Corte di Cassazione, Sez. 1^ civ., 9 agosto 2017, n. 19757

MASSIMA
Corte di Cassazione, Sez. 1^ civ. 9 agosto 2017, n. 19757
Gli strumenti urbanistici non sono idonei a determinare, senza apposito provvedimento, conclusivo di specifico procedimento, una riduzione della fascia di rispetto cimiteriale, che ha natura di vincolo reale, assoluto, rispondente ad una pluralità di interessi pubblici e. per questo, non arreca ai proprietari (in via specifica) alcun deprezzamento di cui possa tenersi conto in sede di determinazione del valore dell’immobile, per la mancanza di un nesso di causalità diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata.

NORME CORRELATE
Art. 338 Regio Decreto n. 1265/1934
Art. 28 Legge 166/2002

TESTO COMPLETO
Corte di Cassazione, Sez. 1^ civile 9 agosto 2017, n. 19757
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Suprema Corte di Cassazione
Sezione Prima Civile
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso 5291/2015 proposto da:
B. Carlo, B. Alberto, B. Lucia Eliana, elettivamente domiciliati in Roma, via P. Pilsudski n.118, presso l’avvocato Paoletti Francesco, rappresentati e difesi dagli avvocati Morbidelli Giuseppe, Righi Roberto, giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrenti:
contro
Comune di Montecatini Terme, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Circonvallazione Clodia n.86, presso l’avocato Martire Roberto, rappresentato e difeso dall’avvocato Parlanti Rossana, giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrente
avverso le sentenze non definitiva n. 935/2011 e n. 5/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositate rispetivamente il 14/7/2011 ed il 07/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/05/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.
FATTI DI CAUSA
Carlo, Elena Lucia ed Alberto B. chiesero alla Corte d’Appello di Firenze la determinazione della giusta indennità di espropriazione ed occupazione della porzione del loro fondo determinata, in via provvisoria, dal Comune di Montecatini Terme in misura ritenuta vile. Nel contradittorio col Comune, la Corte adita, con sentenza non definitiva del 14.7.2011, per quanto d’interesse, affermò che l’intera proprietà espropriata era inedificabile, perché ricadeva nella fascia di rispetto cimiteriale estesa 200 metri, ex art. 338 del 1934, escludendo che la variante al PRG, adottata con delibera del CC del 6.7.1998, che la riduceva a 50 metri, potesse validamente derogare il dato normativo, che, nel testo vigente ratione temporis, attribuiva tale potere al Prefetto, all’esito dell’apposito procedimento. Con sentenza definitiva del 7.1.2014, la Corte determinò il dovuto in conformità della disposta CTU su di un supposto utilizzo a parcheggio, in € 78.000.00 per l’espropriazione ed in € 12.458,33 per l’occuopazione.
Per la cassazione di entrambe le sentenze, hanno proposto ricorso i B. con tre motivi, ai quali il Comune di Montecatini Terme ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, deducendo la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.; 6 della L. n. 296 del 1958; 1 del DL n. 1121 del 1971, convertito nella L. n. 15 del 1972; 1 e 2 del d.P.R. n. 8 del 1972; 14 del d.P.R. n. 4 del 1972; L n. 382 del 1975; 27,30 e 101 del d.P.R. n. 616 del 1977; dei principi informatori della L. n. 833 del 1978, della LR Toscana n. 63 del 1983; e dell’art. 338 RD n. 1265 del 1934, i ricorrenti lamentano che la sentenza non definitiva ha ritenuto che la fascia di rispetto cimiteriale, posta dalla legge del 1934, poteva essere ridotta solo in virtù di provvedimento prefettizio, omettendo erroneamente che, dopo il trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni, anche per blocchi di materia, tale competenza doveva ritenersi venuta meno per incompatibilità con le disposizioni sopravvenute, che attribuivano la compteenza ad organi regionali e, fopo il 1977, a quelli comunali.
