Corte di Cassazione, Sez.II civ., 16 febbraio 2017, n. 4196

Massima:
Corte di Cassazione, sez. 2^ civ., 16 febbraio 2017, n. 4196
Il diritto al sepolcro, inteso come diritto a tumulare e a custodire nella cappella cimiteriale i resti mortali di congiunti, avendo natura di diritto reale patrimoniale, è compreso nel diritto reale sul manufatto funerario e sui materiali che lo compongono.

Testo completo:
Corte di Cassazione, sez. 2^ civ., 16 febbraio 2017, n. 4196
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C. M., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. G. P., con domicilio eletto nello studio dell’avv. M. D. F. in Roma, via …, n. …;
– ricorrente –
contro
Ca. A., Ca. M. e Ca. N., gli ultimi due quali eredi di Ca. A., rappresentati e difesi dall’Avv. F. S., con domicilio eletto nello studio dell’Avv. V. R. in Roma, via …, n. …;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 78/2012 depositata il 23 gennaio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;
udito l’Avvocato U. C., per delega dell’Avvocato G. P.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Pierfelice Pratis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione in data 20 gennaio 1994, M. C., P. Ca. e A. Ca. convenivano in giudizio A. Ca. e A. Ca. per sentire dichiarare di essere gli unici proprietari della cappella sita nel cimitero di Pentone, con la dicitura sul frontespizio “famiglia Ca. Luigi”, ed ordinarne il rilascio, in loro favore, mediante la estumulazione dei congiunti dei convenuti.
Si costituivano i convenuti, i quali contestavano le richieste degli attori ed assumevano di essere titolari di un proprio diritto derivante dalle edificazione comune da parte di entrambi i danti causa e dalla destinazione del sepolcro ad accogliere i defunti delle due famiglie, rispettivamente sul lato destro e sinistro della medesima cappella, e ciò, oramai, da moltissimi anni.
In via subordinata, i convenuti eccepivano l’intervenuta usucapione e richiedevano la rimozione della scritta “famiglia Ca. Luigi” apposta sul frontespizio della cappella.
Istruita mediante prove testimoniali, la causa veniva decisa dal Tribunale di Catanzaro con sentenza n. 788 del 2005, con la quale venivano rigettate sia la domanda degli attori che quella riconvenzionale proposta dai convenuti, in quanto sfornite di ogni concreto elemento di prova.
2.- Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 gennaio 2012, la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato l’appello principale proposto da M. C., P. Ca. e A. Ca., mentre ha accolto parzialmente la domanda riconvenzionale dispiegata da A. Ca. e da A. Ca. e, per l’effetto, ha ordinato che essi hanno acquistato per usucapione il diritto primario e secondario al sepolcro sulla parte destra all’interno della cappella in controversia.
2.1.- La Corte territoriale ha rilevato: che la concessione amministrativa in atti prova che il Comune di Pentone aveva concesso ad A. Ca. il terreno demaniale destinato ad area cimiteriale, al fine di edificarvi la cappella oggetto di controversia; che con la produzione della concessione amministrativa in atti gli appellanti hanno dimostrato che il loro congiunto era titolare del diritto patrimoniale di natura reale che gli derivava dal fatto di essere destinatario della concessione amministrativa; che tuttavia A. Ca. aveva ceduto alcun loculi della cappella, con la conseguenza che egli non aveva conservato il diritto in via esclusiva sull’intera cappella (in particolare essendo versato in atti un contratto di compravendita con il quale M. M., nella sua qualità di procuratore di A. Ca., aveva venduto ad A. T. una nicchia posta sul lato sinistro della cappella); che la non esclusività del diritto è dimostrata dal fatto che nella cappella era stato seppellito V. Ca., fratello di A. Ca. e, al contempo, nonno degli appellanti, ed oltre a V. Ca. venivano seppelliti nella cappella anche i suoi figli, A., S. (padre dell’appellato A. Ca.) e M. (padre dell’appellata A. Ca.); che le tumulazioni di V. Ca. e dei suoi figli (e del nipote V.) costituiscono un indizio a favore della validità di quanto sostenuto dagli appellati, secondo i quali i due fratelli, V. Ca. e A. Ca., dopo avere costruito insieme la cappella, dividevano il loro diritto, attribuendosi, l’uno la parte destra e, l’altro, la parte sinistra della stessa.
La Corte d’appello ha ritenuto che gli appellanti incidentali anno dimostrato di avere esercitato, sulla cappella in questione, un potere di fatto corrispondente al diritto al sepolcro, sia sotto forma primaria, ossia come diritto a essere seppelliti o a seppellire, sia sotto forma secondaria, ossia come diritto di accesso al sepolcro in cui si trova tumulata la salma dei loro congiunti. A tal fine, la Corte territoriale ha rilevato che la situazione di possesso esercitata dagli appellanti incidentali è stata accertata con la sentenza n. 958 del 1992 del Tribunale di Catanzaro, passata in cosa giudicata, che ha risolto una lite in materia possessoria vertente tra le stesse parti in causa in relazione alla medesima cappella oggetto della presente controversia. La Corte di Catanzaro ha ritenuto provato che, nell’arco di trentotto anni, gli appellanti incidentali abbiano tumulato i propri defunti in quella cappella, facendone un uso continuativo, ritenendo di essere titolari del relativo diritto al sepolcro e comportandosi come tali, in maniera pacifica ed indisturbata , avendone finanche la chiavi, e in forma pubblica, vista la tradizionale partecipazione corale e partecipata del culto dei morti, in generale, e della tumulazione delle salme, in particolare.
