Corte di Cassazione, Sez. VI civ., 11 giugno 2021, n. 16611

Corte di Cassazione, Sez. VI civ., 11 giugno 2021, n. 16611

Corte di Cassazione `
Civile Ord. Sez. 6 Num. 16611 Anno 2021
Presidente: GRAZIOSI CHIARA
Relatore: DELL’UTRI MARCO
Data pubblicazione: 11/06/2021
ORDINANZA
sul ricorso 5786-2020 proposto da:
G. ROSALIA, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’Avvocato GIANPAOLO MASSA;
-ricorrente-
contro
Gr. CATERINA, Gi. STELLA, Gi. VIVIANA, elettivamente domiciliari presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato MAURIZIO MEDA;
– mntrorícorrenti –
avverso la sentenza n. 3206/2019 del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 27/O6/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/O3/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO DELL’UTRI.
Rilevato che,
con sentenza resa in data 26/6/2019, il Tribunale di Torino ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condan-
nato Rosalia G. a rimborsare, a Caterina Gr. e Stella Gi., le spese da queste ultime sostenute per la celebrazione dei funerale di Francesco C.;
a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato la correttezza della decisione del giudice di pace nella parte in cui aveva escluso che la Gr. e la Gm avessero sostenuto le spese funerarie del C. nell’adempimento di un dovere avvertito sul piano morale e sociale (ai sensi dell’art. 2034 c.c.), tenuto conto che le stesse non erano parenti diretti del C. (bensì della sola Giuseppina Baiocco, moglie premorta di quest’uitimo), ed avendo le stesse peraltro apertamente sostenuto di aver affrontato le spese funerarie per conto degli eredi del C. (non ancora individuati al momento del decesso), con consapevolezza di poterne successivamente invocare la restituzione;
ciò posto, rilevata l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 2034 c.c. ai soli doveri non giuridici qualificati secondo un parametro di riferimento d’indole sociale-collettiva (dimensione cui doveva ritenersi estraneo l’impegno assunto per i funerali di una persona non legata da legami di parentela), e accertata la qualità di Rosalia G. quale unica erede del C., il tribunale ha confermato la condanna restitutoria pronunciata dal primo giudice;
avverso la sentenza d’appello, Rosalia G. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria;
Viviana Gi., quale procuratrice generale di Caterina Gr., e Stella Gi., resistono con controrìcorso;
a seguito della fissazione della camera di consiglio, il ricorso è stato trattenuto in decisione sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.;
considerato che,
con i due motivi d’impugnazione proposti, Rosalia G. censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2034 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere il giudice d’appello erroneamente affermato la riconducibilità, dei doveri morali indicati daIl’art. 2034 c.c., a una pretesa coscienza oggettiva di carattere sociale, anziché meramente soggettiva e individuale del solvens, e per aver conseguentemente escluso l’applicabilità, al caso di specie, della fattispecie astratta di cui all’art. 2034 c.c., dovendo ritenersi che, sulla base del complesso degli elementi circostanziali analiticamente richiamati in ricorso (illegittimamente trascurati dal giudice a quo), Caterina Gr. e Stella Gi. avessero del tutto spontaneamente provveduto alle spese funerarie di Francesco C., non avendo le stesse mai manifestato, successivamente alla celebrazione dei funerali, alcuna intenzione di richiedere, ai parenti del C., la restituzione delle spese funerarie sostenute, ma determinandosi a farlo, significativamente, solo a distanza di tempo nei soli confronti di Rosalia G., individuata quale unica erede a seguito della successiva scoperta del testamento olografo del C.;
i due motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono, nel loro complesso, manifestamente infondati;
dev’essere preliminarmente osservato come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, le spese per le onoranze funebri rientrino tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell’apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex art. 752 c.c., sicché colui che ha anticipato tali spese ha diritto di ottenerne il rimborso da parte dei coeredi, purché essi non abbiano manifestato una volontà contraria alla sua attività gestoria (Sez. 2 – , Ordinanza n. 17938 del 27/08/2020, Rv. 658944 – 01), ovvero che non si tratti di spese eccessive, sostenute contro la volontà di detti eredi (Sez. 2, Sentenza n. 1994 del O2/O2/2016, Rv. 638787 – 01;’, v. altresì Sez. 2, Sentenza n. 28 del 03/O1/2002, Rv. 551369 – O1);
