Consiglio di Stato, Sez. V, 25 giugno 2010, n. 4081

Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massima:
Consiglio di Stato, Sez. V, 25 giugno 2010, n. 4081
Risulta illegittima per i vizi di eccesso di potere e di difetto di motivazione la determinazione di decadenza della concessione di un’area cimiteriale per la circostanza di fatto relativa alla inesistenza di rapporti di parentela diretta tra il titolare della concessione cimiteriale e un certo numero di persone tumulate nella cappella gentilizia, nel caso in cui l’Amministrazione comunale, sempre tempestivamente informata della collocazione delle sepolture, non dimostri l’assenza di autorizzazioni.
Tale grave carenza probatoria, tanto più rilevante nell’ambito di un procedimento di autotutela, sfociato nel contestato provvedimento decadenziale, costituisce indice significativo della esistenza se non di una formale autorizzazione, quanto meno di una reiterata e consolidata tolleranza delle condotte del concessionario, riguardanti l’utilizzazione del sepolcro gentilizio.
In definitiva, quindi, la determinazione di decadenza, impugnata in primo grado, risulta illegittima per i denunciati vizi di eccesso di potere e di difetto di motivazione.

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. V, 25 giugno 2010, n. 4081
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 2779 del 2008, proposto da:
Rev. Don Salvatore Tagliamonte, rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Abbate, con domicilio eletto presso Carlo Abbate in Roma, via della Maratona N.56;
contro
Comune di Ponza;
nei confronti di
Migliaccio Antonietta, Conte Flora, Mazzella Silverio, Parisi Silverio, Romano Assunta Pompea;
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO – LATINA n. 01488/2007, resa tra le parti, concernente della sentenza del TAR LAZIO – LATINA n. 01488/2007, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE AREA CIMITERIALE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2010 il Cons. Marco Lipari e uditi per le parti gli avvocati Brigato, per delega dell’Avv. Abbate;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
La sentenza impugnata ha respinto il ricorso e i connessi motivi aggiunti proposti dall’attuale appellante, per l’’annullamento dei seguenti atti adottati dal comune di Ponza:
– provvedimento di decadenza della concessione di un’area cimiteriale, (determinazione dirigenziale n. 4 del 7 febbraio 2001);
– concessioni dell’uso dei loculi nn. 9, 22, 25, 31 e 32, rilasciate dal comune di Ponza nella cappella cimiteriale oggetto della contestata dichiarazione di decadenza.
L’appellante contesta la decisione di primo grado e ripropone le censure disattese dal tribunale. Le parti intimate non si sono costituite in giudizio.
Con ordinanza n. 98/2009, la Sezione ha disposto incombenti istruttori, eseguiti dal comune con atto depositato il 29 dicembre 2009.
Con il ricorso di primo grado, l’appellante (Sig. Rev. Don Salvatore Tagliamonte) ha impugnato la determinazione del responsabile del servizio cimiteriale del Comune di Ponza, n. 4 del 7 febbraio 2001, con la quale era stata dichiarata la decadenza della concessione di un’area cimiteriale, a suo tempo assegnatagli per realizzarvi una cappella privata, nonché disposta l’acquisizione del predetto manufatto al patrimonio comunale.
L’interessato premetteva in fatto che:
– con contratto datato 5 maggio 1971, rep. 158, il Comune di Ponza gli aveva concesso una porzione di area cimiteriale, di circa 20 mq, allo scopo di erigervi una cappella privata;
– l’interessato aveva occupato alcuni loculi con le salme dei propri congiunti o parenti prossimi e, successivamente, previa tempestiva comunicazione di rito al Comune circa la collocazione, anche con salme di alcune persone legate da vincoli di lontana parentela o di benemerenza;
– con deliberazione n. 11/1998, la Giunta comunale aveva disposto la decadenza della concessione dell’area cimiteriale, imputando al concessionario la cessione di alcuni loculi a soggetti terzi, in asserito contrasto con i vincoli derivanti dalla concessione;
– a seguito di ricorso giurisdizionale proposto dall’interessato, peraltro, il Comune di Ponza aveva annullato la deliberazione n. 11/1998, rilevando il vizio di incompetenza;
– con nota prot. 6313, datata 20 agosto 1999, il Comune aveva contestato al ricorrente di aver consentito la tumulazione nella sua cappella gentilizia di persone con le quali mancava un rapporto di parentela diretta;
– l’interessato aveva replicato che la concessione aveva ad oggetto la realizzazione di un sepolcro gentilizio e che nello stesso erano state tumulate persone legate da vincoli gentilizi o, comunque, di benemerenza;
– il ricorrente aveva aggiunto che il Comune, informato di volta in volta delle varie tumulazioni, non si era mai opposto, né aveva sollevato contestazioni al riguardo;
– con nota n. 257 del 10 gennaio 21001, l’amministrazione comunale aveva ribadito l’intenzione di pronunciare la decadenza della concessione;
– con atto n. 4 del 2 luglio 2001, il responsabile del servizio, pertanto, aveva dichiarato la decadenza della concessione della cappella cimiteriale attribuita all’appellante e la sua acquisizione al patrimonio comunale.
