Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 22

Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 22

MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 22

Le norme consentono che i soggetti autorizzati allo svolgimento di attività funebri possano realizzare e gestire servizi propri per il commiato, nel contempo vietando unicamente la collocazione delle sale per il commiato nei Nuclei di Antica Formazione, essa depone per la compatibilità delle attività funebri, diverse dalle sale per il commiato, all’interno dei Nuclei di Antica Formazione, in quanto l’attività di onoranze funebri ovvero di servizi funebri (eccezion fatta appunto) per le sale di commiato di nuova realizzazione per le quali vi è un espresso divieto del pianificatore) non sia incompatibile con la funzione residenziale. Invero, essendo la morte un accadimento naturale che colpisce la popolazione residente, il servizio funebre è svolto nell’interesse di quest’ultima e, pertanto, deve ritenersi consentito nelle zone a vocazione residenziale.

NORME CORRELATE
Pubblicato il 02/01/2020
N. 00022/2020REG.PROV.COLL.
N. 04233/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4233 del 2018, proposto da
Silvana G., rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Rolfo, Piermario Strapparava, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paolo Rolfo in Roma, via Appia Nuova n. 96;
contro
Comune di Villa Carcina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mauro Ballerini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, viale della Stazione n. 37;
A.T.S. Brescia – Agenzia di Tutela della Salute di Brescia, non costituito in giudizio;
nei confronti
F. Group s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Allocca, Italo Luigi Ferrari, Francesco Fontana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giorgio Allocca in Roma, viale Tiziano n. 108;
per l’ottemperanza
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. VI, n. 2129/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Villa Carcina e di F. Group;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 il Cons. Francesco Mele e uditi, per le parti, gli avvocati Paolo Rolfo, Francesca Cucchiarelli in delega di Mauro Ballerini, Sonia Allocca in delega dell’avv. Giorgio Allocca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 2129/2018 del 6-4-2018 la Sezione accoglieva l’appello proposto dalla signora G. Silvana avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Staccata di Brescia n. 901 del 1° agosto 2014, che aveva respinto il ricorso dalla stessa presentato contro il provvedimento 31 luglio 2013 n°21 e n°7624-129 P.E., con il quale il Responsabile dello sportello unico per l’edilizia del Comune di Villa Carcina aveva rilasciato alla F. Group S.r.l. permesso di costruire in sanatoria per opere di manutenzione straordinaria di locali commerciali siti in via Italia 53 su immobile distinto al catasto al foglio 23 mappale 26.
In accoglimento del ricorso di primo grado, veniva, pertanto, annullato il predetto permesso di costruire in sanatoria.
La signora G. ha adito questo Consiglio di Stato, in sede di ottemperanza, assumendo l’inerzia del Comune di Villa Carcina a dare corretta esecuzione alle statuizioni del giudicato.
Ha, in particolare, affermato che il Comune, ai sensi dell’articolo 38 del DPR n. 380 del 2001, avrebbe dovuto ordinare la demolizione delle opere realizzate all’interno del fabbricato, il ripristino della originaria destinazione d’uso del locale, la riedificazione delle pareti di divisione con la attigua sala del commiato, oltre alla regolarizzazione amministrativa e catastale.
A suo dire, l’unica strada idonea a garantire la corretta ottemperanza al giudicato è l’eliminazione della sala del commiato, nonché di tutte le opere che erano state realizzate in funzione della stessa.
Non sarebbe, invero, possibile una modifica della destinazione d’uso del locale in attività funebre, non essendo questa passata attraverso un rituale procedimento amministrativo ed essendo comunque elusiva del giudicato, in quanto incompatibile con la prevalente funzione residenziale del contesto urbano di riferimento.
