Consiglio di Stato, Sez. V, 13 ottobre 2021, n. 6879

Consiglio di Stato, Sez. V, 13 ottobre 2021, n. 6879

Pubblicato il 13/10/2021
N. 06879/2021REG.PROV.COLL.
N. 02533/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2533 del 2017, proposto da
T. Guido, T. Angelo, rappresentati e difesi dagli avvocati Ulisse Corea, Pilade Frattini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ulisse Corea in Roma, via di Villa Sacchetti n. 9;
contro
Comune di Bergamo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vito Gritti, Gabriele Pafundi, Silvia Mangili, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), 5 dicembre 2016, n. 1688, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bergamo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2021 il consigliere Angela Rotondano e preso atto delle note di passaggio in decisione depositate, ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, d.l. n. 28/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70/2020, e richiamato dall’art. 25 d.l. n. 137, dall’avvocato Gabriele Pafundi, di cui è data la presenza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso ritualmente notificato il 17 aprile 2014 i signori T. Guido, T. Marisa e T. Angelo, nella qualità di eredi universali e discendenti in linea retta del signor Daniele T., originario destinatario della concessione cimiteriale n. 15359 Rep. rilasciata dal Comune di Bergamo in data 16 ottobre 1953, domandavano al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia- Sezione Staccata di Brescia di accertare e dichiarare che la su indicata concessione avesse natura onerosa e perpetua e non fosse pertanto rinnovabile né revocabile, ma solo estinguibile per soppressione del cimitero, ai sensi degli artt. 92 e 98 del d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (Approvazione del regolamento di polizia mortuaria) ovvero, in subordine, non soggetta a rinnovo, anche se revocabile in presenza delle condizioni di cui all’art. 92 del d.P.R. citato.
1.1. Esponevano in fatto i ricorrenti che:
– sull’area cimiteriale in concessione il loro ascendente Daniele T. aveva realizzato a proprie spese una cappella funeraria di famiglia;
– il titolo qualificava la concessione come perpetua, a condizione che gli eredi ne mantenessero la destinazione e allo scadere di ogni trentennio ne domandassero la riconferma, che potevano così ottenere gratuitamente;
– una dei ricorrenti, la signora Marisa T., allo scadere del primo trentennio, aveva effettivamente chiesto e ottenuto la riconferma gratuita, con provvedimento del 2 dicembre 1983 in cui si ribadiva l’obbligo della concessionaria o degli aventi titolo di chiederla nuovamente allo scadere del trentennio successivo;
– di conseguenza essi ricorrenti avevano scritto al Comune il 30 agosto 2013 per ottenere la seconda riconferma, senza ricevere risposta, trovando invece affisso sulla porta della cappella un comunicato del servizio comunale competente, che annunciava la scadenza della concessione al 15 ottobre 2013, avvisando della prevista estumulazione d’ufficio delle salme;
– avevano quindi richiesto chiarimenti in merito al Comune con lettera 27 gennaio 2014 ricevendo in risposta la nota 12 febbraio 2014 prot. n. UO 0030806, in cui veniva loro reso noto che la concessione non si sarebbe potuta più riconfermare, ma solo rinnovare per altri trent’anni a pagamento, stante l’asserita abolizione delle concessioni perpetue in base alla normativa di cui al vigente Regolamento cimiteriale (approvato con delibera del Consiglio Comunale del 30 gennaio 2012).
1.2. Con l’impugnazione proposta i ricorrenti contestavano quest’ultima affermazione, assumendo in sintesi che ai sensi dell’art. 92 del citato d.P.R. 285/1990 le concessioni perpetue già esistenti sarebbero state mantenute in vita, con il solo divieto di rilasciarne di nuove, e che a questa norma il Regolamento comunale non potrebbe derogare; in ogni caso alla concessione originaria (perpetua e soggetta a riconferma trentennale gratuita) non sarebbe stato applicabile il successivo disposto regolamentare secondo cui il rinnovo della concessione era subordinato al pagamento del canone vigente al momento della richiesta.
