Consiglio di Stato, Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4943

Consiglio di Stato, Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4943

MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4943
Per le concessioni cimiteriali, comunque denominate, antecedenti al dPR 21 ottobre 1975, n. 803 (abrogatnte, tra l’altro, del R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880), per le quali poteva aversi legittimazione alla cessione, tanto per atti inter vivos o per atti mortis causa, legittimazione che era, peraltro, subordinata ad una tempestiva comunicazione al comune ai fini della valutazione della sussistenza di un qualche pubblico interesse, l’omissione di tale comunicazione rende corretto il provvedimento di revoca, anche nella parte in cui ha previsto, in applicazione del principio dell’accessione, l’acquisizione del manufatto funerario realizzato sull’area interessata.

NORME CORRELATE

Art. 823 Cod. Civ.

Art. 824 Cod, Civ.

Art. 92 dPR  10 settembre 1990, n. 285

 

SENTENZA

N. 04943/2015REG.PROV.COLL.
N. 00924/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 924 del 2014, proposto da:
E. GIOVANNI e dai suoi eredi M. ADDOLORATA, E. FARRAELE, E. LUISA, E. GIUDITTA, E. KATIA, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Vincenzo Cerulli Irelli e Maria Athena Lorizio, con il cui sono elettivamente domiciliati in Roma, Via Dora, n. 1;
contro
COMUNE DI NAPOLI, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Anna Pulcini, Fabio Maria Ferrari, Bruno Crimaldi, con domicilio eletto presso il sig. Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, Sez. VII, n. 4184 del 6 settembre 2013, resa tra le parti, concernente la revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale e la conseguente acquisizione del manufatto funerario ivi realizzato;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 4526 del 6 settembre 2014, di interruzione del giudizio per l’intervenuto decesso dell’appellante;
Visto l’atto di riassunzione del giudizio da parte dei signori Addolorata Marino, Raffaele, Luisa, Giuditta e Katia E.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2015 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Maria Athena Lorizio, Natale Giallongo su delega dell’avvocato Bruno Crimaldi;
Ritenuto in fatto e considerato in fatto quanto segue.
FATTO
I.1. Il Comune di Napoli – con permesso n. 115 del 14 agosto 1893 – rilasciò al Principe di Motta Bagnara Fabrizio R. il permesso per la costruzione di una cappella funeraria nel cimitero di Poggioreale su di un’area di 63 mq. di cui lo stesso aveva il godimento.
I.2. A seguito di indagini è risultato che con atto notarile rep. N. 99018 del 26 luglio 2011 quel manufatto funerario è stato venduto dalla signora Luisa Z., nella dichiarata qualità di unica erede dell’originario concessionario, al sig. Giovanni E.
I.3. Con provvedimento dirigenziale n. 18 del 9 ottobre 2012, previa comunicazione di avvio del procedimento agli interessati, signori Luisa Z. e Giovanni E., ed esaminate le loro osservazioni, è stata disposta la revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale di cui al citato permesso n. 115 del 14 agosto 1893, con acquisizione del realizzato manufatto (da rilasciare liberi da salme, resti mortali e arredi funebri, entro 90 giorni, con espresso avviso che in difetto si sarebbe provveduto in danno).
A fondamento della revoca decadenziale è stato rilevato che:
a) l’art. 53, comma 1, del Regolamento comunale di polizia mortuaria e dei Servizi funebri e cimiteriali, approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, prevedeva il divieto di cessione fra privati dei manufatti funebri;
b) l’atto notarile rep. n. 99018 del 26 luglio 2011 di cessione del manufatto funerario violava il ricordato art. 53 del Regolamento di polizia mortuaria;
c) ai sensi degli artt. 823 e 824 c.c., il cimitero è un bene demaniale e la concessione di sepoltura privata costituisce una concessione amministrativa di bene demaniale con diritto d’uso non alienabile;
d) l’art. 44 del Regolamento di polizia mortuaria stabilisce che non può essere fatta concessione di aree per sepoltura privata a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione;
e) l’art. 53, comma 1, del regolamento, che vieta la cessione diretta tra privati, è posto a tutela dell’ordine pubblico e della buona amministrazione ed è preordinato alla salvaguardia delle esigenze pubblicistiche, che impongono all’amministrazione di sovrintendere, vigilare e controllare tutte le attività relative all’area sepolcrale;
f) l’atto di compravendita del 26 luglio 2011 era pertanto nullo ed inopponibile nei confronti dell’amministrazione concedente, che aveva un interesse concreto ed attuale a rientrare nella disponibilità del manufatto funebre per procedere alla sua riassegnazione nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica.