Ha chiesto, pertanto, che questo giudice:
a) ordini l’ottemperanza alla sentenza citata, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione, in particolare indicando i provvedimenti inibitori e di ripristino della destinazione d’uso, i provvedimenti demolitori degli interventi eseguiti in forza del permesso di costruire annullato e di ripristino delle divisorie interne;
b) dichiari nullo il verbale di sopralluogo n. 7794 dell’8-5-2018, con il quale era stata accertata l’avvenuta ottemperanza alla sentenza, nonché gli eventuali atti adottati in violazione o elusione del giudicato;
c) fissi un termine per l’esecuzione del giudicato, con nomina, per il caso di persistente inerzia, di un commissario ad acta.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Villa Carcina e la F. Group s.r.l., deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 5935/2018 del 17-10-2018 la Sezione ha disposto verificazione tecnica, onerando all’uopo il Direttore dell’Agenzia del Demanio regionale della Lombardia.
Con successiva ordinanza n. 5187/2019 del 23-7-2019 è stata richiesta al verificatore una relazione tecnica integrativa.
Le parti hanno prodotto memorie e documentazione.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione alla camera di consiglio del 21 novembre 2019.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve, per l’effetto, essere rigettato.
Occorre preliminarmente richiamare i contenuti del giudicato di cui alla sentenza della Sezione n. 2129/2018 del 6-4-2018.
Questa ha accolto il primo motivo del gravame, esponendo che con esso “<i>l’appellante ha lamentato che le opere realizzate dalla controinteressata rappresenterebbero un ampliamento della sala del commiato, ottenuto mediante mutamento di destinazione d’uso di un negozio attiguo, già adibito a fioreria. Il Comune, pertanto, non avrebbe dovuto rilasciare il permesso di costruire in sanatoria, in quanto la sala del commiato sarebbe ammessa dal “Piano dei Servizi” solo nella sua consistenza originaria, come a suo tempo assentita, ma non sarebbe suscettibile di alcun ampliamento strutturale/funzionale</i>”.
La sentenza rileva ancora quanto segue.
Nell’ambito delle norme tecniche di attuazione del Piano dei servizi citato, ai sensi dell’art. 6, vincolante ai sensi del successivo art. 8, si dispone che “ Il Piano dei servizi viene attuato nel rispetto delle prescrizioni, degli allineamenti e dei vincoli indicati nella tavole grafiche di piano” e nelle norme dello stesso piano, con la prescrizione che, ai fini dell’ampliamento di edifici con funzioni pubbliche o di interesse pubblico, occorre l’approvazione di un piano attuativo o l’ottenimento di un permesso di costruire convenzionato, in difetto dei quali è ammessa attività meramente manutentiva, di restauro e di risanamento conservativo dell’immobile. Nella zona che rileva in questa sede, il piano del governo del territorio (PGT) vigente al momento del rilascio del permesso di costruire, nel quadro del Piano dei Servizi, non prevedeva la collocazione di strutture mortuarie tra cui le sale del commiato, come emerge dalle tavole grafiche depositate. Ancorchè in sede di variante il PGT vigente abbia previsto la presenza della sala del commiato, avuto riguardo alla porzione originaria esistente, in quanto realizzata sotto la vigenza del PRG, non si prevede, però, alcun ampliamento della sala del commiato esistente. Nella fattispecie concreta in esame, dalla documentazione in atti, risulta, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, che la sala in questione non abbia una sua autonomia funzionale, ma rappresenta un ampliamento della sala del commiato, con conseguente modifica della destinazione funzionale dell’area. Ne consegue che, come correttamente affermato dall’appellante, l’amministrazione ha assentito l’ampliamento di attività della sala del commiato in una zona in cui dette attività non erano più ammesse dal “Piano dei Servizi”. Il permesso di costruire in sanatoria ha, pertanto, illegittimamente sanato un mutamento della destinazione d’uso, che ha determinato l’aumento delle dimensioni della sala del commiato con conseguenti effetti sul carico urbanistico […]”.
Orbene, esaminando la motivazione della sentenza alla luce della specifica doglianza di parte appellante, i cui contenuti sono in essa riprodotti e della quale viene ritenuta la fondatezza, emerge che il giudicato per cui è causa ha ritenuto non conforme alla normativa urbanistica l’ampliamento di una sala del commiato preesistente.
