Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2024, n. 1664

Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2024, n. 1664

Pubblicato il 20/02/2024
N. 01664/2024REG.PROV.COLL.
N. 07932/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7932 del 2022, proposto da
So. Crem., rappresentata e difesa dall’avvocato Ornella Cutajar, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Firenze, rappresentato e difeso dagli avvocati Debora Pacini, Chiara Canuti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Crematorio di Firenze s.p.a., rappresentata e difesa dall’avvocato Leonardo Limberti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, piazza L.B. Alberti, n. 16;
per la revocazione.
previa sospensione cautelare,
anche inaudita altera parte,
della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 5447/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Firenze e di Crematorio di Firenze s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2023 il Cons. Antonino Masaracchia e uditi per le parti gli avvocati Cutajar, Limberti e Ciliutti, quest’ultimo in delega dell’avv. Pacini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con il ricorso in esame la So.Crem.– Società per la Cremazione ha domandato, previa sospensione cautelare della sua efficacia, anche inaudita altera parte, la revocazione della sentenza di questa Sezione 30 giugno 2022, n. 5447, con la quale è stato respinto l’appello avverso la sentenza del TAR Toscana, sez. I, 27 luglio 2021, n. 1111.
Come emerge dalla ricostruzione in fatto, operata sia dalla sentenza di questa Sezione, sia dalla ricorrente nella parte iniziale del ricorso, la So.Crem. è titolare, dal 1884, di concessione perpetua di un terreno, a uso gratuito, ubicato nel cimitero comunale di Trespiano (Firenze). Su tale terreno essa, nel corso del tempo, ha edificato un forno crematorio che usa per svolgere l’attività di cremazione: ciò, in base alla stessa concessione del 1884 che stabiliva detta finalità.
L’odierna controversia origina da un atto di ingiunzione del Comune di Firenze, del 9 giugno 2020, con il quale si ordinava a So.Crem. di liberare il tempio crematorio, in vista della cessazione del diritto di superficie e della conseguente sua acquisizione al patrimonio comunale. L’amministrazione, infatti, aveva deciso di acquisire a sé la gestione del servizio di cremazione, in ossequio alle prescrizioni dell’art. 6, comma 2, della legge n. 130 del 2001 (a norma del quale “La gestione dei crematori spetta ai comuni, che la esercitano attraverso una delle forme previste dall’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”) e aveva anche indetto un’apposita procedura di project financing, ad evidenza pubblica, per la costruzione di un nuovo tempio crematorio.
In primo grado, il TAR Toscana ha respinto l’impugnazione, proposta da So.Crem., avverso tale provvedimento (ed altri precedenti atti, emessi dall’amministrazione comunale, con i quali si era già dato atto che la gestione dell’attività di cremazione, da parte di So.Crem., era ormai divenuta incompatibile con le previsioni della legge n. 130 del 2001). La sentenza di questa Sezione, n. 5447 del 2022, ha a sua volta respinto l’appello proposto da So.Crem., per l’effetto confermando integralmente la pronuncia di prime cure.
Il ricorso per revocazione, presentato ai sensi dell’art. 106 cod. proc. amm. e dell’art. 395, numero 4), c.p.c., è affidato a sette motivi, con i quali la ricorrente, nella sostanza, sostiene che la sentenza di appello sarebbe incorsa sia in svariati errori di fatto, travisando le risultanze emergenti dagli atti versati in giudizio, sia in omissione di pronuncia, avuto riguardo al complesso dei motivi di appello.
2. – Con decreto 19 ottobre 2022, n. 5010, il Presidente di questa Sezione ha respinto la domanda cautelare di sospensione, inaudita altera parte, dell’efficacia della sentenza di appello, non ravvisando i presupposti dell’invocata tutela provvisoria.
3. – Nel presente giudizio di revocazione si è quindi costituito il Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
Si è altresì costituita la Crematorio di Firenze s.p.a., in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, nella qualità di operatore economico subentrato all’associazione temporanea di imprese aggiudicataria del project financing, indetto dal Comune, per la realizzazione del nuovo forno crematorio. Anche essa ha domandato la reiezione del ricorso per revocazione.
Entrambe le parti resistenti hanno peraltro preliminarmente eccepito, in rito, l’inammissibilità del ricorso per revocazione, sostenendo che le censure della ricorrente interesserebbero profili in diritto della controversia e costituirebbero un surrettizio tentativo di rimettere in discussione circostanze controverse sulle quali la sentenza di appello si sarebbe già pronunciata.
4. – Dopo un primo scambio di difese tra le parti, in vista della decisione dell’incidente cautelare, la Sezione, con ordinanza 11 novembre 2022, n. 5299, ha respinto la domanda di sospensiva, ritenendo, prima facie, non sussistenti i dedotti profili di erroneità in fatto della sentenza impugnata, suscettibili di positivo apprezzamento in sede di revocazione.