1.3. Si costituiva in resistenza il Comune, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso avente ad oggetto “un’inammissibile azione di mero accertamento”, per mancata impugnativa nei termini prescritti del provvedimento a suo avviso contenuto nella citata nota datata 12 febbraio 2014 nonché (ove il ricorso fosse stato inteso come impugnazione della suddetta nota) per mancanza di specifiche censure avverso tale atto ai sensi dell’art. 40 cod. proc. amm.; nel merito chiedeva che il ricorso fosse respinto, siccome infondato, posto che la concessione non poteva essere ancora considerata perpetua, sia perché sarebbe diventata temporanea per effetto della prima riconferma, sia perché comunque l’istituto più non esisterebbe.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe l’adito Tribunale, in accoglimento dell’eccezione del Comune, ha dichiarato il ricorso inammissibile per essere stato con esso introdotta un’inammissibile azione di accertamento mero: pur non dubitando in linea generale dell’ammissibilità di queste azioni, il primo giudice ha rilevato esse non costituiscono però rimedio alternativo al giudizio di annullamento, sicché i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare la nota con cui il Comune esprimeva la propria posizione sulla riconferma gratuita, assumendo che ciò non fosse possibile e che fosse consentito, ai sensi della vigente normativa regolamentare, solo il rinnovo della concessione per trent’anni e a titolo oneroso.
3. Di tale sentenza i ricorrenti di primo grado hanno ritualmente domandato la riforma lamentando con un primo motivo di appello la “palese erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riguardo all’accertato profilo di inammissibilità del ricorso” e con un secondo motivo la “conseguente erroneità dell’impugnata sentenza per mancato accoglimento nel merito del ricorso”: gli appellanti hanno così contestato la declaratoria di inammissibilità del ricorso da parte della sentenza di primo grado, tornando nel merito a sostenere l’inapplicabilità della normativa regolamentare sopravvenuta alle concessioni preesistenti (che resterebbero perpetue).
3.1. Si è costituito il Comune, argomentando l’infondatezza dell’appello e domandandone il rigetto.
In particolare il Comune ha chiesto anzitutto la conferma della declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado; nel merito ha ribadito comunque la legittimità del suo operato, assumendo che il diniego di riconferma gratuita della concessione sarebbe conforme alle norme di settore nazionali e regolamentari vigenti (recanti la limitazione temporale della durata delle concessioni, la previsione di onerosità e l’obbligo di riconferma ogni trentennio delle concessioni c.d. perpetue, con indicazioni tutte recepite dal Regolamento comunale) alla cui osservanza, in base all’originaria concessione (artt. 7 e 4), il concessionario e i suoi aventi causa si erano obbligati; ad ogni modo, secondo l’Amministrazione resistente, i rapporti tra il Comune e i ricorrenti non sarebbero regolati dall’originaria concessione del 1953 ma dalla successiva del 1983 (con decorrenza dal 16 ottobre 1983 sino al 16 ottobre 2013), che prevedeva la temporaneità della concessione e l’obbligo della richiesta di rinnovo alla scadenza.
3.2. In vista dell’udienza pubblica, le parti hanno ulteriormente illustrato con memorie e repliche le rispettive tesi difensive.
3.3. All’udienza del giorno 25 marzo 2021, su richiesta delle parti come da note depositate in atti, la Sezione ha trattenuto l’appello in decisione.
DIRITTO
4. L’appello è infondato.
5. Coi motivi dedotti gli appellanti sostengono in sintesi che avrebbe errato il giudice di primo grado nel ritenere che la nota comunale del 12 febbraio 2014, non impugnata per annullamento con il ricorso, avesse natura giuridica di provvedimento autoritativo.
