Consiglio di Stato, Sez. V, 16 novembre 2021, n. 7639

Consiglio di Stato, Sez. V, 16 novembre 2021, n. 7639

Pubblicato il 16/11/2021
N. 07639/2021REG.PROV.COLL.
N. 09344/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9344 del 2020, proposto da
S. Licia, D, Marco, Si.Guido e Si.Giulia, rappresentati e difesi dagli avvocati Paolo Pittori e Federico Mazzella, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 24;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pier Ludovico Patriarca, con domicilio digitale eletto presso la sede dell’Avvocatura capitolina in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
AMA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Mannocchi, con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione Seconda, 20 febbraio 2020, n. 2248, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di AMA s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2021 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Mazzella, De Luca in dichiarata delega dell’avvocato Mannocchi e Patriarca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio i sigg.ri Licia S. e Marco D., impugnavano l’iscrizione-annotazione apposta in data 19 novembre 2003 sulla concessione cimiteriale n. 2364 del 24 ottobre 1952 (relativa ad un loculo speciale di 8 posti, n. 19, riquadro n. 81, prima fila su strada presso il cimitero Verano di Roma, rilasciata dal Comune di Roma in favore dei loro danti causa), nonché il diniego opposto da AMA s.p.a. alla tumulazione delle ossa della sig.ra Paola D. di cui alla nota dell’8 agosto 2016, prot. n. 20069, unitamente ad ogni altro atto connesso presupposto e consequenziale, laddove in contrasto con la disciplina regolante le concessioni perpetue di Roma Capitale di cui al r.d. n. 880 del 1941.
A sostegno delle proprie ragioni deducevano:
-di essere titolari in via successoria della concessione perpetua n. 2364, rilasciata dal Comune di Roma in data 24 ottobre 1952 in favore dei coniugi Pasquale D, e Fernanda Sc.;
– che nel sepolcro, assentito per 8 posti, erano state tumulate le salme dei defunti Lucia M. (suocera del sig. D.), Paola Sch. (prima moglie del sig. D.) e Amedeo C. (primo marito della sig.ra Sc.);
– gli originari concessionari, onde evitare controversie tra gli eredi, avevano chiesto ed ottenuto, nel 1953, di modificare le norme regolanti la concessione sepolcrale, limitando l’inumazione solo alle proprie salme;
– che alla morte degli originari concessionari (Pasquale D. e Fernando Sc.), rispettivamente avvenuta il 19 ottobre 1955 e il 2 marzo 1964, le loro salme erano state tumulate nel predetto loculo;
– che successivamente il figlio della Sig.ra Fernanda Sc. aveva ottenuto dal Comune di Roma la concessione n. 4107 del 1967 per l’edificazione di una propria tomba di famiglia nel nuovo cimitero di Prima Porta, dove erano state traslate le spoglie del padre e della madre, Amedeo C. e Fernanda Sc.;
– che a decorrere dal 1967 nella tomba del Verano erano rimaste solamente le salme di Lucia M., Pasquale D. e Paola Sch., così residuando cinque posti non utilizzati;
– che gli eredi della sig.ra Sc. e del marito Amedeo C., con tre distinti atti, avevano rinunciato ad ogni diritto in relazione ai posti residui della tomba del Verano;
– che in data 12 aprile 1990 il sig. Guido D., in proprio e quale rappresentante delle sorelle Vittoria e Franca, aveva proposto istanza all’amministrazione affinché, venuto meno l’unico presupposto del divieto espresso dai concessionari alla tumulazione degli appartenenti alla famiglia, fossero autorizzati, quali eredi, ad usufruire dei 5 posti rimasti liberi nella tomba di cui è causa, istanza che era stata accolta dalla direzione del cimitero attraverso una annotazione sulla scheda cimiteriale;
– che nel corso del 2003 era deceduto il sig. Guido D., cointestatario della concessione unitamente alle sorelle Vittoria e Franca, la cui salma era stata regolarmente inumata nella tomba de qua;
– che nel prosieguo era stata chiesta la collocazione nel sepolcro anche la cassetta-ossario dei resti del sig. Francesco Sch., morto a Torino nel 1931, operazione che era stata ritardata a causa della presunta esistenza di un vincolo ostativo apposto nell’atto di concessione: in particolare, a seguito di un accesso agli atti era risultato che, al momento della tumulazione del sig. Guido D’Angelo, nell’atto di concessione era stata inserita la seguente annotazione (del 19 novembre 2003): “eventuali ulteriori tumulazioni potranno essere autorizzate solo attraverso la modifica delle norme di concessione, tramite revoca della concessione”;
– che successivamente al ricorso giurisdizionale al TAR del Lazio proposto dagli allora eredi in vita, signori Maurizia D., Licia S., Franca D. e Paola D. avverso tale iscrizione, AMA ne aveva disposto la cancellazione, giusta comunicazione in data 4 giugno 2004, con la precisazione che si era trattato di un mero atto interno privo di carattere provvedimentale, tant’è che veniva perfezionata il 10 luglio 2004 la tumulazione dei resti del sig. Sch. Francesco nella tomba del Verano;
– che il ricorso originariamente proposto, nel quale erano stati dedotti anche motivi aggiunti per la impugnazione della deliberazione consiliare n. 146 del 1996, veniva parzialmente accolto dal TAR con sentenza n. 138 del 2009, sentenza poi sospesa dal Consiglio di Stato, a seguito di appello proposto dall’amministrazione;
– che in data 2 maggio 2016 decedeva la sig.ra Paola D., cui succedeva – anche nel processo – il sig. Marco D., il quale aveva chiesto la tumulazione della defunta madre nella tomba in questione, richiesta tuttavia nuovamente denegata da AMA con nota dell’8 agosto 2016.
