Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 aprile 2023, n. 4116

Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 aprile 2023, n. 4116
[ Idem: stessa sezione e data, n. 4117 e n. 4118 ]

Pubblicato il 24/04/2023
N. 04116/2023REG.PROV.COLL.
N. 08897/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8897 del 2018, proposto da
Raffaele B., rappresentato e difeso dall’avvocato Bruno Ricciardelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A Placidi S.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;
contro
Comune di Pompei, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Enrico Califano, in Roma, piazza dei Consoli, n. 11;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 2311/2018, resa tra le parti, avente ad oggetto domanda di annullamento del provvedimento del Dirigente il V Settore Tecnico del Comune di Pompei assunto al prot. n. 232 del 09/01/2013, con il quale è stato disposto il rigetto della domanda di rilascio del permesso a costruire in sanatoria ex lege 724/94, presentata dal ricorrente in data 27/02/1995 (prot. 4316), ad oggetto opere consistenti nella realizzazione di un’abitazione unifamiliare e di un deposito di attrezzi agricoli, catastalmente identificate al foglio 3, p.lla 875 (ex 468 e 470 Catasto Terreni);
del preavviso di rigetto ex artt. 7,8 e 10-bis legge n. 241/90, assunto al n. prot. 1179 del 04/02/2010;
di ogni altro atto e provvedimento, anche endoprocedimentale, consequenziale, connesso, preordinato e presupposto, comunque lesivi degli interessi del ricorrente.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Pompei;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2023 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Ennio De Vita in dichiarata delega dell’avv. Bruno Ricciardelli e Nico Panio in dichiarata delega dell’avv. Erik Furno;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania l’odierno appellante invocava l’annullamento: a) del provvedimento prot. n. 232 del 9 gennaio 2013, con il quale il Dirigente del V Settore Tecnico del Comune di Pompei ha rigettato la domanda di rilascio del permesso a costruire in sanatoria, presentata in data 27 febbraio 1995 (prot. Gen. 4316), ai sensi della L. n. 724/1994, avente ad oggetto un’abitazione unifamiliare e un deposito attrezzi agricoli, identificato al catasto al foglio 3, p.lla 875 (ex 468 e 470); b) del preavviso di rigetto ex artt. 7, 8 e 10-bis l. n. 241/1990, assunto al prot. n. 1179 del 4 febbraio 2010, contenente i motivi ostativi all’accoglimento della domanda di condono.
2. Il primo giudice respingeva il ricorso, valutando come non fondate le doglianze spiegate dall’originario ricorrente avverso il diniego motivato su due distinte ragioni: I) “ai sensi della L. 47/85 art. 33 e dell’art. 34 delle Norme di Attuazione del P.R.G. in quanto l’opera oggetto di richiesta di sanatoria ricade in zona territoriale sottoposta a vincolo cimiteriale con inedificabilità assoluta”; II) “ai sensi della L. 47/85, art. 33, comma 1, lettera a, in quanto le opere oggetto di condono sono state realizzate in ambito P.T.P. in zona P.I. (art. 11 delle Norme di Attuazione del P.T.P.) sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta (L. 431/85) prima della realizzazione delle opere, entro la quale “è vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti…”. Il TAR si soffermava in particolare sull’infondatezza delle doglianze espresse nei confronti del primo corno della motivazione, non indagando ulteriormente quelle espresse nei confronti del secondo a fronte dell’autosufficienza della prima parte della motivazione per sostenere la legittimità del diniego.
3. Avverso la sentenza di prime cure propone appello l’originario ricorrente, che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: il TAR avrebbe dovuto rilevare che l’art. 338 del T.U.L.S. stabilirebbe che i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro edificato, ma consentirebbe anche che la detta distanza possa essere ridotta sino a 50 metri purché ciò venga disposto con una delibera comunale. Nella fattispecie è quanto sarebbe accaduto in forza della delibera consiliare n. 13 del 29/10/1990 che avrebbe rideterminato in 100 metri la distanza minima dal cimitero per poter realizzare edifici, senza che vi fosse necessità di approvazione da parte della Regione. Detta decisione sarebbe stata confermata dall’art. 70 della delibera 20/2010 di approvazione del regolamento di polizia mortuaria. Nel fare ciò l’amministrazione avrebbe ingenerato un legittimo affidamento in capo al privato, che avrebbe terminato la realizzazione delle opere all’indomani delle dette delibere, che si sarebbe potuto superare soltanto con uno sforzo motivazionale che nella fattispecie sarebbe mancato. Inoltre, il vincolo cimiteriale comporterebbe un’ipotesi di inedificabilità relativa. In ragione della fondatezza del primo motivo l’appellante ripropone le censure non esaminate avverso la motivazione del provvedimento impugnato che afferma l’incondonabilità dei lavori ai sensi dell’art. 33, comma 1 lett.a) della legge 47/85 in ragione del fatto che le opere da condonare sono state realizzate in una zona del P.T.P. sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta.
4. Costituitosi in giudizio, il Comune di Pompei argomenta in ordine all’infondatezza dell’avverso gravame.
5. Nelle successive difese l’appellante insiste nelle proprie conclusioni, precisando che le citate delibere del 1990 sarebbero state confermate dal più recente preliminare di PUC.
