1034/1971, l’udienza di merito alla data del 20 ottobre 2005, sospendendo nelle more l’esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo;
VISTA la successiva ordinanza collegiale n. 2218/2005 del 14 luglio 2005, con la quale la Sezione ha accolto l’istanza di esecuzione della precedente pronuncia cautelare n. 1892/2005, ordinando al Comune resistente l’immediata cessazione dell’attività occupativa e il rilascio delle aree illegittimamente occupate, disponendo altresì la nomina di un commissario ad acta che provvedesse in caso di ulteriore inottemperanza dell’ente intimato;
VISTA la nota in data 18 agosto 2005 prot. n. 3286/Gab/AA.GG. – depositata in atti in data 22 agosto 2005 – con la quale l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, in esecuzione dell’ordinanza n. 2218/2005 ha provveduto alla nomina di un commissario ad acta al fine di porre in essere gli atti sostitutivi necessari all’integrale esecuzione della citata ordinanza;
VISTA l’ordinanza del 27 settembre 2005 con la quale la Quarta sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto dal Comune di Marano di Napoli avverso quest’ultima ordinanza n. 2118/2005;
VISTI gli atti tutti di causa;
UDITI alla pubblica udienza del 27 ottobre 2005 – relatore il Magistrato Dr. Carpentieri – gli avv.ti riportati a verbale;
RITENUTO e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in esame – ritualmente notificato in data 24/25 maggio 2005 e depositato nella segreteria del Tribunale il successivo 1 giugno – la sig.ra Chianese Valeria, comproprietaria delle aree site nel territorio comunale di Marano di Napoli e riportate in catasto al fg. 24, partita 7927, particelle 650 (ex 162/b) e 651 (ex 162/c), soggette a vincolo di rispetto cimiteriale e destinate in p.r.g. ad ampliamento del cimitero comunale, impugna l’ordinanza sindacale contingibile ed urgente n. 21 del 14 marzo 2005 con la quale il Sindaco del comune di Marano di Napoli ha ordinato l’occupazione d’urgenza di detti suoli per un periodo di sei mesi al fine di fare fronte alla riscontrata carenza di spazi disponibili per le inumazioni nel cimitero comunale.
Con ordinanza cautelare n. 1892/2005 del 16 giugno 2005 questa Sezione ha sospeso l’esecuzione del provvedimento impugnato ed ha fissato per la trattazione del merito, ai sensi dell’articolo 23-bis della legge “Tar”, l’udienza del 20 ottobre 2005.
Con atto notificato il 30 giugno e il 1° luglio 2005 e depositato il 2 luglio 2005, la ricorrente ha chiesto disporsi l’esecuzione giudiziale della predetta ordinanza cautelare, avendo il Comune intimato proseguito a dare esecuzione al provvedimento impugnato.
Questa Sezione, con la successiva ordinanza collegiale n. 2218/2005 del 14 luglio 2005, ha dunque accolto tale ultima istanza e ha disposto la nomina di un commissario ad acta per l’esecuzione della prima pronuncia cautelare.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, notificato all’amministrazione resistente in data 28/29 luglio 2005 e depositato il successivo 3 agosto 2005, la ricorrente ha impugnato la successiva ordinanza n. 46 dell’8 luglio 2005, con la quale il Sindaco di Marano ha revocato la precedente ordinanza n. 21/2005 – perché carente di motivazione in ordine ai presupposti della sua adozione – ed ha nuovamente disposto l’occupazione d’urgenza dei medesimi suoli per la durata di sei mesi, integrando la motivazione dell’atto sotto il profilo della sussistenza dei presupposti di contingibilità e urgenza.
Il Comune di Marano di Napoli si è costituito in giudizio sostenendo l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del gravame, concludendo dunque per il rigetto del ricorso.
Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4474/2005 del 27 settembre 2005 della Quarta Sezione, ha accolto l’appello proposto dal Comune resistente avverso la seconda pronuncia cautelare di primo grado (n. 2218/2005) giudicando prevalente, “nella comparazione degli interessi”, nelle more della trattazione del merito, già fissata all’udienza del 20 ottobre 2005, “il danno paventato dall’amministrazione”.
