Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 giugno 2016, n. 2667

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 giugno 2016, n. 2667
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3383 del 2015, proposto da:
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari e Giacomo Pizza, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza, 50/A;
contro
Arciconfraternite Ss.Sacramento, Maria Ss del Rosario e San Francesco di Paola, Arciconfraternita Ss.Sacramento, Arciconfraternita Maria Ss del Rosario e San Francesco di Paola, rappresentati e difesi dall’avvocato Alfredo Contieri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Salvatore Napolitano in Roma, corso Trieste, 16;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Giuseppe Antonelli, Giovanna Autiero, Raffaele Puglisi, Carolina Sarnataro, rappresentati e difesi dagli avv. Francesco Mutarelli, Adolfo Mutarelli, Mario Ettore Verino, con domicilio eletto presso Mario Ettore Verino in Roma, Via Barnaba Tortolini N. 13;
per la riforma
della sentenza n. 1027 del 2015 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, Sezione IV.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Arciconfraternite Ss.Sacramento, Maria Ss del Rosario e San Francesco di Paola e di Arciconfraternita Ss.Sacramento e di Arciconfraternita Maria Ss del Rosario e San Francesco di Paola;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 marzo 2016 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Pizza, Contieri,Mutarelli Adolfo e Verino.
FATTO
1.– Le Arciconfraternite Ss. Sacramento, Maria Ss. del Rosario e S. Francesco di Paola (in seguito: le Arciconfraternite) hanno impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, Napoli:
a) la disposizione dirigenziale del 15 maggio 2014 n. 24 emessa dalla Direzione Centrale Patrimonio – Servizi Cimiteri Cittadini del Comune di Napoli, notificata il 17 maggio 2014, con la quale l’amministrazione resistente:
– ha comunicato l’improcedibilità dell’istanza di variante in corso d’opera al permesso a costruire del 4 giugno 2010, n. 9, presentata il 23 novembre 2013;
– ha disposto la decadenza del permesso di costruire del 9 novembre 2007, n. 8 e della successiva variante del 4 giugno 2010, n. 9 rilasciate alle ricorrenti, nonché l’acquisizione del manufatto funerario sito nel Cimitero di Fuorigrotta, realizzato sui suoli oggetto degli stessi titoli abitativi;
b) tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali, ed in particolare della nota 19 marzo 2014 di sospensione dei lavori e comunicazione di avvio del procedimento di decadenza del permesso di costruire, nonché degli artt. 29, 30, 38 del regolamento di Polizia Mortuaria del Comune di Napoli;
c) la convenzione sottoscritta, in data 26 ottobre 2007, dalle ricorrenti e dal Comune di Napoli, in attuazione del permesso di costruire n. 8/2007, nella parte in cui prevede la decadenza del titolo abilitativo per violazione, da parte del concessionario, delle norme di cui al Regolamento di Polizia Mortuaria del Comune di Napoli.
Si riporta di seguito la cronologia degli avvenimenti così come puntualmente ricostruita dal primo giudice:
– in data 9 novembre 2007 è stato rilasciato dal Comune il permesso di costruire n. 8 del 2007, relativo a opere di manutenzione straordinaria e ristrutturazione edilizia, anche in ampliamento, di alcuni manufatti funerari, oltre alla realizzazione di un nuovo campo inumativo;
– in data 4 giugno 2010 il Comune ha rilasciato un nuovo permesso di costruire (n. 9/2010) in variante al primo (prima variante), per la realizzazione di una ristrutturazione edilizia in luogo della precedente manutenzione straordinaria;
– il 17 dicembre 2011 le Arciconfraternite ha emesso un bando pubblico per l’assegnazione a sorteggio dei loculi, a un prezzo di costo, tra la popolazione richiedente residente nella municipalità di zona;
– in considerazione delle molte richieste di sepolture, il 23 aprile 2013 le Arciconfraternite hanno presentato una seconda richiesta di variante (prot. 325683) (seconda variante) avente ad oggetto la realizzazione di 243 loculi e 2140 urne cinerarie, il tutto senza modificare la sagoma e il volume del precedente fabbricato;
– in data 25 novembre 2013 la richiesta viene ripresentata modificata (terza variante), con aumento dei loculi a 291 unità e diminuzione delle urne a 884 unità; contestualmente si archivia quella dell’aprile 2013;
– nel marzo 2014, è stato effettuato un sopralluogo da parte delle Polizia municipale, che ha riscontrato la variazione di loculi rispetto a quelli di cui all’originario permesso di costruire, posto che sulla variante presentata nel novembre 2013 l’amministrazione non si era ancora pronunciata;
– con l’emissione del provvedimento impugnato, il Comune ha negato la formazione del silenzio assenso sulla seconda istanza di variante; ha ribadito che l’edificazione degli ulteriori loculi costituisce variante essenziale al permesso di costruire n. 8 del 2007 (art. 30, commi 1 e 2 lett. d), del regolamento di Polizia Mortuaria del Comune di Napoli) e alla successiva prima variante (2010); ha, altresì, ritenuto che la proprietà dei terreni ove sorgono i manufatti funerari non sia delle Arciconfraternite, non avendo queste prodotto copia dei documenti da cui si evinca la titolarità dei beni immobili interessati dal permesso di costruire n. 8 del 9 novembre 2007.