Quanto alle osservazione formulate dagli interessati è stato osservato che:
g) il regolamento era pienamente conforme alle norme di rango superiore;
h) l’atto di compravendita era stato concluso successivamente all’entrata in vigore del nuovo regolamento;
i) la revoca decadenziale era connessa all’inosservanza degli obblighi a carico del concessionario di non cedere il manufatto;
l) il diritto sul sepolcro e l’irrevocabilità della concessione di suolo non sono opponibili all’ente concedente quando le esigenze di tutela dell’ordine e della buona amministrazione del cimitero impongono di esercitare il potere di revoca decadenziale della concessione a fronte di un atto di compravendita espressamente vietato dal regolamento.
I.4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione VII, con la sentenza n. 4184 del 6 settembre 2013, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, ha respinto il ricorso proposto dal signor Giovanni E. avverso il sopra citato provvedimento di revoca decadenziale, ritenendo infondati tutti i sei motivi di censura (imperniati sull’eccesso di potere per erroneità dei presupposti sotto più profili, violazione dell’art. 11 della legge in relazione all’art. 53 del regolamento comunale; violazione del regolamento n. 285 del 1990, violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, pure con riferimento all’art. 53 del regolamento comunale; violazione dell’art. 1418 C.C.)”.
I.5. L’originario ricorrente ha chiesto la riforma di tale sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di sei motivi di gravame, cosi rubricati: “I. Erroneità della sentenza per travisamento dei fatti – Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano lo jus sepulcri – Nullità, ex art. 21 septies L. n. 241/90, della revoca della concessione di suolo cimiteriale per mancanza di oggetto; II. Erroneità della sentenza sotto altro profilo per non aver considerato la cedibilità di una risalente concessione cimiteriale. III. Erroneità della sentenza sotto altro profilo. IV. Erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto il provvedimento n. 18/2012 illegittimo per violazione dell’art. 11 delle preleggi al Codice Civile e per violazione dell’art. 42, comma 2. della Costituzione. V. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto la censura di violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. 241/1990, con riferimento all’approvazione del nuovo Regolamento comunale di polizia mortuaria del 2006. VI. Riproposizione in appello dei motivi assorbiti: violazione dell’art. 1418”.
Il Comune di Napoli si è costituito in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.
I.6. Con ordinanza n. 4526 del 5 settembre 2014 il giudizio è stato interrotto a causa del decesso dell’appellante.
Con atto notificato il 29 ottobre 2014 i signori Addolorata M., Raffaele, Luisa, Giuditta e Katia E. hanno riassunto il giudizio, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già formulate.
I.7. All’udienza pubblica dell’11 giugno 2015, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
II. L’appello è infondato, sicché si può prescindere sia dall’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’originario ricorrente/appellante (ed ora dei suoi eredi) sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale, sia da ogni questione sulla nullità/illiceità della procura speciale (rep. 99017 del 26 luglio 2011), quale mezzo utilizzato dalle parti di cui all’atto di vendita (rep. 99018 del 26 luglio 2011) per eludere il divieto di cui all’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria dei servizi funebri e cimiteriali.
III.1. Occorre premettere che controversie pressoché identiche a quella in esame sono state recentemente decise dalla Sezione con le sentenze n. 4838 del 26 settembre 2014, n. 4924, 4125 e 4927 del 2 ottobre 2014, dalle cui conclusioni non vi è ragione di discostarsi.
Invero, come hanno del resto evidenziato i primi giudici, nella materia de qua è stato rilevato che, in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario “…lo ius sepulchri, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri non preclude l’esercizio dei poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione concedente, sicché sono configurabili interessi legittimi quando sono emanati atti di autotutela. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000 , n. 3313).
E’ stato anche sottolineato che, “come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “… di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che, a fronte di successive determinazioni del concedente, il concessionario può chiedere ogni tutela spettante alla sua posizione di interesse legittimo.