Il provvedimento si fondava sulla seguente motivazione:
“nei loculi della stessa cappella sono seppellite le salme o resti mortali di: Tagliamonte Luisa, Tagliamonte Giuseppe e Giuseppina, Coppa Solina, Coppa Filomena e Biagio eredi del concessionario, mentre negli altri risultano seppelliti Iacono Luisa, D’Antuono Carmine, Mazzella Gaetano, Morioni Maria; Romano Natalino, Tagliamonte Francesco, Russo Silverio, Feola Civita, Spigno Maria Grazia, Avellino Sonia, Ramunno Rita, Coppa Vincenzo, Avellino Tobia, Tagliamonte Francesco, Tagliamonte Salvatore, Mazzella Pietro e Biagio, Castiglione Apollonia in Ambrosino e figlio Vito, Mazzella Silvio in Morsello, D’Arienzo Ciro, Laddomada Paolo, Laddomada Antonio, che non hanno nessun rapporto di parentela diretta con il concessionario;
ci sono prove di alienazione di loculi verso terzi da parte di Tagliamonte Salvatore”.
Il Comune, quindi, affermava che, su 32 loculi di cui si compone la cappella, soltanto 3 erano occupati da salme o resti mortali di eredi del medesimo, mentre 16 loculi erano occupati da terze persone.
Secondo il TAR, il ricorso è privo di fondamento.
A dire dei giudici di primo grado, “Dirimente in punto di fatto è la circostanza, ammessa dallo stesso ricorrente e comunque accertata puntualmente dal Comune, che nei loculi della cappella cimiteriale il concessionario ha tumulato persone (meglio in prosieguo indicate) non appartenenti alla sua famiglia né facenti parte del suo asse ereditario diretto. L’accertamento è stato compiuto dall’amministrazione civica verificando i nominativi delle salme rinvenute tumulate nella cappella e confrontando i risultati confluiti nella scheda riepilogativa con i dati anagrafici (stati di famiglia) delle salme medesime.”
Il ricorrente sostiene di aver utilizzato i loculi per persone che o erano state a lui legate in vita da vincoli di lontana parentela oppure che avevano acquisito particolari benemerenze; afferma, altresì, di avere sempre comunicato al Comune, di volta in volta, la collocazione delle salme; in ogni caso, il regolamento comunale prevede, a suo dire, la decadenza solo nel caso di cessione tra privati di sepolture individuali e non già per le cappelle gentilizie.