Invero, il giudice di appello ha esaminato la censura con la quale veniva lamentato che il Comune non avrebbe potuto assentire la modifica di tale struttura, in quanto la normativa di piano consentiva unicamente il mantenimento di quelle preesistenti.
Di conseguenza, l’affermazione secondo cui “Il piano del governo del territorio (PGT) …, nel quadro del Piano dei Servizi, non prevedeva la collocazione di strutture mortuarie tra cui le sale del commiato …”, deve intendersi come relativa all’accertamento della non compatibilità urbanistica di sale del commiato di nuova realizzazione ovvero di ampliamento di quelle preesistenti, ma non anche come comprensiva di un accertamento di incompatibilità urbanistica di qualsiasi attività funebre.
Invero, non vi è specifica motivazione in ordine alle ragioni di una incompatibilità urbanistica riferita alla categoria generale delle “attività funebri”, mentre le argomentazioni spese in sentenza si riferiscono espressamente alle sale di commiato ( “[…] non si prevede, però, alcun ampliamento della sala di commiato esistente”; “ […] l’amministrazione comunale ha assentito l’ampliamento dell’attività di sala del commiato in una zona in cui dette attività non erano più ammesse dal Piano dei Servizi”).
Sulla base di quanto sopra, pertanto, deve ritenersi che sia coperta da giudicato unicamente l’incompatibilità urbanistica delle sale di commiato (con salvezza di quelle preesistenti), ma non anche, più in generale, il divieto di realizzazione nei Nuclei di Antica Formazione (NAF) di ogni attività funebre.
Ciò premesso in ordine alla portata del giudicato di cui alla sentenza della Sezione n. 2129/2018 del 6-4-2018, vanno ora esaminati gli effetti dallo stesso nascenti.
Come è noto, nello schema tipico del giudizio di impugnazione il giudicato produce tre effetti: l’effetto eliminatorio, l’effetto ripristinatorio e l’effetto conformativo.
Il primo consiste nella eliminazione dal mondo giuridico dell’atto impugnato, con efficacia ex tunc, in conseguenza dell’annullamento.
L’effetto ripristinatorio consiste nell’obbligo per l’amministrazione di ripristinare lo stato di fatto e di diritto preesistente al provvedimento annullato, con la cancellazione, nei limiti del possibile, delle modificazioni della realtà intervenute per effetto del primo.
L’effetto conformativo comporta, poi, l’obbligo dell’amministrazione di attenersi, nella futura azione amministrativa, alla regola di condotta desumibile dal giudicato.
Ed, invero, l’accertamento della illegittimità del provvedimento, compiuta dal giudice, contiene sostanzialmente anche la determinazione del modo in cui il potere amministrativo avrebbe dovuto essere esercitato e non lo è stato, modalità di esercizio che l’amministrazione deve seguire nella riedizione dello stesso.
Rileva il Collegio che l’effetto eliminatorio nascente dalla sentenza della Sezione n. 2129/2018 consiste nella cancellazione dal mondo giuridico, con efficacia ex tunc, del permesso di costruire in sanatoria che aveva autorizzato l’ampliamento della sala del commiato attraverso l’utilizzo del locale attiguo, in precedenza destinato a negozio di fiori.
Quanto all’effetto ripristinatorio, deve essere evidenziato che l’obbligo per l’Amministrazione di ripristino della situazione di fatto e di diritto preesistente al provvedimento annullato impone certamente l’eliminazione di quelle opere che continuino ad identificare l’ambiente attiguo alla preesistente sala del commiato come ampliamento di essa.
Vi è, peraltro, che gli altri manufatti realizzati ben possono essere mantenuti – ove recuperati, con apposito procedimento urbanistico-edilizio di sanatoria – ad una funzione diversa rispetto a quella acclarata come illegittima dal giudicato.