2. L’adito tribunale, nella resistenza di Roma Capitale ed AMA s.p.a. che deducevano l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto, con la sentenza segnata in epigrafe ha respinto il ricorso sul presupposto che, circa la dedotta titolarità intestata ai ricorrenti della concessione perpetua in via ereditaria, non era stato trasmesso agli eredi alcun diritto sulla concessione, ma unicamente il diritto primario alla sepoltura e che, d’altra parte, non poteva ritenersi sussistere alcuno stato di oggettiva incertezza in ordine a situazioni giuridiche ovvero a diritti ed obblighi intestati alle parti (irrilevanti essendo gli asseriti “dinieghi orali” che l’amministrazione avrebbe frapposto rispetto alla richiesta di tumulazione dell’urna cineraria della sig.ra Paola D.).
3. Avverso tale decisione i sigg.ri S. Licia e D. Marco hanno interposto appello, lamentandone l’erroneità e chiedendone la riforma alla stregua dei seguenti motivi:
1) Erroneità del Capo 2 della sentenza del TAR Lazio n. 2248/2020 per violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 5 e 6 della L. n. 241/1990 e dell’art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000; contraddittorietà e travisamento dei fatti.
2) Erroneità del Capo 3 (prima parte) della sentenza del TAR Lazio n. 2248/2020: violazione e falsa applicazione degli artt. 70 e 76 R.D. n. 1880/1941, degli artt. 93 e 99 D.P.R. n. 803/1975 e dell’art. 92 D.P.R. n. 285/1990 nonché dei principi generali in tema di concessioni perpetue.
3) Erroneità del Capo 3 (seconda parte) della sentenza del TAR Lazio n. 2248/2020 per contraddittorietà e travisamento dei fatti. Violazione di giudicato (art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c. e art. 21-septies L. n. 241/1990); violazione e falsa applicazione dei diritti previsti in concessione.
Costituitesi in giudizio, AMA s.p.a. e Roma Capitale hanno concluso per l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.
4. Successivamente al decesso, in data 30 aprile 2021, dell’appellante sig.ra S. Licia, si sono costituiti in suo luogo gli eredi sigg.ri D. Marco – già ricorrente ed appellante in proprio – e Si. Guido e Giulia, chiedendo la prosecuzione del giudizio ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dell’art. 79 Cod. proc. amm. e dell’art. 300 Cod. proc. civ.
5. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno ulteriormente precisato con apposite memorie le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 28 ottobre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6. Con il primo motivo di appello la sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha ritenuto parzialmente inammissibile per carenza di interesse il ricorso introduttivo, in quanto “l’odierna impugnativa è coperta dal giudicato riveniente dalle suindicate pronunce, in quanto vengono oggi in questione profili affatto coincidenti con quelli scrutinati nei predetti giudizi”.
Infatti, quanto all’annotazione pregiudizievole del 2003, il primo giudice ha rilevato come già la sentenza del TAR Lazio n. 138 del 2009 avesse dichiarato l’improcedibilità del ricorso allora proposto in ragione dell’intervenuto annullamento d’ufficio dell’annotazione pregiudizievole; quanto invece alla deliberazione consiliare n. 146 del 1996, il giudice ha richiamato la successiva sentenza di appello del Consiglio di Stato n. 4401 del 2018 che aveva rilevato l’inammissibilità della relativa impugnazione, difettando alcun atto attuativo in senso revocatorio della originaria concessione cimiteriale; quanto infine al impugnato diniego di cui alla nota AMA dell’8 agosto 2016, il difetto di interesse derivava dal fatto che si trattava di “una semplice comunicazione interna inviata da AMA al Dipartimento Tutela Ambiente di Roma Capitale, che non sembra essere connotata, né da efficacia esterna, né dal carattere della definitività”.