peraltro, là dove si assuma che le spese sostenute da colui che le ha anticipate rappresentino l’adempimento di un dovere avvertito sul piano morale e sociale, ai sensi dell’art. 2034 c.c. (sì da escluderne la ripetizione nei confronti degli eredi tenuti al pagamento di tali oneri), è necessario che l’interessato fornisca la prova dei relativi presupposti, la cui sussistenza postula una duplice indagine, finalizzata, da un lato, ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società e, dall”altro, se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso (cfr., ex plurimis, Sez. 2, Sentenza n. 19578 del 30/O9/2016 (Rv. 641356 – O1);
con particolare riguardo alle ragioni che militano a fondamento della necessaria indole sociale-collettiva del parametro di qualificazione dei doveri richiamati dall’art. 2034 c.c., varrà assegnare una decisiva incidenza al dato dell’indispensabile riconoscibilità sociale del comportamento del solvens, l’infondatezza della cui pretesa restitutoria (in forza della soluti retentio accordata a vantaggio del beneficiario) pur sempre risale al vigore di una regola giuridica (quella dell’art. 2034 c.c.), nella specie destinata a rivestire di un’adeguata giustificazione, collettivamente sancita, la conferma di uno spostamento patrimoniale altrimenti privo di causa;
nel caso di specie – esclusa ogni controversia tra le parti in ordine ad eventuali tempestivi dissensi della G. circa il sostegno di tale spesa, e rilevata la tardività della contestazione (ritenuta peraltro infondata) circa l’eventuale carattere sproporzionato o inadeguato della stessa – il giudice a quo, dopo aver negato che la prestazione economica oggetto dell’odierno esame fosse valsa a corrispondere all’adempimento di un particolare dovere morale o sociale giustificabile alla luce delle valutazioni socialmente correnti (in ciò correttamente allineandosi ai principi in precedenza richiamati), ha in ogni caso escluso che l’originaria convenuta (Rosalia G.) avesse fornito la prova dell’effettiva spontaneità della prestazione effettuata, avendo piuttosto rimarcato come la Gr. e la Gi. avessero espressamente affermato di aver corrisposto le spese per il funerale del C. – evidentemente indifferibili – “per rispetto della moglie del de cuius” (loro parente) e “con la consapevolezza di poter ripetere le somme versate”; con ciò inequivocamente valorizzando il dato dell’insussistenza di alcuna volontà della Gr. e della Gi. di assolvere, mediante il sostegno delle spese funerarie, a un impegno avvertito come proprio, e incondizionatamente imposto in forza di un libero impulso di carattere morale o sociale, essendo stato viceversa dalle stesse affrontato a causa dell’evidente – e riconoscibilmente contingente – indifferibilità della stessa;
a fronte di tale motivazione, ferma la manifesta infondatezza della censura avanzata in iure circa l’interpretazione in chiave meramente soggettiva dell’indole dei doveri morali e sociali previsti dall’art. 2034
c.c., varrà osservare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la Corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi cli prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.l:. (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;
in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalla norma di legge richiamata (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione della norma richiamata sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontro-
verso, insistendo propriamente la G. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo, con particolare riferimento all’individuazione del carattere spontaneo o meno dell’adempimento in questione da parte delle odierne controricorrenti, quando non del ricorso effettivo di concreti doveri morali ricollegabili al relativo comportamento `solutorio’;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del primo motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazìone critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe lncorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione, nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
proprio a tale riguardo, infatti, è appena il caso di sottolineare come la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);
pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze della ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
sulla base delle argomentazioni indicate, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;
dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso articolo 13;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione del 30/3/2021.
Il Presidente
(Chiara Graziosi)
Depositato il Cancelleria

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Sereno Scolaro

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