5.1. Difetterebbero, infatti, i requisiti di sostanza e di forma affinché si possa riconoscere alla nota in parola natura provvedimentale: ciò in primo luogo perché, sotto il profilo formale, si tratterebbe di una semplice lettera raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata soltanto al legale dei ricorrente, presso il suo studio, ma non destinata personalmente a questi ultimi né ad essi singolarmente notificata; inoltre, la nota non conterrebbe alcun formale ed espresso diniego, dotato di autonoma e immediata lesività, della riconferma trentennale della concessione cimiteriale a suo tempo richiesta dai ricorrenti, bensì una mera esternazione delle ragioni per cui, secondo l’allora dirigente della “Direzione Contratti e Appalti Servizio Cimiteri Cittadini”, le ex concessioni perpetue già riconfermate, allo scadere del periodo indicato nell’atto di riconferma, potevano essere solo rinnovate alle condizioni e nei limiti indicati nel regolamento cimiteriale comunale vigente; infine la nota non recava neppure alcun avviso o invito a procedere all’immediato rinnovo della concessione pena la sua estinzione, ma una mera dichiarazione di disponibilità da parte dell’Amministrazione comunale a concedere il rinnovo “per un ulteriore trentennio, a titolo oneroso”, ove i richiedenti vi avessero interesse.
5.2. La natura meramente “illustrativa” (e non provvedimentale ed autoritativa) della nota in oggetto sarebbe, secondo gli appellanti, riconosciuta, illogicamente e in modo contraddittorio, anche dal primo giudice che, nel ricostruire la vicenda, ha dato atto che tale comunicazione riscontrava la richiesta di chiarimenti formulata dal difensore dei ricorrenti con lettera del 27 gennaio 2014, oltre ad essere ulteriormente confermata in via di fatto dalla circostanza che successivamente il Comune di Bergamo non ha mai annoverato e incluso la cappella della famiglia T. negli elenchi delle sepolture passibili di nuova assegnazione per scadenza del termine o per rinuncia.
5.3. Gli odierni appellanti hanno quindi riproposto, con il secondo mezzo di impugnazione, le censure e domande di merito, non esaminate dalla sentenza impugnata stante la (contestata) declaratoria di inammissibilità, ribadendone la fondatezza: sono in particolare tornati a sostenere di essere titolari, per successione mortis causa, ai sensi dell’art. 92 del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e in applicazione del principio “tempus regit actum” (in virtù del quale le concessioni cimiteriali preesistenti all’entrata in vigore del d.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 restano assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio) di una concessione cimiteriale perpetua, onerosa (per quanto concerne il rilascio del titolo concessorio), soggetta (alla scadenza del termine e su richiesta dell’interessato) a riconferma trentennale, da accordarsi gratuitamente qualora fosse stato accertato che la cappella funeraria era in buono stato di manutenzione (come difatti avvenuto nel 1983 con il provvedimento di riconferma gratuita rilasciato su istanza dell’erede Marisa T.); le appellanti hanno inoltre dedotto l’illegittimità in parte qua del regolamento comunale cimiteriale ove contenente previsioni derogatorie e contrastanti con la superiore normativa regolamentare statale.
6. Le doglianze così illustrate non possono essere accolte, non meritando la sentenza appellata le critiche che le sono state rivolte.
6.1. Correttamente la sentenza di primo grado, con un percorso logico-argomentativo immune dai vizi dedotti e da errori in diritto, ha dichiarato inammissibile il ricorso, accogliendo l’eccezione preliminare proposta dal Comune.
6.2. Come esposto in fatto, a seguito della nota (del 30 agosto 2013) con cui gli originari ricorrenti avevano dichiarato l’unilaterale volontà di riconferma gratuita della concessione, il Comune non ha adottato un provvedimento espresso di riconferma (come quella disposta nel 1983) ma, a riscontro della richiesta di chiarimenti inviata (con lettera del 27 gennaio 2014) dal difensore dei ricorrenti (nella quale tra l’altro si lamentava che l’Amministrazione non avesse provveduto espressamente sull’istanza di riconferma, come invece avrebbe dovuto, rimanendo silente), adottava invece la nota del 12 febbraio 2014, che è un provvedimento autoritativo, lesivo degli interessi degli odierni appellanti: vi si sostiene infatti che non ci sono i presupposti per la riconferma; esso andava, quindi, impugnato con la tipica azione di annullamento.
6.3. Come correttamente rilevato dal primo giudice, i ricorrenti hanno invece introdotto col gravame proposto un azione di mero accertamento che presuppone che vi sia obiettiva incertezza in relazione all’esistenza di un diritto causata da pretese di terzi, ma che non è ammessa in via alternativa rispetto al ricorso per l’annullamento di atti autoritativi.