È stato poi precisato che nel corso del rapporto concessorio si devono rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, in quanto “lo ius sepulchri attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
Una volta costituito il rapporto concessorio, questo può essere disciplinato da una normativa entrata in vigore successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dell’ambito soggettivo di utilizzazione del bene: è stato ritenuto non “pertinente…il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).
Il rapporto concessorio in questione è dunque “pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompresa anche la disposizione sulla “nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
In definitiva nell’ordinamento nazionale il diritto sul sepolcro già costituito sorge con una concessione amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.): la concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta la sussistenza di posizioni di interesse legittimo – con la relativa tutela giurisdizionale – quando l’amministrazione concedente disponga la revoca o la decadenza della concessione per la tutela dell’ordine e della buona amministrazione (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294).
III.2. Nella specie, rileva anche il Regolamento di polizia mortuaria e dei servizi funebri e cimiteriali, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, il quale all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che:
– “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1);
– “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5);
– “La concessione può essere soggetta: a) a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b) a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c) a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).
L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone al comma 4 che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.
L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) dispone che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.
III.3. Ciò premesso, con riferimento ai singoli motivi di gravame, la Sezione osserva quanto segue.
III.3.1. Con i primi due motivi di gravame, rubricati rispettivamente “Erroneità della sentenza per travisamento dei fatti – Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano lo jus sepulcri – Nullità, ex art. 21 septies l. n. 241/90, della revoca di concessione di suolo cimiteriale per mancanza di oggetto” e “Erroneità della sentenza sotto altro profilo: per non aver considerato la cedibilità di una risalente concessione cimiteriale perpetua”, è stato sostenuto innanzitutto che prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice civile i cimiteri comunali non avrebbero avuto natura demaniale e che, anche in ragione del tenore letterale dell’atto n. 115 del 14 agosto 1893, i primi giudici avrebbero dovuto accertare sotto il profilo storico la natura pubblica o privata dell’area cimiteriale di Poggioreale di cui si discute mediante un’apposita consulenza tecnica d’ufficio; è stato poi aggiunto che il ricordato atto n. 115 del 14 agosto 1893 aveva ad oggetto non già la concessione di suolo, ma l’autorizzazione alla realizzazione di una cappella, con conseguente nullità della revoca per mancanza di oggetto, sottolineandosi infine che, vertendosi in una fattispecie di concessione perpetua, tra le tassative ipotesi di revoca non vi rientrava quella posta a fondamento del provvedimento impugnato, così che, non essendo mutata la destinazione della manufatto realizzato, non avrebbe potuto negarsi l’ammissibilità della sua cessione.
Tali deduzioni, ancorché suggestive, non meritano favorevole considerazione.
III.3.1.1. Innanzitutto la giurisprudenza non ha mai dubitato della natura demaniale dei cimiteri comunali anche nella vigenza del codice civile del 1865, sia pur ricollegandola, in mancanza di un’espressa previsione normativa, alla loro specifica destinazione all’uso pubblico diretto ed immediato: secondo Cass. civ. I, 20 gennaio 1964, n. 114 “i cimiteri che nel vigore del c.c. 1865 erano considerati beni demaniali in quanto destinati all’uso pubblico diretto ed immediato, sono assoggettati esplicitamente al regime delle cose demaniali ai sensi dell’art. 824, secondo comma, C.C.”.
III.3.1.2. E’ da aggiungere poi che sia il R.D. 25 luglio 1892, n. 448 (“Regolamento speciale di polizia mortuaria”), abrogato dal R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 (“Approvazione del regolamento di Polizia mortuaria”), che quest’ultimo, qualificavano poi espressamente quale concessione il provvedimento dell’amministrazione comunale di assegnazione al privato di un’area del cimitero per sepolcri individuali o di famiglia (artt. 97, 99 e 100 R.D. n. 448 del 1892; artt. 68, 69 del R.D. n. 1880).
