Consiglio di Stato, Sez. III, 2 luglio 2014, n. 3323

Consiglio di Stato, Sez. III, 2 luglio 2014, n. 3323

Pubblicato il 2/7/2014
N. 03323/2014REG.PROV.COLL.
N. 02844/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2844 del 2013, proposto da:
< omissis> s.r.l., < omissis > s.a.s. di Vittorio M. & C., < omissis > s.r.l., < omissis > s.u.r.l., < omissis > s.r.l., < omissis> s.r.l., < omissis > s.a.s. di Cristoforo M. R. & C., < omissis > s.a.s. di S. Cristian & C., < omissis > s.r.l., < omissis > s.r.l., Ditta individuale Ma. Giovanni Antonio, rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Fiorilli, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo n. 180;
contro
Ministero della Salute – Dipartimento della prevenzione e comunicazione, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti di
< omissis > s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Enrico Raengo, Pio G. Rinaldi ed Andrea Manzi, con domicilio eletto presso l’avv. Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri n. 5; Comune di Rossano Veneto;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III QUA n. 02174/2013, resa tra le parti, concernente autorizzazione alla produzione, commercializzazione di manufatto in prolipropilene in sostituzione della cassa di metallo di feretro
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di K – Holding s.p.a. e del Ministero della Salute;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2014 il Cons. Angelica Dell’Utri e uditi per le parti gli avvocati P. Fiorilli, A. Manzi e dello Stato Anna Collabolletta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con decreto del Ministero della salute in data 5 luglio 2011 la < omissis > s.p.a. è stata autorizzata “alla produzione, commercializzazione ed uso in ambito nazionale di un manufatto in polipropilene (PP), in sostituzione della cassa di metallo di un feretro, unicamente per la tumulazione nel caso di trasporto di salme a distanza inferiore a km. 100”. Con d.m. 2 novembre 2011 ne è stata disposta la rettifica della frase “in sostituzione dell’uso delle casse in legno e zinco”, contenuta nel preambolo, con la frase “teso a sostituire la sola cassa metallica, mantenendo sempre quella in legno”.
Avverso tali provvedimenti varie imprese produttrici di cofani in zinco hanno proposto ricorso e successivi motivi aggiunti davanti al TAR per il Lazio, che con sentenza 28 febbraio 2013 n. 2174 ha respinto il ricorso stesso.
Di qui l’appello in epigrafe, notificato i giorni 2, 3 e 4 aprile 2013 e depositato il 16 seguente, col quale, premesso che il Ministero della salute ha solo parzialmente ottemperato al provvedimento istruttorio adottato dal TAR, non avendo depositato la richiesta relazione illustrativa dettagliata ma solo gli atti del procedimento, sulla scorta di tali atti gli appellanti hanno ricostruito l’istruttoria che ha dato luogo al rilascio dell’autorizzazione. Richiamati i propri motivi di primo grado, le argomentazioni del TAR e svolte ulteriori premesse sulle questioni e i principi dibattuti nel ricorso, a sostegno dell’appello hanno dedotto:
1.- Violazione degli artt. 30, 31, 77, 82 e 89 del d.P.R. 18 settembre 1990 n. 285 di approvazione del regolamento di polizia mortuaria, insufficienza dell’istruttoria.
L’istruttoria svolta sulla sostituibilità del PP allo zinco non ha consentito un giudizio positivo sull’idoneità del materiale a soddisfare i concorrenti interessi pubblici della prevenzione della salute pubblica, della tutela dell’ambiente, del rispetto della pietà per i defunti e della sicurezza dei prodotti.
Non è stata chiesta alla società richiedente una preventiva sperimentazione in campo, tale da consentire l’accertamento della sicurezza del nuovo materiale.
Il decreto non obbliga il produttore a fornire alcuna informazione al pubblico circa il monitoraggio impostogli, diretto a verificare la risposta del materiale autorizzato alle esigenze di tutela dell’igiene, della salute, dell’ambiente e della pietà per i defunti. Tale difetto rileva sotto il profilo concorrenziale in quanto il prodotto autorizzato, contrariamente a quanto prescritto dalla legge, non è comparabile con lo zinco o il piombo quanto sia alla sicurezza che al rispetto della dignità del defunto, quest’ultimo essendo utilizzato come “cavia” per una sperimentazione incontrollata, dal momento che per verificare lo stato di decomposizione si richiede l’estumulazione, a sua volta non richiedibile da soggetti terzi, bensì solo dalla famiglia o dal Comune o dall’autorità giudiziaria penale. Ne consegue che il Ministero avrebbe dovuto precisare le modalità che la società doveva seguire per ottenere l’autorizzazione all’estumulazione; d’altra parte l’estumulazione è coperta da riserva di legge, dalla quale un decreto ministeriale non può derogare. Sicché l’autorizzazione alla sperimentazione doveva essere accompagnata da una legge che autorizzasse l’estumulazione con le garanzie richieste dal d.P.R. n. 285 del 1990.