Alla pubblica udienza del 27 ottobre 2005 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
DIRITTO
Entrambi i ricorsi – sia quello principale, diretto avverso l’ordinanza n. 21 del 14 marzo 2005 poi revocata con la successiva ordinanza n. 46 dell’8 luglio 2005, sia quello di proposizione di motivi aggiunti diretto contro tale secondo provvedimento – sono fondati e meritevoli di accoglimento. In particolare il ricorso introduttivo, benché relativo a un atto revocato nelle more del giudizio, conserva la sua procedibilità in relazione all’interesse di parte ricorrente a coltivare l’azione risarcitoria ivi proposta.
Entrambe le azioni si palesano fondate per l’evidente (e assorbente) fondatezza del dedotto vizio di eccesso di potere per sviamento e per violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi che inficia entrambi i provvedimenti oggetto di impugnativa. Sia il primo che il secondo degli atti gravati, infatti, pretendono illegittimamente di sostituire agli ordinari mezzi giuridici ablatori (espropriazione per pubblica utilità e subprocedimento di occupazione d’urgenza), predisposti dall’ordinamento secondo un principio di tipicità degli atti di esercizio di autorità posto a tutela delle libertà e dei diritti dei soggetti, il rimedio extra ordinem eccezionale costituito dall’ordinanza sindacale contingibile e urgente assunta per motivi igienico-sanitari.
In sostanza, l’ente locale intimato, avendo omesso di porre in atto per tempo tutte le procedure legali idonee a far fronte in modo tempestivo ai bisogni pubblici (nella specie, avendo omesso di provvedere a un congruo ampliamento del locale cimitero, in modo da poter far fronte alla necessità di aree per le inumazioni), pretende di porre rimedio alla conseguente carenza di aree cimiteriali occupando – senza indennizzo alcuno – i beni di privati mediante un provvedimento straordinario la cui urgenza è cagionata non già da sopravvenienze impreviste e imprevedibili, bensì dalla stessa inefficienza gestionale dell’ente.
Si rammenta che l’articolo 22-bis, inserito nel t.u. sulle espropriazioni dall’articolo 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, ha reintrodotto nel sistema l’istituto dell’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione, che bene avrebbe servito, nel caso di specie, alla legittima soddisfazione dell’interesse pubblico perseguito dall’ente locale intimato (la riferita norma prevede difatti che “qualora l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 20, può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, decreto motivato che determina in via provvisoria l’indennità di espropriazione, e che dispone anche l’occupazione anticipata dei beni immobili necessari”).
Non vi è chi non veda come il modo di procedere dell’ente locale convenuto contravvenga alle più elementari regole di legittimità che presiedono al ricorso allo strumento sussidiario e residuale dell’ordinanza contingibile e urgente che, come insegna la giurisprudenza, non può surrogare i rimedi giuridici ordinari tipici (nel caso di specie, le procedure espropriative ordinarie) e non può rinvenire il suo presupposto di urgenza nell’inerzia della stessa amministrazione.
Non occorre aggiungere altro, se non, per mera completezza di esposizione dei fatti, il rilievo che dalla stessa parte motiva dell’ordinanza n. 21 del 2005 si ricava l’assoluta irrazionalità dell’agire amministrativo comunale oggetto di contestazione: il Sindaco, infatti, riferisce, nella motivazione del suddetto atto, di prendere le mosse da una relazione della polizia municipale con la quale si comunica che presso il cimitero comunale “rimangono ad oggi disponibili per le inumazioni non più di 30 spazi, ivi inclusi quelli riservati alle emergenze”, nonché dalla considerazione “che la stessa polizia municipale fa presente che il tasso ordinario di mortalità è di 30 decessi al mese”. Ora, è noto che il fabbisogno di servizi cimiteriali, in primis di spazi per le inumazioni, è tipicamente un fabbisogno “anelastico”, cioè tendenzialmente stabile e non soggetto a significative variazioni periodiche. Dov’è dunque l’imprevedibilità di tale stato delle cose, come riferito dalla polizia municipale? Perché il Comune non ha posto mano per tempo al necessario ampliamento del cimitero comunale espropriando all’uopo le aree soggette a vincolo cimiteriale (quali, tra l’altro, quelle della ricorrente che, si badi, non contesta l’espropriabilità dei suoi beni, ma l’occupazione senza indennizzo per asseriti motivi di straordinaria urgenza per ragioni di igiene e sanità pubbliche)? E’ dunque evidente che l’unica urgenza è data, nel caso di specie, dall’inefficienza dell’azione amministrativa comunale. Ma è altrettanto ovvio che tale inefficienza non può ridondare in danno dei cittadini.