La natura concessoria del provvedimento trovava conferma nella previsione dell’art. 104 del R.D. n. 448 del 1892, a mente del quale “I concessionari di posti per sepolture particolari coi quali i comuni siano legati da regolare contratto, hanno diritto, salvo speciali patti stabiliti prima della pubblicazione del presente regolamento, di ottenere nel nuovo cimitero, per il tempo che ancora spetta o in perpetuità, un posto corrispondente in superficie a quello precedentemente loro concesso in quello che deve chiudersi, ed al trasporto delle spoglie mortali nella nuova sepoltura”: il contratto che lega nella fattispecie de qua l’amministrazione comunale ed il cittadino non esclude affatto che l’assegnazione di un’area del cimitero comunale per la sepoltura privata integri una concessione amministrativa, essendo piuttosto finalizzato a disciplinare i rapporti nascenti dalla concessione stessa (di tenore sostanzialmente analoga è la previsione contenuta nell’art. 76 del R.D. 21 dicembre 1942, n. 880).
L’articolo 71 di quest’ultimo prevedeva al secondo comma la possibilità che il diritto di uso delle sepolture private potesse essere ceduto ovvero trasmesso, sia totalmente che parzialmente, tanto per atto tra vivi quanto per atto di ultima volontà a terzi, “… salvo che la cedibilità o la trasmissibilità in tutto o in parte, non sia incompatibile con il carattere del sepolcro secondo il codice civile, e sempre che i regolamenti comunali ed i singoli atti di concessione non dispongano altrimenti”, aggiungendo al quarto comma che “In ogni caso, ove sussistano ragioni di pubblico interesse, il Comune può non riconoscere come nuovo concessionario l’avente causa del titolare della concessione. A tal fine gli interessati devono preventivamente notificare ogni atto di cessione o trasmissione al Comune, il quale entro il termine perentorio di un mese, potrà dichiarare il proprio voto alla cessione o alla trasmissione”.
III.3.1.3. Ferme restando le osservazioni di cui ai punti III.3.1.1 e III.3.1.2, deve ancora osservarsi che in ogni caso era onere della parte ricorrente/appellante, in applicazione del generale principio fissato dall’art. 2697 C.C., provare la natura privata dell’area (di 63 mq. collocata all’interno del cimitero di Poggioreale) indicata nel documento del 17 aprile 1893, la cui disponibilità (a dichiarato titolo di proprietà) ha costituito il presupposto per il rilascio del permesso n. 115 del 14 agosto 1893.
A supplire il difetto di tale onere, che non è stato assolto neppure fornendo adeguati elementi indizianti, non possono essere invocati i poteri officiosi del giudice, giacché, vigendo anche nel processo amministrativo il ricordato principio generale sull’onere della prova ex art. 2697 C.C., essi possono essere esercitati, anche su sollecitazione delle parti, solo in ragione dell’incompletezza dell’istruttoria predisposta dalle stesse parti, ma non già allorquando una specifica deduzione non sia stata formulata ovvero nessuna prova (o, meglio, nessun inizio di prova, come nel caso di specie) sia stato effettivamente fornito circa la verosimile fondatezza delle proprie tesi difensive (Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2015, n. 852; 22 dicembre 2014, n. 6222; sez. III, 17 aprile 2015, n. 1978).
III.3.1.4. Sotto altro concorrente profilo le considerazioni esposte sub III.3.1.1. e III.3.1.2. escludono anche che possa ragionevolmente dubitarsi della natura concessoria dell’assegnazione dell’area di cui si tratta, pacificamente collocata all’interno del cimitero comunale di Poggioreale, non essendo sufficiente e tanto meno decisiva in tal senso la semplice constatazione che nel documento in data 17 aprile 1893 (che non ha natura, né tanto meno la forma di atto di compravendita) si trovi affermato che il Principe di Motta Bagnara Fabrizio R. aveva acquistato un’area di 63 mq. nel cimitero di Poggioreale.
Anche a voler prescindere dalla considerazione che, in applicazione del principio generale secondo cui il nomen juris attribuito dalle parti ad un atto non vincola il giudice nell’interpretazione dell’effettiva fattispecie, così che l’uso del termine (privatistico) di acquisto (da parte del privato) di quell’area non è affatto decisivo, non può sottacersi che proprio la espressa finalità di quell’“acquisto”, l’edificazione di una cappella gentilizia alla sua morte, tradisce la natura concessoria di quell’atto.
III.3.1.5. Priva di fondamento è anche la deduzione secondo cui il provvedimento impugnato sarebbe privo di oggetto, avendo esso ad oggetto il permesso di realizzare il manufatto funerario e non l’area cimiteriale in senso stretto.