In difetto di legittimazione all’estumulazione del defunto inserito nel feretro alternativo, < omissis > è esonerata dalla responsabilità per la mancata esecuzione dei controlli prescritti nel decreto, con l’effetto che l’autorizzazione è incondizionata, vanificandosi il “paravento” formale escogitato in presenza di un’istruttoria insufficiente e sospetta di grave superficialità ed imparzialità, la cui ulteriore conseguenza è la mancata indicazione dell’obbligo di garantire l’integrità del cofano per una durata di oltre venti anni come previsto nella circolare 31 luglio 1998 n. 10.
Inoltre, sono rilevanti le conseguenze sul carico sul fondo del cofano di legno della pressione di sfiato del cofano in PP, il cui valore ammesso (0,5 bar) è ben superiore a quello del cofano di zinco con introduzione della valvola di purificazione dei gas e di sicurezza tarata a 0,03 bar. Se, come detto dal primo giudice, il cofano in PP lavora come valvola di sfiato, la struttura e lo spessore del cofano di legno avrebbero dovuto essere rivisti per verificare l’osservanza della Convenzione di Berlino. Di qui la necessità che anche al cofano in PP siano applicate le valvole in questione, per ragioni igienico sanitarie e per la sicurezza del prodotto alternativo, ossia sotto il profilo dell’equivalenza del feretro composto dai materiali previsti dalla legge e quello composto da legno e PP.
Infine, il Ministero avrebbe dovuto porsi il problema dell’esito negativo della sperimentazione e della responsabilità di < omissis > per il pregiudizio arrecato agli interessi pubblici e per il risarcimento del danno agli acquirenti.
La commercializzazione del materiale sostitutivo senza previa sperimentazione e, anzi, l’affidamento alla produttrice della sperimentazione successiva comporta l’obbligo della società di violare la legge penale, nonché la creazione di una situazione di grave pericolo di compromissione degli interessi pubblici di rilevanza costituzionale e dei valori condivisi, riconosciuti costituzionalmente e protetti da norme penali. Tutto ciò è sfuggito al primo giudice, che non ha considerato unitariamente le argomentazioni degli appellanti come imponeva la delicatezza della fattispecie.
2.-Eccesso di potere per difetto di motivazione.
Il provvedimento di autorizzazione è stato emesso in presenza di una documentazione scientifica non esaustiva, richiedente la previa sperimentazione per esprimere un giudizio sull’idoneità del materiale a sostituire lo zinco; non esistono infatti le prove sulla reazione del PP nelle condizioni particolari dell’applicazione specifica, né è descritto in letteratura un caso di estumulazione con conseguente cremazione, com’è invece per lo zinco.
Il provvedimento di autorizzazione alla produzione e al commercio avrebbe dovuto essere alla sperimentazione.
3.- Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Indice del vizio in questione e di perplessità è la prescrizione della non applicazione su tale manufatto dei dispositivi di sfiato, occorrenti per fissare e neutralizzare i gas di putrefazione e limitare la pressione sul cofano di legno per evitare la fasciatura del feretro onde impedirne la rottura, a maggior ragione in quanto non ne sono state modificate le caratteristiche strutturali prescritte dalla legge.
Il TAR ha considerato tali dispositivi come semplici valvole di scarico, dimenticando la loro funzione primaria di depurazione laddove ha affermato che in prossimità del valore di pressione di 0,5 bar “la cassa sfiata dalle giunzioni … senza necessità di aggiungere valvole” in quanto la cassa “lavora di per sé come una valvola di sfiato”, ma non come depuratore.
La mancata audizione delle Regioni e dei Comuni, pur richiesta dall’Istituto superiore della Sanità, costituisce gravissima carenza istruttoria, non focalizzata dal primo giudice.
Conferma la perplessità la specifica indicazione di quali dati dovranno essere forniti, a pena di decadenza dell’autorizzazione, dalla < omissis > nella sua relazione biennale. La biennalità del monitoraggio mal si concilia con le prescrizioni di cui all’art. 86 del cit. d.P.R. sulle estumulazioni.
In assenza dei dispositivi di sfiato il manufatto non è idoneo a soddisfare gli standard di sicurezza imposti dal regolamento.