Il primo dei due assunti seppure corrispondesse al vero – ma nessuna prova il ricorrente ha fornito in proposito né in sede procedimentale né, tanto meno, in quella giudiziaria – sarebbe comunque irrilevante. L’art. 92, c. 3 del D.P.R. n. 285/1990 (approvazione del Regolamento di Polizia Mortuaria) dispone che “ Con l’atto della concessione il comune può imporre ai concessionari determinati obblighi …”. Il successivo art. 93 recita che: “Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari; di quelle concesse ad enti è riservato alle persone contemplate dal relativo ordinamento e dall’atto di concessione. In ogni caso, tale diritto si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro (primo comma). Può altresì essere consentita, su richiesta di concessionari, la tumulazione di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti comunali” (secondo comma). L’art. 25, c. 4 del Regolamento cimiteriale del Comune di Ponza statuisce che: “Ogni concessione del diritto d’uso di aree e manufatti deve risultare da apposito atto contenente l’individuazione della concessione, le clausole e condizioni della medesima e le norme che regolano l’esercizio del diritto d’uso. In particolare, l’atto di concessione deve indicare: (…) le salme destinate ad esservi accolte o i criteri per la loro precisa individuazione (sepolcro gentilizio o familiare) …”. Il successivo art. 27 dispone che “La decadenza della concessione può essere dichiarata nei seguenti casi: (… ) quando vi sia inadempienza ad ogni altro obbligo previsto nell’atto di concessione”. L’art. 3 del contratto di concessione così recita “Il diritto di uso della cappella è perpetuo per il concessionario e per gli eredi diretti, non può essere però in nessun caso parzialmente né totalmente ceduto, ovvero trasmesso a terzi tanto per atto tra vivi quanto per atto di ultima volontà, senza l’autorizzazione del Comune che può negarla a suo insindacabile giudizio”. Il precedente art. 2 della concessione obbliga il concessionario “ad osservare scrupolosamente e far rispettare le norme in vigore prescritte dalla legge e dal regolamento comunale di polizia mortuaria”.
Dal complesso quadro normativo sopra riferito, sistematicamente ordinato e ricostruito, s’evince che l’efficacia della tumulazione, ovvero degli atti di disposizione del diritto d’uso dei loculi (anche appartenenti ad una cappella gentilizia o di famiglia), con salme di persone che risultino essere state conviventi del concessionario o che abbiano acquisito presso di lui particolari benemerenze è subordinata al previo assenso/consenso del Comune. Orbene, non consta in atti che alcuna autorizzazione, preventiva o postuma, sia mai stata rilasciata dalla competente autorità per la tumulazione delle salme.
In ordine al secondo rilievo (secondo cui la decadenza può operare solo nel caso di cessione tra privati di sepolture individuali e non già per le cappelle gentilizie), il Collegio ritiene che con la tumulazione di salme di persone terze (rispetto alla sfera familiare ed ereditaria del concessionario) si realizza, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico utilizzato (donazione, atto unilaterale, contratto unilaterale, a favore di terzo), la cessione parziale – attuata proprio mediante sepolture individuali nei singoli loculi – del diritto d’uso della cappella, in violazione dell’art. 3 del contratto di concessione.
Ragionevole appare anche il sospetto che della concessione ne sia stata fatta un uso arbitrario ed improprio sotto il profilo del fine di lucro e/o speculativo. Depone, in tal senso, l’esistenza non smentita in punto di fatto dal ricorrente:
a) di documenti (definiti come “donazioni” dal Comune, ma la cui qualificazione poco importa sotto il profilo funzionale) comprovanti l’intenzione, messa in atto, di cedere (indipendentemente dallo strumento giuridico utilizzato per il raggiungimento dello scopo) il diritto d’uso dei loculi della cappella in favore di salme di persone diverse dai propri familiari o eredi diretti;
b) di un consistente numero di persone (almeno 11 come si dirà) che hanno beneficiato della tumulazione.
D’altronde, il fine speculativo non implica necessariamente il profitto economico potendo risultare sufficiente, per incorrere nella violazione del divieto, anche il compimento di atti di disposizione altrimenti non giustificato in favore di persone terze; ciò che si vuole impedire, infatti, è la circolazione fuori dal controllo pubblico dei loculi il cui uso risponde, invero, ad una insopprimibile esigenza di interesse pubblico incompatibile con qualunque forma di surrettizia commercializzazione od utilizzazione dettata da convenienze personali.