5. – In vista della pubblica discussione del merito, tutte le parti hanno svolto difese, anche nella forma delle reciproche repliche, ciascuna insistendo in ordine alle proprie argomentazioni e alle proprie richieste.
Alla pubblica udienza del 16 novembre 2023, dopo ampia discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. – Il ricorso per revocazione è inammissibile.
Come ritenuto da costante giurisprudenza (per tutte, ex plurimis, Cons. Stato, sez. II, sentenza n. 5607 del 2020; Id., sez. IV, sentenza n. 8428 del 2021; questa sez. V, sentenza n. 7958 del 2023), il giudizio di revocazione si compone di una fase rescindente e di una fase rescissoria riferite entrambe alla sentenza impugnata, e va quindi deciso in modo unitario, sicché la domanda di revocazione deve contenere tutti i requisiti necessari per mettere il giudice nella condizione di adottare la pronuncia definitiva. A pena di inammissibilità, pertanto, deve sussistere l’errore di fatto che vizia la sentenza impugnata e che, facendo positivamente concludere la fase rescindente, consente al giudice di passare all’esame di quella rescissoria.
Nel caso di specie, nessuna delle argomentazioni spese nel ricorso fa emergere alcun profilo attinente ad eventuali errori di fatto in cui sarebbe incorso il Giudice di appello, esaurendosi, piuttosto, come correttamente eccepito dalle parti resistenti, nella mera contestazione delle ragioni giuridiche che fondano la sentenza n. 5447 del 2022 ovvero nella riproposizione di punti controversi sui quali la sentenza stessa si è già pronunciata.
6.1. – Tanto è a dirsi, anzitutto, quanto alle censure sviluppate nel primo motivo del ricorso per revocazione, avente ad oggetto un presunto errore di fatto circa l’effettivo oggetto della concessione del 1884.
A detta della ricorrente, tale concessione non aveva previsto, come obbligatoria, la realizzazione di un forno crematorio, o area crematoria, e di un cinerario; piuttosto, il titolo si riferiva ad una pluralità di oggetti ed ammetteva la mera possibilità di tali realizzazioni, elemento che sarebbe sfuggito alla percezione del Collegio.
Si tratta, tuttavia, di un punto che era controverso tra le parti e sul quale la sentenza n. 5447 del 2022 ha ampiamente statuito, affermando che l’“oggetto esclusivo” di detta concessione si riferiva all’uso “per la erezione dell’Ara a Forno crematorio ed annessi”, con previsione “che la realizzazione di tali manufatti e di un cinerario avvenissero a spese del concessionario, senza oneri per l’Amministrazione”. La sentenza ha anche aggiunto: “E’, dunque, evidente che oggetto della concessione è costituito dalla sola attività di cremazione, al cui fine Socrem doveva realizzare sull’area un forno crematorio e un cinerario per la conservazione delle ceneri. Il tempio è stato realizzato da Socrem in diritto di superficie, su terreno demaniale concessole in uso dal Comune: quindi, la stessa era titolare di un diritto superficie insistente su suolo cimiteriale appartenente al demanio comunale e, come tale, inalienabile”.
6.2. – Per quanto attiene al secondo motivo del ricorso per revocazione, occorre premettere che, a giudizio della ricorrente, la sentenza di appello sarebbe incorsa in un errore di fatto circa la percezione del contenuto di precedenti delibere comunali, la n. 7 del 2011 e la n. 33 del 2012, le quali, a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza, non avrebbero affatto dichiarato la decadenza dalla concessione perpetua.
Si tratta, tuttavia, di una censura che, a ben vedere, investe le argomentazioni in diritto della sentenza oggetto di revocazione, la quale – proprio prendendo le mosse dalle delibere comunali, indicate dalla ricorrente – ha argomentato il venir meno della concessione per effetto della soppressione del “nesso causale” che la sorreggeva. Nell’affermare ciò, la sentenza ha correttamente percepito il contenuto di quelle delibere, evidenziando come esse rimarcassero la cessazione ope legis della concessione nel nuovo quadro normativo discendente dalle previsioni dell’art. 6, comma 2, della legge n. 130 del 2001.
La sentenza, del resto, nella parte iniziale del Diritto, ha riportato le previsioni letterali della delibera comunale n. 7 del 2011, in particolare il passaggio in cui, in essa, con riguardo al servizio pubblico di cremazione, si rilevava la cessazione ope legis della gestione in capo alla So.Crem. e si prendeva atto del fatto che, “per le ragioni riportate nella parte narrativa, il suddetto servizio è intrinsecamente incompatibile con una pluralità di gestori e ne è indispensabile, invece, una gestione in esclusiva accentrata in un unico soggetto, cui occorre affidare, pertanto, il servizio stesso”; e ha anche riportato le previsioni letterali della successiva delibera comunale n. 33 del 2012, precisando che in essa veniva stabilito “1) di ribadire …l’incompatibilità del servizio pubblico di cremazione con il regime della libera iniziativa economica privata e, conseguentemente, di confermare il mantenimento del regime di esclusiva del servizio, per le motivazioni di cui alla propria deliberazione n. 7/2011”.