E’ sufficiente rilevare al riguardo che, diversamente da quanto eccepito, la revoca riguarda espressamente “la concessione di suolo pubblico di cui al permesso n. 115 rilasciato dal Comune di Napoli in data 14 agosto 1893”, così riguardando in realtà l’atto presupposto (cioè la concessione di suolo pubblico) al permesso di realizzare il manufatto.
III.3.1.6. Il fatto poi che anche l’articolo 71 del R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 (peraltro abrogato e quindi non più utilmente invocabile), imponesse agli interessati di notificare al Comune ogni atto di cessione o di trasmissione della originaria concessione e che tale adempimento nel caso di specie sia stato comunque pacificamente omesso, esclude qualsiasi rilievo al principio di tassatività delle ipotesi di revoca delle concessioni perpetue, di cui è stato infondatamente dedotto la violazione.
III.3.1.7. La natura demaniale e non privata dell’area di cui si discute rende infine corretto il provvedimento impugnato anche nella parte in cui ha previsto, in applicazione del principio dell’accessione, l’acquisizione del manufatto funerario realizzato sulla predetta area.
III.3.2. Ugualmente prive di fondamento sono le doglianze sollevate con il terzo motivo di gravame (“III. Erroneità della sentenza sotto altro profilo”, con cui è stata contestata la ricostruzione del jus sepulcri come diritto affievolito e l’illegittimità dell’art. 53 del regolamento comunale, anche sotto il profilo della mancata o insufficienza previsione dell’indennizzo espropriativo, nonché la violazione del Regolamento nazionale di polizia mortuaria (D.P.R. n. 285 del 1990), il quale non avrebbe previsto alcun divieto di alienazione tra privati dei diritti superficiari, attribuendo ai comuni il solo potere di dettare norme speciali e condizioni per la realizzazione di monumento e lapidi) e con il quarto motivo di gravame (“IV. Erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto il provvedimento n. 18/2012 illegittimo per violazione dell’art. 11 delle preleggi al Codice Civile e per violazione dell’art. 42, comma 2, della Costituzione), che, in quanto intimamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente.
III.3.2.1. Quanto alle questioni concernenti la natura, il contenuto e l’esercizio dello jus sepulcri, possono richiamarsi le considerazioni già svolte al precedente punto III.1., osservandosi ancora che, se è vero che il diritto sul sepolcro è un diritto di natura reale assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso del bene relativo e di trasmissione sia inter vivos sia mortis causa, nei confronti degli altri soggetti privati, è altrettanto vero che esso non preclude l’esercizio dei poteri autoritativi spettanti alla amministrazione concedente, sicché nel caso di emanazione di atti di revoca o di decadenza spetta la tutela prevista per le posizioni di interesse legittimo.
D’altra parte, il titolare del diritto reale, nonché della coesistente posizione di interesse legittimo nel caso di emanazione di atti autoritativi, è esclusivamente il concessionario, cui non può neppure essere assimilato né il richiedente la sub–concessione, in mancanza del formale provvedimento abilitativo, nè chi abbia ‘acquistato’ (solo apparentemente, in ragione della nullità del relativo contratto) il bene demaniale.
III.3.2.2. Ugualmente può rinviarsi alle considerazioni sub. III.1. per quanto riguarda la legittimità dell’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria che prevede il divieto di cessione tra privati della concessione di un manufatto funebre, anche con riguardo alla pretesa violazione sul punto del D.P.R. n. 285 del 1990, violazione che non sussiste affatto.
III.3.2.3. Quanto alla pretesa illegittimità della previsione dell’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria in ragione della sua pretesa natura retroattiva, deve osservarsi che il principio di irretroattività postula l’inapplicabilità di una disposizione di legge ad un fatto avvenuto nel passato, prima della sua emanazione.
Tale fattispecie non si riscontra nel caso di specie in cui, per la natura di ‘provvedimento di durata’ riferibile alla concessione, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella in vigore al momento della emanazione del provvedimento concessorio: la normativa entrata in vigore dopo il rilascio della concessione si applica a tutti i fatti, gli atti e le situazioni verificatesi dopo la medesima entrata in vigore, oltre che agli effetti che non si siano ancora definitivamente consolidati (salva, in tal caso, la tutela del legittimo affidamento, che tuttavia non rileva nel caso in esame, non solo perché i fatti posti a base della decadenza sono riferibili al periodo successivo all’entrata in vigore del regolamento, ma anche perché non è configurabile un affidamento ‘legittimo’ quando chi lo invochi abbia volontariamente violato la normativa di settore).
