Corte di Cassazione, Sez. III Pen., 24 novembre 2021, n. 43093

Corte di Cassazione, Sez. III Pen., 24 novembre 2021, n. 43093

Corte di Cassazione
Penale Sent. Sez. 3 Num. 43093 Anno 2021
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO
Data Udienza: 30/09/2021
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A. Aldo, nato a Milano il 11/02/1958
avverso la sentenza del 07/02/2020 della Corte di appello di Torino
visti gli atti, il prowedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 febbraio 2020, la Corte di appello di Torino ha confermato la condanna dell’imputato alle pene di legge in ordine al reato continuato di cui all’art. 408 cod. pen., per aver commesso, nel cimitero comunale di Omegna, atti di vilipendio delle cose destinate al culto della defunta Silvana M.
2. Avverso detta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo:
2.1. con il primo motivo, l’erronea applicazione del|’art. 408 cod. pen. e la carenza di motivazione in ordine all’elemento oggettivo del reato, sia perché all’imputato erano state attribuite azioni ulteriori rispetto a quelle riprese dalla telecamera nascosta nel cimitero, sia perché le stesse erano state ricondotte al reato di vilipendio non già perla loro intrinseca natura, ma perla mera ripetitività;
2.2. con il secondo motivo, l’erronea applicazione dell’art. 408 cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, non essendo stati compiuti atti di dispregio della defunta, ma, piuttosto, azioni che denotavano rispetto, poste in essere con assoluta calma e senza la minima violenza;
2.3. con il terzo motivo, l’erronea applicazione dell’art. 185 cod. pen. e l’omessa motivazione in riferimento alla sussistenza del danno morale riconosciuto alle parti civili, trattandosi di parenti non conviventi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I primi due motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perché obiettivamente connessi – non sono fondati e per molti versi sono addirittura inammissibili posto che, come emerge dallo stesso ricorso, che pedissequarnente riporta il contenuto dell’attc› di appello, vengono in parte riproposte le stesse doglianze già devolute con il gravame di merito e disattese con motivazione pertinente e non illogica dalla Corte d’appello, senza che il ricorrente si confronti seriamente con quelle argomentazioni, e, per altra parte, si propongono invece in questa sede doglianze di fatto che neppure erano state devolute con il gravame.
2. In diritto va preliminarmente osservato che oggetto di tutela de|l’art. 408 cod. pen. – come indicato dall’intitolazione del capo II del titolo V del secondo libro del codice penale – è la “p/’etas” dei defunti, vale a dire quel diffuso sentimento, individuale e collettivo, che si manifesta nel rispetto, religioso ma non solo, tributato ai defunti ed alle cose destinate al loro culto nei cimiteri e nei luoghi di sepoltura. Se l’intero capo ruota attorno al medesimo bene giuridico, emerge una partizione interna tra le prime incríminazioni (artt. 407 – 409), il cui oggetto materiale è legato al culto dei defunti ed al sentimento di pietà che esso suscita, e le fattispecie successive (artt. 410-413), poste a salvaguardia delle spoglie mortali e quindi del medesimo sentimento che le stesse evocano.
L’elemento oggettivo del reato nella specie contestato e ritenuto consiste in un’azione di “vilipendio”, termine generico che ricomprende qualsiasi atto che esprima disprezzo “delle cose” considerate dalla fattispecie. Dalla locuzione impiegata nell’art. 408 cod. pen. – diversa da quella, più ristretta e altrove dal legislatore utilizzata, di vilipendio “su cose” (cfr. art. 410 cod. pen.) – si ricava che possono rientrare nella condotta punibile anche semplici espressioni verbali che non ricadano sulla cosa in modo tale da produrne una modificazione esteriore visibile. La condotta punita dall’art. 408 cod. pen. – che è rilevante laddove si compia «in cimiteri o altri luoghi di sepoltura» – può avere ad oggetto «tombe, sepolcri o urne›› (non essendo necessario, a differenza della figura criminosa di cui all’art. 407 cod. pen., che gli stessi contengano effettivamente resti umani), oppure «cose destinate al culto dei defunti» (quali croci, cappelle, immagini, lampade, fiori e tutti gli oggetti finalizzati a ricordare il defunto), ovvero cose destinate «a difesa o ad ornamento dei cimiteri», quali muri, porte, monumenti simbolici, piante dei viali. Si tratta, dunque, di un delitto posto a tutela del rispetto del luogo di sepoltura e delle cose mortuarie, piuttosto che della riverenza del defunto in sé.
Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, rientrano dunque certamente nell’ambito di operatività della fattispecie atti di vilipendio commessi su cose deposte nei luoghi destinati a dimora delle persone decedute ed aventi la funzione di richiamare e ricordare la pietà dei defunti, danneggiandole, Iordandole o imprimendovi segni grafici vilipendiosi, o anche rimuovendole in tutto o in parte ed eventualmente sostituendole con altre diverse per significato, origine e rilevanza sociale, anche se la condotta sia awenuta non per arrecare offesa al defunto, ma alla persona che aveva fatto sistemare la tomba per onorario e ricordarlo (Sez. 3 n. 4038, del 29/03/1985, Moraschi, Rv. 168901). In particolare, la condotta penalmente rilevante – che non deve necessariamente essere commessa pubblicamente, o alla presenza dei proprietari delle tombe o dei familiari dei defunti – va sempre valutata con riferimento al bene giuridico tutelato dalla norma quale più sopra individuato, che può ricevere oltraggio ed offesa attraverso gesti o espressioni che, diretti immediatamente contro oggetti cimiteriali, producono mediatamente la lesione del senso di pietà ispirato dal ricordo dell’estinto.
Quanto all’elemento soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo generico, sicché basta la coscienza e volontà del vilipendio delle cose di cui si è detto, insieme con la consapevolezza del particolare carattere del luogo (cimitero o altro luogo di sepoltura). Conseguentemente, è penalmente irrilevante il movente dell’azione e non occorre l’intenzione di offendere la memoria di un determinato defunto, così che commette il reato di vilipendio di tombe chi distrugge i fiori appostivi da altri anche se l’autore della condotta non voleva offendere il defunto, intendendo protestare contro colui che aveva collocato i fiori (Cass. 10/11/1952, Serena).
3. Nel caso di specie – reputa il Collegio – la sentenza impugnata ha fatto buon governo degli esposti principi.
Va innanzitutto osservato che, con ricostruzione in fatto qui non sindacabile – e, peraltro, neppure specificamente contestata nell’atto di appello, essendo tale doglianza stata inammissibilmente proposta per la prima volta nel ricorso per cassazione – igiudici di merito hanno non illogicamente attribuito all’imputato non soltanto le condotte riprese dalla telecamera, ma anche quelle, analoghe, compiute nei due mesi precedenti, periodo nel quale l’imputato era stato ripetutamente visto aggirarsi nel cimitero senza essere diretto ad alcuna tomba essendo poi stato fermato nottetempo dalla polizia, nel successivo mese di gennaio, dopo essersi introdotto nel cimitero passando dal retro (e non dagli ingressi) ed essersi allontanato velocemente non appena accortosi dell’arrivo delle forze dell’ordine.
In secondo luogo, la sentenza ha del tutto logicamente e correttamente osservato che i fatti compiuti sugli oggetti collocati sulla tomba della defunta Silvana M., «non minimali perché ripetuti e consistiti nel danneggiamento di fiori e di piante, nella sottrazione del cero, costituiscono atti di dispregio» verso i familiari ed il vivo sentimento di pietà che essi manifestavano nei confronti della congiunta deceduta con la collocazione delle cose ad ornamento e cura della tomba. Contrariamente a quanto opina il ricorrente, dunque, la penale rilevanza delle condotte emerge dalle stesse quali in sé considerate ed il riferimento alla ripetizione, contenuto nella sentenza impugnata, si giustifica soltanto per essere stata ritenuta e contestata la continuazione del reato. In questo quadro, sono del tutto generiche le notazioni – già esposte nell’appello e qui ripetute – sull’assenza di violenza e sulla calma che avrebbero contraddistinto le azioni dell’imputato quali immortalate dalla telecamera, essendosi chiarito come sia irrilevante il movente deli’azione, che l’appellante aveva ritenuto semmai spiegabile come un “rituale…di positiva celebrazione”.
Le doglianze, per il resto ripetitive di quelle devolute con il gravame e adeguatamente esaminate e disattese dalla Corte di merito, sono pertanto generiche, posto che il ricorrente non si confronta criticamente con le argomentazioni al proposito fornite dal giudice di secondo grado in sentenza (v. Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e a., Rv. 254584) e che difettano i motivi della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del prowedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568).
4. L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile per genericità.
Già il motivo di appello proposto sul punto era del tutto generico e – ha rilevato la sentenza impugnata – non si confrontava con le ragioni addotte dal primo giudice a sostegno della liquidazione del danno non patrimoniale, ciò che neppure in questa sede awiene. Si introduce, peraltro, un elemento di fatto – quello della più attenta liquidazione del danno non patrimoniale nel caso di rapporti tra parenti non conviventi – che non era stato devoluto al giudice del gravame, sicché non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi dal disposto di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il principio secondo cui è precluso dedurre perla prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).
5. Il ricorso, complessivamente infondato, dev’essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 settembre 2021.

Written by:

Sereno Scolaro

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