L’effetto ripristinatorio, invero, risulta funzionale alla piena realizzazione dell’effetto eliminatorio e, pertanto, esso configura il corrispondente obbligo in capo all’amministrazione solo quando la situazione di fatto conseguente all’annullamento permanga con le stesse caratteristiche funzionali e di utilizzo quali autorizzate dal provvedimento impugnato.
Vuole in buona sostanza affermarsi che non vi è obbligo di ordinare la demolizione delle opere assentite con il permesso di costruire annullato quando delle stesse venga richiesta una sanatoria per destinarle ad un uso diverso rispetto a quello di sala del commiato ovvero di ampliamento della stessa.
Allo stesso modo, non vi è obbligo di ripristino della precedente destinazione d’uso del locale, quando comunque venga eliminata quella acclarata come illegittima dal giudicato e la nuova risulti consentita dalla normativa urbanistico-edilizia vigente.
Dai principi sopra esposti consegue, dunque, in primo luogo, ai fini della corretta esecuzione del giudicato, l’obbligo di eliminazione delle opere che hanno collegato il locale per cui è causa alla sala di commiato, atteso che tale collegamento fisico risulta elemento qualificante di una persistente situazione di illeceità urbanistica, quale conseguente all’intervenuto annullamento del permesso di costruire.
Per tale parte, peraltro, emerge dalla esperita verificazione che il giudicato è stato eseguito, essendo state chiuse le aperture che consentivano l’accesso diretto alla sala di commiato, rendendo il locale attiguo ampliamento della prima.
Si legge, invero, nella relazione finale del verificatore che “ … i locali oggetto di ampliamento della sala di commiato (ex negozio di fiori) sono stati effettivamente resi indipendenti dalla sala di commiato, ripristinando tutti gli elementi strutturali preesistenti, seppur con materiali differenti da quelli originari”.
Viene in proposito evidenziato quanto segue.
Nella fattispecie oggetto di verificazione (apertura 1…) la parete di cartongesso posata a divisione dei due vani al fine di ripristinare gli elementi strutturali preesistenti…è un tramezzo, ossia una muratura di divisione non portante, posata a regola d’arte, inamovibile e assolutamente stabile.
In sede di sopralluogo si è potuto accertare che tale divisione non consente alcun passaggio con i locali contigui né è stato rilevato alcun elemento che possa far pensare ad un qualsiasi intervento di possibile smontaggio, ancorchè temporaneo, di detta divisione, che assolve dunque pienamente alla sua funzione.
Relativamente all’apertura n. 2, che consentiva il collegamento tra il retro della sala di commiato e gli uffici ad essa adiacenti, la delimitazione di tamponamento, di cui pure si è avuto modo di constatare la presenza, è stata realizzata mediante un elemento in cartongesso sostenuto da una intelaiatura metallica.
L’imbiancatura e la finitura superficiale del divisorio in cartongesso non lasciano trasparire alcun indizio che tale elemento possa, anche solo sporadicamente, essere rimosso per consentire il passaggio tra i locali. Dalla documentazione fotografica si può evincere che in sede di sopralluogo non è stato rilevato alcun quadro fessurativo che potesse destare sospetti circa l’amovibilità di detto divisorio.
Durante le operazioni di verifica dello stato dei luoghi, entrambe le parti hanno potuto verificare che i locali, sala commiato e nuovo ufficio F. Group srl (ex negozio fiori) non risultano collegabili, a meno di effettuare interventi edilizi tanto palesi quanto irreversibili”.
Orbene, ritiene il Collegio che la corretta esecuzione del giudicato non risulta esclusa dall’utilizzo di pareti in cartongesso né dalla peculiare modalità di installazione del relativo pannello nell’apertura n. 2.
Ed, invero, l’utilizzo del cartongesso, configurando comunque un tramezzo, quale quello in origine rimosso (si vedano in proposito i chiarimenti resi dal verificatore in sede di relazione integrativa), comunque assicura la separazione dei locali ed impedisce che il locale ex negozio di fiori possa configurarsi quale ampliamento della sala del commiato.