In ordine ai restanti motivi di ricorso, il Collegio ritiene che:
1) il ricorrente è stato avvisato dell’avvio del procedimento e messo, quindi, nelle condizioni di comprendere i motivi delle contestazioni mosse dal Comune; a nulla rileva la circostanza che l’esistenza delle scritture private di cessione a terzi del diritto d’uso sia stata esplicitata soltanto nel provvedimento di decadenza trattandosi di atti noti all’interessato il quale, peraltro, giusta il principio di leale collaborazione, avrebbe dovuto spontaneamente ed immediatamente esibirli all’amministrazione trattandosi di documenti in suo possesso;
2) nei suoi scritti, il Comune precisa di avere adottato numerosi provvedimenti di decadenza di concessioni per situazioni simili, avverso alcuni dei quali è stato anche proposto ricorso giurisdizionale; infondata, oltre che genericamente sollevata, s’appalesa pertanto la censura di disparità di trattamento ed ingiustizia nei sensi articolati dall’interessato;
3) nessuno sviamento di potere si coglie nella causa del provvedimento impugnato il cui fine immediato e diretto, esplicitato in atto, è stato quello di reprimere una condotta illecita mediante applicazione della sanzione causalmente idonea allo scopo; è vero che il funzionario comunale, nella sua nota del 20 agosto 1999, ha fatto riferimento anche alla carenza di spazi per tumulazioni ma il presupposto unico dell’azione amministrativa è stato l’inadempimento contrattuale concretato dall’uso arbitrario dei loculi mediante la loro indebita circolazione, siccome effettuata fuori da ogni controllo dell’autorità comunale, da cui ne è scaturita anche la rilevata carenza di spazi cimiteriali;
4) le considerazioni che precedono rendono infondato anche il vizio di difetto di motivazione del provvedimento impugnato che il ricorrente ha ritenuto di ravvisare nella omessa valutazione dell’interesse pubblico al mantenimento del rapporto concessorio in ragione dell’utilità comunque perseguitasi con la tumulazione delle salme; la decadenza è un provvedimento di carattere sanzionatorio che costituisce atto dovuto a condizioni date; essa, pertanto, non richiede alcuna comparazione di interessi pubblici siccome questi già valutati ad un livello più alto e generale (normazione primaria e secondaria) di esercizio della discrezionalità; compito del funzionario, pertanto, è soltanto quello di accertare la ricorrenza o meno, in concreto, delle condizioni che legittimano e giustificano l’adozione del provvedimento;
5) la causa sanzionatoria e non espropriativa del provvedimento di decadenza della concessione cimiteriale esclude in radice la possibilità che possa configurarsi, a seguito dell’acquisizione per accessione al patrimonio comunale dell’opera costruita su area data in concessione (consequenziale ad una condotta illecita/illegittima del concessionario ed a lui imputabile secondo il regime dell’autoresponsabilità: id est, inadempimento), un ingiustificato arricchimento del Comune a svantaggio del privato.
Occorre, a questo punto, prendere in considerazione l’istanza istruttoria con la quale il ricorrente ha chiesto l’acquisizione di tutta la documentazione inerente i permessi di seppellimento nella cappella in questione. Nella sua richiesta al Comune (le domande sono due, la prima datata 11 novembre 2002 e la seconda 18 agosto 2003) l’interessato chiede il rilascio del permesso di seppellimento di 20 salme tumulate nella sua cappella tra il 1971 ed il 2002.
A seguito del rilascio (parziale) della documentazione, il ricorrente ha proposto motivi aggiunti con i quali impugna i provvedimenti di concessione dei loculi cimiteriali n. 9, 22, 25, 31 e 32. Sostiene che il comune di Ponza ha provveduto illegittimamente al rilascio delle concessioni in favore di soggetti “vivi e vegeti”, infrasessantacinquenni, in violazione delle modalità stabilite nel Regolamento di Polizia mortuaria e nella legge n. 241 del 1990.
I motivi aggiunti sono inammissibili per carenza di interesse. La proposizione della seconda impugnativa si regge pur sempre sull’originario interesse del ricorrente di rientrare in disponibilità della cappella cimiteriale per la quale il comune di Ponza ha dichiarato la decadenza.
Orbene, nell’elenco fornito dal ricorrente, infatti non compiano le salme delle seguenti persone: D’Antuono Carmine, Morioni Maria, Feola Civica, Spigno Maria Grazia, Avellino Sonia, Coppa Vincenzo, Tagliamonte Salvatore, Mazzella Pietro, Castiglione Apollonia in Ambrosino e figlio Vito, Laddomoda Paolo; salme che, invece, sono state rinvenute tumulate senza autorizzazione nella cappella (cfr provvedimento n. 4 del 7/2/2001) e risultate, all’esito degli accertamenti anagrafici, non appartenere alla famiglia del concessionario né a lui legate da vincoli di parentela giuridicamente rilevanti ovvero da ragioni di benemerenza: circostanze e condizioni sufficienti di per sé a legittimare la pronuncia di decadenza della concessione. Ne consegue, che se anche fossero fondate le doglianze mosse con i motivi aggiunti, resterebbe pur sempre ingiustificata, in quella cappella, la tumulazione di ben undici salme e, dunque, legittima, per quanto sopra argomentato, la decisione del comune di Ponza di dichiarare la decadenza del ricorrente dalla concessione dell’area cimiteriale (id est, cappella). Le su esposte considerazioni valgano a motivo anche del rigetto dell’istanza istruttoria, da ultimo depositata in data 9 novembre 2007, siccome irrilevante, ai fini di causa, la relativa, sollecitata documentazione.”