3.- Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso M. C., con atto notificato il 18 dicembre 2012, sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito, con contro ricorso, A. Ca. e M. e N. Ca., questi ultimi due eredi di A. Ca..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ.) la ricorrente deduce che con l’appello incidentale la controparte ha rinunciato alla domanda di acquisto del bene immobile cappella ed ha formulato la diversa e nuova domanda di acquisto per usucapione del diritto di custodire i resti mortali dei congiunti. La Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio l’inammissibilità della nuova domanda. Erroneamente la Corte di Catanzaro avrebbe ritenuto che nel corso del giudizio di primo grado A. Ca. e A. Ca. avessero richiesti, in via principale, che venisse accertato il loro diritto al sepolcro e, in via subordinata, che venisse dichiarato l’acquisto per usucapione.
1.1.- il motivo è infondato.
Risulta per tabulas dagli atti di causa, ai quali è possibile accedere essendo denunciato un vizio in procedendo, che costituendosi in primo grado, con la comparsa costitutiva e di risposta A. Ca. e A. Ca. hanno proposto domanda riconvenzionale, chiedendo al Tribunale di Catanzaro di dichiarare e riconoscere la titolarità della cappella in favore di essi convenuti, per l’intero o comunque per la parte relativa al lato destro interno, riconoscendo il diritto degli stessi a mantenere nella menzionata cappella le spoglie mortali dei loro congiunti, ed in via subordinata hanno eccepito l’intervenuta usucapione. Con l’appello incidentale, i medesimi A. e A. Ca. hanno domandato alla Corte d’appello di accertare e dichiarare, in loro favore, l’intervenuto acquisto per usucapione del diritto di custodire i resti mortali di congiunti per aere esercitato, per il periodo prescritto dalla legge, il potere di fatto corrispondente al contenuto di tale diritto.
E’ da escludere che, con l’atto di appello incidentale, A. Ca. e A. Ca. abbiano introdotto una domanda nuova: sia perché il diritto al sepolcro, inteso come diritto a tumulare e a custodire nella cappella cimiteriale i resti mortali di congiunti, avendo natura di diritto reale patrimoniale (Cass., Sez. II, 18 gennaio 2008, n. 1009), è compreso nel diritto reale sul manufatto funerario e sui materiali che lo compongono; sia perché, con riguardo al giudizio instaurato per la declaratoria della titolare di un bene (nella specie, il sepolcro), la deduzione in appello di un ulteriore modo di acquisto (nella specie, per usucapione) non configura una domanda nuova inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. (Cass., Sez. II, 5 ottobre 1993, n. 9838), ove si consideri che la proprietà e gli atri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto quale rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, con la conseguenza che la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non svolge, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, ma è rilevante ai soli fini della prova (Cass., Sez. II, 13 febbraio 2007, n, 3089).
2.- Il secondo mezzo lamenta illogica, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Con esso ci si duole che la Corte di Catanzaro abbia erroneamente ritenuto che gli appellanti non abbiano dato adeguata e piena prova in ordine alla titolarità esclusiva della cappella. La sentenza impugnata sarebbe incorsa in un equivoco, assumendo che V. Ca. fosse fratello di A. Ca.. Tale erronea convinzione – si assume – può avere indotto i giudici del gravame a ritenere che V. Ca. e A. Ca. abbiano dapprima tacitamente suddiviso tra loro l’immobile in virtù di un vincolo familiare che, in realtà, non sussiste. L’altro equivoco in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale sarebbe quello di ritenere che il loculo venduto nel lontano 1942 da M. M. (procuratore del concessionario A. Ca.) ad A. T. sia posto sul lato destro della cappella. Successivamente all’acquisto, A. T. vi avrebbe fatto tumulare il proprio marito A. Ca.: è pertanto erroneo ritenere che A. Ca. sia stato tumulato all’interno della cappella per cui è causa in virtù del rapporto di parentela che lo stesso aveva con V. Ca.. Avrebbe errato, inoltre, la Corte d’appello a non fonare il proprio convincimento sulla nota di trascrizione dell’atto pubblico del 16 gennaio 1961 con il quale A. Ca. ha donato a Luigi Ca., marito della C. e patri di Pietro e A. Ca., la cappella in questione. Unitamente alla nota di trascrizione, sussisterebbero altri elementi validi a sostegno della tesi della ricorrente, che avrebbero dovuto essere tenuti in considerazione dalla Corte territoriale, In particolare, la ricorrente ribadisce che nessun’altra nicchia è stata venduta, ad eccezione di quella alienata ad A. T. nel 1942, sicché tutte le altre poste all’interno della cappella sarebbero di proprietà della ricorrente e dei di lei figli, mentre la tumulazione dei parenti dei resistenti sarebbe avvenuta a solo titolo gratuito e in maniera provvisoria. D’altra parte, controparte non avrebbe mai dedotto e provato in quale misura e con quale modalità V. Ca. avrebbe, all’epoca, contribuito all’edificazione comune della cappella de qua.