L’effetto ripristinatorio del giudicato viene comunque assicurato dalla realizzazione di una chiusura dei varchi in precedenza realizzati, risultando all’uopo necessaria unicamente la separazione dei locali, indifferente essendo la tipologia di materiali utilizzati.
D’altra parte, come chiarito dal verificatore, le divisioni non consentono il passaggio tra i locali contigui e anche la modalità di chiusura dell’apertura n. 2 (elemento di cartongesso sostenuto da armatura metallica) impedisce l’accesso alla sala di commiato “a meno di effettuare interventi edilizi tanto palesi quanto irreversibili”.
Il timore di parte ricorrente, relativo ad un eventuale ripristino dei collegamenti in esito al presente contenzioso, non costituisce, pertanto, elemento che in questa sede può condurre a ritenere non eseguito il giudicato sul punto, considerandosi che la chiusura è stata realizzata con strutture fisse, non apribili a meno di una rimozione delle stesse.
Risulta, peraltro, evidente che il Comune, in caso di ripristino delle aperture ovvero di trasformazione delle chiusure in elementi ordinariamente apribili, dovrà intervenire adottando le conseguenti misure repressive.
Esposto quanto sopra in ordine alla avvenuta esecuzione del giudicato attraverso l’eliminazione delle aperture di collegamento con la sala del commiato e la separazione dei locali, occorre a questo punto verificare se la piena ottemperanza alla citata sentenza della Sezione n. 2129/2018 richiedesse, altresì, come preteso da parte ricorrente, la demolizione delle opere eseguite all’interno del locale ex negozio di fiori ed il ripristino di tale precedente destinazione (commerciale).
Come si è sopra detto, quando si è di fronte ad opere che non qualificano in termini necessari ed univoci l’illecito edilizio oggetto di accertamento giurisdizionale, l’effetto ripristinatorio del giudicato non ne impone l’eliminazione tutte le volte in cui le stesse possono essere recuperate alla liceità urbanistica attraverso un diverso utilizzo e una differente destinazione autorizzati dal Comune.
Invero, ciò che il giudicato impone è il divieto dell’ampliamento della sala di commiato attraverso l’utilizzo del locale attiguo e, di conseguenza, il ripristino della situazione antecedente al provvedimento annullato e l’osservanza della conseguente regola conformativa si realizzano in maniera corretta attraverso l’eliminazione della predetta destinazione.
Ciò che risulta sufficiente ai fini dell’esecuzione del giudicato è la rimozione della situazione da esso acclarata come non conforme alla normativa urbanistico-edilizia, ossia l’eliminazione dell’ampliamento della sala commiato.
Non è, pertanto, necessario che sia ripristinata la precedente destinazione del locale (nella specie, negozio di fiori), risultando questa non rilevante in relazione all’affermazione della regola del corretto agire dell’amministrazione contenuta nel giudicato (che è quella del divieto di ampliamento della sala di commiato).
Non vi è, pertanto, violazione del giudicato quando, in luogo del ripristino della destinazione originaria del locale, ne venga assentito un diverso uso, purchè quest’ultimo non corrisponda a quello, vietato, della sala commiato.
Allo stesso modo, il giudicato non è violato quando non venga ordinato il ripristino delle opere realizzate, ma queste vengano assentite come funzionali a tale diverso uso.
Ritiene, inoltre, il Collegio che una elusione del giudicato possa ipotizzarsi solo nel caso in cui il diverso uso, affine a quello della sala commiato, risulti assolutamente incompatibile con la destinazione di zona, potendosi in astratto in tale unica fattispecie ritenersi che le abilitazioni amministrative all’uopo rilasciate, se pur formalmente rispettose della sentenza, perseguano in realtà lo scopo di aggirarle da un punto di vista sostanziale, giungendo surrettiziamente allo stesso esito già ritenuto illegittimo (così, sulla nozione di elusione del giudicato, ex multis, Cons. Stato, V, 4-6-2019, n. 3747).