L’appello, che contesta la pronuncia impugnata, merita accoglimento.
Non è controversa la circostanza di fatto relativa alla inesistenza di rapporti di parentela diretta tra il titolare della concessione cimiteriale e un certo numero di persone tumulate nella cappella gentilizia.
La parte appellante, tuttavia, ha recisamente contestato di avere mai consentito la tumulazione di tali soggetti in assenza dell’autorizzazione dell’amministrazione comunale, sempre tempestivamente informata della collocazione delle sepolture.
L’assunto della parte appellante non è irragionevole, perché sembra difficile immaginare che le determinazioni riguardanti la tumulazione di diverse salme sia potuta avvenire senza alcuna verifica da parte delle competenti autorità municipali.
La parte appellante, quindi, ha formulato, tanto in primo grado, quanto in secondo grado, apposite istanze istruttorie, dirette ad accertare l’esistenza di atti autorizzatori riguardanti la sepoltura di persone estranee alla sua cerchia familiare, o, comunque, delle comunicazioni inviate all’amministrazione comunale, riguardanti l’intenzione di consentire la tumulazione di soggetti diversi dai prossimi familiari.
Il comune non ha fornito chiarimenti adeguati alle pronunce istruttorie adottate dal Tar e dalla Sezione, omettendo, in particolare, di chiarire attraverso quali modalità procedimentali sia stata possibile la tumulazione, nella cappella gentilizia dell’appellante, di soggetti estranei al suo nucleo familiare.
In questo contesto, allora, risulta palese il difetto di istruttoria del procedimento che ha condotto all’adozione del provvedimento di revoca della concessione: manca, infatti, qualsiasi approfondimento riguardante l’effettiva presenza di autorizzazioni comunali e l’esistenza di rituali comunicazioni effettuate dal concessionario.
Tale grave carenza probatoria, tanto più rilevante nell’ambito di un procedimento di autotutela, sfociato nel contestato provvedimento decadenziale, costituisce indice significativo della esistenza se non di una formale autorizzazione, quanto meno di una reiterata e consolidata tolleranza delle condotte del concessionario, riguardanti l’utilizzazione del sepolcro gentilizio.
Anche la seconda ragione posta a base del provvedimento di decadenza risulta sprovvista di adeguato sostegno probatorio. Infatti, le alienazioni verso terzi rilevano solo se mancano le autorizzazioni comunali al loro perfezionamento.
Al riguardo, l’amministrazione, in sede di adempimento istruttorio, ha depositato tre scritture private, firmate dal solo appellante, denominate “dichiarazione di donazione”, con cui lo scrivente dichiara di “donare” un “loculo di mia proprietà”, precisandone l’ubicazione.
Il Comune, peraltro, non chiarisce se queste dichiarazioni unilaterali si siano poi effettivamente tradotte in atti di alienazione e se esse siano state effettivamente caratterizzate da un intento speculativo.
In definitiva, quindi, la determinazione di decadenza, impugnata in primo grado, risulta illegittima per i denunciati vizi di eccesso di potere e di difetto di motivazione.
Le spese dei due gradi seguono la soccombenza e, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico del solo comune di Ponza, mentre sono compensate nei riguardi delle altre parti intimate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione Quinta, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla i provvedimenti impugnati dinanzi al TAR;
Condanna il Comune di Ponza a rimborsare all’appellante le spese dei due gradi, liquidandole in euro cinquemila;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2010 con l’intervento dei Signori:
Stefano Baccarini, Presidente
Marco Lipari, Consigliere, Estensore
Aldo Scola, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Eugenio Mele, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 25/06/2010

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