L’estensione a tutto il territorio nazionale dell’autorizzazione avrebbe dovuto suggerire una maggior cautela per i rischi di compromissione dell’igiene e della salute pubblica e dell’impatto ambientale.
Di tutto ciò il TAR non ha tenuto conto.
4.- Eccesso di potere in relazione alla finalità dell’autorizzazione alla produzione ed al commercio del materiale.
Trattandosi di materiale non testato rispetto al suo impiego destinato a sostituire altro materiale costituente parametro di riferimento di legge (non di convenzioni tecniche), non può essere espresso un giudizio di economicità della produzione rilevante ai fini della concorrenza, bensì un giudizio di equivalenza per la prevenzione dei rischi alla salute ed all’igiene pubblica, rispetto al quale l’autorizzazione è ingiustificata in assenza di esaustiva sperimentazione che garantisca la perfetta sostituibilità. Tale argomento è stato frainteso dal TAR, il quale ha ignorato che la comparabilità è un posterius rispetto all’accertamento dell’equivalenza.
5.- Violazione del principio di prevenzione in relazione all’art. 77 del d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
Il divieto di uso del manufatto per tumulazione con trasporto a distanza superiore a 100 km, motivato col rilievo che il manufatto è in fase di lavorazione prototipale e sperimentazione di comparazione con lo standard di riferimento (zinco), conferma l’illegittimità dell’autorizzazione, da un lato, per mancato accertamento della comparabilità e, dall’altro lato, perché rilasciata unicamente con riferimento a interessi economici e concorrenziali generici e non di ottimizzazione della salvaguardia dell’interesse pubblico.
Con l’appellata decisione il TAR si è assunto la responsabilità di superare l’osservazione della messa in pericolo di valori costituzionalmente riconosciuti, derivante dall’assenza di preventiva sperimentazione del prodotto, dall’esame della comparabilità allo zinco “in laboratorio” e dal mancato coinvolgimento delle Autorità locali preposte al servizio cimiteriale suggerito dall’Istituto superiore.
Onde verificare l’impatto ambientale, sarebbe stato opportuno, anziché consentire a < omuissis > di commercializzare illimitatamente un prodotto di cui non si conosce il comportamento e l’impatto, circoscrivere l’autorizzazione ad un numero limitato di prodotti da sperimentare nelle diverse zone climatiche da individuare, posto che lo zinco si è dimostrato idoneo in ogni condizione ambientale a tutelare tutti gli interessi pubblici concorrenti nel settore.
Le prescrizioni del decreto comporterebbero la necessità di procedere alla estumulazione prima del prescritto turno di rotazione al fine di eseguire con l’indicata cadenza biennale le analisi e le valutazioni tecniche per la “certificazione” richiesta. Ciò dimostra il mancato rispetto dei principi costituzionali di trasparenza e corretta amministrazione.
Nel caso in cui si verifichino pregiudizi, < omissis >, richiamandosi all’autorizzazione, si sottrarrebbe ad ogni responsabilità peri danni prodotti, che farebbero carico direttamente al Ministero della salute il quale ha operato in violazione di ogni regola prudenziale nello svolgimento dei suoi compiti istituzionali.
Il Ministero della salute si è costituito in giudizio in data 2 maggio 2013 ed il 19 febbraio 2014 ha depositato documenti, ma non ha prodotto scritti difensivi.
In data 30 maggio 2013 anche < omissis > s.p.a. (già < omissis > s.p.a.) si è costituita in giudizio e con memoria del 13 marzo 2014 ha svolto eccezioni di inammissibilità e improcedibilità del ricorso di primo grado e motivi aggiunti, nonché controdeduzioni all’appello.
Gli appellanti hanno replicato con memoria del 20 seguente.
All’udienza pubblica del 15 aprile 2014 la causa è stata introitata in decisione.
DIRITTO
Com’è esposto nella narrativa che precede, si controverte dell’autorizzazione, rilasciata dal Ministero della salute e valida per cinque anni, all’uso in ambito nazionale del manufatto in polipropilene (PP), in sostituzione della cassa metallica e mantenendo quella di legno, “unicamente per la tumulazione nel caso di trasporto di salme a distanza inferiore a 100 km”, a determinate condizioni tecniche e d’impiego, facendosi obbligo all’impresa che produce e commercializza il manufatto di fornire, con cadenza biennale ed a pena di revoca dell’autorizzazione, adeguate informazioni scritte sulla concreta e reale operatività del manufatto stesso nelle tumulazioni, corredate da apposita dichiarazione di strutture pubbliche cimiteriali che ne attestino la veridicità.