Né la successiva ordinanza n. 46 dell’8 luglio 2005, che avrebbe voluto emendare la prima ordinanza del suo difetto motivazionale, può valere a mutare il giudizio di illegittimità dell’operato comunale ora formulato.
Nel secondo dei provvedimenti impugnati il Sindaco, infatti, motiva la asserita sussistenza dei presupposti di contingibilità e urgenza con un richiamo “alle difficoltà nell’ampliamento del cimitero comunale”, il cui procedimento, avviato nel 1995, sarebbe stato rallentato, a quel che si evince dalla motivazione della nuova ordinanza, anche a causa del contenzioso sollevato sugli atti espropriativi dalla odierna ricorrente sig.ra Chianese, che avrebbe condotto all’annullamento della procedura con sentenza di questo Tar per omessa comunicazione di avvio del procedimento. Da qui la riferita necessità del Comune di riapprovare gli atti progettuali e di rifare la procedura di gara, con grave ritardo nell’ampliamento del cimitero. Il Comune adduce altresì, a dimostrazione della ricorrenza, nel caso in esame, dei presupposti dell’atto straordinario adottato, i “gravi inadempimenti contrattuali da parte dell’impresa concessionaria della progettazione e direzione dei lavori”, che avrebbero condotto alla rescissione del contratto (disposta con delibera del 15 marzo 2005).
Ora, il Collegio non sottovaluta la difficoltà di amministrare (e di bene amministrare) in contesti territoriali e sociali caratterizzati da forte litigiosità e dalla tendenziale contrapposizione tra cittadini e pubblica amministrazione, ma si converrà sul fatto che sarebbe paradossale legittimare il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente quale mezzo per eludere la tutela giurisdizionale ottenuta dal cittadino che si oppone alla acquisizione dei suoi beni, quasi facendo ricadere in suo danno l’intervenuto annullamento di pregresse procedure vittoriosamente impugnate (anche se per motivi formali e non sostanziali). Né tanto meno pare opponibile alla ricorrente il contenzioso insorto con la ditta appaltatrice della progettazione e della esecuzione dei lavori.
Per tutti gli esposti motivi entrambe le proposte azioni sono fondate e vanno accolte, con conseguente annullamento degli atti con esse impugnati.
Dall’annullamento delle disposte occupazioni segue l’obbligo comunale di restituzione dei beni illegittimamente sottratti, salva l’intervenuta irreversibile trasformazione dei medesimi, con destinazione a uso pubblico.
Al riguardo il Collegio ritiene doveroso precisare che l’avvenuta esecuzione di inumazioni nell’immobile occupato – anche in connessione con la perdurante e contestuale procedura ablatoria realizzativa dell’ampliamento cimiteriale, di cui è menzione negli stessi atti impugnati – rende poco verosimile la tesi – pure ventilata nelle finali difese comunali – secondo cui le aree sarebbe senz’altro restituibili decorso il termine semestrale di occupazione previsto nell’atto impugnato. Il Comune dovrà all’uopo attentamente valutare, secondo canoni di legittimità, di tutela del legittimo affidamento del privato, di proporzionalità e di ragionevolezza, la possibilità di fare ricorso allo strumento ablatorio speciale predisposto dall’articolo 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, ove è prevista, in caso di “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico” la facoltà dell’amministrazione “che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”, “valutati gli interessi in conflitto”, di “disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni”.
Del pari fondata è la domanda risarcitoria, atteso l’errore grave e manifesto commesso dall’amministrazione con gli atti impugnati, come si evince dalla suestesa motivazione.
In ordine al quantum debeatur, rileva il Collegio come tale determinazione, al di là del profilo, già oggi certo, relativo al mancato uso degli immobili da parte della proprietaria a cagione dell’illegittima occupazione disposta, dipenda essenzialmente dagli sviluppi successivi dell’azione amministrativa e, in particolare, dalla scelta comunale in ordine alla restituzione (previa eventuale bonifica dei suoli), ovvero in ordine alla commutazione della procedura in procedura propriamente ablatoria (previdente la corresponsione di un indennizzo, che andrebbe a questo punto dedotto dall’equivalente pecuniario del danno risarcibile).