2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 11 febbraio 2015, n. 1027, ha accolto il ricorso e annullato gli atti impugnati in primo grado.
3.– Il Comune ha proposto appello, prospettando i motivi indicati nella parte motiva.
3.1.– Si sono costituite in giudizio le Arciconfraternite, chiedendo il rigetto dell’appello.
3.2.– Hanno effettuato intervento ad opponendum alcuni soggetti concessionari dei loculi, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 31 marzo 2016.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità dei provvedimenti con i quali il Comune di Napoli ha decretato la decadenza delle Arciconfraternite da alcuni titoli edilizi che erano stati ottenuti, nel corso degli anni, per l’esecuzione di una serie di interventi edilizi all’interno del Cimitero di Fuorigrotta, sito in Napoli, quartiere Fuorigrotta.
2.– L’appello non è fondato.
2.1.– Con un primo motivo il Comune assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha rilevato che il cimitero debba considerarsi demaniale. In particolare, l’appellante ha rilevato che l’art. 824 c.c. si limita ad effettuare una mera classificazione dei tipi cimiteriali, distinguendo i cimiteri demaniali, che sarebbero “la regola” e i cimiteri non demaniali, che sarebbero l’ “eccezione”. La normativa, anteriore al codice civile, ammetterebbe cimiteri particolari quali ipotesi eccezionali. Ma tale inquadramento, nel caso di specie, non sarebbe possibile, in quanto le Arciconfraternite, con gli interventi realizzati che hanno portato ad aumentare il numero dei posti disponibili da 1341 a 4559, avrebbero creato un “nuovo cimitero particolare”. Ne conseguirebbe che, non venendo in rilievo la mera continuazione di cimiteri particolari preesistenti, il cimitero in esame dovrebbe considerarsi pubblico.
Il motivo non è fondato.
La normativa generale di disciplina dei beni pubblici è contenuta negli articoli 822 e seguenti del codice civile.
Dalla lettura degli articoli 822 e 824 cod. civ. si desume che i beni demaniali possono essere necessari o eventuali (o accidentali).
I primi, per le loro qualità intrinseche, sono sottratti in assoluto alla proprietà privata e possono appartenere soltanto allo Stato o alle Regioni: si tratta del demanio marittimo, idrico e militare (artt. 822, primo comma, cod. civ.).
I secondi possono, invece, essere oggetto di proprietà privata e soltanto se appartengono ad un ente territoriale fanno parte del relativo demanio: tra questi il terzo comma dell’art. 824 cod. civ. include espressamente anche i «cimiteri».
La normativa di settore è contenuta nelle seguenti disposizioni:
– l’art. 107 del d.r. n. 448 del 1892 prevede che «i cimiteri particolari esistenti o da costruirsi per uso di un gruppo di popolazione, di congregazioni, o di qualsiasi altra associazione civile o religiosa, sono sempre sottoposti alla immediata vigilanza dell’autorità comunale» (tale norma è stata abrogata da regio decreto 21 dicembre 1942, n. 1880);
– l’art. 340 del regio decreto del 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) dispone che: «e’ vietato di seppellire un cadavere in luogo diverso dal cimitero. E’ fatta eccezione per la tumulazione di cadaveri nelle cappelle private e gentilizie non aperte al pubblico, poste a una distanza dai centri abitati non minore di quella stabilita per i cimiteri»;
– l’art. 104, comma 4, del d.P.R. 10 agosto 1990, n. 285 (Approvazione del Nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria) ha previsto che «le cappelle private costruite fuori dal cimitero, nonché i cimiteri particolari, preesistenti alla data di entrata in vigore del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, sono soggetti, come i cimiteri comunali, alla vigilanza dell’autorità comunale».