6. In sede di replica entrambe le parti insistono nelle proprie conclusioni.
7. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.
il rinvenimento di reperti archeologici.
7.1. Tanto precisato deve rilevarsi che ai sensi del comma 1 dell’art. 338 del r.d. 1265/1934: “I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge”. Sostiene l’appellante che l’edificio per cui si chiede il condono sarebbe situato entro la fascia dei 200 metri dal perimetro originario del cimitero e ad oltre 100 metri dal perimetro di ampliamento dello stesso disposto dal PGR del Comune di Pompei entrato in vigore nel 1981, che non sarebbe mai stata realizzato a causa del ritrovamento di reperti archeologici. Ciò avrebbe dovuto indurre il TAR a ritenere condonabile l’opera ai sensi dell’art. 32 della legge 47/1985. La tesi in questione non merita di essere condivisa. Occorre rammentare che secondo il consolidato orientamento di questa Sezione (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 20 luglio 2021, n. 5458) il vincolo cimiteriale ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura ed il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale. In questo senso non risulta rilevante la circostanza che il PRG del 1981 abbia disposto un ampliamento del cimitero, considerato che l’immobile dell’appellante ricade nella fascia di rispetto originaria di 200 metri e che come chiarito sopra il vincolo ex lega ha carattere assoluto. L’esistenza del vincolo cimiteriale nell’area nella quale è stato realizzato un manufatto abusivo, comportando l’inedificabilità assoluta, impedisce il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 33, L. n. 47/1985, senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati dal vincolo. Pertanto, l’Amministrazione, nel rigettare l’istanza di condono, non è tenuta a motivare in ordine alle concrete caratteristiche del manufatto realizzato e alla sua idoneità a pregiudicare gli interessi pubblici sottesi all’imposizione del vincolo cimiteriale, essendo sufficiente il rilievo circa l’avvenuta realizzazione dell’intervento edilizio in zona sottoposta fascia di rispetto cimiteriale e, quindi, in zona gravata da vincolo comportante inedificabilità assoluta (Cons. St., Sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2370). Del pari in costanza di una chiara violazione di legge non può invocarsi alcun legittimo affidamento su atti quali le delibere comunale del 1990 che non si sono mai tradotte in un’efficace disciplina urbanistica non essendo mai intervenuta la necessaria approvazione regionale. Pertanto, come correttamente rilevato dal primo giudice non residuava spazio alcuno per l’applicazione di quanto disposto dall’art. 32 della l. 47/1985, né era necessaria un’ulteriore motivazione a sostegno dell’impugnato diniego. Né risulta corretta l’esegesi dell’art. 338 del r.d. 1265/1934, secondo la quale per la riduzione della fascia di rispetto sarebbe sufficiente una qualsiasi delibera comunale: nel caso in esame la delibera di variante al PRG solo adottata e il nuovo regolamento di polizia mortuaria. Infatti, ai sensi del comma 5 del citato art. 338 la riduzione della fascia di rispetto può avvenire solo per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie e previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, analogamente a quanto dispone il comma 4 della stessa norma. Si tratta quindi di un procedimento tipizzato che non può essere rinvenuto in alcuna delle delibere richiamate dall’appellante, utilizzato, peraltro, per la realizzazione di un’opera pubblica o per il soddisfacimento di pari interessi pubblici, quali non possono essere il mero ampliamento di un’abitazione privata.
Va altresì rilevato che il regolamento di polizia mortuaria avendo altre finalità rispetto a quelle degli strumenti urbanistici – finalità igienico sanitarie e di decoro del culto dei morti disciplinando di norma le pratiche funerarie successive all’evento morte, le regole per il trasporto funebre e l’accoglimento nei cimiteri – non è fonte idonea a disporre la riduzione del vincolo prevista dalla norma primaria, avente carattere urbanistico risalente dovuto all’intento di separare la “città dei vivi” dalle zone destinate ad accogliere i defunti con una zona di rispetto, solitamente silenziosa e talvolta verdeggiante. Il giudice amministrativo, infatti, può disporre la disapplicazione di un regolamento comunale, in applicazione delle regole sulla gerarchia delle fonti, quando si tratti di dare tutela ad un diritto soggettivo in sede di giurisdizione esclusiva, ovvero nei peculiari casi in cui il ricorso, in sede di giurisdizione di legittimità, va respinto perché l’atto impugnato, pur ponendosi in contrasto con una invocata norma regolamentare, risulti conforme alla legge (cfr. Cons. St., Sez. V, 3 febbraio 2015, n. 515). Diversamente, opinando il giudice finirebbe per disapplicare la norma di rango primario in chiara violazione del principio di gerarchia delle fonti, assicurando al ricorrente il soddisfacimento di una pretesa illegittima.
8. L’appello in esame deve, dunque, essere respinto le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna Raffaele B. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge in favore del Comune di Pompei.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere
Lorenzo Cordi’, Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere
L’ESTENSORE (Luigi Massimiliano Tarantino)
IL PRESIDENTE (Giancarlo Montedoro)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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