III.3.2.3. Quanto alla suggestiva deduzione secondo cui il provvedimento impugnato darebbe luogo ad un’ipotesi paradigmatica di espropriazione della proprietà senza indennizzo, va rilevato, come già evidenziato in precedenza, che parte appellante (nella qualità di acquirente del bene trasmesso da un soggetto privo di legittimazione a disporre del bene) non è titolare nei confronti del Comune di Napoli di alcuna posizione legittimante, né quanto al bene concesso in uso, né quanto al manufatto su di esso realizzato, spettando eventualmente tale legittimazione solo all’originario concessionario, nei confronti del quale tuttavia risulta correttamente esercitato il potere di decadenza dalla concessione stessa.
D’altra parte non può neppure ammettersi che la decadenza dovrebbe comunque dar titolo ad un indennizzo, poiché ben può una norma nazionale – nel caso di violazione della disciplina riguardante un bene spettante ad una pubblica amministrazione – prevedere la restituzione del medesimo bene (e di ciò che su di esso sia stato costruito) all’ente che ne è titolare e senza corresponsione di indennizzo, affinché il patrimonio pubblico sia gestito nel rispetto del principio di legalità ed in conformità agli interessi pubblici: una tale misura è senz’altro proporzionata, mentre la regola della spettanza dell’indennizzo sarebbe tale da disincentivare il rispetto delle regole (incoraggiando il concessionario a violarle, ove mancassero conseguenze economiche sfavorevoli nel caso di commissione dell’illecito).
III.3.3. Non merita condivisione la doglianza formulata con il quinto motivo di censura (“V. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto la censura di violazione dell’obbligo di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/1990, con riferimento all’approvazione del Regolamento comunale di polizia mortuaria del 2006”).
Non solo, come del resto ammesso dalla stessa parte appellante, le garanzie partecipative non trovano applicazione nei confronti degli atti normativi e/o generali per espressa previsione dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990, per quanto la giurisprudenza ha chiarito che le disposizioni che contemplano quelle garanzie non devono essere interpretate ed applicate meccanicamente nel senso che non può disporsi l’annullamento di un atto a causa della mancata partecipazione quando non sia in qualche modo provato che proprio quella partecipazione (ed in particolare gli elementi conoscitivi ed istruttori che potevano essere così acquisiti) avrebbe determinato un diverso contenuto, anche solo parziale di quell’atto.
Nel caso in esame non solo nessuna prova in tal senso è stata fornita, per quanto non può sottacersi che l’amministrazione ha effettivamente comunicato agli interessati l’avvio del procedimento di revoca dell’originaria concessione ponendo a fondamento dello stesso proprio le norme del nuovo regolamento comunale, così che nessun vulnus alle garanzie partecipative degli interessati è stato effettivamente inferto.
III.3.4. Quanto infine all’ultimo motivo di gravame, con cui è stato riproposto il motivo di censura sollevato in primo grado e dichiarato assorbito dai primi giudici, imperniato sulla dedotta violazione dell’art. 1418 c.c., non potendo il Comune di Napoli dichiarare la nullità dell’atto di compravendita, tanto più che l’art. 53 del regolamento comunale di polizia mortuaria non potrebbe neppure essere considerato quale norma imperativa, è appena il caso di rilevare che quella dichiarazione non può essere – strumentalmente – considerata frutto dell’inammissibile esercizio di un potere accertativo di natura giurisdizionale, trattandosi piuttosto della semplice doverosa constatazione dell’avvenuta violazione da parte del concessionario di un bene pubblico della violazione di validi e legittimi (per le considerazioni sopra esposte) obblighi inerenti il rapporto concessorio e quindi della presa d’atto, altrettanto doverosa, dell’inopponibilità di quella vendita nei confronti dell’amministrazione ai fini dell’esercizio del potere di revoca.
IV. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso segnato in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento in favore del Comune di Napoli delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre I.V.A., C.P.A. ed altri accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/10/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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Sereno Scolaro

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