Nel richiamare un passaggio della propria precedente sentenza n. 7836 del 2019, intercorsa tra le parti, la Sezione, con la sentenza di appello che forma oggetto del presente giudizio di revocazione, ha inoltre ricordato che il Comune di Firenze, proprio con le due menzionate delibere del 2011 e del 2012, aveva regolato il rapporto con So.Crem. “in via meramente temporanea, nel presupposto che tale rapporto fosse destinato a durare solo sino alla definizione del project financing ovvero, comunque, sino all’individuazione del ‘nuovo soggetto gestore’ del servizio; con le deliberazioni comunali, gravate con motivi aggiunti, n. 7/2011 e n. 33/2012, ha ribadito tale temporaneità, facendo espresso riferimento, rispettivamente, al ‘già individuato’ gestore unico del servizio pubblico e al contratto di concessione e al ‘regime di esclusiva’ che il Comune intendeva imprimere al servizio pubblico aggiudicato”. La sentenza, dunque, ha evidenziato come, proprio in virtù anche di quelle delibere, “era chiara la volontà dell’Amministrazione […] di assorbire il servizio già svolto da Socrem in quello aggiudicato all’ATI, tant’è che, coerentemente, il contratto di concessione stipulato con quest’ultima il 27 luglio 2005 ha previsto la cessazione delle cremazioni nel preesistente tempio crematorio in concomitanza con l’avvio di operatività del nuovo”.
Alla luce di ciò, è evidente che la sentenza n. 5447 del 2022 – in ciò pronunciandosi su un aspetto controverso tra le parti – ha escluso, in radice, la tesi ora propugnata dalla ricorrente, secondo la quale le delibere comunali del 2011 e del 2012 non avrebbero fatto cessare la concessione; ed infatti, la sentenza ha chiarito che, proprio in virtù di quelle delibere, la gestione del servizio rimaneva in capo alla So.Crem. solo per il periodo transitorio, in attesa dell’insediamento del nuovo gestore individuato all’esito della procedura di project financing, fermo tuttavia restando che tale concessione doveva ritenersi ormai caducata per effetto del nuovo quadro normativo.
6.3. – Ancora, per quanto riguarda il terzo motivo del ricorso per revocazione, la ricorrente ha lamentato un ulteriore errore di fatto in cui sarebbe incorsa la sentenza n. 5447 del 2022, con riferimento, questa volta, alla produzione dell’effetto estintivo automatico ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 130 del 2001.
Secondo la tesi della ricorrente, la sentenza di appello non avrebbe considerato l’attuale vigenza della concessione del 1884, come affermata da varie autorità pubbliche e come discendente da analoghe vicende riguardanti altre e diverse concessioni di cui è titolare la stessa So.Crem. presso altri Comuni italiani.
Si tratta, tuttavia, di una critica che, di nuovo, investe la struttura giuridica delle argomentazioni della sentenza, rimproverandole di non aver considerato ulteriori elementi che, in diritto, avrebbero dovuto condurre all’apprezzamento della tesi propugnata dall’appellante. Il complessivo tenore della motivazione, spesa dalla sentenza di appello, svela che simili elementi non potevano trovare alcun avallo, rimanendo assorbente la ragione, indicata dal Collegio, facente leva sulla caducazione automatica della concessione del 1884 per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 6, comma 2, della legge n. 130 del 2001 che ha mutato, in radice, il regime applicabile alla gestione del servizio di cremazione.
6.4. – Il presunto errore di fatto, lamentato con il quarto motivo del ricorso per revocazione, parimenti non è apprezzabile nell’impianto della sentenza n. 5447 del 2022.
Asserisce la ricorrente che il Collegio avrebbe male percepito il contenuto dell’autorizzazione unica ambientale (AUA) adottata dalla Provincia di Firenze e rilasciata dal Comune di Firenze, nel 2014, in favore della stessa So.Crem., volta ad assentire interventi di ammodernamento dell’impianto che non risultava a norma rispetto ai limiti di inquinamento atmosferico. L’atto di autorizzazione ambientale avrebbe potuto essere rilasciato solo nei confronti di un “soggetto legittimato da un rapporto concessorio in essere”: pertanto, a giudizio della ricorrente, il fatto stesso del suo rilascio starebbe a comprovare che, nella prospettiva del Comune, la concessione in favore di So.Crem. non era affatto da intendersi venuta meno.