2.1.- Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha desunto la mancanza di prova della titolarità esclusiva del diritto in capo agli attori dalla stessa documentazione versata in atti dagli appellanti in via principale, perché nella nota di trascrizione relativa all’atto di donazione (l’atto di donazione non è mai stato prodotto) è scritto che alcuni loculi della cappella sono stati ceduti a terzi.
La Corte di Catanzaro ha dato altresì rilievo alle seguenti circostanze: al fatto che M. M., nella sua qualità di procuratore di A. Ca., ha venduto ad A. T., una nicchia all’interno della cappella; al fatto che nella cappella sono seppelliti V. Ca. e i suoi figli, A., S. (padre di A. Ca.) e M. (padre di A. Ca.).
Dalle tumulazioni di questi ultimi soggetti la Corte territoriale ha inferito che A. Ca. e V. Ca., dopo avere costruito insieme la cappella, si sono divisi il relativo diritto, attribuendosi, l’uno la parte sinistra della cappella, e l’altro, la parte destra.
Si tratta di una motivazione congrua e logica, basata sul ponderato esame delle risultanze probatorie.
A fronte delle coerenti argomentazioni poste a base della conclusione cui è pervenuta la Corte d’appello, è evidente che le censure mosse dalla ricorrente risultano dirette al risultato dell’apprezzamento di merito compiuto e sollecitano in realtà una inammissibile revisione del giudizio di fatto.
E’ priva di decisività la deduzione secondo cui V. Ca. non era fratello di A. Ca., perché, comunque, egli risulta essere sepolto nella cappella de qua ed è il dante causa dei resistenti.
Allo stesso modo, è priva di valenza la circostanza che la tumulazione di A. Ca., marito di A. T., sia avvenuta nella parte destra anziché nella parte sinistra della cappella, posto che nella parte destra della cappella sono tumulati i parenti degli odierni resistenti.
3.- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1158 e ss. doc. civ. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la sentenza n. 958 del 1992 del Tribunale di Catanzaro non avrebbe accertato e dichiarato che i resistenti hanno acquistato per usucapione il diritto al sepolcro sulla cappella. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente valutato le risultanze dell’istruttoria espletata nel corso del giudizio di primo grado. Mancherebbero nel caso che occupa il corpus possidendi, l’animus possidendi e soprattutto l’interversio possessionis, tutti requisiti necessari affinché possa configurarsi la fattispecie acquisitiva dell’usucapione.
3.1.- Il motivo è privo di fondamento.
La Corte d’appello ha fondato la prova del possesso ad usucapionem per il ventennio prescritto dalla legge su una molteplicità di risultanze probatorie: sulla sentenza n. 958 del 1992, pronunciata dal Tribunale di Catanzaro in sede di appello in una controversia possessoria tra le stesse parti in relazione alla medesima cappella oggetto della presente controversia, nella quale si riconosce che il potere di fatto esercitato sulla cappella da parte di A. Ca. e A. Ca. corrisponde allo ius sepulchri e si esercita attraverso la tumulazione dei loro ascendenti e il libero accesso con le chiavi; sul fatto che il possesso ad immagine di un diritto reale è stato esercitato ininterrottamente, pacificamente e indisturbatamente con la tumulazione di almeno quattro congiunti degli appellati ed appellanti incidentali nel corso di quasi quaranta anni.
La sentenza è congruamente motivata.
Pur formalmente denunciando il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, la ricorrente prospetta in realtà una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze processuali sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione di parte ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta.
Non appare pertinente il richiamo alla necessità dell’interversio possessionis, non constando dalla sentenza impugnata che il potere di fatto dei convenuti sia iniziato a titolo di detenzione precaria.
4.- Con il quarto mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e ss. cod. civ.) si deduce che il quinto loculo del lato destro della cappella è stato, fin dal 1980 a oggi, vuoto; poiché tale loculo è vuoto da oltre trenta anni, controparte non può avere usucapito sullo stesso il diritto primario e secondario al sepolcro.
4.1.- Il motivo è inammissibile.
Dal testo della sentenza impugnata risulta che la materia del contendere oggetto dei gradi di merito verteva sulla titolarità, da parte degli odierni resistenti, della intera parte destra della cappella.
Dalla sentenza impugnata non consta che si sia discusso di un quinto loculo della parte destra che sarebbe vuoto dal 1980.
La ricorrente non indica – nel rispetto delle prescrizioni formali dell’art. 366, n. 6, doc. proc. civ. – da quale risultanza probatoria risulti che il quinto loculo della parte destra sia vuoto dal 1980.
La censura della ricorrente, pertanto, non può avere ingresso, trattandosi di una deduzione nuova e generica.
5.- Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi euro 2.700, di cui euro 2.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 24 gennaio 2017.
Presidente: Emilio Migliucci
Relatore: Alberto Giusti
Pubblicata il 16 febbraio 2017

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