6.4. Nel caso di specie non sussistono dubbi sulla natura della nota rimasta inoppugnata con cui l’Amministrazione – in risposta alla suddetta missiva del difensore dei ricorrenti formulata “a nome e nell’interesse dei signori T.”, nella qualità già indicata – ha negato la riconferma, esternando le ragioni a suo avviso a ciò ostative, vista la previsione contenuta nel vigente Regolamento comunale di polizia mortuaria e dei servizi cimiteriali del solo rinnovo, nonché per l’assenza di riferimenti nella predetta normativa regolamentare alla “perpetuità” e alla “gratuità” delle concessioni.
6.5. La nota 12 febbraio 2014 privava dunque i ricorrenti della concessione perpetua rilasciata in origine al loro avo, informando i medesimi che essa nella normativa regolamentare del Comune di Bergamo, ritenuta per implicito conforme a quella generale, non sarebbe più prevista, e che in luogo dei futuri rinnovi gratuiti, potenzialmente senza limiti di tempo, avrebbero al massimo potuto ottenere solo un rinnovo a pagamento (ai sensi degli artt. 87 e 89 del citato Regolamento cimiteriale).
6.6. Non sono dunque censurabili le statuizioni impugnate che hanno rilevato come la nota in parola ha natura giuridica di provvedimento autoritativo: essa infatti, come bene rilevato dal primo giudice, incide su una situazione giuridica tipicamente di diritto amministrativo, ovvero una concessione di bene pubblico, poiché notoriamente per l’art. 824 ultimo comma c.c. il cimitero è bene demaniale, e vi incide in via autoritativa e unilaterale, ponendo fine al rapporto a prescindere dalla volontà dei privati concessionari sulla base di una pretesa norma sopravvenuta. In tale nota il Comune ha espresso dunque le proprie definitive determinazioni in relazione alla possibilità di riconfermare gratuitamente la concessione cimiteriale in oggetto.
6.7. Ebbene, se il mezzo normale di tutela contro un provvedimento amministrativo, lesivo degli interessi dei destinatari, è il ricorso per annullamento in sede di giurisdizione generale di legittimità, nel caso di specie i ricorrenti hanno proposto un’azione di accertamento mero, del tipo che si propone nel processo civile per accertare la consistenza di un proprio diritto assoluto, di solito un diritto reale, di fronte alla obiettiva incertezza creata dalle altrui pretese.
Correttamente l’appellata sentenza, pur non dubitando in linea generale dell’ammissibilità di azioni di accertamento nel processo amministrativo, ha ritenuto la questione non rilevante nel caso di specie, considerando al riguardo non pertinente neanche la giurisprudenza richiamata dalle ricorrenti (di cui alle decisioni di Cons. Stato, Ad. Plen., 29 luglio 2011 n. 15; Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 717; V, 23 marzo 2011 n. 3), perché riferita a fattispecie completamente differenti rispetto a quella per cui è causa o perché riguardante un ordinario giudizio di annullamento.
Alla dirimente questione oggetto del giudizio (se un’azione di accertamento mero possa essere proposta come alternativa all’impugnazione per annullamento) la sentenza ha invece correttamente risposto in senso negativo, conformandosi ai principi affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (di cui alla richiamata decisione di Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2013 n. 213), poiché la tutela è già assicurata dal rimedio tipico. Ed infatti, o l’azione di accertamento mero si considera proponibile negli stessi termini dell’azione di annullamento (e allora è inammissibile perché conduce al risultato paradossale di ritenere illegittimo un atto dell’amministrazione, ma di lasciare che esso produca effetto); o l’azione si considera proponibile oltre il termine di decadenza, e allora è elusiva del termine stesso, collegato al principio di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico.