In contrario, va tuttavia osservato che il menzionato titolo ambientale non conferma affatto, neanche implicitamente, il perdurare della concessione del 1884 e che, di conseguenza, non è dato rinvenire alcun errore di fatto nella sentenza impugnata. Quel titolo, piuttosto, è stato rilasciato in favore di So.Crem., pur a fronte della già riconosciuta cessazione automatica della concessione, solo perché So.Crem., come già evidenziato poc’anzi, manteneva ancora transitoriamente, sulla base delle menzionate delibere comunali del 2011 e del 2012, la gestione del forno crematorio, il quale andava dunque messo a norma sotto l’aspetto ambientale.
6.5. – Con il quinto motivo del ricorso per revocazione la ricorrente lamenta un ulteriore errore di fatto, rimproverando alla sentenza di appello di aver affermato che “le opere che accedono al terreno realizzate in regime di diritto di superficie vengono acquisite per accessione dal Comune proprietario del suolo”, laddove, invece, a suo dire, “tale statuizione […] confligge con lo stesso provvedimento impugnato che non la dispone”.
In contrario, va rilevato che il provvedimento impugnato in primo grado – ossia, l’atto di ingiunzione del Comune di Firenze del 9 giugno 2020, n. 143646 – aveva ordinato alla ricorrente di “rendere libero da persone e/o cose l’immobile destinato a Tempio Crematorio all’interno del Cimitero di Trespiano, in vista della cessazione del diritto di superficie che interessa tale immobile e della conseguente acquisizione per accessione di esso al patrimonio comunale”. Nessun errore di fatto, né alcuna svista percettiva, è dunque imputabile alla sentenza di appello che ha correttamente valutato il contenuto dispositivo della diffida del Comune.
6.6. – Non sono infine ravvisabili le omissioni di pronuncia che, con il sesto motivo del ricorso per revocazione, vengono addebitate alla sentenza n. 5447 del 2022.
La ricorrente rinviene dette omissioni proprio come conseguenza degli errori di fatto dedotti con i precedenti motivi, i quali avrebbero minato il ragionamento logico-giuridico del Giudice d’appello, conducendolo a non avvedersi della sussistenza di profili di censura ritualmente presentati. Tuttavia, come emerge dalle precedenti conclusioni, gli errori di fatto – dai quali sarebbe derivata l’ulteriore conseguenza dell’omessa pronuncia – non sono affatto ravvisabili, onde non possono apprezzarsi neppure i profili di omessa pronuncia lamentati dalla ricorrente.
Analogamente, le questioni di legittimità costituzionale che So.Crem. aveva sollecitato al Collegio – e che sono riportate nell’ultimo motivo del ricorso per revocazione, con modalità espositive del tutto generiche e tali da non far appieno comprendere il reale spessore delle questioni poste – paiono trovare adeguata ed esaustiva risposta nella parte della sentenza impugnata che ha giudicato manifestamente infondata la questione incentrata sulla dedotta violazione dei principi di parità di trattamento e di libera concorrenza, cui in questa sede può farsi rinvio.
Deve ricordarsi, in proposito, che l’errore revocatorio è configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente, purché risulti evidente, dalla lettura della sentenza, che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima: si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione; non costituisce motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla parte, essendo a tal fine sufficiente che lo stesso abbia esaminato comunque tutti i motivi di ricorso o di appello (in tal senso, della Sezione, di recente, sentenza n. 5789 del 2023).
7. – In definitiva, nessuno dei presunti errori in fatto è ravvisabile nella sentenza gravata, onde il ricorso non supera la fase rescissoria ed è, come tale, inammissibile.
Va qui ribadito, come più volte chiarito dalla Sezione, che l’errore di fatto deducibile per revocazione, di cui all’art. 395, numero 4), c.p.c., deve derivare da un’errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato e comunque attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato (in termini, da ultimo, della Sezione, cfr. la sentenze n. 7344 e n. 7958 del 2023, che richiamano anche Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1644, nonché, di questa sez. V, la decisione 3 aprile 2018, n. 2037). Requisiti, come detto, nella specie non ravvisabili.
8. – Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono da liquidarsi in euro 4.000,00 (quattromila/00) in favore di ciascuna delle parti resistenti, per un totale di euro 8.000,00 (ottomila/00) a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, definitivamente pronunciando,
Dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 4.000,00 (quattromila/00) in favore di ciascuna delle parti resistenti, per un totale di euro 8.000,00 (ottomila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere
Gianluca Rovelli, Consigliere
Antonino Masaracchia, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Antonino Masaracchia)
IL PRESIDENTE (Rosanna De Nictolis)
IL SEGRETARIO

Written by:

Sereno Scolaro

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