Infine, si precisa che l’uso del manufatto per trasporto superiore a 100 km “al momento” non è autorizzato, trattandosi di manufatto “in fase di lavorazione prototipale, sperimentale e di comparazione con lo standard di riferimento (zinco)”, in attesa delle prove sperimentali ed informazioni di cui sopra.
Ciò posto, si può prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità ed irricevibilità del gravame di primo grado, poiché le censure svolte nell’appello sono in parte chiaramente infondate nel merito e per l’altra parte inammissibili anche, come peraltro eccepito da controparte, in quanto proposte per la prima volta in questa sede.
È questo il palese caso dei profili del primo motivo con cui si lamenta che non sia stata richiesta alla destinataria dell’autorizzazione la “preventiva sperimentazione in campo” ed il produttore non sia stato obbligato a fornire al pubblico l’informazione circa il monitoraggio impostogli; doglianze, queste, non contenute nell’originario ricorso (né, ovviamente, nei successivi motivi aggiunti), quindi non deducibili in secondo grado stante il divieto di cui all’art. 104, co. 1, cod. proc. amm..
In ordine al dato che per le verifiche da indicarsi nella prescritta relazione documentata biennale sia necessaria l’estumulazione, che non può essere richiesta da terzi, avvenendo su ordine del comune o dell’autorità giudiziaria penale o su richiesta dei familiari (tale censura è riferibile al ricorso, ancorché ve ne sia solo un cenno), è evidente che la < omissis > dovrà appunto provvedere a quanto impostole in occasione dell’estumulazione richiesta dai familiari (il quinquennio di validità dell’autorizzazione non consentendole per ora di attendere le estumulazioni ordinarie) o richiesta dai soggetti legittimati, ovviamente con tutte le garanzie già previste in via generale dal d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285; né il decreto impugnato consente estumulazioni apposite, con la conseguenza che non occorreva al riguardo la specificazione di modalità peculiari, né alcuna preventiva legge. Infine, gli adempimenti in parola è certo che non comportano di per sé alcuna violazione delle norme penali.
Non è poi vero che il “difetto di legittimazione” di < omissis > all’estumulazione diretta trasforma l’autorizzazione da condizionata ad incondizionata, stante l’espressa clausola secondo cui “la mancata produzione di detti atti costituisce motivo di revoca della presente autorizzazione”, mentre le eventuali difficoltà incontrate dall’Azienda a fornire la documentazione di cui trattasi al termine del primo biennio, alle quali si fa riferimento nella memoria di parte appellante del 20 marzo 2014, non sono idonee ad incidere sulla legittimità del provvedimento ministeriale che, com’è noto, va apprezzata alla stregua della situazione di fatto e giuridica sussistente al momento della sua adozione.
Quanto al preteso difetto di istruttoria, è agevole opporre che, invece, un’adeguata istruttoria vi è stata, ed ampia ed accurata, essendo stato non solo acquisito al procedimento il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità (unico prescritto dall’art. 31 del cit. d.P.R. n. 285 del 1990) in data 15 marzo 2011, peraltro emesso dopo lungo (dal 2005) ed articolato iter in cui è intervenuto altresì l’Istituto Superiore di Sanità che, sulla base della documentazione tecnica fornita dalla < omissis > e degli studi e prove tecniche, concernenti pure il raffronto con il manufatto di zinco, effettuate dal dipartimento di ingegneria meccanica dell’Università di Roma “Tor Vergata”, da ultimo (11 gennaio 2011) si è espresso nel senso che “gli elementi forniti (…), il sistema tecnico costruttivo-assemblaggio, chiusura (…) ed i risultati delle prove tecniche (…) costituiscono valido supporto per una eventuale autorizzazione del manufatto in PP” alle condizioni poi trasfuse nel menzionato parere del Consiglio Superiore della Sanità e, di qui, nel provvedimento finale del Ministero della salute.
D’altra parte, è lo stesso art. 31 sopra richiamato che consente al Ministero di autorizzare “materiali diversi da quelli previsti dall’articolo 30, prescrivendo le caratteristiche che essi devono possedere al fine di assicurare la resistenza meccanica e l’impermeabilità del feretro”; ed infatti sono già stati autorizzati manufatti in materiale plastico in sostituzione della cassa di zinco all’interno, com’è nella specie, della cassa di legno, senza che fosse possibile anche in quei casi l’esistenza di prove “in campo” sulla reazione dei rispettivi materiali nelle condizioni particolari dell’applicazione specifica; prova, questa, acquisibile solo nel tempo, richiedendo il predetto art. 31 che sia garantita la resistenza meccanica e l’impermeabilità del feretro evidentemente per il prescritto periodo e sulla base di prove tecniche di laboratorio condotte secondo gli studi di settore. Peraltro, opinare diversamente significherebbe vanificare del tutto la possibilità di impiego di materiali alternativi di cui al ridetto art. 31, in nome dell’impiego – pressoché monopolistico – dello zinco da tempo immemorabile.