Al di fuori di tale evenienza, trattandosi comunque di destinazioni d’uso diverse, eventuali profili di non conformità a norma (che nella specie risultano essere stati denunciati dalla signora G.) ridondano in vizi di legittimità, che sono censurabili dinanzi al giudice competente in un ordinario giudizio di cognizione e non anche nella presente sede dell’ottemperanza.
D’altra parte, risulta dalla documentazione prodotta dal verificatore in allegato alla relazione integrativa richiesta dal Collegio che la signora G. ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo Regionale per la Lombardia i provvedimenti adottati dal Comune di Villa Carcina in favore della F. Group successivamente alla pronuncia da parte di questa Sezione della sentenza n. 2129/2018 e, tra questi, nello specifico il permesso di costruire in sanatoria n. 16/2018 che ha autorizzato la permanenza delle opere interne realizzate e il mutamento di destinazione d’uso del locale in onoranze funebri.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte, dunque, la Sezione ritiene che la mancata eliminazione delle opere interne realizzate nel locale attiguo alla sala commiato, il mancato ripristino della destinazione commerciale e la destinazione di tale locale a uffici per servizi funerari (come da autorizzazione del Comune di Villa Carcina con permesso di costruire in sanatoria n. 16/2018 del 2-7-2018) non abbiano determinato violazione del giudicato, risultando comunque eliminata la pregressa destinazione d’uso del locale ad ampliamento della sala del commiato.
Neppure risulta configurabile elusione del giudicato, nei sensi sopra specificati, ritenendo il Collegio che la normativa urbanistica di piano consenta l’apertura di uffici per servizi funerari.
E valga il vero.
L’immobile per cui è causa ricade nei Nuclei di Antica Formazione (N.A.F.) del Comune di Villa Carcina.
Le Norme tecniche di Attuazione del Piano delle Regole del Piano di Governo del Territorio (P.G.T.) disciplinano, all’articolo 19, i Nuclei di Antica Formazione, quale specifico ambito del territorio comunale (articolo 18).
Ai sensi dell’articolo 19.1 (Obiettivi) nei N.A.F. sono compresi gli edifici e gli ambienti che rivestono un carattere di valore storico e/o ambientale ovvero che testimoniano il nucleo urbano originario del sistema antropico comunale, specificandosi, altresì, che “Le prescrizioni di Piano tendono alla valorizzazione dei nuclei fondativi ed all’eliminazione di ogni attività che provochi disturbo o risulti incompatibile con la vocazione prevalentemente residenziale”.
L’articolo 19.2 (Elementi costitutivi dell’indagine sui NAF) prevede un’indagine di dettaglio sugli immobili ivi compresi, la quale si esplicita in una apposita scheda di analisi, che, tra l’altro, definisce “la valenza storico-ambientale del fabbricato, l’aspetto tipologico della struttura, la sua destinazione funzionale</i>” (comma 1).
Il comma 2 precisa, poi, che le analisi storico-ambientale, tipologica e funzionale dei fabbricati sono tradotte in un codice alfanumerico denominato “grado di operatività”.
In base al successivo articolo 19.3, “I gradi di operatività definiscono la valenza storica ed ambientale, la tipologia costruttiva e la destinazione d’uso dei fabbricati rilevati. Per ogni grado di operatività, il quadro sinottico in calce al presente articolo specifica tipo e livello di interventi (ammessi e non) per la tutela del valore storico dei NAF”.
Ciò posto, deve essere evidenziato che l’edificio per cui è causa presenta il grado di operatività 4D5.
Il numero 4, relativo all’analisi storico-ambientale, indica che si tratta di “edificio senza particolare interesse ambientale o in contrasto con esso” (art. 19.3.1).
La lettera D, relativa all’analisi tipologica, qualifica l’immobile quale “edificio di completamento”, mentre il numero 5, concernente l’analisi funzionale (la quale, ai sensi dell’articolo 19.3.3, “evidenzia la destinazione d’uso di ogni fabbricato censito definita sulla base dell’utilizzo prevalente del piano terra”), indica che trattasi di immobile avente destinazione “Terziario – Attività commerciali e/o direzionali”.