2. Col secondo motivo, i ricorenti deducono che, nel ritenere le delibere indicate dal CTU inidonee a modificare la profondità della fascia di rispetto cimiteriale, la Corte d’Appello è incorsa in violazione degli artt. 42 Cost. 1, prot. 1 addizionale alla CEDU, 4 e 5 della L. n. 2248 del 1865; 21 bis, 21 quater, 21 septies, 21 nonies della l n. 241 del 1990, e del principio che vieta di “venire contra factum proprium”.
3. Col terzo motivo, si deduce la violazione dell’art. 42 Cost, 1 prot. 1 addizionale alla CEDU; dei principi desumibili dagli artt. 4 della L. n. 10 del 1977; degli artt. 32 e 40 del d.P.R. n. 327 del 2001. I ricorrenti lamentano che l’indennità è stata determinata in riferimento all’utilizzazione a parcheggio, in ossequio della variante del 1992, laddove, essendo decadute le destinazioni con essa impresse, la liquidazione avrebbe dovuto aver luogo secondo i principi delle “zone bianche”, e tenuto conro delle possibilità concrete di sfruttameto edilizio.
4. Il promo motivo è infondato.  E’ stato più volte ribadito da questa Corte (cfr. Cass. SU n. 18038 del 2008 e giurisprudenza ivi richiamata) che, in ipotesi di successione di leggi, l’incompatibilità tra le nuove disposizioni e quelle precedenti, che configura una fattispecie di abrogazione tacita ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, si verifica quando tra le norme considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, cosicché> dalla applicazione ed osservanza della nuova legge non possono non derivare la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra. Se, dunque, l’abrogazione per incompatibilità (o tacita o implicita) in tanto può ricorrere in quando risulti un oggettivo contrasto tra norma successiva e norma precedente tale da rendere impossibile la loro contemporanea applicazione, la suggestiva tesi dell’abrogazione tacita dell’art. 338 del TU del 1934, prospettata dal ricorrente, non può essere condivisa, in quanto le disposizionei in tesi violate non disciplinano, in alcun modo, il tema dell’estensione della fascia di rispetto cimiteriale, nè le modalità per la sua riduzione, che sono a tutt’oggi regolate dall’art.338 e che all’epoca dei fatti erano consentite mediante uno specifico procedimento che, pure in considerazione della tipicità degli atti amministrativi, non si presta ad essere sostituito in via esegetica dal procedimento di adozione e variazione urbanistica (che in sé costituisce esercizio del potere di pianificazione territoriale) e che è stato, in effetti, modificato con la legge n.166 del 2002. Contro l’abrogazione tacita della disposizione, nella parte in cui individua l’organo legittimato a disporla ed il relativo procedimento, milita, anche, il d.P.R. 10 settembre 1990, n. 28, di approvazione del regolamento di polizia mortuaria, che, nonostante emanato in epoca ben successiva all’entrata in vigore dei corpi normativi invocati in ricorso, ha continuato a far rinvio, per il tramite dell’art. 57, all’art. 338 del testo unico delle leggi sanitarie (ovviamente nel testo all’epoca vigente) ed ha riaffermato il precetto che impone il distacco dei cimiteri dall’abitato mediante la zona di rispetto prevista dalla menzionata norma. 5. L’affermata natura meramente ricognitiva della modifica all’art. 338 apportata dalla menzionata legge n. 166 del 2002, è dunque, infondata: essa non tiene conto, tra l’altro, del testo normativo, che affida, bensì, al consiglio comunale (in precedenza, solo proponente) di derogare il distacco di 200 metri lineari dall’abitato (distacco che riafferma, al comma 1 e le cui violazioni sanziona al comma 3), al fine della costruzione di nuovi cimiteri o dell’ampliamento di quelli esistenti (co 4), ovvero per dare esecuzione ad un’opera pubblica o un intervento urbanistico (co 5), ma previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, e cioè, ancora una volta, mediante uno specifico procedimento che non può ritenersi implicito nella redazione di una variante di piano, (in concreto l’unica approvata dalla Regione è quella del 1980) alla quale i ricorrenti affidano l’ipotizzata riduzione della distanza del loro fondo dal cimitero. 