Né il ricorso introduttivo (effettivamente notificato nel termine di decadenza dalla data del provvedimento lesivo del 12 febbraio 2014) poteva essere qualificato ai sensi dell’art. 32 cod. proc. amm. come ricorso per l’annullamento, non recando esso alcuna indicazione, generica o specifica, dei motivi di impugnazione perché, come bene rilevato dal primo giudice, “di annullamento non parla affatto”, limitandosi l’impugnazione proposta “a chiedere l’accertamento di una situazione giuridica, e non la rimozione di qualsivoglia atto dal mondo giuridico, ovvero il tipo di domanda che implica l’articolazione di motivi a sostegno”, trattandosi quindi di un atto inammissibile come ricorso (come ritenuto ex multis da Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2016 n.2543).
6.8. La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di precisare i criteri ermeneutici che spingono l’interprete verso tali conclusioni, raggiunte dall’appellata sentenza, ovvero che l’azione di mero accertamento, nel processo amministrativo, sia un’azione tipica e non atipica (cfr. per una compiuta disamina sul tema generale della tipicità delle azioni di accertamento nel nostro ordinamento processuale il precedente di cui a Cons. Stato, V, 16 gennaio 2013, n. 231 puntualmente richiamato dalla sentenza di primo grado).
Come chiarito da quella giurisprudenza l’azione di mero accertamento è esercitabile nei casi tipicamente definiti dal legislatore o enucleabili dal contesto della disciplina di tutela, nell’ambito di specifiche situazioni giuridiche alle quali è correlata un altrettanto specifica tutela giurisdizionale, che non ricorrono nella presente fattispecie.
6.8.1. È stato infatti affermato (Cons. Stato, V, n. 231/2013 cit.) che il processo amministrativo è pur sempre, secondo una lettura costituzionalmente orientata della giurisdizione del giudice amministrativo, al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva, un processo su interessi legittimi, incentrato sull’azione di annullamento, di talché sull’azione di accertamento su un rapporto giuridico paritetico come il rapporto giuridico contrattuale sussiste pacificamente la giurisdizione del giudice ordinario ed inoltre, per quanto qui rileva, che l’azione di mero accertamento, sulla base della disciplina codicistica e dello stesso (connesso) sistema processuale amministrativo elaborato dalla giurisprudenza, sia esercitabile soltanto nei casi tipicamente definiti dal legislatore o enucleabili dal contesto della disciplina di tutela di particolari istituti (a titolo esemplificativo: azione di accertamento in materia di silenzio, in materia di nullità del provvedimento, in materia di ottemperanza e in materia di c.d. SCIA, tutti riconducibili a peculiarità sostanziali che si riflettono nella “tipicità” e “specialità” della tutela giurisdizionale (azione) e processuale (rito) accordata dall’ordinamento).
In particolare, una tale azione, lungi dal presentarsi come un rimedio generalizzato ed alternativo all’azione caducatoria, può essere promossa dal privato soltanto nei casi in cui costituisca l’unico strumento a disposizione del ricorrente per tutelare la propria posizione soggettiva (come d’altronde osservato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione 29 luglio 2011, n.15).
6.8.2. Né può farsi discendere dal generale principio di effettività della tutela di cui all’art. 1 cod. proc. amm. (che richiama l’esigenza di una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, in relazione a quanto disposto dall’art. 24 della Costituzione) la sussistenza nel processo amministrativo di un’azione di accertamento atipica, poiché dovrebbe semmai preliminarmente dimostrarsi che il sistema di tutele del Codice sia in parte qua lacunoso e, quindi, necessariamente da integrare in via ermeneutica con il richiamo ai principi costituzionali ed europei del giusto processo, mentre nel caso in esame l’ordinamento giuridico ha previsto gli appositi rimedi e strumenti a tutela della posizione giuridica di parte ricorrente che nel caso specifico non sono stati azionati.
6.9. Pertanto, nel caso di specie, non trattandosi di esercizio di azione di accertamento nei casi tipicamente previsti dalla legge, il relativo ricorso è da ritenersi inammissibile, come ritenuto dalla sentenza appellata.
7. In conclusione l’appello va respinto.
8. Sussistono nondimeno giusti motivi, in considerazione della natura della causa e della peculiarità della vicenda, per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 1, comma 17, come modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere, Estensore
Stefano Fantini, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
L’estensore (Angela Rotondano)
IL PRESIDENTE (Francesco Caringella)
IL SEGRETARIO

Written by:

Sereno Scolaro

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