Riguardo a questa alternativa possibile occorre dare atto del fatto che l’amministrazione, ancora nella memoria finale depositata il 14 ottobre 2005, insiste nell’affermare di non aver in alcun modo alterato lo stato dei luoghi e che le aree verranno restituite ai proprietari allo spirare del termine previsto nel provvedimento impugnato. La posizione dell’amministrazione appare per molti versi singolare, poiché non tiene conto del fatto che l’avventa inumazione di cadaveri per tutto il suddetto periodo implica una oggettiva destinazione ad uso pubblico delle aree, né considera adeguatamente il fatto, pacifico in atti, che le aree sono sottoposte a servitù di rispetto cimiteriale e sono destinate in PRG, come è logico che sia, ad ampliamento cimiteriale. Evidenti canoni di logica, di tutela dell’affidamento del privato e di proporzionalità/ragionevolezza dell’azione amministrativa suggerirebbero dunque di fare ricorso al già citato rimedio speciale di cui all’art. 43, al fine di “sanare” questa vicenda. Il Comune, invece, omette di fare ricorso alla previsione dei commi 3 e 4 del predetto art. 43, che avrebbero forse offerto una ragionevole soluzione al caso (in forza dei suddetti disposti normativi “3. Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l’amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. 4. Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l’autorità che ha disposto l’occupazione dell’area emana l’atto di acquisizione, dando atto dell’avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità”).
Per le esposte ragioni stimasi equo e conforme a diritto fare ricorso, nel caso in esame, alla previsione dell’articolo 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, in base al quale “il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta”.
Quanto ai criteri in base ai quali l’amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma a titolo risarcitorio, occorre conseguentemente distinguere due ipotesi:
A) Se l’amministrazione decide di procedere ai sensi dell’articolo 43 del t.u. espropriazioni, sopra richiamato, allora, come previsto dal suddetto articolo, l’atto di acquisizione dovrà esso stesso determinare la misura del risarcimento del danno e dovrà disporne il pagamento, entro il termine di trenta giorni, secondo il criterio di quantificazione dettato dal comma 6 dell’art. 43: a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità; b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo; il valore del fondo dovrà essere determinato secondo il criterio dettato dall’articolo 32 del citato t.u. espropriazioni (sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’occupazione, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista, tenendo invece conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano anteriori all’occupazione).
B) Se, invece, l’amministrazione si dovesse determinare nel senso di restituire gli immobili alla ricorrente, la quantificazione del danno dovrà alternativamente procedere secondo i seguenti criteri, a seconda dei casi di seguito considerati:
B-1) se il Comune procede alla compiuta e integrale bonifica degli immobili utilizzati, restituendoli effettivamente ed oggettivamente nello stato in cui essi si trovavano prima della indebita occupazione, il danno risarcibile andrà commisurato esclusivamente al mancato uso del bene per il tempo della illegittima occupazione, oltre ai danni emergenti (abbattimento di alberi, distruzione di colture in atto etc.); il danno da mancato uso andrà quantificato secondo il criterio di cui all’art. 50 del t.u. espropriazioni per l’indennità di occupazione (“Nel caso di occupazione di un area, è dovuta al proprietario una indennità per ogni anno pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area e, per ogni mese o frazione di mese, una indennità pari ad un dodicesimo di quella annua”);
B-2) se il Comune omette di procedere a una compiuta e integrale bonifica, il risarcimento dovrà comprendere, oltre alle voci di cui alla precedente ipotesi B-1), anche un importo corrispondente ai costi medi necessari per la realizzazione della suddetta bonifica delle aree utilizzate.
In ogni caso la sorta capitale del risarcimento per equivalente andrà maggiorata degli interessi al tasso legale dal dì dell’illegittima occupazione fino all’effettivo pagamento.
Le spese seguono la regola della soccombenza e vanno liquidate nell’importo indicato in dispositivo.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE V^, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul connesso atto di proposizione di motivi aggiunti in epigrafe indicati, li accoglie e, per l’effetto, annulla le ordinanze del Comune di Marano di Napoli n. 21 del 14 marzo 2005 e n. 46 dell’8 luglio 2005.
Condanna il Comune di Marano di Napoli, in persona del legale rapp.te p.t., alla restituzione delle aree illegittimamente occupate, salva l’applicazione dell’articolo 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nei termini di cui in motivazione; condanna altresì il Comune di Marano di Napoli, ut supra, al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente per effetto della illegittima occupazione, nei termini e secondo le modalità e i criteri anch’essi definiti, ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998, nella suestesa motivazione.
Condanna il Comune di Marano di Napoli, in persona del legale rapp.te p.t., al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi € 5.000,00 (cinquemila/00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 27 ottobre 2005.

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