6. Va, quindi, data continuità alla sentenza di questa Corte n. 13676 del 1991, già citata dai giudici del merito ed a torto ritenuta non aderente al caso di specie, dovendo riaffermarsi, in relazione al testo normativo vigente ratione temporis, che “il vincolo di inedificabilità previsto dalla legge per le fasce di rispetto cimiteriali non può essere derogato dai piani urbanistici, in considerazione del sistema di gerarchia delle fonti, ma solo nei casi e nei modi contemplati dalla stessa legge all’art. 338 cit., primo comma e quinto comma (quest’ultimo come modificato dall’art. 1 della l. 17 agosto 1957 n. 983) i quali prevedono, rispettivamente, il potere del prefetto, all’esito di appositi procedimenti, di autorizzare l’ampliamento di cimiteri a meno di duecento metri da preesistenti centri abitati ovvero di ridurre la fascia di rispetto”.
7. Tanto basta ad escludere la fondatezza del secondo motivo, non potendo non rilevarsi che: a) la questioone dell’efficacia delle delibere, ancorchè in tesi affette da vizi di legittimità, ed i limiti al potere di disapplicazione <è> un tema d’indagine che non è stato affrontato in sede di merito e, per la sua novità è inammissibile in questa sede di legittimità; b) la deduzione, ad ogni modo, non tiene conto che la distanza posta dalla disposizione in esame comporta un vincolo legale, assoluto, di inedificabilità che s’impone ex se, con efficacia diretta ed immediata, indipedentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici (ed a fortiori da comportamenti delle parti), strumenti che non sono idonei ad incidere sulla esistenza o sui limiti dello stesso, proprio per la compresenza di molteplici interessi che tale fascia di rispetto intende tutelare, e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione ed alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. St., 9 marzo 2016, n. 949; Cass. n. 26326 del 2016).
8. La sussistenza di detto vincolo legale d’inedificabilità, ritenuta in più occasioni legittima dalla Corte Cost. ha carattere conformativo della proprietà, in quanto collegata, sotto il profilo soggettivo, al suo carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni che si trovino in una determinata situazione e non per le loro qualità e condizioni, e, dal punto di vista oggettivo, al fatto di gravare su immobili individuati a priori per categoria (cfr. Corte Cost. n. 133/1971; n. 79/1971; n. 63/1970). La presenza del vincolo, ancorché reso concretamente applicabile in conseguenza della destinazione di interesse pubblico data alla parte sottratta al privato, non arreca ai proprietari in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazone del valore dell’immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata (Cass., 22 maggio 2013, n. 7228; Cass., 29 novembre 2006, n. 25346). Tale conclusione non contrasta con il principio secondo cui l’indennità deve essere determinata mantenendo un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, affermato dalla CEDU,che tuttavia non ha affatto imposto di valutare tutti i terreni senza distinguere tra quelli edificatori e quelli che tali non sono, sicchè la relativa valutazione, che, muove da diverso presupposto, è insussistente.
9. Il terzo motivo va, in conseguenza, rigettato. La Corte territoriale ha, infatti, valutato il fondo in conformità dei principi desumibili dalla sentenza n. 181 della Corte Cost. in relazione alla natura non edificatoria del suolo, e, pertanto, le allegazioni relative a differenti destinazioni d’uso non sono pertinenti (ipotizzando, contro il vero, ricorrere l’ipotesi dell’area bianca e la necessità di considerare l’edificabilità di fatto), mentre le ulteriori doglianze finiscono con attingere il merito, il cui esame è inammissibile in sede di legittimità.
10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in € 8.2000,00, di cui € 200,00 per spese, oltre accessori. Ai sensi dell’art. 13, co 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017
Il Presidente (GIANCOLA Maria Cristina)
Il Relatore (SAMBITO Maria Giovanna C.)
Depositata in cancelleria il 9 agosto2017
IL Segretario

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Sereno Scolaro

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