Preme al Collegio evidenziare, dunque, che la destinazione riportata nel grado funzionale indica la destinazione d’uso dell’immobile quale individuata nell’indagine di dettaglio condotta sugli immobili compresi nei N.A.F., ma non esclude che la suddetta destinazione d’uso possa essere modificata.
Invero, ai sensi del richiamato articolo 19.3, è il “quadro sinottico” a specificare “tipo e livello di interventi (ammessi e non) per la tutela del valore storico dei NAF”.
Orbene, l’articolo 19.5 contiene il “Quadro sinottico per le modalità di intervento”, relativo agli edifici, come quello in esame, aventi grado storico-ambientale 4, specificando che “Con riferimento ai contenuti del precedente punto 19.11 delle presenti Norme, si stabiliscono a seguire le modalità di intervento ammesse per i fabbricati con grado storico ambientale 4, definite puntualmente a seconda del grado di operatività. Le modalità di intervento ammesse sono segnalate evidenziandone la casella”.
Tale “Quadro sinottico” contempla, tra le modalità di intervento ammesse per il grado di operatività 4D5 (previsto per l’immobile in esame), l’”Artigianato di servizio”.
L’Artigianato di Servizio è disciplinato dall’articolo 15 delle Norme di Attuazione, relativo agli “usi del territorio e degli edifici” e, in particolare, dall’articolo 15.3, contenente “Elenco delle destinazioni d’uso”.
Esso è ricompreso nella destinazione produttiva e la sua disciplina è contenuta nella lettera 5b della disposizione.
Questa così dispone: “Comprende tutte le attività produttive di servizio non moleste per emanazioni di qualunque tipo e si qualificano per la stretta correlazione con i bisogni diretti della popolazione servita ovvero per il carattere ristretto del proprio mercato. Nella destinazione sono compresi gli uffici amministrativi della ditta. L’artigianato di servizio compatibile con la residenza esclude la realizzazione di specifiche strutture edili autonome incompatibili con le caratteristiche di decoro dei NAF e dei quartieri residenziali esterni.
Rientrano nell’artigianato di servizio attività come palestre private, centri estetici, attività funebri , ecc. I soggetti autorizzati allo svolgimento di attività funebri possono realizzare e gestire servizi propri per il commiato; le sale di commiato non possono essere collocate negli ambiti territoriali a destinazione prevalentemente residenziale e nei Nuclei di Antica Formazione, così come delimitati dal PdR, fatte salve le attività autorizzate esistenti alla data di adozione delle presenti norme […]”.
Rientrando, ai sensi della suddetta lettera 5b, le attività funebri nell’artigianato di servizio, deve ritenersi, in via generale, che queste siano consentite per quegli edifici aventi il grado di operatività 4D5, come quello in esame.
D’altra parte, l’ammissibilità delle attività funebri discende dall’ espresso divieto, contenuto nella norma, per le sale di commiato di nuova realizzazione.
Laddove la disposizione consente che i soggetti autorizzati allo svolgimento di attività funebri possano realizzare e gestire servizi propri per il commiato, nel contempo vietando unicamente la collocazione delle sale per il commiato nei Nuclei di Antica Formazione, essa depone per la compatibilità delle attività funebri, diverse dalle sale per il commiato, all’interno dei N.A.F.
Occupandosi espressamente di una species di attività funebre vietata all’interno dei Nuclei di Antica Formazione, ove le norme di attuazione avessero voluto vietare lo svolgimento di ogni altra forma di attività funebre, lo avrebbero detto espressamente.
Il divieto, limitato alle sole sale per il commiato, esclude, pertanto, che lo stesso valga in generale per tutti gli altri servizi funebri, i quali, rientrando nell’attività artigianale di servizio, deve ritenersi consentito negli edifici ricompresi nei N.A.F. ed aventi il grado di operatività 4D5.