A tanto gli appellanti oppongono che l’impugnata nota AMA dell’8 agosto 2016 non poteva considerarsi “una semplice comunicazione interna […] non […] connotata, né da efficacia esterna, né dal carattere della definitività”, avendo piuttosto un chiaro carattere provvedimentale (sia pure implicito) in senso ad essi sfavorevole.
Il motivo è fondato.
La nota in questione – adottata dal responsabile dei servizi cimiteriali di AMA s.p.a., da ritenersi, in ragione della sua funzione, titolato ad impegnare l’amministrazione verso l’esterno – formalizzava il diniego alla richiesta di tumulazione nel sepolcro per cui è causa nei seguenti termini: “In relazione alla richiesta […] acquisita da AMA con prot. 18805 del 22 luglio 2016, si trasmettono le note prot. 10655/2004 e prot. 14854/2004 […] in cui si chiarisce la posizione di AMA sulla richiesta presentata dai ricorrenti. Si trasmette inoltre copia della scheda operativa rinvenuta nell’archivio dei cimiteri capitolini. Al momento, non vi sono elementi per variare la posizione a suo tempo espressa […] che riteneva il vincolo apposto dai concessionari non superabile, a norma delle leggi e dei regolamenti tuttora vigenti”.
Il diniego veniva in effetti motivato ob relationem, richiamando le ragioni ostative fondanti un precedente provvedimento reiettivo dell’amministrazione, peraltro fatto già oggetto di impugnazione in sede giudiziaria.
La predetta nota presentava indubitabilmente anche carattere di definitività, rappresentando l’atto conclusivo del procedimento instaurato con l’istanza dei ricorrenti, adottato dalla massima autorità amministrativa competente nel settore considerato: del resto non può sottacersi che ad essa non facevano seguito ulteriori prese di posizione dell’amministrazione.
Deve pertanto ragionevolmente ritenersi che tale nota avesse natura provvedimentale e in quanto pregiudizievole per gli interessi azionati dai ricorrenti in primo grado ben poteva essere da questi tempestivamente impugnata innanzi al giudice amministrativo.
7. Con il secondo motivo di appello la sentenza di prime cure viene poi impugnata per aver respinto, ritenendole infondate, le doglianze di merito a suo tempo dedotte, sul presupposto che “circa la dedotta titolarità intestata ai ricorrenti della concessione perpetua in via ereditaria, deve osservarsi che non sembra essere stato trasmesso agli eredi alcun diritto sulla concessione ma unicamente il diritto primario alla sepoltura”; “non pare sussistente alcuna violazione delle disposizioni in materia di concessioni perpetue” poiché “il rapporto concessorio può anche essere disciplinato da una normativa sopravvenuta che regolamenti in modo innovativo le concrete modalità di esercizio del diritto al sepolcro”; “non si ravvisa alcuna violazione di regole partecipative nei riguardi dell’atto di iscrizione, peraltro già caducato”; “la delibera di C.C. n. 146 del 15 luglio 1996 […] non abbia in alcun modo coinvolto lo stato giuridico delle concessioni”.
Al riguardo gli appellanti rilevano come la concessione per cui è causa rientrava tra quelle perpetue anteriori al 1975, sì che “non può essere revocata e la sua cessazione può darsi unicamente nell’eventualità di estinzione per effetto della soppressione del cimitero” (Cons. Stato, V, 8 ottobre 2002, n. 5316), con la conseguenza che l’impugnato diniego di tumulazione, lungi dall’attenere alle “concrete modalità di esercizio del diritto al sepolcro”, in concreto integrava una vera e propria revoca dello stesso, seppur vietata – in presenza dei presupposti di cui si è detto – dall’ordinamento.
Anche questo motivo può trovare favorevole accoglimento.
Vanno date per acquisite le precedenti statuizioni giurisdizionali – intervenute tra le medesime parti – secondo cui “le concessioni perpetue rilasciate in data anteriore a quella di entrata in vigore del d.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, si trovano in situazione di diritti acquisiti e non sono soggette a revoca. Dette concessioni mantengono il carattere di perpetuità, mentre si estingue la potestà di esercitare il diritto di sepoltura una volta esaurita la capienza del sepolcro” (così TAR Lazio n. 138 del 2009), di talché “il Comune di Roma e per esso gli Uffici competenti ad adottare i provvedimenti conseguenti (oggi, verosimilmente, la Società AMA), relativi all’applicazione della delibera consiliare n. 146 del 1996, non possono assumere provvedimenti interdittivi o impeditivi all’utilizzo della concessione cimiteriale qui in esame ed i cui diritti sono pervenuti ereditariamente in capo alle ricorrenti”.