Né la medesima norma prevede che tali valutazioni siano effettuate da “un consesso di esperti che includano anche regioni e comuni”, come da avviso espresso dall’Istituto Superiore di Sanità, il quale per tale aspetto resta sul piano giuridico un mero suggerimento di un passaggio se mai opportuno, che però nulla toglie alla congruità dell’istruttoria e delle approfondite indagini eseguite nella specie.
Tanto premesso, i profili di doglianza concernenti la mancata indicazione dell’obbligo di garantire la durata del cofano per oltre vent’anni, l’assunta, omessa considerazione del carico, della struttura e dello spessore del cofano stesso, l’esclusione dell’applicazione di valvole di – oltreché di sfiato – purificazione dei gas e di sicurezza, oltretutto tarate in un certo modo, talché il manufatto non sarebbe idoneo a soddisfare lo standard di sicurezza imposto dal regolamento, la mancata limitazione dell’autorizzazione a solo determinate zone climatiche del territorio nazionale e solo per un numero circoscritto di prodotti, ecc., impingono nel merito dell’esercizio della discrezionalità tipicamente tecnica dell’Amministrazione e sono, pertanto, anch’esse inammissibili per questo aspetto, mirando a sostituire l’avviso dell’appellante a quello dei tecnici di cui l’Amministrazione si è avvalsa, senza che sia dimostrata (non soltanto allegata) la sussistenza di gravi vizi di irrazionalità e travisamento dei fatti, apprezzabili ictu oculi.
Le considerazioni sin qui esposte consentono di pervenire a disattendere il primo motivo d’appello, ma anche il secondo (difetto di motivazione) ed il terzo (difetto di istruttoria) e parte del quarto (eccesso di potere in relazione alle finalità dell’autorizzazione).
Riguardo a quest’ultimo, va aggiunto che, una volta accertata, con le prescritte limitazioni e condizioni, l’affidabilità del manufatto non diversamente da quello metallico, ovvero sia salvaguardato il fondamentale principio di tutela della salute e dell’igiene pubblica in ragione dell’utilizzo condizionato del manufatto in PP nei sensi e nei limiti autorizzati, non si vede la ragione per cui possa considerarsi illegittima l’ulteriore finalità inerente interessi economici e concorrenziali del relativo provvedimento.
Inoltre, tali condizioni e limitazioni non appaiono affatto indice di perplessità, essendo invece conformi proprio all’invocato criterio prudenziale in applicazione del principio di prevenzione dei rischi alla salute ed all’igiene pubblica, in attesa dell’esito della sperimentazione “in campo” che consenta di allargare le ipotesi di impiego del materiale in parola, se positivo, oppure comporti la revoca dell’autorizzazione stessa, se negativo o non adeguatamente documentato. Ciò a maggior ragione in considerazione della biennalità del prescritto monitoraggio e della durata complessivamente solo quinquennale della validità del provvedimento.
Infine, la doglianza riguardante le responsabilità nel caso in cui si verifichino pregiudizi partecipa in parte dell’inammissibilità sopra evidenziata per divieto di ius novorum in appello, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado i ricorrenti limitandosi a ventilare meramente una responsabilità dell’Amministrazione “per aver autorizzato la produzione e la messa in commercio del materiale senza previa sperimentazione, anzi imponendo una sperimentazione a carico degli utenti”: Nei limiti, dunque, di tale originaria censura, si osserva che, come si è visto, sono stati previamente acquisiti positivi risultati della sperimentazione in laboratorio. Non senza evidenziare, in ogni caso, l’impossibilità giuridica di una già effettuata sperimentazione “in campo”, non conducibile se non successivamente all’autorizzazione, ovviamente a carico dell’impresa autorizzata e, come anche su questo punto si è già visto, in occasione di estumulazioni richieste di familiari del defunto ovvero per altre possibili cause legittime. D’altro canto gli appellanti, tanto attenti alle attività di monitoraggio di < omissis >, non allegano l’essersi verificato un qualche problema pur nel decorso di quasi un triennio dalla commercializzazione del manufatto in PP.
Anche il quinto ed ultimo motivo va perciò disatteso.
In conclusione, l’appello dev’essere respinto.
Tuttavia nella peculiarità della fattispecie sottoposta al Collegio si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra le parti delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere, Estensore
Roberto Capuzzi, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Written by:

Sereno Scolaro

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