Dalla ricostruzione del quadro normativo rilevante risulta erronea la prospettazione dell’appellante secondo cui i cimiteri possono essere solo pubblici e quelli “particolari” appartenenti a soggetti diversi dagli enti pubblici sarebbero soltanto quelli creati prima del 1942 e che dopo tale data sarebbe possibile solo la continuazione di quelli precedenti.
Il dato rilevante, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, è costituito dalla individuazione del soggetto proprietario del cimitero.
Nella fattispecie in esame, gli odierni appellati hanno dimostrato che l’area cimiteriale è di proprietà delle Arciconfraternite. Del resto, lo stesso Comune appellante non ha specificamente contestato questo dato.
In tale ottica ricostruttiva, non assumono rilievo le doglianze relative alla circostanza che il cimitero non sia una mera continuazione di quello creato prima del 1942 ma sia un nuovo cimitero, nonché la mancata destinazione dello stesso ai soli associati all’Arciconfraternite.
In relazione al primo aspetto, la normativa vigente non esclude che vi possano essere nuovi cimiteri che non siano pubblici e dunque non si può sostenere che la qualificazione dell’intervento edilizio come ampliamento del cimitero precedente sarebbe da solo sufficiente a fare perdere allo stesso natura di cimitero particolare trasformandolo in cimitero pubblico. In ogni caso, come si dirà oltre, si è in presenza di interventi edilizi che non hanno dato vita ad un nuovo cimitero bensì alla demolizione e ricostruzione di manufatti preesistenti con creazione di nuovi loculi, senza modificazione di volume e sagoma.
In relazione al secondo aspetto, nessuna norma impone la predetta destinazione e soprattutto prevede l’applicazione di sanzioni, quale la “trasformazione” in pubblico del cimitero, qualora essa non venga rispettata.
2.2.– Con un secondo e terzo motivo si assume:
– la violazione dell’art. 30 del regolamento di polizia mortuaria, secondo cui comporta la decadenza dal permesso di costruire l’esecuzione di opere difformi determinanti variazioni essenziali, tra le quali rientrerebbero quelle poste in essere dalle odierne parti resistenti;
– le norme del regolamento si applicherebbero, in ogni caso, in ragione della loro valente cogente in grado di eterointegrare la convenzione, anche perché solo così si potrebbe assicurare il rispetto delle prescrizioni di carattere igienico-sanitario;
– l’art. IX della convenzione dispone che il mancato rispetto anche solo di una clausola derivante dalla convenzione comporta la decadenza del permesso di costruire.
I motivi non sono fondati in quanto:
– le norme del regolamento trovano applicazione esclusivamente in presenza di cimiteri di proprietà pubblica che vengono dati in concessione mentre nel caso in esame si è in presenza, come già sottolineato, di un cimitero costruito su area di proprietà delle resistenti, con la conseguenza che trovano applicazione esclusivamente le norme poste dal d.lgs. n. 308 del 2001;
– l’applicazione in funzione integrativa cogente delle norme regolamentati è esclusa dal fatto che tale integrazione presuppone non solo la presenza di prescrizioni imperative ma anche e soprattutto la dimostrazione che esse disciplinano un rapporto nel cui ambito dovrebbero integrarsi;
– la clausola della convenzione è generica e, in ogni caso, non contiene disposizioni che sanciscano la decadenza del permesso di costruire in caso di interventi appartenenti alla tipologia di quelli contestati in questa sede.
Chiarito ciò, la legittimità degli atti impugnati deve essere vagliata alla luce di quanto prescritto dal d.lgs. n. 380 del 2001, secondo cui l’essenzialità della variazione ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: «a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali».
Nella fattispecie in esame, l’appellante non ha dimostrato che ricorra alcuna delle fattispecie sopra indicate. Né, è bene aggiungere, può obiettarsi che la ricostruzione della disciplina applicabile può comportare la violazione delle prescrizioni a tutela della salute pubblica, in quanto non risultano violate disposizioni che rischiano di recare pregiudizio alla salute pubblica e, qualora ciò dovesse verificarsi, le amministrazioni competenti sono titolari dei necessari poteri di prevenzione e di tutela.
2.3.– Il rigetto dei motivi sopra indicati rende non necessario l’esame del motivo (indicato nell’atto di appello come secondo) con cui il Comune ha assunto di avere rispettato le norme poste a garanzia della partecipazione al procedimento amministrativo.
3.– Le spese del presente giudizio sono poste a carico dell’appellante e si determinano in euro 3.000,00, oltre accessori, che dovranno essere corrisposte alle parti resistenti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) condanna l’appellante al pagamento, in favore delle parti resistenti costituite, di euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Dante D’Alessio, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 16/06/2016

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