Né la concessione per cui è causa “presenta caratteri di obbiettiva incertezza, né la sua esistenza o i suoi contenuti risultano oggetto di contestazione” (Cons. Stato, V, n. 4401/2018).
Sulla base di questi presupposti, non può oggettivamente comprendersi in quale modo il diniego opposto da AMA alla tumulazione dei resti degli eredi degli originari danti causa – nonostante fosse incontestabilmente venuta meno, per iniziativa della stessa amministrazione, l’iscrizione ostativa “interna” del 19 novembre 2003 – possa riferirsi alle “concrete modalità di esercizio del diritto al sepolcro” anziché rappresentare, per le vie di fatto, una vera e propria revoca della concessione perpetua da questo presupposta.
Neppure convince l’ulteriore assunto contenuto nella sentenza appellata, secondo cui la delibera consiliare n. 146 del 1996 non avrebbe “in alcun modo coinvolto lo stato giuridico delle concessioni”, nel momento in cui si consideri che non solo la stessa aveva espressamente per oggetto la “Revoca di concessioni cimiteriali perpetue”, ma – come eccepito dagli appellanti – più nello specifico dettava i criteri in base ai quali disporre la revoca della concessione originale (perpetua) ed il contestuale rilascio di una nuova concessione a tempo determinato.
8. Con il terzo motivo di appello si censura infine il mancato accoglimento, da parte della sentenza impugnata, della domanda di accertamento del libero esercizio del diritto primario alla sepoltura in modo perpetuo – nei limiti degli otto posti previsti – sul presupposto “che non sembra darsi alcuno stato di oggettiva incertezza in ordine a situazioni giuridiche ovvero a diritti ed obblighi intestati alle parti”, richiamando il giudicato sceso sulle sentenze del TAR Lazio n. 138 del 2009 e del Consiglio di Stato n. 4401 del 2018.
In realtà, eccepiscono gli appellanti, la decisione di prime cure contraddirebbe proprio le richiamate pronunce, di fatto ribadendo, nonostante quanto in precedenza statuito dal giudice amministrativo, “il vincolo derivante dalla volontà degli originali concessionari, come risultante dall’iscrizione del 28 novembre 1953” e ritenendo “irrilevanti gli asseriti “dinieghi orali” che l’amministrazione avrebbe frapposto rispetto alla richiesta di tumulazione dell’urna cineraria della sig.ra Paola D.”.
Anche questo motivo è fondato.
Quanto al primo profilo di criticità dedotto dagli appellanti, non è effettivamente corretto il riferimento, di cui alla sentenza impugnata, all’iscrizione del 1953, con cui – su richiesta di questi ultimi – la concessione veniva limitata ai soli intestatari della stessa, per prevenire liti tra gli eredi: invero, risulta dagli atti che tale annotazione, era stata superata da quella del 1990, con cui era stata ripristinata l’originaria estensione della concessione (anche) ai familiari. Solo nel 2003 seguiva l’annotazione pregiudizievole, disposta però in modo unilaterale da AMA e di seguito dalla stessa rimossa d’ufficio, in base alla quale “eventuali ulteriori tumulazioni potranno essere autorizzate solo attraverso la modifica delle norme di concessione, tramite la revoca della concessione”.
L’annotazione del 1990 – a quanto emerge dalle risultanze di causa – non risulta essere mai stata revocata o comunque resa inefficace, di talché deve effettivamente riconoscersi che il solo “titolo” concessorio attualmente valido e rilevante a dirimere l’odierna vertenza è quello risultante al 1990 (non invece quello del 1953, ormai privo di effetti), ripristinatorio di quello originario del 1952.
Quanto poi al secondo profilo di censura, non è conferente il richiamo – di cui alla decisione appellata – ad eventuali “dinieghi orali” opposti da AMA o da suoi funzionari a nuove tumulazioni, rilevante essendo – come già detto in relazione al primo motivo di appello – la nota formale di espresso diniego notificata dall’amministrazione, ex se autonomamente impugnabile.
10. Alla luce dei rilievi che precedono l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso introduttivo ed annulla gli atti impugnati, nei termini di cui in motivazione.
Condanna ciascuno degli appellati al pagamento, in favore degli appellanti, delle spese di lite del doppio grado di giudizio, che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00) complessivi, oltre Iva e Cpa se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere, Estensore
Angela Rotondano, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
L’ESTENSORE (Valerio Perotti)
IL PRESIDENTE (Carlo Saltelli)
IL SEGRETARIO

Written by:

Sereno Scolaro

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