Dunque, la compatibilità urbanistica dell’attività di servizio funebre (diversa dalla sala di commiato di nuova realizzazione) per l’edificio per cui è causa si desume dal combinato disposto degli articoli 15.3 e 19.5 delle Norme di Attuazione del Piano delle Regole.
Né un divieto all’esercizio della stessa all’interno dei N.A.F. può trarsi dalla norma generale di cui all’articolo 19.1 delle Norme di Attuazione, all’uopo invocata da parte ricorrente.
Il comma 2 precisa che “L’operatività nei NAF ed il complesso delle operazioni programmate per il patrimonio culturale ed ambientale devono perseguire la conservazione della struttura sociale esistente e la ristrutturazione della sua dimensione demografica, al fine di mantenere nei nuclei antichi la forma di centri della comunità”.
Il successivo comma 3 dispone che “Le prescrizioni di Piano tendono alla valorizzazione dei nuclei fondativi ed all’eliminazione di ogni attività che provochi disturbo o risulti incompatibile con la vocazione prevalentemente residenziale”.
Ritiene il Collegio che l’attività di onoranze funebri ovvero di servizi funebri (eccezion fatta per le sale di commiato di nuova realizzazione per le quali vi è un espresso divieto del pianificatore) non sia incompatibile con la funzione residenziale.
Invero, essendo la morte un accadimento naturale che colpisce la popolazione residente, il servizio funebre è svolto nell’interesse di quest’ultima e, pertanto, deve ritenersi consentito nelle zone a vocazione residenziale.
Né l’incompatibilità può ritenersi sussistente in ragione del ritenuto “contrasto tra il desiderio di una vocazione di vita residenziale serena e la tipologia di servizio dell’onoranze funebre nel comune sentire”.
L’allontanamento del pensiero della fine della vita e del dolore che a questa si accompagna, che si pretende di ottenere attraverso il divieto di allocazione di tali strutture nei N.A.F., non costituisce un interesse tutelato dalla normativa urbanistica invocata, la quale si riferisce ad attività che impediscono o limitino fortemente la funzione abitativa, che è quella che connota la residenza (si veda in proposito l’articolo 15.3 delle Norme di Attuazione).
L’attività di servizio funebre non risulta impeditiva ovvero limitativa di tale funzione.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, dunque, dovendosi ritenere l’attività di servizio funebre compatibile con la specifica destinazione di zona, non risulta configurabile la dedotta elusione del giudicato.
Ogni altra censurata difformità tra le autorizzazioni rilasciate alla F. Group ed i parametri normativi di riferimento non costituisce mancata ottemperanza al giudicato, ma, come sopra detto, vizio di legittimità censurabile in un ordinario giudizio di cognizione (nella specie, in concreto attivato).
E’ evidente, infine, che ogni utilizzo improprio degli uffici di servizi funebri, quali locale di attesa per gli avventori della sala del commiato e, dunque, come locale accessorio a quest’ultima, dovrà essere sanzionato dal Comune, tenuto ad effettuare i dovuti controlli.
In conclusione, dunque, il proposto ricorso per l’esecuzione del giudicato deve essere rigettato.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr.,ex multis, Cass. civ., V, 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese di verificazione, liquidate come da dispositivo (tenuto conto, nella misura liquidata, della circostanza che non si ravvisano particolari elementi di complessità nell’accertamento eseguito), sono poste a definitivo carico della ricorrente.
Ugualmente sono poste a carico di quest’ultima, in applicazione del principio di soccombenza, le residue spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Pone le spese di verificazione, liquidate in favore dell’ing. Alessio Casci in complessivi euro 3800 (ivi incluso l’anticipo già liquidato), di cui euro 410 per spese vive, oltre accessori di legge, a definitivo carico della signora G. Silvana.
Condanna la signora G. Silvana al pagamento, in favore del Comune di Villa Carcina e della F. Group s.r.l., ciascuno per la metà, delle residue spese del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2000 (duemila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere, Estensore
Dario Simeoli, Consigliere
L’ESTENSORE (Francsco Mele)
IL PRESIDENTE (Giancarlo Montedoro)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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